Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

"Good To Love" è il nuovo lascivo singolo di FKA Twigs

$
0
0

È passato un po' dall'ultima volta che siamo stati benedetti con della nuova musica di FKA Twigs, ma ecco che la grazia arriva nella forma di un nuovo singolo e nuovo video, "Good To Love." Nella traccia la ragazza mostra tutte le qualità migliori di una voce serena ed elegante, in una composizione intimista che anche il video riflette, gravitando continuamente attorno al suo letto. Ci pare abbastanza per eccitarci da matti al pensiero di cosa possa avere in cantiere per il futuro.

 


Gel - Io Non Sono Buono (prod. Fuzzy)

$
0
0

Senza troppi fronzoli, Corrado Ferrarese aka Gel è di nuovo tornato e stavolta nella sua veste più vincente: quella rap. L'ultima volta che ci avevamo parlato era nel lontano 2014, e ci aveva confidato di star vivendo un momento di suggestione pop per la canzone cantata. Come però avevamo giustamente sottolineato, rimaneva il più hard. A distanza di otto anni dal suo ultimo full lenght, Il Ritorno, con intervalli più o meno melodici e collaborazioni con Fabri Fibra, sta finalmente per arrivare Io Non Sono Buono, disco che sancisce il ritorno definitivo di Gel sulla scena, di cui oggi presentiamo in esclusiva il primo estratto, nonché title track. La produzione è stata interamente affidata a Fuzzy, vera istituzione al Quadraro Basementparliamo di dischi come I Più Corrotti, Monster e Verano Zombie di Noyz Narcos e Ministero dell'Inferno—dove peraltro i due si trovavano quando li ho telefonati per saperne un attimo di più.

Credits video: Corrado Ferrarese, Antonio di Giuseppe.

Noisey: Come hai deciso di tornare a fare rap?
Gel: Avevo deciso di mollare perchè pensavo più a chi mi ascoltava che a me stesso. Poi un giorno una mia amica mi ha comunicato che Fabri Fibra aveva postato "Sangue" sulla sua pagina Facebook. Pensa te, io mi ci ero appena cancellato proprio perché nauseato da tutto. Dovevo ringraziarlo. Scrivo a Klaus Bonoldi, un editore dell'Universal che conosco, il quale aveva il suo contatto email e gli passo i miei ringraziamenti. Penso che nulla mi sia dovuto, per quello mi sono sentito nel dovere di farlo. Poco dopo mi risponde Fabri in persona, ringraziandomi a sua volta per il brano, e dicendo che a lui era piaciuto molto. Inizia un rapporto "epistolare" via email. Io mi propongo per fare un ritornello in un suo brano, lui mi propone uno skit in Squallor, un parlato su quello che volevo in quel preciso momento della mia vita. Premetto che avevo deciso di non cantare più eh... Alla fine sono andato a Milano e ho registrato "A Volte". Il brano è nato così all'improvviso e devo dire che l'autenticità si sente. So che le motivazioni dovrebbero venire dall'interno ma a volte possono anche essere prese dall'esterno, e interiorizzate a posteriori. Immagina una persona che ha un negozio, e gli si parcheggia preciso davanti alla vetrina un camion gigante. Rimane lì, non se ne va. La gente poco a poco si scorda che quel negozio è lì, e non ci entra più. Solo quando il camion si toglierà, potranno rivedere le sue vetrine. Bisogna solo capire se vorrano ancora comprarci qualcosa, in quel negozio. Non ho vent'anni purtroppo, mi sono rimesso in pista anche perchè vedo tanta mediocrità nel rap e nella musica Italiana. Quindi mi dico: "Perchè dovrei smettere?".


Foto di Paolo Cenciarelli.

Che rapporto hai con Fabri Fibra adesso?
Gel: È nata un'amicizia vera. Lo dico anche in  A Volte: Le svolte se non le prendi al volo è morte..."

Parlami del disco. Quando parlammo tempo fa dicevi che ci stavi già lavorando, ma in altre vesti, quasi più melodiche.
Fuzzy: È il neomelodico romano... [Ride]
Gel: Sì, adesso è rap ma ci terrei a precisare che non amo dare etichette. Adesso c'è la tendenza a chiedere sempre "Che musica fai?". La mia risposta è "Musica". Come la voglio vestire è solo una questione di stile, rap o cantata che sia.

