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Abbiamo chiesto a un barbiere di commentare tutte le pettinature Richie Hawtin

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Foto via Facebook.

A questo punto della storia a nessuno serve un articolo che informi sulla carriera di Richie Hawtin come producer, DJ o boss di un'etichetta discografica. Produce la techno, suona la techno e si occupa di release techno. Queste tre cose le ha fatte per un quarto di secolo, più o meno. Ok, risolto: archiviato. Ecco riassunto l'eredità musicale di Hawtin in due frasi. Facile.

Ciò che è importante quando si tratta di Hawtin sono i suoi capelli. Richie Hawtin ha una storia di tagli di capelli incredibile, a volte incredibilmente complessi, altre in una scala che va da strambi a rancidi e abissali.

Abbiamo chiesto all'unico barbiere che conosciamo, Joseph Bradbury, AKA il cantante dei Rhythm Method, AKA l'unica band inglese in attività che valga la pena ascoltare, di dare un voto ai tagli di capelli di Hawtin. Ne sentivate l'esigenza, vero? Prego non c'è di che. 

Ah, prima di cominciare, ascoltatevi una canzone dei Rhythm Method, vi farà bene.

Niente male, vero? Ok. Ecco le pettinature di Hawtin recensite da un barbiere di professione.

1.

 

Joey: Quella sfumatura ai lati sembra voler comunicare che Richie è un tifoso dell'Arsenal perché, come è noto, tutti i tifosi dell'Arsenal hanno quella sfumatura sui lati. Questo taglio è troppo schierato dalla parte dell'Arsenal nel derby di North London, per me non va oltre il 3 su 10.

2.

 

Questo è il mio taglio di Richie preferito, soprattutto perché solletica la mia nostalgia. Quello che stiamo guardando è una celebrazione del look indie del 2007 con qualche sprazzo di David Guetta. Mi comunica molto, questo taglio, ad esempio che Richie era in prima fila a guardare i Good Shoes a Morden e che non se lo dimenticherà mai. Voto 8/10.

3.

 

Qui è dove Richie dimostra di essere un vero pioniere, spingendo i limiti dello stile e della pseudo-cultura swag prima che fosse la sua epoca. 7/10.

4.

 

Questo taglio mi fa cagare. Forse è quello che mi piace di meno. Non ho mai capito il gusto per gli AFI, ma è ovvio che Richie l'ha capito. 3/10.

5.

 

La gente sa molto poco di quell'epoca in cui Richie era la prima linea di fanteria della scena britpop. Questa è una foto di quando metteva i dischi in un locale che una volta era la Mecca del britpop londinese e che oggi non esiste più. Voto alla pettinatura 7/10.


Questi quadri a tema droga vi faranno passare la voglia di drogarvi

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Ah, la droga. Non ce n'è mai abbastanza. Cioè, in caso le nostre mamme o gli avvocati dell'azienda stiano leggendo: sconsigliamo assolutamente di prendere, comprare o vendere droga di qualunque tipo e vorremmo anche porre l'accento su quanto sia divertente passare una serata in discoteca completamente sobri. A chi interessa il GHB quando si può bere ottima H20 dal rubinetto... gratis! Di certo non noi. Nossignore. Assolutamente.

Una persona che ogni tanto se ne concede un po', o almeno così parrebbe, è l'artista Brian Pollett, che lavora sotto lo pseudonimo di Pixel-Pusha. A quanto pare avrebbe passato due giorni a spararsi ogni tipo di sostanza rintracciabile sul pianeta e a disegnarne gli effetti. In questo modo ha scoperto che le varie alterazioni comportamentali chimicamente indotte dei vari narcotici portano a creare cose come questa:

 

O questa:

 

Il che fa orrore. Le droghe non sono davvero così, giusto? Le droghe non ti fanno sentire come se avessi una specie di creatura in stato larvale che striscia fuori dal cervello, non è vero? C'è qualcuno che si è mai infilato nel naso un cinque euro stropicciato per tirare una bella riga cicciona di cocaina tagliata col Dixan e poi ha pensato: "Cazzo, sai cosa mi sento? Una sensazione che ho cercato per tutta la vita, fin da quando papà ha lasciato mamma: voglio essere un fenicottero. Ecco. È quello che ho sempre voluto, ma non ho mai avuto il coraggio di ammettere. Tutto quello che voglio nella vita è essere un meraviglioso uccello rosa, che la gente quando lo vede allo zoo fa 'oooooh'. Imprigionatemi, mettetemi in gabbia, lasciatemi essere me stesso per la prima volta nella mia vita. Lasciatemi volare"? Speriamo sinceramente di no.

Davvero, è ovvio che una cosa come l'LSD ha effetti molto diversi su ognuno di noi, ma se un vostro amico vi dicesse che ha intenzione di chiudersi in casa per circa tre settimane con un sacco pieno di droga e che se le farà proprio tutte, e dopo essersele fatte tutte dipingerà gli effetti di ognuna, e vi dicesse: "Hey, vuoi vedere il mio dipinto sull'LSD? Penso di aver davvero catturato l'esperienza totalmente aliena dell'LSD" e andaste a casa sua e vi facesse chiudere gli occhi e poi dicesse "Ta-dah!" e voi apriste gli occhi e vi trovaste davanti questa cosa, come reagireste? Sinceramente, quale sarebbe la vostra reazione?

 

A) "Ah, bello, bravo. Hai mica dei cracker? Ho un po' fame."
B) "Bei colori."
C) "Ma che cazzo è questa roba? Davvero, che cosa dovrebbe rappresentare? La pubblicità di una scheda grafica? È questo che hai colto dall'LSD? Un cartellone pubblicitario dello sciroppo per la tosse su una linea semi-abbandonata della metropolitana?"

Ognuna di queste risposte potrebbe essere valida. Un buon amico ha sempre dei cracker, apprezza i complimenti e sa accettare le critiche costruttive. 

Pollett ha tenuto il meglio per ultimo però. Nel suo ultimo giorno di dissolutezza droghereccia, si è strafatto ammerda della droga più seria e più pericolosa di tutte: l'Amore. Già, ha davvero creato un'opera sull'"Amore" ed è esattamente come ve la aspettate:

 

L'amore è patatine mangiate nel letto. Silenziosi viaggi in autobus. Guardare un film che nessuno dei due vuole vedere solo per evitare l'abisso nero del silenzio. Farsi la doccia assieme per risparmiare acqua calda. L'amore è l'immagine della tua vita che cade a pezzi. L'amore non è così.

Per cui grazie Brian: ci hai fatto passare la voglia di drogarci per sempre. Prima i minions, ora questo.

Drake ha firmato con Boy Better Know, la label di Skepta

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Sembra che Drake sia sempre più interessato al Regno Unito: dopo la sua apparizione con Rihanna ai Brit Awards, dopo che ha fatto anche un'ospitata, la stessa sera, con l'amico Skepta allo show dei Section Boyz, ha annunciato, tramite Instagram, che si affilierà ufficialmente alla label e collettivo grime Boy Better Know.

Questa news non ci sorprende così tanto, considerato che Drake poco tempo fa si è tatuato il logo di BBK, gesto a cui l'amico Skepta aveva risposto così: "More than music. OVO BBK family for Life." Skepta e Wiley, anche lui membro della crew BBK, hanno confermato la notizia tramite i loro profili Instagram:

Non sappiamo molto altro di come sia andato l'accordo, né di cosa cambierà d'ora in avanti, ma Lady Leshurr ha espresso un'opinione decisamente definitiva:

Ah, ricordiamoci che il nuovo album di Drizzy, Views from the 6 dovrebbe uscire in aprile. 

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I Bazooka hanno composto l'inno della Generazione Inutile

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Come si scrive un inno generazionale quando la generazione in questione è la più demotivata, nichilista, squattrinata e senza scopo da quarant'anni a questa parte? I Bazooka, ex-bambini prodigio e oggi portabandiera del garage punk europeo (greco per la precisione), che per il loro secondo album su Slovenly Recordings hanno abbandonato del tutto l'inglese per abbracciare la propria lingua madre, hanno un'idea ben precisa. La espongono nel primo singolo, che dà il titolo al disco, "Achristi Genia" ("Generazione Inutile"): riff schiacciasassi, voce schiumante di rabbia, incedere catatonico; c'è anche il wah-wah che mantiene il suo status di pedale preferito dai nichilisti.

Il video, girato in bianco e nero per le strade deserte di una Atene decadente, comunica uno stato di torpore consapevole che a certi millennial è molto familiare. È un video potentissimo. Guardalo qua sotto e ordina il disco sul sito Slovenly, ma soprattutto va' a vederli dal vivo quando passeranno in Italia la settimana prossima (consulta le date in fondo alla pagina):

 

gio 3 mar @ Jazz Club, Firenze, w/ the Dirtiest
ven 4 mar @ Frame House Club, Oppeano (VR) w/ Antares
Qui il resto del tour europeo.

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ITALIAN FOLGORATI SPECIALE: ADDIO POOH!

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Ti sei mai chiesta chi inventava questo tuo mondo nel sessantasei?
Chi aprì la strada?
Guardami adesso senza paura odiami solo se un giorno tu vedrai
Che io mi arrendo

(Valerio Negrini- 1966)

Ooh, anche quest’anno Sanremo ce lo siamo messo dietro le spalle. Ovviamente non l’ho visto, ho preferito vivere: i vincitori, gli Stadio, hanno praticamente ricevuto un premio alla carriera considerato che sono dei  monumenti della musica italiana. Oggi  però non vogliamo parlare di loro—ci torneremo nel prossimo numero—ma di ben altri monumenti: i Pooh, superospiti speciali fuori gara. Erano sul palco dell’Ariston per annunciare il megatour della loro reunion e performare non solo un medley, ma soprattutto quella "Uomini Soli" che all’epoca, nel 1990, spiazzò tutti vincendo la manifestazione in maniera plebiscitaria. Rifiutando la grande orchestra e armati di un octapad a campioni percussivi, un contrabbasso elettrico, una chitarrina acustica e una tastierina dei cinesi, sfidarono l’intellighenzia sanremese, come ricorda Stefano D’Orazio nella bibbia da lui scritta, Confesso Che Ho Stonato. Il libro è vero pozzo di san patrizio sui retroscena “hard” dei Pooh, consigliatissimo per il piglio da ragazzo di vita che ha sempre caratterizzato il nostro romano de Ostia. Fra chiavate continue, sbronze ad anello e vita da vera rockstar, il nostro Stefanone narra le difficoltà di affrontare una critica musicale in malafede nei loro confronti, anche e soprattutto durante quel Sanremo.

La loro performance fu un omaggio chiarissimo all’esibizione dei Matia Bazar di "Vacanze Romane", i quali però, ingiustamente, non avevano vinto l’edizione del 1983. Come se avessero voluto dire: “Stavolta Facciamo Giustizia”, la loro scelta fu interpretata come una provocazione e aspramente criticata. Ricorda anche che, saputo in grande anticipo della vittoria, Roby e gli altri saltarono sul letto dell’albergo disintegrandolo, gridando in modo belluino e mandando a farsi fottere l’ipocrita bon ton dei backstage sanremesi. A parte questo, nonostante gli abbiamo già dedicato un articolo, è necessario tornare su di loro con uno speciale: dopo cinquanta anni assieme i Pooh si stanno ora definitivamente sciogliendo, il che è uno shock un po’ per tutti, per chi li credeva l’unica inossidabile certezza di questa nazione, per i fans, per me che come sapete sono un cultore quasi feticista ma soprattutto per chi non avrà più con chi prendersela. Da notare anche la posizione sulle unioni civili esibita in diretta sul palco di Sanremo, momento politico che non è il solo nella loro storia, certo (ricordiamo "Senza Frontiere", il pezzo contro i pregiudizi sull’immigrazione, ancora oggi d’incredibile attualità), ma evidentemente l’italiano medio non legge i loro testi. C’è stata una spaccatura fra i fan, e i Pooh hanno deciso di passare come schiacciasassi su chi li crede nazionalpopolari.

In realtà avevano già iniziato da un po'... Dodi, in una "Domenica In" di anni fa, ha confessato che ai tempi d'oro erano talmente “sbalestrati “ che si è dimenticato addirittura le figlie all’Autogrill. Stefano di base ha sempre preso per il culo tutti, papa compreso, mentre Roby, alla morte di Lemmy dei Motorhead, ha fatto il coming out che noi di Italian Folgorati auspicavamo da anni. A proposito di coming out, come ha giustamente fatto notare Caina, il “bacio gay” (con tanto d’inquadratura ai braccialetti arcobaleno) fra Fogli e Facchinetti durante "Uomini Soli", è stato uno dei più dirompenti momenti di televisione mai visti in Italia, che se lo fanno i Red Hot Chili Peppers nessuno ci fa caso ma se si tratta dei Pooh… Per non parlare dell’esecuzione weird con Roby che pare un pazzo uscito da una casa di cura, insomma  roba forte.

Dicevamo, si sciolgono per sempre e la reunion in questi casi è scontata. Quello che non è scontato è che non solo ritorna in formazione D’Orazio, letteralmente fuggito per esaurimento nel 2009, ma anche Riccardo Fogli, ex sex-symbol dei Pooh che poi come ben sapete ebbe una carriera solista di successi, flop e cose inclassificabili come questo disco di cui parlammo a suo tempo. Ora, era chiaro che la band un futuro non l’avrebbe più avuto, principalmente perché la loro vera voce è morta con Valerio Negrini, primo batterista, fondatore, paroliere e anima anarchica della band, che per anni è riuscita a svicolare la censura portando avanti messaggi libertari, subliminali o meno: basta andare sul suo Twitter per rendersi conto di che razza di personaggio fosse.