Quali sono i temi prevalenti?
Gel: Il tema principale è che detesto tutti. Mi sforzo di fare il diplomatico, ma è così e basta. Ho cercato di parlare del mio vissuto personale senza però entrare troppo nell'intimo. Non mi va di spiattellare troppo di me, perché tanto so che alla gente non gliene fregherebbe niente. Ho cercato di stare a contatto con me stesso, ma di zuccherare un po' la pillola, perché poi rischio di fare un disco comprensibile solo a me e a un paio di miei amici. Questo video che sta uscendo parla un po' del vissuto, di quello che mi è capitato, soprattutto di quello che non voglio più dalla vita. Sto cercando di potare tutti i rami secchi intorno a me, e intendo anche le persone.


Foto di Paolo Cenciarelli.

Fuzzy, che mi dici della produzione? Come vi siete coordinati?
Fuzzy: All'inizio Corrado aveva velleità di canto, l'unico problema erano i fan che non accettavano questo tipo di compromesso. Il disco l'abbiamo fatto preprodurre da dei ragazzi, e intanto noi lavoravamo alle nostre idee. Abbiamo ascoltato le preproduzioni e stabilito che non erano adatte alla sua figura, visto che come ti dicevo, i fan sono molto intransigenti. Allora abbiamo pensato a un'altra forma con cui presentare le cose, magari molto cruda, ma sempre armonica, melodica e conforme alle esigenze di Corrado. C'è da dire che il percorso di Corrado è stato abbastanza chiaro, a partire dai Truceboys, passando per I Più Corrotti. Abbiamo ripreso quello stile, considerando che nell'arco di questi dieci anni non è più un ragazzino, ma un uomo in grado di fornire contenuti più maturi e validi. Credo che questo sia un disco che possa piacere molto, è stato sviluppato in un anno e sono molto ottimista. Anche per i testi c'è stata una lavorazione esemplare. Mentre arrangiavamo musicalmente i brani, Corrado tesseva già le sue liriche, e il risultato si vede. C'è spontaneità, esattamente come dieci anni fa. "Io Non Sono Buono" è il brano che abbiamo considerato più "pop", anche se il disco ha sempre una tensione molto alta. Sono dieci brani intensi, ecco.

Che influenze avete avuto?
Fuzzy: Abbiamo escluso tutte le nuove scene trap e new school per concentrarci sulla old school, con un approccio coerente al percorso di Corrado.
Gel: Esatto. Per riprendere il discorso di prima, è un disco in cui dico quello che penso, tenendo a mente anche la mia età biologica. P
ur e se è Parental Advisory è un disco che prova a lanciare dei messaggi importanti.
Fuzzy: Corrado e i Truceboys hanno cambiato il pensiero rap degli anni Duemila, portandolo verso lidi più hardcore. Lui in particolare ha sempre "osato" più degli altri in questo, vedi quando si è vestito da donna, etc. Ha sempre voluto dare una scossa in più. Il rap ha avuto già il suo apice, e adesso a meno che non trovi nuove formule vincenti, rischia di precipitare.
Gel: Sì, e poi diciamolo. Certi rapper hanno il cervello come una noce. Fanno finta di avere i soldi nei video poi ti fanno l'addebito di chiamata...

Acquista "Io Non Sono Buono" su iTunes e segui Gel, il più hard, su Facebook.

Segui Quadraro Basement su Twitter e Instagram.

Segui Sonia su Twitter.


 

 

Signore e signori, ecco a voi il primo estratto dal nuovo album di Tim Hecker

$
0
0

Tim Hecker ha annunciato l'arrivo di un nuovo album intitolato Love Streams circa un mese fa. Non che finora sia passato inosservato su label del cacchio, ma il fatto che si tratti del suo esordio su una label come 4AD è comunque un traguardo da festeggiare per il Canadese. Di nuovo: non che i suoi fan non escano completamente di testa a ogni sua nuova mossa, e ne avrebbero ben donde: finora Tim non li ha davvero mai delusi.

Se davvero Love Streams è, come annunciato, una riflessione sugli aspetti liturgici di Yeezus (sì, il disco di Kanye, avete letto bene) e sull'ubiquo nichilismo di tutto il creato, questa "Castrati Stack" è un ottimo preludio, un buon modo per pregustare la celebrazione estatica del vuoto totale che risulta dalla contrapposizione di questi due intenti. Le sue magniloquenti folate sintetiche si avvitano su melodie date da un canto femminile stile Jarboe (o stile castrato, appunto) che trapassa l'ascoltatore come una lama ghiacciata. Come se non bastasse, il video è altrettanto straniante. Guardatelo qua sotto, l'album esce l'8 aprile.

Noisey Mix: Andreas Gehm

$
0
0


Foto di Stefan Koch.

Questo bel manzo d'uomo immortalato nell'atto di riversarsi chissà quale leccornia gialla e marrone sul pacco, altri non è che String Emil. "String Emil è una specie di fotomodello tedesco che fluttua nelle migliori pagine dell'Internet da tempo immemore. A quanto pare gli arrivano anche un botto di soldi, soprattutto grazie alle gallerie a pagamento che è riuscito a tirare su. Non ho davvero idea di come si possa davvero pagare per vedere foto del genere." A spiegarmelo è il proprietario del volto egregiamente photoshoppato sul corpo del sensuale Emil, nonché eccellenza della acid teutonica e autore del live mix di quest'oggi: Andreas Gehm, noto anche con i moniker di Elec Pt. 1, The Minister, Manager 111 e Trajical Bitch. "Non faccio mix di solito, ma sarei felicissimo di prepararvi un live set." Direi che va bene lo stesso.

Stanziato a Wachtberg, nel centro-ovest della Germania, sintetizza soluzioni acidissime di house e techno di Chicago/Detroit da almeno una decina di anni, iniettandole al pubblico grazie a label come Creme Organization, Bunker, Panzerkreuz, Snuff Trax, Solar One e Mathematics.

La buona notizia è che chi sta a Milano domani ha una buona, buonissima scusa per uscire di casa e lasciarsi sciogliere definitivamente nella follia alcalina e ultravioletta di Gehm, grazie ai ragazzi di Communion ed Hencote/Henkot che l'hanno chiamato per un live set ad U.V. assieme a Leonardo Martelli e al dj set di DJ Overdose. La cattiva è che sarà davvero dura uscirne tutti interi.

Tutti i dettagli su orari e location dell'evento sono qui.

Tracklist:

1. Mind Games (as Elec Pt.1) Nation Records 
2. Shake Your Acid (as Andreas Gehm a.k.a. Elec Pt.1) Solar One Music 
3. Untitled Live Track 
4. I Just Wan’t To Be Acid (Unreleased) 
5. 3rd Dimension (as Andreas Gehm) I Love Acid 
6. Untitled Live Track 
7. Untitled Live Track 
8. Rachel (as Andreas Gehm / Elec Pt.1) Berceuse Heroique 
9. Untitled Live Track 
10. Midi09 (as Andreas Gehm / Elec Pt.1) Berceuse Heroique 
11. In My Dreams (as Andreas Gehm a.k.a. Elec Pt.1) Solar One Music 
12. In My Acid (Unreleased Live Track)’


Segui Andreas su Facebook, Souncloud e Twitter.

Segui Sonia su Twitter.

Semantica dei testi di Fabri Fibra

$
0
0



Fabrizio Tarducci aka Fabri Fibra ha bisogno di presentazioni più o meno quanto il Papa ha bisogno di una guardia svizzera ubriaca che fa entrare a sua insaputa orde di eretici omosessuali nel bagno del Vaticano per un mini-rave a tema stigmate.

Chiunque sia cresciuto ascoltando il rap italiano nella sua fase presocratica—cioè quando le classifiche, le radio, i soldi e la vita in generale erano altrove—sa di che Fibra parliamo. Lo sa anche il pubblico di oggi, che alla fine in classifica ce l'ha portato, nonostante quelle brutte storie di Fibra che va levato dallo stereo in quanto portasfiga. Insomma, la notorietà del Tarducci è solida e ventennale come un governo DC, ma la sua poliedrica instabilità, insieme alla sua attitudine verso la scrittura, che ha conosciuto più fasi della personalità di Kanye West, sono motivi abbastanza validi per intraprendere una piccola analisi semantica dei suoi testi.