Ci si chiede però per quale motivo richiamare Fogli e non, ad esempio, Mauro Bertoli, primo guitar hero della formazione ai tempi in cui coveravano gli Who e i Kinks, quindi non roba per pivelli. Si spera in un suo cameo live a sorpresa, anche perché il nostro Fogli è comunque apparso un po’ “pesce fuor d’acqua”. Gli hanno messo una chitarrina acustica al collo che probabilmente non è neanche collegata all’ampli. Canta pochissimo, i brani non sono realmente riarrangiati per cinque voci, e alla fine "Uomini Soli" l’hanno cantata tutti tranne lui, se non per cinque secondi di finale. Allo stesso tempo, la nuova versione di "Noi Due Nel Mondo E Nell’Anima" è tutta basata su inutili unisoni. Poi voglio dire…anche Fogli ha vinto Sanremo con “Storie Di Tutti I Giorni”, molto prima dei Pooh. Perché non approfittarne per un megamedley collettivo?  Misteri della fede, anche per il fatto che Fogli era il bassista del gruppo prima di Canzian, padrone di una tecnica beat massiccissima: una formazione a due bassi avrebbe avuto più senso  e sarebbe stata una vera innovazione, ma probabilmente si è dimenticato come si usa. Fatto sta che pareva al concertino delle medie, quando si fa finta di suonare ma basta  esserci per provare contentezza. D’Orazio invece è lì con riserva, sembra  in ansia (forse anche per il recente affaire stile Balotelli?), l’idea che i Pooh gli stiano ancora in mezzo ai coglioni non lo fa stare sereno, ma la sua dedizione alla causa è lodevole, anche perché ha passato quasi tutta la vita dietro a quelle pelli, ci mancava solo che voltasse loro le spalle.

 Fogli e i Pooh provano Parsifal nella versione precedente all’ arrivo di Canzian.

Perplessità a parte, la grande macchina promozionale del tour  si è messa in moto: biglietti esauriti ovunque, altre date si aggiungono, edizioni limitate dell’imminente cofanetto per i fan e merchandise selvaggio, pare che i nostri  si preparino a fare cassa per andare in pensione come si deve. Tra l’altro il loro piglio è tornato rock, tanto che la nuova versione di "Pensiero" con l’arrangiamento metallaro del produttore dei Lacuna Coil—che piaccia o no—non lascia adito a dubbi.  La cosa più interessante è però l’uscita di un picture disc per il 28 febbraio, giorno del  compleanno dei Pooh: venti brani  che, udite udite, sono stati votati proprio dal loro pubblico! Voi penserete: avranno scelto i soliti pezzi del cazzo che ne so... "Tanta Voglia Di Lei" e compagnia bella. Invece no, stranamente il popolo dei Pooh ha preferito dei brani che mi ero quasi dimenticato anch’io. Basti pensare a "Terra Desolata", un brano che ricalca il capolavoro di T.Eliot con quelle “rondini di platino” che volano sulla testa del protagonista e l’andazzo prog/hard, o l’incastratissima "Oceano", in cui orchestrazioni classiche si mescolano a deliri di prog acido, narrando la storia di un avventuriero che cerca nuovi mondi per mare.

C'è poi "Una Donna Normale", brano del '79 contenuto in Viva, che è uno dei pezzi più strani del lotto, con una progressione da opera lirica mista agli Ultravox, affogati in un’atmosfera oppiacea. Non mancano i brani “controversi” quindi, come “Dove Sto Domani”, in apparenza la storia di una separazione etero mentre fra le righe è chiaramente la storia di due gay che vivono una realtà parallela fatta di compagne finte, a denunciare l’importanza del coming out: Formigoni dovrebbe riascoltarla, troverebbe molto della sua storia. L’andazzo stravagante si ha anche nella scelta del periodo Novanta con la pasoliniana (o meglio, più Morricone quando componeva per Pasolini) “La Ragazza Con Gli Occhi Di Sole”, l’ibrido con la musica classica russa di “Dall’Altra Parte”, spaccato di vita durante la dittatura comunista, e il Paco De Lucia mischiato a Gabriella Ferri e a uno chansonnier francese di “senza musica e senza parole”. Tutto sommato i fan non sono dei cretini come vogliono farci credere. Ovviamente ho partecipato anche io: appena scoperta quest’opportunità di far emergere i pezzi più “uncompromising” dei Pooh mi sono messo a digitare come un forsennato. La scelta è stata dura, ma ve li metto nero su bianco, così da compilare una versione “alternative “ di questo picture disc. Peccato solo che dobbiate stamparvelo da soli. Comunque sia, ecco a voi (la scaletta  è casuale e non per importanza, ci mancherebbe).

 Foto di Jonida Prifti.

 

...In Concerto (Viva - 1979)


Già sapete che il mio brano preferito di Viva (il disco che inaugura il periodo più rock dei Pooh) è "Tutto adesso", un’invettiva punk contro il sistema. Ma, avendone già parlato, ho scelto l’altra faccia della medaglia, l’intimista "..In Concerto", dove Facchinetti canta della vita di merda in tour e della fondamentale falsità dello showbiz. “Non rimane mai niente / Solo prendere e andare / E di questo alla gente / Non ne posso parlare”. Un nichilismo amaramente soave, sottolineato dalla completa assenza di strumenti se non un Arp Odissey glaciale lanciato nello spazio psicosomatico. La loro "The Hall Of Mirrors”, non ci sono cazzi.

 

Quasi città (…Stop - 1980)


Se “ ..In Concerto” è amaro, qui siamo alla pornografia dell’amaro. "Quasi città" è uno stupendo brano contenuto in ...Stop del 1980, in piena fase “Talking Heads de nonatri”. Caratterizzato da un arrangiamento esausto e quasi fusion, narra di storie di abusi su ragazze illuse di fare successo nel mondo della moda e dello spettacolo, impresari che stuprano minorenni tramite droghe e alcool, “un mondo di uomini”. Storia tristemente attuale che Negrini dipinge con crudeltà, ma allo stesso tempo con sensibilità agrodolce. Un grande assolo di Canzian al basso fretless descrive il momento allucinatorio della ragazza mentre cade nelle braccia del maiale di turno. Assolo addirittura superiore a quello, pioneristico, di “Ci Penserò Domani” che portò Dalla a invitarlo a suonare in un suo disco. Davvero una perla

 

Credo (Un Po’ Del Nostro Tempo Migliore - 1975)


Se è vero che i Pooh progressivi vivono il tempo di due dischi, è vero anche che Un Po' Del Nostro è forse superiore a Parsifal. Se non altro per la cupezza dei brani. Invece fra le macerie spicca questa preghiera laica, “Credo”, un’ottimistica dichiarazione di guerra alla religione, perché “Sono io che esisto e credo”. Negrini scrive “Tutti quanti sono grandi nella loro trinità / Son giusti forse più di noi / Ma voglio amore e tu ne hai”, inno alla carnalità che eleva lo spirito, con chitarre sognanti, un andazzo dronico da stupefacenti e il nervosissimo basso di Canzian che a volte ricorda le sparate Devo-lute e un falso ritornello neoclassico punteggiato dal clavicembalo. Sicuramente uno dei momenti più psichedelici del quartetto.

Cercami (Boomerang - 1978)


I fan, con grande lungimiranza, hanno scelto da Boomerang “La Leggenda di Mautoa”, krauta invettiva metaforica di  D’Orazio contro il Movimento, reo di narcisismo politico. Ottima cosa, ma il brano simbolo di questo LP è un altro. La gente crede che i Pooh abbiano trattato il tema dell’omosessualità solo in “Pierre”: sbagliato, Lì è esplicito, ma come per “Dove Sto Somani” in “Cercami” il messaggio è subliminale: è la storia di due gay in convivenza carbonara decisi a fare coming out “Ci dobbiamo svegliare e guardare di fuori / Noi non siamo soli”. Il ritornello “Cercami / Io sono nel mondo degli uomini” è più che chiaro, ma l’italietta continuò a canticchiarla pensando a zinne e figa. Coraggiosamente, i Pooh lo scelsero come singolo trainante ed è un rock sanguigno con sintetizzatori spaziali, batterie pestone e chitarroni talmente distorti e pieni di flanger che “Numb” degli U2 al confronto fa ridere.

 

Giorno Per Giorno (45 giri - Lato B di "Cercami" - 1978)


La cosa buffa è che "Cercami" era una seconda scelta: per singolo si pensava infatti a questo brano, che finì nel lato B e ristampato solo in qualche raccolta. La verità è che musicalmente è più estremo, quindi difficilmente sarebbe entrato in top ten. Un bilancio esistenziale antistorico “Ho imparato la vita a memoria / Come un libro di storia dei tempi di scuola / E di mio non ci lascio una sola parola”. Musicalmente è una massicciata epica tutta ostinati di chitarroni incazzati, senza dimenticare la melodia. la cosa bella è che non esiste ritornello, se non uno strano stacco  di sequenze random del sintetizzatore e Canzian che canta come dentro un computer sfasciato “Sulla mia coscienza è cresciuta già l’ERBA”, e non diciamo altro.

 

Odissey (45 giri - Lato B di "Fantastic Fly" - 1978)


Il diverso impianto sonoro di “Giorno Per Giorno” si ritrova in quello che è il “periodo Goblin” dei Pooh. I nostri infatti decidono di sperimentare con la musica da film, nello specifico curano l’intera score prima de La Gabbia e  poi dello sceneggiato televisivo I Racconti Fantastici di Edgar Allan Poe, dandoci dentro con la paranoia, l’ossessione, i  synth maligni, i bassi spacca cervello. Insomma tutti gli ingredienti per trasformarli nel lato b di “Heroes”. Peccato che, i nostri gettano la spugna perché, pare, troppo impegnati in vari fronti. Ironicamente nello stesso periodo i Goblin, col fantastico viaggio del bacarozzo Mark, si “poohizzeranno” (basti ascoltare la loro “Opera magnifica”per capire come le strade del signore siano imprevedibili).

 

Siamo Tutti Come Noi (Palasport - 1982)

Altro luogo comune sui Pooh è che dal vivo siano delle pippe, cosa assolutamente sfatata da questo inedito tratto dal loro primo disco live, dalla confezione grafica “graffitara” e con gli interni fregati a Physical Graffiti degli Zeppelin. Inedito eseguito completamente dal vivo, con drum machine in bella vista, paddoni, bassi spezzati in ottave e ovviamente la chitarra di Dodi che gli da giù di riff sciolti nel phaser. Tipo una sorta di The Cars italiani, se vogliamo. Il brano narra di arrendersi alla propria umanità come il Battiato di Bandiera bianca "Né barricate né armi / Vieni a chiamarmi qui".

 

Fotografie (Buona Fortuna - 1981)

Da Buona Fortuna, l’album registrato da Brian Humphries (fonico di Animals e di The Wall), avrei potuto scegliere metà del disco, che contiene diciamo i Pooh che ci piacciono, in piena botta “new rockmatica”. Invece l’ha spuntata un pezzo acustico, una narrazione Bukowskiana di due amici in botta che se ne girano  per la Spagna “Su di giri di prima mattina navigando l’estate del sud”. Si parla solo di vino finito, di grappa di more, di birra a fiumi ecc. Scolandosi questo mondo e quell’altro i due amici rivedono le fotografie dei tempi in cui si scolavano sto mondo e quell’altro in giro per il mondo, col finale a sorpresa in cui, sotto i fumi dell’alcool, tentano probabilmente uno scambio di coppie con le loro tipe fallendo miseramente. Perché i tempi non sono- ahimè più liberi come quelli di una volta.

 

L'anno, Il Posto, L’Ora (Parsifal -1973)

Tutti dicono che Parsifal sia il parto migliore dei Pooh. Logico quindi inserire un brano da questo disco che non sia la suite omonima, almeno per non rientrare nei classici luoghi comuni. La scelta cade sul pezzo d’apertura, il biglietto da visita per un Red Canzian appena reclutato, che canta da subito la prima strofa. L’ex crimsoniano dei Capsicum Red porta subito un vento di novità e i brani già provati con Fogli diventano più diretti e massicci senza perdere il velo prog. La storia di un pilota che precipita con il suo aereo mentre nello stesso tempo la sua donna vive una quotidianità serena, ignara della morte che incombe, è un’agghiacciante fotografia del cinismo della vita. Il brano è spaccato in due parti che appunto descrivono musicalmente i due mondi paralleli. Pathos a pacchi per quello che è uno dei migliori brani di Parsifal.

 

La Vostra Libertà (Per Quelli Come Noi - 1966)

Dicevamo, Mauro Bertoli: ebbene nel lontano 1966 i Pooh, grazie alla sua voce incazzata e ai suoi riff gonfi di fuzz, scrissero brani come questi in cui la società borghese viene frantumata “Amatevi fra voi / Odiatevi fra voi / Domani forse qui più niente resterà”. “la gente cerca chi l’aiuti ad impazzir”. Finalmente un brano con Fogli, che qui trita duro col suo basso attufato.

 

Peter Jr. (Forse Ancora Poesia - 1975)

Se c’è un brano dei Pooh da denuncia alla buoncostume, l’abbiamo trovato. Praticamente la storia di una scopata davanti a un minorenne che per errore apre la porta sbagliata. A D’Orazio (autore del testo)  ovviamente non frega nulla che il ragazzino stia lì davanti perché “Ho avuto anch’io la sua età / D’amore lui che ne sa?” e "spogliati vieni qui mi piace se fai così". Un Battaglia suadente al limite del satanasso chiede alla sua preda la massima delle perversioni, in un’atmosfera sonora dream pop shoegaze ante litteram, riverberi a cannone ed effetti stereofonici compresi, come da “Lucariello sound”. Da qui i primi vagiti dei Pooh autoprodotti, nel tentativo di abbandonare l’orchestra definitivamente.

 

Il Primo E L'Ultimo Uomo (Opera Prima - 1971)

Ma se vogliamo parlare di satanassi, questi sono evocati in massa nel brano più duro della storia dei Pooh. “Il Primo E L’Ultimo Uomo” è ovviamente cantata da Negrini, che con la sua voce graffiante evoca gli spettri dei Black Sabbath in una storia di fallimento totale, di un uomo ridotto a merda, abbandonato dall’amore e dalla fortuna. La base è hard rock pistatissima e l'Hammond di Facchinetti pare dia fuoco ai dannati nello stige. Uno degli highlights del quartetto, ingiustamente sottovalutato dai più.

 

La Nostra Età Difficile (Alessandra - 1972)

Apparentemente un disco sull’amore smielato, Alessandra invece è uno spaccato dei seri problemi sessuali dell’Italia degli anni settanta tipo Maschio È Brutto della Pisu, fatta di incesti, di MILF che scopano ragazzini, di minorenni ingravidate da adulti, di persone calpestate dalla morale cattolica, insomma uno schifo. Negrini coraggiosamente tenta la carta testo crudo, musica dolce, riuscendo in questo modo a fregare tutti e a scrivere la sua opera più politica, alla Tinto Brass, come ponte verso la liberazione sessuale. In questa raccolta incredibile la spunta “La Nostra…” per l’arrangiamento alla Bacarach, il basso saltellante di Fogli e l’incipit minaccioso. Due adulteri spiati, in paranoia, con questa “Lei che saprà come vincere e passerà su di noi come ieri”, che sembra quasi “la signora” di Dalla, più un discorso di sfuggire alla polizia e delazione che altro, insomma, molto prima di "Every Breath You Take" dei Police, dal tema similare.