Peraltro una delle lamentele generiche più diffuse sul conto del Nostro è proprio la graduale perdita di spessore dei temi: in molti notano che nel proto-Fibra i testi svolazzavano nei pressi di un'ironia isterica e depressa, mentre più tardi è capitato che si trovassero a ronzare intorno a sequenze casuali di parole non particolarmente illuminanti. C'è da dire che questa, a quanto pare, è l'accusa più gettonata in genere per esprimere nostalgia verso il "periodo d'oro" di un artista, che però molto spesso corrisponde di più a un "periodo d'oro" della propria vita personale in cui si frequentava il liceo e non la filiale locale x della Banca x ore 8.15 in cravatta allo sportello chiedendosi dove sia stato l'errore. 

La produzione di Fibra è a questo punto così massiccia e variegata, anche solo quella del periodo più recente, che è difficile continuare a giocare su questo schematismo da Nuovo e Vecchio Testamento, visto che accanto a "mi piacciono le donne le more le bionde" (ved. sopra) sono comunque uscite numerose bombette, a testimonianza che c'è ancora vita nel buio cantuccio del disagio dell'anima di Fibra. 

Lo stesso però sembra impossibile per la maggior parte delle persone superare questa divisione, quindi per verificare se si tratti di lamentele fondate o di puzzolente nostalgismo procederemo a un'analisi comparata delle due ere geologiche fondamentali di Fabri Fibra usando come spartiacque storico-politico il noto album Mr Simpatia, per esigenze di sintesi e per mio inappellabile gusto personale.

Ovviamente l’onniscienza dell’Internet ci viene incontro: esiste questo comodo strumento in grado di estrapolare le parole-chiave di testi che ho selezionato dagli album del periodo d'oro proto-Fibra cioè Sindrome di Fine Millennio, Turbe Giovanili e Mister Simpatia

Quindi diamo, letteralmente, la parola a internet:

Ragni, serpenti, scorpioni, zanzare...


Che dire di questo schema che non sia già stato detto della depressione maggiore con tendenze borderline? Come dicevamo, nella produzione più antica del Fibroga non c'è molta gioia di vivere, ma di sicuro si possono rintracciare argomenti-cardine di questa pozza di sofferenza: 


I RAPPORTI CON GLI ALTRI – LE DONNE STRONZE/INUTILI

Se cerchi su un dizionario la definizione di socievole, probabilmente accanto non troverai la foto di Fibra. Già un'indagine superficiale delle sue dichiarazioni ci fa capire che non si tratta di un personaggio particolarmente portato alla socialità ("Manca un mese a Natale e io son già preso male neanche ho più casa al mare / Sto in città a lavorare non passarmi a trovare che ti immagino già rotolare giù per le scale"). Tuttavia, se lo si lascia a casa sua e non gli si rompe il cazzo, la situazione rimane gestibile—soprattutto se messa a confronto con quello che accade quando si azzarda a uscire di casa:

"Punto la pista mentre passano Molella
Non mi serve un passaggio perché io torno in barella. 
...
Di ragazze ne vedo a decine / ciao come stai siamo due cugine / ci passano i bicchieri con le bollicine / Ci chiamano le cagne le barboncine/  dai andiamo che facciamo le storiaccine / c’è la canna che puzza più del concime / c’è la mia sborrata sulle poltroncine / rido in faccia al buttafuori ed è la fine.
Ecco perché ci sbattono fuori da questo locale."

Ed ecco perché non stupisce nessuno se lo sbattono fuori. Insomma, Tarducci non sta bene né dentro né fuori, ma quando sta fuori c'è il rischio che sia più fuori del fuori, quindi si meriti di essere sbattuto fuori. Ha senso?
Comunque sia, questo estratto di vita vera ci introduce a un altro tema molto importante: quello delle donne. Ci si lamenta molto spesso che nell’immaginario italiano le donne siano sempre sante o puttane, ma Fibra elude del tutto questo conflitto millenario evolvendo la distinzione in puttane o puttane. Tutte le titolari di una vagina che hanno attraversato la vita di Fibra si sono comportate in uno o più dei seguenti modi, talvolta contemporaneamente:

1. Gli hanno spezzato il cuore facendolo incazzare a morte:

"mi strappo un altro filtro strappando sto cartoncino degrado in paranoia come quando ascolto i TiroMancino giro in casa con in mano questo uncino ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino!"