 

Asia Non Asia (Asia Non Asia - 1985)

Del periodo “elettronico” dei Pooh non può essere dimenticata la title track di Asia non Asia, uno spaccato dei problemi dell’oriente, che all’epoca non erano cosi imminenti nella nostra quotidianità, mentre oggi, con i vari disastri nucleari nipponici e cazzi acidi con Cina e Corea, possiamo dire che Negrini aveva ancora una volta visto giusto. Sono dei Pooh “industrial”, quasi Depechemodiani ma ovviamente ispirati dai local heroes giapponesi, come  il  Masami Tsuchiya di Rice music. Un must.

 

C'Est Difficile Ma C'Est La Vie (Giorni Infiniti - 1986)

Il successivo LP,  Giorni Infiniti,  ci regala dei momenti grezzi ma anche i primi segni di stanca. La spunta quindi un pezzo intermedio, che apre le porte all’intimismo quasi autoriale e leggermente Jarrettiano al posto delle strombazzate della title track. Un brano per riflettere in silenzio, con l’innovazione dei fiati per la prima volta in formazione, fra i quali il sax di Claudio Pascoli (Naifunk, per intenderci).

 

Gitano (Poohlover -1976)

I Pooh parlano di amorazzi? Beh da Poohlover non più: anzi si parla di belle situazioni di merda. A cominciare da Gitano, che nella sua attualità scabrosa narra di uno zingaro che si decide a sedentarizzarsi salvo poi notare che è comunque odiato: la scelta finale sarà mandare affanculo tutti e tornare a fare la sua vita di “Sole grida e vino da cadere giù / Ruote sulla strada e non fermarmi più”. Inno alla libertà e forte atto d’accusa alle ipocrisie sociali e al razzismo della democrazia, andrebbe sparato nelle orecchie di Salvini a bomba, con i suoi riff uncinati e l’atmosfera pesa da campo rom in fiamme e fumi di fabbriche cancerogene a due passi. Un Negrini che buca la rete dell’omertà come non mai.

 

Non Sei Lei (Il Colore Dei Pensieri - 1987)


Nel 1987 i Pooh segnano la fine del periodo aureo, con Il Colore Dei Pensieri, disco che un po’ strizza l’occhio al funk di plastica un po’ insegue la melodia neoclassica. Fra tutte la spunta questa, in cui un un lui stanco di una donna borghese in vena di prediche  se la spassa con una tizia occasionale bevendo, scopando e guardandosi dei film probabilmente pornografici, all’insegna dell’edonismo autodistruttivo “ tu non sei lei/ hai meno sonno al mattino e forse vivrai più di noi”. Il brano si distingue per liricità, stacchi dream e pianoforti in odor di Sakamoto. Pornoromantici come piacciono a noi.

 

Una Domenica Da Buttare (Rotolando Respirando – 1977)


Se c’è un brano che potrebbe stare nella colonna sonora del primo Rocky, eccolo. Il protagonista lo immaginiamo a Primavalle in canotta zozza, col frigo vuoto, in mezzo a un caldo bestiale sentendo i vicini di casa trombare. La voglia di ammazzarsi e un pesante e ossessivo fardello da portarsi sulle spalle: quello che se finisse sotto terra a nessuno gliene fregherebbe un cazzo. Never mind the bollocks, here’s Valerio Negrini.

 

Selvaggio (Aloha -1984)


Da  “Aloha “ avrei potuto scegliere "La Mia Donna", col suo glaciale realismo glo-fi, un brano che fa piangere anche i più duri di cuore. Alla fine ho scelto questo perché spaccato più o meno forzato della vita di periferia, quella dei palazzoni, della droga, e dei quartieri off-limits. Tra l’altro composto durante il soggiorno nell’isola di Mahaui in cui i Pooh crearono problemi di ordine pubblico per le riprese dei loro video, tanto che gli sequestrarono tutto. Solo per questo si meritano sul campo il fregio di “italian bad guys”. Il brano sarà saccheggiato dai Litfiba di "Gioconda", soprattutto nel finale (mi piace ricordarlo perché si dia a Cesare ciò che è dei Pooh), contiene rumorazzi e cavalcate, nonché un momento “circense” da luna park stile video di "Cocaine" dei The Internet. Sempre nello stesso album c’è però l’apocalittica “il giorno prima” che se la gioca nella sua denuncia contro la guerra  nucleare. Invoco dunque un pari merito.

 

L’Aquila E Il Falco (Dove Comincia Il Sole - 2010)


Di tutta la produzione recente salvo pochissimo:  qualcosa di  “Ascolta”  e quasi nient’altro, ma questo brano rappresenta la svolta epic- pop-metal, direttamente dall’ultimo album di inediti. Potenzialità grandiose, nel dialogo fra Attila re degli Unni e la morte che cerca di portarlo con sé. Tristemente autobiografica nel pensare che sarà uno degli ultimi testi di Negrini per il gruppo prima che la "regina del pianto" lo porti "via nel tempo verso altri mondi che non sai". Qui una versione di un fan, strettamente metal: che volere di più?

A proposito di inediti: In realtà le sorprese non sono finite, pare infatti che nel disco celebrativo in uscita a settembre ci sarà posto  per tre pezzi nuovi di zecca. Speriamo vivamente di essere stupiti, ma soprattutto sarà vero che si scioglieranno PER SEMPRE o è una furbastra operazione di marketing? Devo davvero tirare fuori il fazzoletto buono? Vedremo, non c’è poi così fretta. Intanto auguriamo loro quello che in Anni Senza Fiato, nel lontano 1982, auguravano a noi: “E tanti auguri a voi / Di non risparmiare mai  / Di non barare mai/ Sono anni senza fiato finché vuoi”. Lunga vita ai Pooh.

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L'eterno riciclo di Max Pezzali

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Rappresentare una generazione è un compito davvero arduo, ma ogni tanto qualcuno deve prendersi la briga di farlo. Di solito quel qualcuno è un qualcosa, tanto che le differenze tra un trentacinquenne e un quindicenne si notano più che altro dal sistema di oggetti e riferimenti culturali cui sono legati: cartoni animati, videogiochi, idoli calcistici, gusti musicali... Ma aspetta, c'è qualcuno che incredibilmente riesce a trovarsi in quell'intersezione, a raccogliere il gusto di generazioni, individui e gruppi sociali che apparentemente non hanno nient'altro in comune. Questo qualcuno è Max Pezzali.

Mi ricordo (ok, forse me l'hanno raccontato) quando nell’estate del ‘96 sperperai tutti gli averi dei miei genitori in un juke box al celeberrimo Lido Prosperpina di Vibo Marina per agitarmi sulle note di “Hanno Ucciso L’Uomo Ragno”. Negli anni, più o meno indirettamente, mi sono imbattuto in Max talmente tante volte che nel mio ricordo distorto c'era anche lui con me a Vibo Marina. Nella mia memoria, oramai, è come se Max fosse un mio cugino lontano con cui, nonostante lo veda di rado, vado sempre super d'accordo.

Ma Max non è solo il mio, di cugino. Si potrebbe dire che è il cugino di tutta Italia, a giudicare da quante volte ho visto, sui miei social, comparire foto, canzoni, riferimenti più o meno espliciti alla sua produzione musicale. Forse quello che rende cross-generazionale e, più alla larga, cross-gender la figura di Max sono i suoi testi, che raccontano in maniera molto semplice ogni fragilità e insicurezza che il nostro animo attraversa dall'adolescenza in poi.

E probabilmente, a un certo punto della sua carriera, Max si sarà pure ritrovato a dover affrontare dal punto di vista personale questa trasversalità che il suo pubblico ama di lui, tanto da dover trovare il modo di reinventarsi. Lasciando da parte il suo esordio nel programma di Jovanotti 123, in cui lui e il fido Repetto si facevano chiamare I Pop e presentavano il brano "Live in The Music, dopo gli anni d'oro dei grandi 883 abbiamo assistito a diversi rilanci della sua figura, a continue reinvenzioni, rinascite, resurrezioni e reinterpretazioni del ruolo di Pezzali e della sua musica. Di seguito ho raccolto i più significativi esempi delle mille vite del nostro cugino Max.

La prima volta che mi sono re-imbattuto nella discografia di Pezzali è stato nel 2012 in un periodo molto grigio della mia esistenza come fruitore della musica, era un momento in cui ascoltavo soprattutto quel genere indefinito che tutti chiamano indie, che per me altro non è che musica un tentativo di musica pop. In quel periodo era uscita su Rockit Con Due Deca, che altro non è che la “prima compilation di cover degli 883”, con gente come I Cani e Colapesce, ma anche Ghemon e Dargen D’Amico. Per cui mi sono riavvicinato a Max, in modo quasi fortuito, finché non è capitato di ritrovarmelo in televisione. Era la semifinale della prima edizione di MTV Spit, condotta da Marracash, che era in cerca del “nuovo king che sale sul ring”, sulle poltrone dei giudici di questo contest di freestyle televisivo, compare lui, Max Pezzali, come esperto e ascoltatore, fortunatamente (e se è successo ho rimosso) non come ex artista del genere con gli “I POP”.

Al di là poi della sua capacità di giudizio (non ricordo le scelte che fece), quello che mi ricordo perfettamente è stato il momento in cui i riflettori, piano piano, si sono concentrati sul suo faccione e hanno annunciato una battle a tema 883.

Quella battle, che potete riascoltare qui, fu semplicemente il preludio di una lunga collaborazione tra Max Pezzali e il mondo rap: da lì a poco, infatti, sotto gli occhi attenti di Pierpa Peroni e Don Joe, esce Hanno Ucciso l’Uomo Ragno 2012, in pratica una riedizione del primo disco degli 883, ricantata da Max e con l’aggiunta di strofe di rapper. La più emblematica è il secondo singolo, "6/1/sfigato", che è una matrioska di citazionismo di musica generazionale, arrivando persino agli Articolo 31, con "Mr. Gilet di Pelle", in un vortice che ha dell’incredibile.

Non mi ricordo se a regalarmelo fu mia madre o la ragazza con cui stavo allora, ma una delle due pensò che quel disco potesse fare al caso mio, per cui in casa ho la copia fisica di quello che Wikipedia chiama il “sesto album solista” di Max Pezzali. Oltre alle strofe di gente come Baby K, Entics e lo stesso Ax (passando per i Dogo, Emis Killa, Ensi, D’Amico e Fedez), la roba singolare, che porta l’endorse da parte del mondo rap a un livello successivo, sono le skit alla fine di ogni canzone, di altri esponenti del mondo rap, tra cui Shablo che parla di cosa rappresentassero gli 883 per chi è appena arrivato dall’Argentina e Fibra che ride ripensando al suo rapporto non proprio positivo con loro nell’adolescenza, fino a Bassi Maestro, l’endorse degli endorse.

Di quell’appoggio da parte della scena Max ne giovò, versando benzina su questo fuoco con Max 20, l’album per i vent’anni di carriera, l’ennesima mossa nostalgica, back in the days, con tanto di lacrimoni.

Da Max 20 a oggi, quindi con l’album Astronave Max in mezzo, il citazionismo a favore di Pezzali non si è mai esaurito e con lui i tentativi di strizzare l’occhio a tutto il pubblico banalmente definibile giovane.

Emblematico, in tal senso, il video di uno dei singoli dell’ultimo album, realizzato come se fosse un video di Periscope, che in quel momento stava esaurendo il suo boom incredibile, ora definitivamente soppiantato dalle Mention di Facebook.

In ogni caso Max ce lo siamo ritrovati ovunque, sempre e comunque: è nel ritornello di uno dei singoli del primo album da solista di Jake La uria, che sposta l’attenzione del grande Real al grande Milàn (sigh), mantenendo la stessa linea melodica, nel pezzo probabilmente più conosciuto di Musica Commerciale, il primo album solista di Jake.

La stessa operazione, ma con "La Regina del Celebrità", è stata fatta una settimana fa da Il Pagante, il gruppo milanese dance-demenziale che ha visto anch’esso un “trapianto di rapper”, dopo l’inserimento di Eddy Veerus, facilitato dal fatto che entrambi sono artisti sotto contratto con Warner.

Ma Max è icona non solo musicale, basti pensare al recentissimo video sui 30enni dei The Jackal, dove addirittura diventa icona nostalgica, e parla a lungo in un (semi)monologo che sembra un testo di una sua canzone, di modem 56k e VHS.

Adesso Max è uno dei quattro giudici di The Voice, al fianco di Raffaella Carrà, Emis Killa e Dolcenera. La puntata d’esordio è stata la prima puntata più vista della storia del programma, ora per Max inizia una nuova vita, questa volta quella più trasversale di tutti: a guardare il programma non sono (solo) adolescenti, ma famiglie. Il prossimo passo, probabilmente, è la presidenza del consiglio. Ce lo auguriamo.

 

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Impara a produrre come Holly Herndon

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Quando si crea, cos'è più importante, il processo o il risultato? Mettere un sacco di concetti nella musica che fai ne sminuisce l'espressività viscerale? Come si fa ad essere sinceri e spontanei creando con un software?  Come si può raccontare in musica l'esperienza di stare sull'internet? Sono tutte domande complicatissime che Holly Herndon si pone praticamente da sempre, che costituiscono il DNA del suo lavoro. Non si è mai preoccupata di metterle apertamente in campo, di discuterle ogni volta che può. 

Qualche mese fa (tra ottobre e novembre) Holly ha partecipato a Ableton Loop, un convegno organizzato dall'azienda a cui dobbiamo il 60% della musica elettronica contemporanea, che ha raccolto menti pesanti, geni digitali e altra gente con buone idee, tra cui dei veri eroi come Robert Henke, Roger Linn, e la stessa Herndon. Ora per fortuna Ableton ha postato su YouTube due video della sua partecipazione al convegno. In uno di questi svela tutte le sue riflessioni sugli argomenti appena citati, e lo fa in maniera assolutamente fantastica. Godetevi questi trentasei minuti e imparate qualcosa

Il caos e la commozione dei Virus Syndicate

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"Il brano Chaos & Commotion e il suo video sono la nostra rappresentazione di ciò che significa non riuscire a sentirsi vivi finché non succede qualcosa di brutto... Chaos & Commotion, the only that makes me feel an emotion, dice il testo. Questo è un bravo fondamentale per comprendere la narrazione di Symptomatic, il nostro prossimo album", ci hanno raccontato i Virus Syndicate, collettivo di Manchester formato da DJ Mark One e dagli MC Goldfinger, JSD e Nika D, che hanno iniziato a fare musica ormai dieci anni fa, debuttando su Planet Mu.

"Con questo album – racconta Nika D, uno dei membri fondatori – abbiamo voluto fotografare la realtà, fare un commento sociale, dire come sentiamo e vediamo quello che ci circonda. I toni spaziano dalla commedia alla depressione, dalla sofferenza causata dall’ansia ai tradimenti sentimentali fino alle paure sociali, alla rivoluzione e al cambiamento".

Rispetto ai loro dischi precedenti in questo quarto album il gruppo ha deciso di sperimentare con altre sonorità e, pur non rinnegando le proprie fondamenta che affondano nel grime e nella bass music, ci sono varie contaminazioni in direzione trap, r’n’b, e drum & bass e, già in "Chaos & Commotion", il brano qua sopra, si può notare una sorta di addolcimento della melodia.

Quella che potete ascoltare qua sopra infatti è la prima traccia estratta da Symptomatic, che uscirà ufficialmente il 29 febbraio ed è già disponibile in pre-order su iTunes.

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Ennio Morricone: il cacio sugli Spaghetti-Western

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Non credo di avere mai visto veramente un film western, almeno non dall'inizio alla fine. Di quell'universo ho un ricordo indiretto: mio nonno che si addormenta sulla poltrona, la televisione che rimane accesa tutto il pomeriggio e io che faccio altro mentre va in onda qualche vecchio film. Il che significa che, per gran parte della mia infanzia, io quei film li ho ascoltati. E ascoltarli significava ascoltare Morricone. Quei paesaggi sonori mi sono rimasti talmente familiari che uno dei primi dischi (per la precisione un cofanetto) che ricordo di aver comprato a dieci anni, in un mercato rionale, era una raccolta delle sue colonne sonore. Quando tornai a casa per ascoltarlo, comunque, rimasi molto deluso perché non c'era nemmeno un cantato, oltretutto non erano nemmeno le canzoni dei western che conoscevo! La considerai una fregatura e il cofanetto rimase a prendere polvere per un sacco di tempo.

Passano gli anni, e gli Spaghetti caduti in rovina dopo gli anni Settanta tornano di moda, anzi, diventano cult: in questo lasso di tempo Morricone compone altre settecento miliardi di colonne sonore, vince un Oscar alla carriera e—a quasi dieci anni di distanza—concorre per vincere quello per la migliore colonna sonora con The Hateful Eight di Tarantino. Dal canto mio, credo di essermi ripreso dalla delusione provata da ragazzino, quindi ho pensato fosse un buon momento per ripercorrere le principali tappe del binomio indissolubile Morricone/Western.

Morricone, Evangelisti e Macchi (The Group). Per approfondire: la guida di Noisey allo Spaghetti-Sound.

Ci sono molte differenze tra il concetto di Western classico e lo Spaghetti-Western. Il primo nasce ovviamente negli Stati Uniti già ai primi del Novecento, raggiunge l’apoteosi negli anni Trenta con l’Oscar vinto da I pionieri del West nel 1931 (da lì in poi nessun western vincerà la statuetta fino al 1990 con Balla coi Lupi). Grazie a registi come John Ford e Howard Hawks e attori che diventeranno ben presto l’immagine iconica del cowboy—John Wayne, Gary Cooper, Henry Fonda—il western diventa il film americano per antonomasia almeno fino al secondo dopoguerra, anche per via della vena patriottica da cui sono caratterizzati. Le vicende si svolgono tra la Guerra di Secessione e la fine del XIX secolo, le tematiche piuttosto ripetitive e banali: ruotano tutte attorno all’idea di frontiera, alla contrapposizione tra legge e morale. I protagonisti sono eroi irreali che incarnano la loro ambigua e personale concezione di libertà. La musica, di riflesso, non si distacca granché dalla tradizione statunitense: folk e ballate country.

È il 1964 quando uno scettico Sergio Leone accetta di affidare la colonna sonora del suo secondo film a un vecchio compagno della scuola elementare, sotto suggerimento della Jolly Film che l’anno precedente aveva prodotto Duello nel Texas e stava lavorando a Le Pistole non Discutono, due film considerati oggi il preludio all’epopea del western all’italiana, musicati entrambi da un certo Dan Savio, pseudonimo italoamericano dietro al quale si nascondeva Ennio Morricone per risultare più accattivante al pubblico statunitense. La musica che Leone chiede per accompagnare Per un Pugno di Dollari è un misto di canti funebri messicani (i deguello) e rielaborazioni prese dal repertorio di cantautori americani. Pare che Morricone non fosse particolarmente in sintonia con questa idea, fatto sta che il tributo doveroso alla tradizione musicale d’oltreoceano viene espresso con una cover in versione strumentale di “Pasteurs of Plenty” composta nel 1941 da Woody Guthrie.

In realtà il primo capitolo della Trilogia del Dollaro non arriverà nelle sale statunitensi per un bel po’. La sceneggiatura di Leone è liberamente ispirata a La Sfida del Samurai di Akira Kurosawa e, non immaginando l’enorme successo che avrebbe avuto il film, non erano stati pagati i diritti al regista giapponese, dando inizio a beghe legali che bloccheranno la proiezione negli USA per tre anni.

Ad ogni modo il successo è solo rimandato: senza alcuna aspettativa, con un budget minimo e le scenografie scroccate a Le pistole Non Discutono di Caianofilm sul quale la casa di produzione puntava maggiormente—Leone ha dato il via a un nuovo genere cinematografico e Morricone alle sonorità che lo accompagneranno, boicottando i suggerimenti del regista e apportando numerose novità di stile e composizione: per la prima viene utilizzata la chitarra elettrica solista, il marranzano e l’ocarina diventano due marchi di fabbrica, così come i fischi di Alessandro Alessandroni.
Nascono così gli Spaghetti-Western, termine che viene coniato per indicare l’origine italiana delle produzioni cinematografiche e il maggiore spargimento di sangue rispetto alle pellicole americane. Morricone—assieme a musicisti storici come Marcello Giombini, Franco Micalizzi, Riz Ortolani e Luis Bacalov—contribuiranno a rendere uniche e perfettamente riconoscibili le scene delle decine e decine di film spaghetti western che nei dieci anni successivi si moltiplicheranno a dismisura, anche a discapito della qualità della trama, girati alla bell’e meglio, con budget di un pugno di lire e i nomi dei protagonisti copiati dai film più famosi per ingannare il pubblico.

Uno dei film più imitati è Una Pistola per Ringo del 1965, il primo dei quattro western “ciociaro-andalusi” di Duccio Tessari, che conterà almeno una dozzina di appropriazioni indebite del protagonista “Ringo” nelle pellicole di quegli anni. Morricone qui predilige temi prevalentemente allegri e grotteschi ed avvia la carriera di Maurizio Graf che canta nel pezzo dei main titles “Angels face”. Stessa sorte avrà Edda Dell’Orso che canterà ne “Il vizio di uccidere” per la colonna sonora di Per Qualche Dollaro in Più dopo aver incontrato Morricone negli studi della RCA e che metterà la voce sia da solista che come corista nell’ottetto formato da Alessandro Alessandroni, “I cantori moderni”, in molte altre colonne sonore composte da Morricone.

Nel 1966 Sergio Corbucci dirige uno dei film precursori di quello che sarà nominato “Western revisionista” ovvero i western in cui i protagonisti stanno dalla parte dei nativi americani, è considerato uno dei film più importanti della saga Spaghetti-western anche se l’attore protagonista Burt Reynolds ha dichiarato di odiare quel film, giudicandolo il peggiore della sua carriera. La colonna sonora come il film, è particolarmente feroce ed esalta le scene più cruente, il tema principale è celebre per gli strilli selvaggi e compare anche in Kill Bill, alla chitarra elettrica si affiancano tamburi profondi, fruste e campane.
L’importanza della musica di Morricone nella formazione dell’identità dei western all’italiana è talmente marcata che alcuni film prendono il nome dai titoli delle canzoni di altre colonne sonore, come La resa di conti di Sollima, che chiama lo stesso Morricone a comporre la musica e da cui esce un pezzo bellissimo cantato da Maria Cristina Brancucci “Run Man Run”.

Il capolavoro arriva con Il Buono, il Brutto, il Cattivo, probabilmente anche grazie alle maggiori disponibilità economiche di cui dispose il film. Tant’è che per la prima volta Morricone poté comporre la musica prima delle riprese—musica che fu utilizzata sul set da Leone per agevolare gli attori a cogliere l’empatia che cercava in alcune scene. Morricone gioca con contrappunti e armonie, rendendo i pezzi improvvisamente tragici e barocchi anche grazie all’utilizzo del yodel e delle trombe. I tre protagonisti del film vengono annunciati tutti con lo stesso tema, cambia solo lo strumento: il Biondo con il flauto, Sentenza con l’arghilofono e la voce per Tuco. La colonna sonora di questo film rimarrà in classifica per tutto il 1968 ed è probabilmente quella più emblematica di tutto il filone Spaghetti assieme a quella di Lo Chiamavano Trinità composta da Franco Micalizzi (e fischiata sempre da Alessandro Alessandroni).

Morricone tocca tutte le possibili variazioni musicali con i successivi film, in Da Uomo a Uomo tornano le chitarre classiche e le frasi di chitarra elettrica riverberata di “Mystic and Severe”, tensione inquietante per A Faccia a Faccia e i mariachi di Tepepa—film influenzato dai temi sessantottini al grido di “Viva la revolucion”, con Thomas Millian e Orson Welles—e musiche drammatiche de Il Grande Silenzio, con tracce alla marcia e archi balzati su cui recitano altri due pezzi da novanta come Klaus Kinski e Jean-Louis Trintignant.

L’altro grande capolavoro è la colonna sonora di C’Era Una Volta il West che apre la trilogia del tempo e si aggiunge alla sfilza di collaborazioni con Sergio Leone che porta anche 10 milioni di copie vendute per l’original soundtrack. Archi adagio, la voce di Edda Dell’orso, l’arpeggio claustrofobico e diatonico in “Il Grande Massacro” su cui picchia la chitarra elettrica prima dell’arrivo dei tamburi e degli archi, e poi l’armonica appunto ne “L’Uomo dell’Armonica” che riapre il tema centrale e ricorrente. Più di un’ora di capolavori, per i quali pare che Clint Eastwood andasse pazzo.

Gli anni Settanta, come già detto, vedranno un lento declino degli Spaghetti-Western, anche se Morricone farà in tempo a incassare un altro paio di colonne sonore degne di nota, come Giù la Testa con i celebri “sciòn sciòn” nel tema principale e l’esperimento crepuscolare di Il mio Nome è Nessuno in cui compare per la prima volta anche qualche sintetizzatore.

Incredibilmente resistente al tempo come la sua musica, Morricone, in un mondo e un'epoca completamente diverse dal periodo d'oro del Western, ora rischia di ottenere la meritata consacrazione passando per il suo cultore-debitore più accanito: Quentin Tarantino. Possiamo soltanto immaginare cos'abbia provato Ennio quando si è trovato a lavorare su una sorta di tributo a se stesso, con mezzi e possibilità economiche diametralmente opposti alle varie limitazioni cui le sue opere western dei Settanta erano confinate.

Noi tutti ci auguriamo che, finalmente, quest'Oscar arrivi, perché stavolta non sarebbe un vago premio alla carriera, ma un riconoscimento del valore artistico del lavoro di Morricone all'interno di un genere specifico, che prima di lui era piatto e banale, e grazie a lui è diventato culto. Se oltretutto un Oscar al Maestro può essere l’occasione buona per far chiudere il cerchio anche a Tarantino e farlo smettere di fare western derivativi e inutili lunghi tre ore, allora ci speriamo ancora più forte.
 

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Il grime salverà il rap italiano?

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Rasty Kilo al super, immagine via Facebook

Per quanto sia forte l'influenza culturale inglese e statunitense, sono convinto che il rap italiano sia riuscito, nel corso del tempo, a creare un proprio suono e formare un'identità definita, almeno parzialmente. Negli ultimi due anni è capitato più volte e da varie parti di domandarsi se il rap italiano sarebbe mai riuscito ad avere un riconoscimento culturale in qualche modo istituzionalizzato e (pure se paradossalmente da parte delle radio questo processo non è avvenuto con la stessa velocità degli altri media) oggi possiamo dire che il rap è arrivato ovunque, dalle tivù ai quotidiani locali.

Questo preambolo antipatico serve ad arrivare a un altro punto ancora più antipatico: è davvero così utile quell'organicità, che per tanto tempo è stata propagandata come un obiettivo di un genere relativamente giovane e fresco? O forse quell'identità, che il rap italiano è ormai riuscito a raggiungere, si è dimostrata in realtà fin da subito un limite estremamente conservatore, più che un punto di arrivo? Nella pratica questo si traduce in una certa impermeabilità ai suoni popolari nel resto d'Europa quando si arriva al momento di fare concretamente musica rap, e non si tratta di un j'accuse, ma più che altro di una constatazione: se in alcuni casi la radicalità della direzione artistica è stata una scelta (condivisibile o meno, ma comunque consapevole) in altri si è trattato di semplice miopia e incapacità di reazione. È successo con la trap ad esempio, che ora sembra essere la svolta ed effettivamente ha avuto un effetto rapidissimo su una parte della scena italiana (e anche sull'altra, perché anche una reazione stizzita o il rifiuto hanno comunque il valore di conseguenze culturali), ma non è riuscita a creare un dialogo che portasse a qualche cambiamento reale nell'approccio al genere, non è riuscita ad essere lo strumento attraverso cui costruire qualcosa di nuovo. O almeno, non ci è riuscita per ora.