2. L'hanno perseguitato per secoli dopo una scopata:

"Io e te non dobbiamo stare neanche esistere insieme abbiamo solo scopato io neanche ti voglio bene Puoi tagliarti le vene puoi donarmi anche un rene tocchi solo sto pene che neanche ti appartiene Io ti strapperei gli occhi mi smetterai di fissare chiudi sta cazzo di bocca che neanche sai ingoiare"

3. Gli hanno vietato di assumere droghe e di vestirsi / frequentare persone a proprio piacimento (e dopo sto sbatti nemmeno si sono degnate di riconoscere ufficialmente la loro relazione). 

e quante parole che a casa mia non ci si dice 
io non voglio fare la fine dei miei troppo infelice
 e quindi io mi impegno 
cazzo mi autoconsegno Chiedendo il tuo sostegno mi vesto come vuoi anche se poi mi sento un legno Cercando di esser degno di stare con il tuo gruppo gente priva di ingegno Il tuo ex non ha contegno e ti chiama il giorno dopo non vuole accettare che sono io ora che ora ti scopo e la cosa più triste è che tu non glielo dici mentre ascolti le cazzate Di quei falsi dei tuoi amici.


4. L'hanno mollato, salvo poi farlo pedinare da dei parenti.

la mia ragazza quando mi ha lasciato ha premuto sul mio nome e lo ha resettato Ma quando ho visto dove ha parcheggiato con i pantaloni giù mi sono avvicinato Ma la madre che mi aveva pedinato arriva urlando “lasciala in pace malato!”


Che dire, sono belli i rapporti interpersonali, perché ti scaldano il cuore.


FALLIMENTO / SFIGA / INFANZIA MALINCONICA

Al contrario dei rapper di oggi, che si buttano sul mercato poco più che minorenni, Fibra ha dedicato un bel periodo della propria esistenza unicamente al risentimento, all’invidia e all’odio per se stesso. In altre parole: Fibra prima di essere un rapper era un impiegato, costretto a un lavoro che potete immaginare quanto gli andasse a genio.

Arrivo tardi e comunque il mio capo è un pazzo che spende i soldi a troie vantandosi del suo cazzo un giorno mi ha detto “Tarducci vieni in ufficio”

(…) E darti lavoro per me è soltanto un sacrificio per quando te ne andrai faremo i fuochi d’artificio quando parli coi clienti sembra che stai in galleria la saggia soluzione sarebbe mandarti via Io contrattacco e gli mostro il pacco dicendo “cazzo mi impegno sempre un sacco” La sera quando stacco ripenso ma quanto ha fatto questa azienda del cazzo però è la tua Io me ne sbatto

C’è da dire che, quando la base di partenza è una grande serenità interiore, è anche più facile rendere al massimo sul luogo di lavoro:

Io non rimo inietto veleno in questo casino lancio freccette sulla mia foto da bambino E se ancora non mi ammazzo è grazie al cazzo. Il destino mio è fare l’uomo nel mirino mi bagno di benzina tu passami l’accendino sono io nella macchina che investe il motorino con sopra Albertino Faccio marcia in dietro e lo sopprimo sono completamente impazzito ho parlato col demonio in maschera e non mi ha capito Quando ero piccolo mi hanno spinto in piscina senza poi tornare a galla per quanta acqua ho inghiottito ho il cervello bollito e un coglione indolenzito ho un acido in circolo che ancora non ho smaltito rinfaccio a mia madre il giorno in cui mi ha partorito come auguro la morte ad ogni stronzo che mi ha tradito.

In effetti quello del quasi-annegamento non è l’unico episodio che Fabri cita per darci un quadro della sua infanzia, ci sono un sacco di cose di quel periodo che ricorda con piacere:

Quando ero piccolo ero grasso e disgustoso
Ma con un po’ di coca ho perso i chili dal nervoso


In ogni caso diciamo che la strada per l’integrazione sociale appare ancora lunga e piena di ostacoli:

e non ne vale la pena se questo è un lavoro meglio farsi in vena almeno per un po’ non sentirò il problema Vorrei vedere il mio capo andare in cancrena.