"Crime" di Rasty Kilo, prodotta da Stabber

Il punto della questione è: il rap italiano e le sue produzioni sono capaci di slegarsi dalla propria identità e reagire in tempi utili agli stimoli esterni? Se consideriamo la trap, il tempo di reazione è stato davvero lungo e lo stesso si può dire con i filoni di sonorità legati a OVOsound (che hanno generato un suono a sé stante, non facilmente riproducibile, ma ben identificabile) e anche lì il tempo di reazione è stato lento, seppur il risultato sia stato in entrambi i casi qualitativamente soddisfacente (penso a qualcosa di Mecna, a Corrado, a Ghemon).

Il 2015 è stato l'anno del grime e di Skepta, che da un punto di vista culturale è stato sorprendentemente rilevante a livello mondiale (per quanto mi riguarda anche più di Kendrick), soprattutto se si considera quanto sia riuscito a imporsi come genere sul mercato statunitense, tanto che proprio l'altro giorno Drake ha annunciato di aver firmato un contratto con la Boy Better Know (la label di Skepta). Approfitterò del resto di questo paragrafo per fare una storia lunga corta del grime, che si è sviluppato inizialmente a Londra, nella prima metà degli anni Zero e che affonda le sue radici strumentali nella garage UK, nella acid house e in un universo di suoni molto complesso e articolato (che qualche tempo fa abbiamo approfondito, in un certo senso, su queste pagine insieme a Mumdance).

Il grime in Inghilterra, per ridurre tutto all'acqua di rose e arrivare finalmente al titolo di questo post, ha avuto la fortuna di riuscire a far convergere audience diverse, trasformando il fenomeno e la scena attorno a questi nuovi tentativi in qualcosa di prima nazionale e poi globale. È stato un processo lungo che si è concretizzato in diverse sottoculture, dall'MCing più stretto alle dubwar, senza mai perdere un connotato sociale che rende questo paragrafo ancora più inutile, nell'ottica di riuscire a capire cosa sia il grime. Diciamo che il grime, nel momento di sua massima popolarità mondiale, cioè nell'ultimo anno, era più o meno così:

Se ci limitiamo all'ambito strettamente rap, in Italia fino ad oggi sono usciti pochissimi pezzi grime, ma la reazione a quest'ondata di popolarità è comunque arrivata, con un pezzo di Big Fish ed Egreen che si chiama "Che Ora È", uscito lo scorso giugno e con il progetto iniziato un paio di mesi fa da Stabber e Rasty Kilo. Stabber su queste pagine è già capitato in qualità di portavoce di Lucky Beard Music e non solo, dato che è sul pezzo (e sul beat, da Salmo a Nitro, Gemitaiz, Paura e un'altra sporta di artisti di primo piano) già da tempo. Al suo fianco Rasty Kilo, che nel giro di qualche anno è passato da fare le doppie ad Achille Lauro a un contratto per Machete e un album da solista, Molotov, uscito nel 2014 e composto da undici tracce, quasi tutte prodotte da Dr Cream, già parte dei Rapcore, gruppo romano con cui Rasty Kilo si era fatto notare all'inizio della sua carriera.

Quello che hanno messo insieme è una sorta di versione italiana del grime che mi sembra più interessante di ciò che Rasty aveva collezionato da un punto di vista discografico fino ad ora e che, a giudicare dai commenti su YouTube, ha sorpreso (se non addirittura lasciato perplessi) i fan dell'etichetta Machete. Al di là dell'assoluta adeguatezza del beat di Rasty sulle produzioni di Stabber, la cosa che riesce a entusiasmarmi è il conflitto che si è subito generato. La stessa "Crime" è un mezzo dissing, o comunque una dichiarazione d'intenti uguale e contraria, nei confronti di Sfera, Dark Polo Gang e tutta l'ondata di trap italiana che è arrivata pure a toccare gli artisti più mainstream, come Marracash. L'altro mezzo dissing è ancora più esplicito e arriva da una serie di vlog che Rasty ha caricato sul suo canale per supportare l'uscita dei singoli. Nel video dice questa frase, mentre ascolta il beat di "Champions League":

"Questa non è trap frate', non è che ve la potete cavare, mettere un autotune fare un po' così... Qua bisogna saper rappare e saper suonare".

Non sono convinto che il tentativo di Rasty Kilo di reinterpretazione del grime, così come i temi che tratta nelle sue liriche o l'estetica con cui sono girati i suoi video, sia sufficiente per affermare Rasty Kilo fa grime. Diciamo che fa una specie di grime italiano, qualcosa di ibrido e, questo sì, mai sentito prima nella nostra lingua. Ciò che è davvero interessante, al di là della reazione in tempi accettabili (anche se Stabber è perfettamente consapevole che questo sia comunque un ritardo, dato che la sua prima produzione grime l'ha composta nel 2012) è la dialettica di scontro che si è subito instaurata nei confronti della trap italiana. È qualcosa che ha più valore di un semplice dissing da affidare all'invettiva lirica, perché in questa circostanza si potrebbe sperare che i soggetti convolti si sentano obbligati a riconsiderare la propria musica, a dover innescare un meccanismo di sperimentazione e innovazione anche dal punto di vista strumentale e stilistico. Si potrebbe sperare che questa contrapposizione tra correnti di uno stesso genere, possa arrivare a formarne una terza, o una quarta e quinta, questa volta originali e personali, in qualche modo davvero attive all'interno del processo creativo.

I mezzi qualitativi esistono (anche nell'ambito trap) e, come abbiamo già detto prima, Rasty è perfettamente a proprio agio sulle produzioni di Stabber, che pure ha la fortuna (dal punto di vista dell'ascoltatore, almeno) di aver lavorato su questi suoni per alcuni anni e di essere quindi perfettamente consapevole di quello che sta facendo. Il grime probabilmente non salverà il rap italiano, anche perché non c'è niente da salvare, ma questo piccolo esperimento potrebbe generare un conflitto estremamente sano e, per citare di nuovo Stabber, ci godiamo nel conflitto.

 

Puoi seguire Rasty Kilo e Stabber su Facebook.

Seeyousound: musica e cinema non sono mai stati così vicini

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Seeyousound: il festival internazionale di film musicali.

Seeyousound è il festival di clip e film musicali che si tiene in questi giorni al Cinema Massimo di Torino. Ve ne avevamo parlato in occasione della presentazione dei documentari di Noisey Under the Influence, che hanno costituito un'anticipazione del festival vero e proprio. 

Il festival, appunto: Seeyousound, giunto alla seconda edizione, è il primo dedicato interamente alla produzione di documentari, short film e videoclip musicali. Il tema di quest'anno è Music is the Weapon, che è un concetto che noi di Noisey teniamo a sottolineare più o meno da quando è nato il nostro sito italiano. La musica è un'arma di aggregazione sociale, racconto personale, lotta politica, ma anche un modo per scappare dalla realtà o colorarla di toni che non possiede, almeno a prima vista. La musica è una forma di narrazione molto potente che può essere usata per cambiare le cose intorno a noi. E i film in proiezione al Cinema Massimo di questi giorni sono stati selezionati dagli organizzatori del festival proprio per raccontare come la musica abbia aiutato a superare barriere e risolvere situazioni complicate. 

Per la rassegna Music is the Weapon, Seeyousound propone They Will Have to Kill Us First, film sulla resistenza dei musicisti del Mali che combattono contro il divieto di fare musica imposto dagli islamisti radicali; Sumè – The Sound of a Revolution, la storia della rock band che, nel 1973, decise di cantare nella lingua dei nativi di Groenlandia, dando voce alla frustrazione di un popolo e diventando il catalizzatore della protesta che voleva l’indipendenza dalla Danimarca. E poi un omaggio di Mika Kaurismaki, fratello del famoso Aki, alla figura di Miriam Makeba, la Mama Africa che ha lottato furiosamente per i diritti civili, Viva Cuba Libre: Rap is War, un documentario che documenta la storia dei fratelli Cruz, vessati dalle autorità per il loro amore per il rap, che a Cuba, come altrove, è uno strumento di denuncia del disastroso stato economico e politico; il film del producer e rapper Nasir "Nas" Jones Shake the Dust che descrive il grande impatto della breakdance e della cultura hip-hop nelle baraccopoli, nelle favelas e nei ghetti del mondo. E infine Don't Think I've Forgotten, che racconta come il rock in Cambogia abbia saputo resistere e rinascere dopo i massacri ad opera dei Khmer Rossi (splendida anche la colonna sonora di questo film, pubblicata lo scorso anno da Dust To Digital).

Oltre a questa rassegna, ci sarà anche la presentazione di due film, Movie B, Lust und Sound in West Berlin 1979 - 1989 e Danny Collins, con Al Pacino, in anteprima.
Ma, a fianco della rassegna, il festival propone anche veri propri awards con tre categorie (videoclip, cortometraggi e lungometraggi) in gara. Tra i lungometraggi: Miss Sharon Jones, il documentario su Sharon Jones & the Dap Kings, Bloed, Zweet en Tranen (Blood, Sweat & Tears) e Monsterimies (Monsterman) in anteprima italiana; For This is My Body, Carnival Folklore e Quilapayún, Más allá De La Canción in anteprima europea e Low, in anteprima Mondiale.

Se vi trovate nell'area di Torino, vi consigliamo quindi di fare un giro a questo splendido e ricchissimo festival, nel cui programma sono previsti anche tre panel (Original soundtrack, Cinema a 360gradi e Solal meets Reeder) e La Notte Rossa del Videoclip: tre ore di clip in sala dall'una alle quattro di notte.

Rimandiamo al sito di Seeyousound, o alla loro pagina Facebook, per ulteriori dettagli. Potete procurarvi biglietti e abbonamenti presso la biglietteria del cinema o in prevendita online sul sito del Cinema Massimo.

Buona visione!
 

Noisey Mix: Shinoby

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Quando Omar Contri sale in consolle a mette i dischi diventa Shinoby, e come il (quasi) omonimo ninja, per attuare questa trasformazione ha dovuto forgiare le sue arti marziali con disciplina e pratica, cosa del resto comune a praticamente ogni DJ techno che si rispetti. Omar è veronese, e non è raro sentirlo suonare in giro per il nordest, prevalentemente alle serate messe in piedi dall'associazione culturale Morse, in quelle di Soho Verona (che co-gestisce) o nello studiolo della piccola e neonata RocketRadio. Il suo modo di selezionare e miscelare è preciso ma ruvido, con una predilezione per l'acid dai toni aggressivi e la EBM più sguaiatamente punk, con felici sbandate eclettiche su suoni più sperimentali. 

Questa descrizione potrebbe valere anche per altri dei nostri DJ preferiti, ad esempio Jamal Moss AKA Hieroglyphic Being, IBM, The Sound God etc etc., che ha avuto percettibilmente una grossissima influenza sl modo sia di suonare che di produrre di Omar. I due si sono incontrati a Milano meno di un anno fa, scambiandosi il posto sul palco del festival Saturnalia a Macao, e hanno mantenuto un contatto, portando Jamal a remixare una traccia che Omari si è da poco autoprodotto col marchio IsTheWay. Non è la sua prima uscita e non è neanche la prima a mostrare quanto il ragazzo ci sappia fare, però è quella che (non solo per via del remix), ci è piaciuta di più. 

È proprio perché ci sa fare che gli abbiamo chiesto di partecipare a NoiseyMix con una sua selecta. Dentro ci trovate un bello showcase dei suoi gusti e dei suoi interessi. Buon ascolto.

TRACKLIST:
1. Der Zyklus - Quasar
2. Dopplereffekt - Gesamtkunstwerk
3. D.I.E. - Keep Hanging
4. Beau Wanzer - Beaches of Leeches
5. Novamen - Murdercapital Mentality
6. Abstract Thought - Galactic Rotation
7. Parrish Smith - Revolution Will Always Be Televised
8. Mick Wills - Danza Della Guerra
9. Dj Sotofett - Z1
10.Cindytalk - Memories Of Skin And Snow
11.Helena Hauff - Spirals Of Smoke Drifting From Soot Stained Chimneys
12.Kurt Cobain - Reverb Experiment (Shinoby Edit)

L'emo-trap di Secret Boy ti spezzerà il cuore

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Foto di Kelly Wourms.

La maggior parte delle persone che conoscono Adam McIlwee lo fanno per via dei suoi trascorsi nei Tigers Jaw, ma da quando ha lasciato la band nel 2013 il cantante ha concentrato tutte le sue energie (e la sua voce) in un progetto sovraccarico di emozioni che si chiama Wicca Phase Springs Eternal. Nell'ultimo anno ha fatto uscire una serie di singoli a metà tra il club e il goth che potremmo definire come un mix tra Morrissey e Chief Keef: ghetto-goth.

McIlwee ha sempre spinto un passo in là ogni cosa che ha fatto per renderla iconica e darle un'identità propria, ma con questa ultima uscita,Secret Boy (che potete ascoltare qui sotto) è riuscito a trovare un angolino di felicità creativa tra i suoi trascorsi di cantautore col chitarrino e la sperimentazione con i producer. Così come era successo con "Shut My Eyes", un trionfo di trap acustica uscito lo scorso anno, Wicca Phase dimostra di eccellere quando riesce a combinare i due ingredienti appena elencati. Nel frattempo il disco è una coltellata nel cuore con sample da "Lullaby" dei The Cure e "Stockholm Syndrome" dei Blink-182 (e di altre cose tristi che si possono individuare a ogni ulteriore ascolto) e si appoggia sulle stesse strutture collaudate e melodie vocali che hanno reso il lavoro di McIlwee con i Tigers Jaw così ben riuscito.

Secret Boy è un disco che riesce a unire due elementi tendezialmente molto distanti (e anche molto noiosi se presi singolarmente, nella maggior parte dei casi), oltre a spezzarvi il cuore con l'ultima traccia "I Lose Everything", che vorrei sentire suonata al mio funerale, per favore.

Ascolta e soffri:

A cosa servono Elio E Le Storie Tese?

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Il rock demenziale italiano ha radici profonde. Sul finire degli anni settanta, infatti, Freak Antoni degli Skiantos pubblicò addirittura “Il Manifesto del Rock Demenziale”, ma il genere può in realtà essere considerato come un'esasperazione, una propaggine deviata ed estrema, triviale (non in senso dispregiativo) di tutta una tendenza alla narrazione tipica della musica italiana, dal cantautorato al teatro-canzone. Non è esattamente la mia tazza di tè, ma per esempio degli Skiantos riesco a capire ed apprezzare i collegamenti con lo spirito di rottura del punk e lo sberleffo dada, mentre dei Gem Boys non sopporto gli arrangiamenti plasticosi e la comicità scatologica: ma Elio e Le Storie Tese, al di là delle risate e della musica, mi spingono a una riflessione più profonda. 