Qualunque porta è chiusa a chiave quindi incendio i corridoi quando il fuoco arriva ai piedi la mia testa è in produzione dietro me c’è troppo vita ma davanti c’è un plotone Ricordi quando ho detto su molti non fa effetto sbotto a ventotto anni schiacciato come un insetto infetto e adesso non provo più un affetto ingoiando il mio rasoio quando parlo ora ti affetto Ricordi quando hai detto adesso lui fa il ricco quando neanche immagini io quanto sono a picco Ma se poi c’avessi i soldi per cui tu mi incolpi ancora io ci pagherei uno stronzo che ti spari nella gola.


AUTOSTIMA E MORTE

Forse non ci crederete, soprattutto visto il quadro che abbiamo tracciato finora, ma l’autostima non è un sentimento nelle corde di Fabri Fibra: 

Io sono il primo a dire Fabri è uno sfigato
Qualunque sia il suo rap è un italiano ricopiato
Di disco in disco io sono pure peggiorato
E la mia voce nei dischi sembra quella di un ritardato
Ma non ci voglio pensare, non mi son preso male
E poi tu cosa ci fai qui questo è il mio funerale!

In generale comunque sembra abbastanza portato ad associare la sicurezza in se stessi con morte/suicidio/disastro, il che potrebbe non essere non lontanissimo dalla realtà come concetto. Se penso a una persona sicura di sé mi vengono in mente Benito Mussolini o Simona Ventura, quindi forse meglio tenersi i guai e attaccarsi al proprio, personale e tenue filo di speranza.

io non rimo e neanche mi sento un predicatore non sentirti ‘sto cd fammi ‘sto cazzo di favore che prima di ammazzarmi o di crepare per tumore ho visto dove tieni il fumo e i soldi in un contenitore che sta in camera tua tra il mobile e il ventilatore entro quando non ci sei mi prendo anche il televisore e strappo l’estintore che è di fianco all’ascensore e ti sfondo con un colpo stereo e masterizzatore trappo dal muro ‘sto crocifisso del Signore e lo appendo a testa in giù nella porta del tuo ingresso e questa copertina con la faccia della Pina te la appiccico sulla tavoletta del cesso.

Soprattutto perché è difficile prevedere quando la svolta arriverà, esattamente come è successo a Fibra che si è ritrovato, abbastanza improvvisamente, proiettato per primo nella casella del “rapper nazionale”, quello riconoscibile anche dalle madri e dai critici musicali di Repubblica (sempre se esistono e non sono dei bot impazziti di esperimenti di intelligenza artificiale falliti nei tardi anni Ottanta). L'approdo di Fibra al panorama mainstream avviene con l'uscita di Tradimento (2006, per Universal), che apre per il Nostro il periodo di paillettes e interviste con Daria Bignardi e, come dice il nome, apre anche le porte al risentimento da parte dei puristi.

Internet ci viene in aiuto un'altra volta, mostrandoci in maniera condensata che cosa è cambiato nei testi di Fibra da Tradimento in poi:

Come si può notare dallo schema, è vero forse che i soldi non comprano la felicità, ma di sicuro ti liberano di numerose rotture di coglioni permettendoti di focalizzarti su ciò che più conta: i soldi stessi.

Naturalmente questo non vuol dire che Fibra se la riesca a vivere con serenità, infatti a parte le vanterie generiche sul denaro e il successo ottenuto, uno dei primi temi ricorrenti in cui ci imbattiamo è:

SI STAVA MEGLIO QUANDO STAVO PEGGIO

È vero: Fibra ha fatto i soldi. Ma non osate pensare che se la sia presa bene. Il Tarducci non manca mai di ricordarci, infatti, che è bello scopare le veline, però tutto ha un prezzo e in genere quel prezzo si misura in sanità mentale:

Sono troppo famoso per dirti "Ciao" Pensi questo di me perché sei invidioso Sono pronto col mio nuovo disco Già ho capito che tu vuoi Fibra su "Chi L'ha Visto" Impazzisco davanti alla tele, letale Mi sento un transistor, e se incastro La grappa, la grana e la fama ottengo un collasso Ba-ba-babasta questa vita Voglio fa-fa-farmi quella tipa Dammi ta-ta-tanti nuovi giochi Sono stan-co di questi giorni vuoti Ho comincia-to a prendere da bere E a fare tardi la no-tte come Vieri Tra battute, battaglie, botte e battone Stavo molto meglio al campetto a giocare a pallone.