Mi spingono a interrogarmi sul loro effettivo valore.  Troppo spesso si sono avvicinati ad essere solamente  buffoni di corte, irriverenti giusto quel poco che basta per non inimicarsi nessuno. Gli Elii sono un'istituzione: se il progetto esiste sin dal 1979, possiamo tranquillamente affermare che le apparizioni televisive degli anni Novanta (la sigla di Mai Dire Gol nel 1992 e la partecipazione a San Remo nel '96) gli hanno aperto un mondo infinito di possibilità che va dalle trasmissioni radio al commento tecnico del baseball americano sui canali digitali, al divanetto di Serena Dandini e Dario Vergassola (alternandosi con buona parte di quello che chiameremo poi indiesfiga: un po' come scegliere volontariamente di circondarsi di mediocri, così da spiccare in eccellenza), oltre ad averli portati nelle case di praticamente tutti gli italiani.

Tutti in Italia conoscono Elio e Le Storie Tese. Non solo: una percentuale altissima di persone apprezza Elio e Le Storie Tese. Fateci caso: la fissa per la band milanese coinvolge sia generazioni che livelli di cultura diversi. Pensiamo solamente agli ascolti dei nostri amici: dal più appassionato di musica all'ascoltatore casuale, tutti stimano Elio. Molti lo amano. E tutti sanno motivare la propria opinione: qualcuno semplicemente perché fanno ridere, i maestri di conservatorio perché strumentisti come gli Elii non si trovano facilmente, mio babbo perché sono uomini di spettacolo come non ne fanno più e possiamo andare avanti ad oltranza. È proprio questo il loro punto di forza: essere tutto ed il contrario di tutto, che, come scrissero loro su un vecchissimo Musica! Di Repubblica, “può essere niente oppure ottut”. HA HA HA... no.

Così, nel corso degli anni questo simpatico complesso di dotati musicisti si è trasformato di volta in volta in sagace critico dei costumi contemporanei (“La Terra dei Cachi” o “Ti Amo Campionato”), in pungenti e trasformisti giudici dei propri colleghi (l'imitazione di Morgan), in portatori di condivisibili e ironiche critiche al mondo musicale italiano (“La Canzone del Primo Maggio”) riuscendo nel frattempo a essere protagonisti o anche semplicemente partecipare a tutte quelle situazioni, di tutte quegli imbarazzanti palcoscenici criticati e dissacrati. Viene dunque naturale una domanda, dato che l'accusa di scarsa intelligenza non convince e che molte delle posizioni sostenute negli erano pure legittime e giuste: gli Elii sono semplicemente in malafede (cosa comunissima nello spettacolo italiano), o un'arma di distrazione di massa?

Non è detto che esista una sola risposta: ad un episodio virtuoso come quello di “Parco Sempione”, singolo del 2008 che denunciava l'amministrazione della Regione Lombardia per aver abbattuto il Bosco di Gioia a Milano senza tener conto delle rimostranze dei cittadini, si accompagnano parecchie mosse equivoche. Per cui “La Canzone del Primo Maggio” arriva dopo anni di frequentazione del palco romano e il loro Dopofestival nel 2008 viene ricordato su Wikipedia in questi termini: “Come d'abitudine, il gruppo riuscì a profanare il luogo che li ospitava con delle prese in giro più o meno esplicite.” Insomma: sputando nel piatto dove abitualmente mangiava.

Però, a differenza di altri illustri pseudo-punk della televisione italiana (tipo Vasco strafatto da Mike Bongiorno o Pedro de L'Eredità), Le Storie Tese hanno ben altra capacità critica per poter essere considerati semplicemente scimmie ammaestrate male che saltuariamente gettano mozziconi incandescenti al pubblico o cagano in studio: nella comicità "irriverente" di Elio e soci si nasconde invece un conformismo ipocrita da buffoni di corte, sudditanza nascosta da finta impertinenza, che abbindola gli spettatori allo stesso modo in cui certi programmi Mediaset (tipo Le Iene) lo pilotano a sentirsi "indignato".

Forse l'esempio della “Canzone del Primo Maggio” è il più pertinente: che l'istituzione-concertone sia in declino e incapace al passo con i tempi, proponendo lo stesso vecchio format ammuffito, è chiaro a tutti, eppure in cinque minuti di sfottò sarcastici a un numero imprecisato di colleghi, la band milanese non s'interroga mai veramente sul problema e durante il brano non vi è alcun accenno alla propria ripetuta corresponsabilità nell'involuzione di uno dei grandi eventi mediatici italiani (argh), inevitabile se si guardano le presenze (regolari) degli Elii su quel palco. Non meno ipocrita risulta ancora, a vent'anni dalla sua uscita, “Ti Amo Campionato”: atto di accusa che ha lo stesso valore delle rimostranze dei tifosi interisti la domenica giù al Circolo ARCI del mio paese, che però non possono vantarsi di avere cofirmato l'inno nerazzurro “C'è Solo l'Inter”.

Le vette di un veltronismo culturale e morale assoluto arrivano però con le numerose visite a Sanremo. Passata l'edizione 2008 e il Dopofestival di cui abbiamo già parlato, l'anno successivo si dichiararono nuovamente disponibili, ma il conduttore e direttore artistico del Festival, Paolo Bonolis, rifiutò la proposta ed il gruppo si vendicò, "simpaticamente" come al solito, a Parla con Me, suonando finte anteprime di alcuni brani in gara. Va ricordato anche che nel 2013 si sono aggiudicati il "Premio della Critica Mia Martini" con quella che può essere considerata una vera presa per il culo all'ascoltatore, naturalmente addolcita con le solite mascherate e col virtuosismo strumentale. “La Canzone Mononota” è infatti un insulto alle capacità intellettuali dello spettatore medio di Sanremo: anziché veramente dissacratorio, finisce per essere l'ennesimo cocktail di senso di superiorità e pacche sulle spalle, e fa ancora una volta un servizio allo status quo. Che poi è lo stesso che serve per farsi difensori della "buona musica" e allo stesso tempo essere giudice di X-Factor. Senza infatti la mediocrità che tanto sfottono, Elio e le Storie Tese non ce la farebbero assolutamente a passare per geni e polemisti. Ne hanno un bisogno disperato.

Ma la storia sanremese degli Elii non è completa senza “La Terra dei Cachi”, il loro inaspettato secondo posto, fatto di paciosa "denuncia sociale" dei "tipici comportamenti italiani", realizzata però con una leggerezza una goliardia che, per dirla con Dude Lebowski, rende sempre tutto grottesco. Vent'anni dopo sono ancora lì, a dividersi tra la gara vera e propria e la stanza degli autori (dove siede stabilmente Rocco Tanica). Forse parlare di “conflitto d'interessi” è eccessivo, ma il gruppo non perde un'occasione per dimostrarsi ambiguo e contraddittorio.

È lo stesso atteggiamento che tengono quando fanno critica ai costumi contemporanei, o anche nei ripetuti endorsement a sinistra: se del salotto radical-chic della Dandini si è già detto (tormentoni sul bunga-bunga, ripicche sanremesi, etc etc..), nel 2010 gli EELST hanno partecipato alla serata organizzata da Michele Santoro Raiperunanotte contro il bavaglio di Berlusconi, dimenticando che per lui avevano lavorato più e più volte, da Mai Dire Gol a Night Express senza dimenticare il film Tutti Gli Uomini del Deficiente, prodotto ovviamente da Medusa. Pecunia non olet, per nessuno, ma non venite poi a fare la morale.


Forse il cerchiobottismo è un tratto tipico di questo paese. Forse sono soltanto la versione comica e prog del famoso “moriremo democristiani”, del “vi meritate Sordi” di Moretti al bar. Di un mondo in cui l'incoerenza è valore e la politica si fa un po' su Striscia La Notizia un po' su Annozero. Sempre nel “Manifesto del Rock Demenziale” Freak Antoni sosteneva che “è ora di finirla con la musica fatta solo da chi sa suonare, è ora di suonare senza sapere suonare, continuando a suonare senza per carità imparare a suonare", non solo: ancora nel 2006, a pochi anni dalla morte, andava scrivendo “Il demenziale non è neanche una specie di nuova moda da salotto e, per scelta, si tiene estraneo all'intellettualismo della raffinata arte kitsch”. Principi che vengono completamente traditi da Le Storie Tese. Non è mai giusto fare paragoni tra artisti, ma nella parabola degli Skiantos, nel loro scemo e distruttivo antagonismo a tutto, c'è anche l'antidoto all'ambiguità degli Elii: la possibilità che la demenza non sia solo roba da giullari.

Come un ingegnere petrolifero ha inventato l'Auto-Tune e cambiato la musica per sempre

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"Believe" di Cher, uscita nel 1998, fu la prima canzone in assoluto a fare uso esplicito dell'Auto-Tune, portandone le capacità di manipolazione della voce verso un incredibile successo commerciale. Ok, non era la prima volta che la voce di una cantante veniva modificata elettronicamente, la novità stava semmai nel modo in cui si spostava saltando di nota in nota. Da quel momento in poi, il nome de tool sviluppato da Antares Audio Technology è diventato sinonimo di correzione del pitch quanto Scottex lo è per la carta assorbente e le Polo lo sono per... be', per le polo. Per molti è diventato il simbolo di quanto la musica per le masse sia schifosa e preconfezionata. Ciononostante, continua a essere usato nei generi più disparati (che vi piacciano o no). James Blake è riuscito a tirarne fuori il carattere più emotivo e caldo, mentre Aphex Twin ha puntato sui suoi aspetti più inumani e disturbanti. 

In realtà, non avremmo mai dovuto ascoltarlo nella sua forma attuale, si tratta di un trick che è sfuggito di mano ai suoi creatori. Era stato infatti progettato per operare correzioni all'intonazione dei cantanti, perfezionando il risultato senza che l'ascoltatore fosse in grado di accorgersene. Solo che basta alzare il controllo "discretize" per portare la voce a saltare da un valore di pitch all'altro anziché scorrere organicamente, generando la voce robotica resa famosa da Cher prima e da gente come Future poi. Strumenti con cui ripulire il canto esistono da quando esiste la musica registrata, a rendere unico l'Auto-Tune è il modo in cui processa segnali digitali tramite una serie di algoritmi. Il suo creatore, il Dr. Andy Hildebrand, ha iniziato a sperimentare con queste sequenze quando studiava ingegneria elettronica alla University of Illinois di Chicago, prima di finire— dal 1976 and 1989—a lavorare per la Exxon. 

Nel 1990 ha deciso di tornare al suo primo amore: la musica (in gioventù era anche stato flautista professionista) e ha fondato Jupiter Systems, che poco dopo si è trasformata in  Antares Audio Technology. Vi sorprenderà sapere che non si tratta di un businessman informatico con l'attico a New York, anzi, il Dr. Hildebrand vive nella piccola cittadina di Felton, California e preferisce di gran lunga Mozart a T-Pain.

 

Noisey: Mi sembra che siano ancora in molti ad odiare l'Auto-Tune. Pensi mai di avere creato un mostro?

Andy Hildebrand: Hahahaha, ho creato qualcosa che la gente ama odiare, questo è sicuro. Ma  è la stessa gente che odia un sacco di cose, tipo pagare le tasse e roba simile. Dai, "haters gonna hate".

Ho sentito dire che l' Auto-Tune è in realtà nato dal tuo lavoro di ingegneria geofisica, che serviva a individuare i giacimenti di petrolio attraverso la propagazione delle onde sonore generate da un'esplosione di dinamite..
Hahahaha, be', è perfettamente falso.

Ah, davvero?
Ho studiato alla University of Illinois, dove ho ottenuto un PhD in ingegneria elettronica con una tesi sulla teoria dei segnali. Da lì sono andato a lavorare alla Exxon, per poi aprire la mia azienda Landmark Graphics, sempre nel campo delle esplorazioni petrolifere, per applicare la teoria dei segnali ai rilevamenti sismici. Per cui sì, ho sempre lavorato col processing di segnali digitali, e l'ho applicato sia alla geofisica che alla musica. Ma le due cose si sono sovrapposte solo per un brevissimo periodo di tempo.

Quando hai capito che quel metodo si poteva usare per correggere il pitch di un cantante?
Intorno al 1995. Ero ad una fiera con un paio di miei soci e un distributore dei nostri prodotti. C'era anche sua moglie, e parlavamo di che prodotti ci sarebbe piaciuto sviluppare in futuro. Al che sua moglie disse: "Be', Andy, perché non fai una macchina che mi renda intonata?", al che mi sono guardato attorno e tutti guardavano i loro piatti, senza dire nulla. Ho pensato "che idea del cavolo", ma almeno otto emsi dopo ci sono tornato su mentre lavoravo a un altro progetto. Ho pensato "In realtà è una roba abbastanza semplice. Lo farò." Un anno dopo, alla stessa fiera, i producer me lo strappavano letteralmente dalle mani.

TI ha mai dato fastidio che i producer siano finiti a usare più frequentemente il suono  "discretizzato" invece dell'uso che tu avevi previsto?
Be', inizialmente ero più che altro sorpreso, haha. Quando ho sentito la prima volta la canzone di Cher ho pensato "Ma l'ha fatto davvero?"

Ricordo di averlo pensato anche io.
Pesare che per poco non toglievo quell'opzione dal software, ma poi mi sono detto che non avrebbe fatto male a nessuno. Si vede che doveva andare così.

Secondo te dove finisce l'uso artistico dell'Auto-Tune e dove comincia quello che "svilisce" la musica, come sostiene qualcuno?
Credo sia soggettivo. Se chiedi a dieci persone ti daranno risposte differenti, e alla fine non ha importanza. Per essere davvero convinto devi essere come religioso, e io non lo sono, per quanto abbia una dedizione particolare verso le cose che mi spinge spesso a delle prese di posizione. Non sto cercando di screditare la religione, solo che devi essere davvero dentro una cosa per non accettare niente di diverso. Nella storia della musica occidentale c'è sempre stata innovazione in fatto di produzione, registrazione e trasmissione. Non credo che l'Auto-Tune sia separato da tutto ciò, forse c'era gente che si arrabbiò anche quando fu inventato lo stereo. Non mi importa davvero, è roba nuova e a qualcuno piacciono le novità mentre ad altri no.

Sono passati quasi vent'anni da "Believe" e l'Auto-Tune è ancora molto in voga. Secondo te come mai?
Rende inumana la voce umana. Credo che sulle prime sia una sorpresa per tutti. Fa suonare una voce umana come un synth, ma non la rende incoerente con il pezzo.

Pensi ci sia qualche artista che però l'ha davvero usato in maniera esagerata?
Penso che in generale se ne sia un po' abusato. Non voglio fare nomi, ma credo che oramai sia noto a tutti che quando senti una voce discretizzata è l'Auto-Tune. Ciò che non sanno è che ci sono un milione di altre canzoni che fanno uso di Auto-Tune in maniera non riconoscibile, che è la sua funzione originale. Ma io ho solo costruito la macchina, non è colpa mia se poi la gente la guida contromano.

 


Cowboy Bebop: l'anime con la musica più figa di sempre

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Immagine da Cowboy Bebop

Cowboy Bebop. Pronunciare queste due parole di fronte ai fan degli anime produce, il più delle volte, risposte entusiaste. Dalla fine della serie, nel 1996, Cowboy Bebop è assurto allo stato di culto, anche perché aveva aperto nuove vie agli anime, distanziandosi dalla tradizione giapponese e avvicinandosi all'estetica occidentale e a realtà futuristiche che non sembrano nemmeno così inverosimili. 

I ventisei episodi di questo piccolo gioiellino mescolano elementi di film noir, indipendenti, d'azione, pulp, science fiction e molto altro. La trama ruota attorno ad un gruppo di cacciatori di taglie che lottano per catturare manigoldi d'ogni sorta, dai furfantelli ai criminali più incalliti—ma pian piano traspare il vero senso della serie: raccontare la difficoltà di queste persone (e del loro corgi) nello scendere a patti col proprio passato, e nell'evitare che questo influisca negativamente sul presente e, soprattutto, sul futuro. Questo sottotesto esistenzialista è ciò che rende Cowboy Bebop una sorta di trattato sulla solitudine, certo, sempre contornato da scene d'azione, prospettive dettagliate di realtà interstellari evolute e scene in cui i cup noodle sembrano il cibo più succulento sulla faccia della Terra. 

Un altro degli aspetti interessanti di Cowboy Bebop, per quanto spesso snobbato, è la sua colonna sonora. Arrivi a guardare quest'anime per la sua narrazione frenetica e complessa, ma quello che ti tiene incollato allo schermo sono le sue mega hit: tracce che vanno dal bossa nova all'heavy metal, dal jazz al blues al J-pop. La collezione musicale che fa da tappeto allo show è studiata per aderirvi alla perfezione. La lotta tra l'anti-eroe Spike Spiegel e il trafficante Asimov Solensan non avrebbe lo stesso senso, ad esempio, se non si giocasse sulle note di "Rush". E poi, ovviamente, c'è il tema portante della serie: "Tank", una traccia jazz il cui peso è praticamente equivalente a quello dello show stesso.

Dietro alla colonna sonora di Cowboy Bebop c'è Yoko Kanno, compositrice e musicista conosciuta per il suo lavoro con l'anime del 1994 Macross Plus. La sua combinazione di elementi breakbeat, orchestrali, techno e tribal dimostra l'abilità di Kanno nel giocare coi generi mescolandoli in maniere bizzarre che però, per assurdo, formano un insieme coerente e solido. Altre colonne sonore curate da lei sono quelle di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex, The Vision of Escaflowne, e Wolf’s Rain, e questo suo lavoro si affianca a quello di producer (ha lavorato con la cantautrice e attrice giapponese Maaya Sakamoto). Comunque, Cowboy Bebop resta un mondo a se stante. 

Il sound che accompagna Cowboy Bebop è nato alcuni anni prima che nascesse la serie stessa. "I semi da cui è nata la colonna sonora sono stati piantati quando, a scuola, ero membro di una banda di fiati," racconta Kanno in un'intervista rilasciata alla Red Bull Music Academy nel 2014. "Non so come funzioni oggi, ma ai miei tempi ai ragazzini si insegna a suonare pezzi tutt'altro che fighi, il che mi ha portato a volerne fare di miei. Una parte di me, però, rimaneva frustrata dal fatto che non capivo perché nessun altro sembrava particolarmente disturbato dalla bruttezza di quei pezzi che ci costringevano a suonare. Personalmente, volevo suonare roba che mi muovesse dal profondo dell'anima, che mi facesse ribollire il sangue, che mi facesse volar via il cervello."

Dopo che qualcuno della Victor Entertainment fece il suo nome, Kanno unì le forze con il regista di Cowboy Bebop Shinichiro Watanabe per sonorizzare la serie. Watanabe creò i primi elementi della serie seguendo anche le indicazioni sonore di Kanno, e continuò a procedere in questo modo per il resto della lavorazione. "Ascoltavo le musiche che creava per Cowboy Bebop, prendevo ispirazione da lì per creare nuove scene," racconta Watanabe in un'intervista con Toon Zone nel 2013. "E allo stesso modo lei si lasciava ispirare da queste nuove scene e si faceva venire altre idee per la musica, che mi portava poco dopo. Era come un gioco continuo a rincorrersi tra me e lei, e in questo modo abbiamo sviluppato all'unisono ciò che poi è diventato Cowboy Bebop.”

Le musiche per Cowboy Bebop sono firmate da Yoko Kanno and The Seatbelts, il gruppo che Kanno ha scritturato per l'occasione, in cui musicisti giapponesi, statunitensi e francesi suonano ballate, bossa nova, country, musica elettronica, funk, hard rock, hip-hop, jazz, samba e di altri generi. Nonostante questo super gruppo sia prettamente strumentale, ci sono anche incursioni canore di Mai Yamane, Soichiro Otsuka, Steve Conte e Gabriela Robin (pseudonimo della stessa Kanno).

Come leader dei Seatbelts, Kanno crea panorami sonori molto variegati per l'altrettanto variegato universo di Cowboy Bebop. Praticamente ogni scena è accompagnata da una traccia diversa, il che crea un mood differente per ogni momento. Che si tratti di una chitarrona acustica a commento di Spike che tenta di prendere sonno dopo una dura giornata, o di una strisciata solenne di sassofono in sottofondo a una scena in un bar, la musica ti fa sentire presente in quell'istante e sottolinea il tema portante: una solitudine esistenzialista che fa da collante a tutta la serie.

Tradizionalmente, per gli anime, la musica è l'ultimo elemento cui si pone attenzione. La colonna sonora di queste serie di solito non è molto più che un elemento di sottofondo, cui si aggiungono tracce J-pop per i titoli di testa e di coda. Anche una serie come Angel Beats, in cui la musica giocava un ruolo essenziale (tanto che c'era una band immaginaria chiamata Girls Dead Monster che suonava lungo tutto lo show), soccombeva ai suoni J-pop e rock come gli altri anime. La sonorizzazione di Cowboy Bebop prende le distanze da questa tradizione e diventa realmente una cosa a sé, anche perché la sua relazione con il cartone è calzante anche se di carattere improvvisato: anche qui si riflette la continua rincorsa tra immagini e suoni, come se combattessero tra loro a chi vince per primo la nostra attenzione. 

Ancora più importante è il fatto che le tracce contribuiscono a rendere ancora più figo, nell'insieme, Cowboy Bebop. Lo stile inconfondibile e deciso di Cowboy Bebop è tale non solo per l'attitudine che emerge dalla struttura e dallo stile della trama, ma anche per via della colonna sonora. Kanno ha un'attenzione per i dettagli paragonabile alla maniacalità di Kanye West, la sua visione è ambiziosa e sfaccettata, tanto che forse nessun altro si sarebbe dotato di un super-gruppo così versatile per completare l'opera. Questo si riflette anche sulla naturalità con cui si passa da un genere all'altro: traspare il rispetto per ogni tipo di musica che i membri dei Seatbelts tengono sempre in primo piano mentre suonano le musiche di Kano. La playlist che ne risulta è qualcosa che sembra uscita da un iPod shuffle, ma che in qualche modo, nella sua casualità, è sempre puntuale e calzante. Il groove upbeat di “Mushroom Samba” accompagna l'inseguimento tra Ed e un criminale in possesso di funghetti allucinogeni, la malinconica “Call Me Call Me” è il commento al ricordo del passato di Faye, e, chiaramente, l'attitudine strafottente di “The Real Folk Blues” commenta la lotta di Spike con la gang di Vicious. Traccia dopo traccia, scena dopo scena, non troviamo mai un accoppiamento immagini-suono che possa sembrare fuori luogo.

Insomma, la colonna sonora di Cowboy Bebop è proprio come lo show che accompagna: innovativa, ricca e senza tempo. Tutte le tracce che animano la serie si possono trovare su YouTube (certo, per i più seri esistono diversi cofanetti e album che oggi si trovano su eBay). Il tocco di Kanno è inconfondibile, tipo quello di DJ Mustard, tanto che riconosci al primo ascolto se c'è il suo zampino nel sound di qualche anime. Kanno è la regina del suono degli anime, e lo è perché sa bilanciare sonorità di provenienza ed effetto talmente diversi tra loro riuscendo comunque a fornire un quadro generale stranamente omogeneo. Il suo lavoro su Cowboy Bebop lo attesta alla perfezione. È impossibile immaginarci come sarebbe stata questa serie senza le sue musiche, ad esempio senza “Tank.” Impossibile. Sarebbe come immaginarsi Le Iene di Tarantino senza “Stuck In The Middle With You,” Garden State senza “Such Great Heights,” o Spring Breakers senza “Scary Monsters and Nice Sprites.” E questo perché trama e musica, nel caso di Cowboy Bebop, procedono tenendosi per mano, e se c'è qualcosa da imparare dal meraviglioso rapporto creativo che Kanno e Watanabe hanno instaurato, è che non bisogna sottovalutare il potere della musica, l'effetto che ha sullo sviluppo di una storia. Kanno e i suoi Seatbelts hanno conferito alla serie quell'elemento in più che le è servito per diventare non solo un anime di culto, ma una delle migliori serie a cartoni animati di tutti tempi. 
 

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Il profilo instagram di Michael Stipe ha qualcosa di inquietante

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Si può intendere un profilo Instagram come una sorta di coperta patchwork, con la differenza che a tenerla insieme non è un filo, ma il proprio ego. Brunch, vacanze, la tua faccia filtrata, sovraesposta e rifiltrata che si sovrappone ad altre espressioni della tua faccia (sempre prese dall'alto, come spiegano gli esperti) è lì che aspetta solo che qualche sconosciuto metta un cuoricino. Alcuni di noi rifuggono questa moderna forma di autocompiacimento che passa attraverso il double-tap dei nostri seguaci, in particolare chi si sente un po' troppo bruttino o insicuro per utilizzare il proprio volto come leitmotiv di una narrazione individuale. E se poi la nostra faccia non piace a nessuno? Avere una faccia senza cuoricini, nel 2016, è come non avere una faccia. Non ha senso di esistere, quantomeno online.

Michael Stipe non si pone di questi problemi. Anzi, potrei scommettere che Michael Stipe non ci pensi due volte prima di buttare selfie di ogni sorta sul proprio Instagram. Michael Stipe è uno a cui piace vivere il momento e godersi i suoi pomeriggi in piscina. Come faccio a saperlo? Be', perché un fortunato algoritmo mi ha consigliato di seguirlo su Instagram, e così ho fatto. E direi che ho fatto proprio bene.
 

 

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All'inizio dell'anno, l'ex frontman degli R.E.M. ha riattivato il suo account, dopo averlo chiuso, stizzito, nel 2013, alla notizia che Facebook aveva acquistato Instagram. Le immagini che postava prima erano banalotte (oggetti, fiori, alberi) non c'era niente di lontanamente interessante—a quanto pare Michael Stipe riservava le chicche a interviste come quella al Guardian di un paio di anni prima. Ma da quando Michael Stipe ha deciso di ricominciare a fare il social, cancellando tutte le sue vecchie foto, sembra che il ragazzo sia rinato, e insieme a lui è rinato il desiderio di sembrare un senzatetto matto che pare aver capito solo ieri l'innegabile potenza del selfie. Avete presente la ragazza che ha utilizzato il proprio Instagram per un progetto artistico di meta-narrazione 2.0? Ecco, pare che Michael Stipe stia facendo qualcosa di simile, dato che è evidente che stia cercando di diventare un emoji umano, con il suo faccione a rappresentare ogni tipologia di sentimento che un essere senziente è in grado di provare. Ad esempio, il giorno della morte di David Bowie, le reazioni dell'emoji-Stipe (espresse in tre selfie postati uno in fila all'altro) sono state uno specchio fedele di quello che la maggior parte di noi stava provando in quella triste circostanza.
 

 

David Bowie.

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BOWIE

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BOWIE GO GO GO GO GO

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Ma la cosa più affascinante del profilo Instagram di Michael Stipe è il fatto che possiamo riscontrare in tempo reale l'evoluzione del suo esperimento artistico. Ogni emozione è immediatamente catturata dalla camera frontale del suo smartphone. Possiamo toccare con mano l'emozione che prova di fronte ai tappi di bottiglia. Anche mio nonno una volta aveva iniziato a collezionare forsennatamente tappi di bottiglia che intendeva usare per un mosaico. Alla fine però mollò il colpo. Se però nonno avesse creato quel mosaico, sicuramente nel mio sguardo ci sarebbe stata la stessa fierezza che ritrovo negli occhi del selfomane Michael Stipe. 

 

 

This crazy beautiful bottle cap #folkart truck in the sun!! #outsiderart

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Il suo aspetto, sempre più simile a quello di Allen Ginsberg, assume ogni giorno una diversa sfumatura di inquietudine, mentre le sue espressioni lo fanno somigliare una volta a Derek Zoolander, un'altra ad un eroe punk, e un'altra ancora a un critico d'arte di New York. Ogni tanto, poi, la presenza costante del suo faccione è affiancata da altre faccione, come in episodi speciali di una serie: le guest star sono gente come Patti Smith, Tilda Swinton o Wes Anderson.
 

 

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Mi piace pensare che Michael Stipe si sia riavvicinato a Instagram perché questo mezzo gli permette di produrre arte senza per forza dover contornare l'opera con una spiegazione testuale: in questo senso risulta un medium in grado di trasmettere la pura assurdità visiva. E il nostro artista digitale si sta riprendendo in mano la propria vita e, grazie a Instagram, sta riscoprendo se stesso, la sua faccia, la sua emozione individuale, dopo una vita con gli R.E.M.
 

 

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Come con questo ometto qui sotto. Spero che sia stato lo stesso Michael a metterlo insieme, forse con quei guantini che permettono di scrivere sullo smartphone. Sono incredibili per quelli che, come lui, non possono smettere di essere multitasking nemmeno sotto una tempesta di neve. Spero che comunque tu ti prenda cura delle tue manine, Michael. So che in molti amano soffrire per la propria arte, ma ti chiedo in ginocchio di metterti quei guantini. Pensare che ti stai prendendo tutto quel freddo solo per farti un altro selfie mi fa scendere una lacrimuccia di commozione e orgoglio.

 

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Sono più o meno otto settimane che seguo il suo profilo, e mentre sto scrivendo la sua storia conta all'incirca 87 post. Spero che questa operazione si riveli in tutta la sua grandezza quando Michael concederà al mondo la chiave del suo flusso di coscienza autoscattoso. Credo davvero che potrebbe rivelarsi un'opera magistrale. Una ruminazione visiva riguardo alla vita, alle giornate, alla felicità di essere un uomo di mezza età che ancora se la gode come un bimbo. Se dovessi dire quanti sono gli album degli R.E.M. direi che sono sedici, perché l'Instagram di Michael Stipe ha la stessa dignità artistica di un disco. Vi lascio con le sagge parole di Michael nel video qui sotto: "È il mio compleanno. Sono fantastico. Guardate che bellissimo fuoco."
 

 
 

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Il nuovo video di Nicola Ratti è pieno di palline

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Nicola Ratti, milanese, musicista, sperimentatore, curatore dello spazio Standards e membro con Giuseppe Ielasi del duo Bellows, sta per pubblicare un nuovo disco in solitaria sulla inglese Where To Now?. Si intitola Pressure Loss e rappresenta un modo per lui abbastanza nuovo di lavorare, dato che ha messo da parte l'edit di improvvisazioni e lo spontaneismo intuitivo per un approccio molto più architettonico. Le sue nuove tracce si reggono infatti su costruzioni iper-minimali al limite della scansione techno, tra i primi esperimenti di Mika Vainio a nome Ø e i momenti più oltranzisti del capolavoro Consumed di Plastikman.

L'album è uscito lo scorso venerdì 26 febbraio, mentre oggi è stato pubblicato dalla label il video di "W10", pezzo centrale dell'album, che lo completa con una scelta di visual altrettanto minimali, un po'  e un po' una versione tridimensionale del suprematismo elettronico evocato da ritmiche così ridotte. Un gioco su poche forme e su movimenti impossibili di queste, realizzato dal franco-canadese Simon Chioini. Se volete chiamarle "palline" fate pure, ma non lo sono assolutemente.

Questo ragazzo è convinto che Fabri Fibra lo perseguiti

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Nonostante io goda del privilegio di poter dire ai miei parenti che per pagare le bollette posto le cose su Facebook e Twitter, i miei social network personali sono orribili: prendo pochissimi mi piace e non mi scrive mai nessuno. Ogni tanto ci sono delle piccole eccezioni ed è così che ho conosciuto Valentino Rossi (pseudonimo di fantasia, che però conserva le iniziali originali della persona la cui identità rimarrà nascosta), con un messaggio su Twitter.

Mi ha scritto per dirmi che Fabri Fibra lo perseguitava, in un certo senso, e che: "Per capire meglio il mio ragionamento devi metterti nell'ottica di idee che a Fibra interessavo solo io...non gli interessava vendere il disco, gli interessavo soltanto io...capisco che ti sembrerà megalomane come cosa, ma questo è quello che penso".

Per capire un po' meglio quello che voleva raccontarmi ho deciso di parlarci di persona, e indagare sulla sua strana storia che, probabilmente, farete fatica a credere vera.

Noisey: Ciao Valentino Rossi, ti dico la verità: non ho capito bene la tua storia. Vuoi spiegarmela dal principio?
Valentino Rossi: Sì, ma è importante che io resti anonimo, perché non mi interessa la pubblicità.

Certo, ci inventiamo uno pseudonimo. Allora, partiamo dall'inizio.
È successo che circa un anno fa ho smesso di ascoltare Fabri Fibra. Gli ho persino tolto il Mi Piace dalla pagina Facebook, dopo il dissing con Vacca, ma qualche giorno prima che uscisse Squallor.

Come mai? Eri un fan di Vacca?
No, figurati, ho solo deciso che non volevo più ascoltarlo e gli ho solo tolto il Mi Piace da Facebook. Pochi giorni dopo averlo fatto un mio amico mi ha annunciato che era uscito Squallor, ma lì per lì non l'ho ascoltato, perché ero ancora molto preso da Il Bello Di Esser Brutti di J-Ax, che mi coinvolgeva molto di più. Quindi non l'ho scaricato in quel momento... Dopo un po' ho persino cambiato numero per colpa di Fibra.

Hai dovuto cambiare numero?
Sì, e ho anche distrutto un iPhone, però aspetta andiamo per ordine, sto correndo troppo.

Va bene.
A un certo punto un mio amico, fan di Fibra, si scarica Squallor. Io in quel momento dovevo partire per la Polonia per un Erasmus e quando ho sentito "Il Rap Nel Mio Paese" mi sono convito di dare anch'io una chance al disco e ascoltarlo.

Ok, e ti è piaciuto?
Ho pensato che fosse l'album più bello di tutti i tempi. Era diretto, chiaro e capivo tutte le cose che Fibra voleva dire e rivedevo nell'album alcuni messaggi e alcuni discussioni che avevo avuto io con altre persone. Mi sembrava che quel disco fosse fatto su misura per me.

E poi che è successo?
Un giorno Fibra pubblica un post su Facebook dedicato a Vasco Rossi, non so se l'hai visto, ma quel post era un messaggio in codice rivolto verso di me. Questa ovviamente è una mia supposizione, ma sul momento ero assolutamente convinto che quel messaggio stesse parlando di me, perché nel frattempo si era verificata un'altra coincidenza: era uscita la canzone "CoCo Freestyle" di MadMan e Vincenzo Da Via Anfossi. E anche quella era una canzone dedicata a me, con molti versi che si riferivano proprio a me.

Ah, e come hai fatto a capirlo?
Non è facile perché ovviamente sono tutte cose fatte con cognizione di causa, da persone che non si fanno sgamare dicendo nome e cognome.

Una delle canzoni in cui si può sentire la risata malvagia di Fabri Fibra.

E cosa c'entra Fabri Fibra?
Ma come non l'hai sentita la canzone nella canzone di MadMan e Vincenzo Da Via Anfossi? C'è la risata di Fabri Fibra all'inizio della canzone. Tra l'altro penso che costi pure tanto rappare su quella canzone, perché è molto famosa, quindi non penso la risata ci sia senza motivo.

Scusami se ti fermo un attimo, ma stavo cercando il messaggio di Fabri Fibra a Vasco Rossi, è quello con il video dell'intervista di Vasco, giusto?
Sì, nel messaggio c'è scritto che Fibra ha seguito Vasco tramite la sua biografia sul Fatto Quotidiano, e secondo me... Per come la vedevo io in quel momento significava che lui mi seguiva su Facebook.

Ok, ok. Però non riesco a capire.
Quel messaggio era riferito anche a me, perché le stesse parole si potevano leggere sia in ottica Vasco che in ottica Valentino, abbiamo le stesse iniziali Vasco Rossi e io. E comunque è anche uno dei miei cantanti preferiti.

Quindi dici che magari era per quello.
Sì. Comunque, dopo un po' dalla Polonia ritorno a casa a Milano, pure se io abito a Catania, come si sente anche nella canzone, e vado a letto appena arrivo. La mattina dopo accendo il computer e metto la musica, metto Squallor e alla fine del disco sento la risata cattiva di Fibra che fa ha-ha-ha. In quel momento mi spavento un pochino e lo cancello.

 

Grazie Vasco per aver colto in pieno lo spirito di questo pezzo.Dopo anni di dischi in major, pressato delle...

Pubblicato da Fabri Fibra su Giovedì 16 aprile 2015

 

Hai cancellato i file del disco? L'avevi acquistato o era scaricato illegalmente?
Mi sono dimenticato un passaggio fondamentale! Quando ho scaricato il disco la prima volta uno dei messaggi che mi mandava era pagami, anche nella canzone con MadMan all'interno del disco. La prima cosa che ho fatto appena tornato in Italia è stata acquistare il disco originale su iTunes e lui alla fine mi ha fatto quella risata cattiva, che è il motivo per cui l'ho cancellato.

Ah, ecco.
Insomma lo cancello e metto su una canzone di MadMan e Gemitaiz, e anche lì spunta la risata di Fabri Fibra. Allora tolgo anche quella e ne metto una dei Coldplay... E di nuovo ancora parte la risata di Fabri Fibra!

È incredibile, alla fine della canzone dei Coldplay? Ma quale canzone era?
Aspetta che la cerco... Era "A Sky Full Of Stars". Io in quel momento mi sono convinto che ormai tutti sapessero che la canzone era dedicata a me e che si fossero coalizzati, per cui ho preso il computer e l'ho spaccato. A quel punto mi è suonato il telefono e c'era un numero che non conoscevo, per cui ho distrutto pure l'iPhone. Ero spaventatissimo in quel momento. Mi sono cancellato da Facebook e da Twitter.

A quel punto sono scappato da Milano, perché dovevo andare a trovare un mio amico a Roma e ho pensato di denunciare Fabri Fibra, ma ai Carabinieri non è sembrata una buona idea. Non mi hanno dato retta.

Adesso come stai, ci sono stati altri episodi spiacevoli o le cose vanno meglio?
Ho dovuto prendere qualche pillola e adesso sono riuscito a passarci sopra, ma i fatti sono questi e sono innegabili.

Non hai mai pensato di esserti sbagliato su questo teoria?
No, ne sono sicuro al 100% anche perché ho sentito la nuova canzone di Fabri Fibra e Clementino, "Boom", in cui Fibra dice proprio:
metriche suicida
arrivo su in cima
e mi lancio sulla cittá
flow micidial
risata malvagia HA-HA-HA-HA-HA-HA-HA!

L'importante è che non ti fai condizionare troppo da Fabri Fibra.
I primi mesi sono stati brutti, soprattutto per la grande occasione che avevo buttato non capendo subito che Fibra si riferiva a me. Adesso ho messo tutto alle spalle e non mi interessa più, ogni tanto gli scrivo qualche cazzata su Twitter, ma come passatempo. Non ci sono più legato come all'inizio.

Che storia incredibile, strana.
Molto strana, però io l'ho vissuta e alla fine avere Fibra che ti dedica un album è un'esperienza che mi porterò dietro per tutta la vita.

 

Forse abbiamo tra le mani un nuovo pezzo di Frank Ocean

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Frank Ocean lo scorso aprile ha pubblicato questa foto sul suo Tumblr, una foto che sembrava mostrare immagini in anteprima dal suo nuovo attesissimo album. Nel momento in cui Internet si è accorto di questa possibile anticipazione, tutti sono andati in fibrillazione. "I got two versions. I got twoooo versions #ISSUE1 #ALBUM3 #JULY2015 #BOYSDONTCRY", scriveva, riferendosi alla possibilità che il seguito del suo meraviglioso debut Channel Orange potesse uscire quell'estate. E poi niente. Il tempo passa, crescono le foglioline e i fiori sugli alberi, fanno in tempo ad appassire e ad essere nuovamente ricoperti di ghiaccio, e i nostri cuori in attesa si frantumano lentamente e inesorabilmente, mentre il tempo passa senza che noi poveri cristi abbiamo più notizie dal nostro Ocean.

Non contento, Frank ha pure cancellato la sua unica apparizione a un festival di quest'anno, ha girato un po' con James Blake fino a cancellare pure lo show che doveva fare con lui a Londra, e in quel momento tutti quanti abbiamo pensato ci fosse qualcosa di storto in tutto questo cancellare, procrastinare, nascondere la verità. Senza che il nostro ci desse altre informazioni su cui modellare il nostro sconforto, non potevamo che porre tutte le nostre energie nell'hype attorno al suo disco, che nel frattempo è cresciuto a dismisura, raggiungendo livelli febbrili di isteria nei fan più accaniti, che si bagnavano se qualcuno notava che il sito ufficiale di Ocean sembrava essere mutato leggermente. In qualche modo questa povertà di informazioni sul nuovo lavoro di Ocean è servita a provare che la fan base del musicista era effettivamente solida e assetata. 

Ma dov'è il nostro Frank? Frank? Dove cazzo stai?! Alcuni hanno pure ipotizzato che non gli importasse più nulla della musica. Altri confidavano nel fatto che non avrebbe mollato. Verso la fine dello scorso anno sono affiorati un paio di snippet di quello che sembrava il suo nuovo lavoro, in particolare è comparso qualcosa sull'account Snapchat di Hodgy Beats, membro di Odd Future. Nel frattempo si vociferava di questo fantomatico singolo intitolato "White Ferrari" che sarebbe dovuto uscire sempre a fine 2015. Ovviamente non si è mai sentito nulla, in compenso alcuni sostenevano che Frank stesse girando un video per un altro singolo chiamato "Nikes". Morale della favola: lo scorso anno è passato e si è tristemente concluso senza che Frank ci desse altre notizie. Ed eccoci arrivati ad oggi, che è il primo marzo del 2016, o, se come me avete fatto i conti in base alla presunta data d'uscita dell'album, il 244 luglio del 2015. 

L'ultima notizia è che, a quanto pare, Frank Ocean ha tenuto un "very very secret" listening party sabato scorso, in cui ha fatto ascoltare la sua nuova roba. Nel frattempo quasi tutti gli snippet apparsi qua e là sono stati rimossi dalla rete, il che ci suggerisce che effettivamente contenevano elementi del disco e a volerli rimuovere sia stata la label di Frank, Def Jam. Tuttavia, uno di questi frammenti resiste, dura tre minuti, e lo potete sentire qui sotto. Prima che schiacciate play vi diamo un ultimo avvertimento: è una registrazione di qualità molto bassa di un pezzo che è stato catturato con un iPhone. Se fate caso alla qualità dell'audio, quindi, è inutile che lo ascoltiate. Se invece, come noi, siete avidi di notizie da Frank Ocean, prego, è tutto vostro. 

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