La fama inoltre lo rende distaccato e intristito quasi quanto fare musica con i peggio falliti che ora vendono vernici come fossero vestiti.

Cioè essendo famoso ti ammazzi, mito creato Sulla mia porta la scritta vietato entrare Ho pagato quindi fatti brevettare Come la D'Addario fatti penetrare Per cominciare, le tappe non bruciare Il momento è cruciale, se vuoi ti puoi lanciare Il sudore fa gocciare, lei ti vorrà baciare Ma non torni più indietro una volta commerciale Una volta commerciale, una volta commerciale (…)
Quello non sono io, c'è un altro me Che va in giro e parla al posto mio Spara cazzate, ra ta ta ta.

Ovviamente questo ci riporta dritti a un tema già affrontato:
 

L'AUTOSTIMA È ANCORA UN PROBLEMA

Ho la morte negli occhi e tengo i giorni contati tocco temi scontati non chiamatemi artista io ti creo un'altro mondo lo sa anche il mio analista la realtà mi spaventa da ogni punto di vista il mio sogno in verità era fare il giornalista ho il rap emodrammatico da crisi domestica in camera c'ho un water e a letto un anoressica.

Avevamo qualche dubbio? Non si cura una ferita con un cerotto e non sono certo i soldi e il successo che cambieranno il modo di vedersi di Tarducci. Anzi, probabilmente il confronto con una realtà che ti richiede di essere il meglio di te stesso, di riflesso, tira fuori il peggio:

Se non mi credi è inutile che stiamo insieme ma se mi credi non puoi non volermi bene, ma non lo vedi che siamo solo occasioni? E nella maggior parte pure delusioni. Si canta in pubblico, scattano le convulsioni. Porto problemi ma non porto le soluzioni, scoppio dalle palpitazioni nel torace, è peggio un buco in testa come Gianni Versace. Puzza di morte il successo per questo piace.


VIP E VITA MONDANA

Per fortuna però la notorietà porta con sé alcuni aspetti innegabilmente positivi: ad esempio ti mette in contatto con gente creativa e stimolante che altrimenti non avresti avuto occasione di conoscere. Il vip spotting e l'immersione nella mondanità sono un ottimo modo per riscattarsi da tutti i disagi sociali dei primi album, che ora sono un ricordo lontano e sono pronti ad essere rimpiazzati con nuovi disagi.

Laura Chiatti me la voleva dare Ma io dovevo lavorare, lavorare, lavorare Ancora lavorare, ancora lavorare, ancora lavorare... Be', comunque ho il suo cellulare Ogni tanto le messaggio, dico "Ciao, come stai?" Lei mi risponde "Ci vediamo, scopiamo?" È strano, un tempo ero io che la cercavo Ma non ero abbastanza famoso Chi è troppo non va con chi è poco famoso Poi becca il tronista e chi l'ha più vista Oggi invece mi chiama, mi cerca, mi ama Volessi farmela sì che potrei Ma che tristezza, bambole di pezza Mi domandi "E perché non te le fai?" Perché c'ho paura di prendere l'AIDS.

Ecco, diciamo che nemmeno in questa situazione ce la caviamo benissimo.

Insomma, i testi, vecchi e nuovi, parlano chiaro: è evidente che la salute mentale di Fabri Fibra sia ancora pienamente a rischio e che non ci sia un vero prima e dopo nella sua carriera, se non agli occhi del pubblico becero o dei suoi fan della prima ora, innervositi dal fatto che invece di un Trattamento Sanitario Obbligatorio gli sia arrivato qualche bonifico. È probabile che la forma in cui Fibra esprime quel disagio, e probabilmente anche il lessico siano molto cambiati nel corso degli anni, ma credo che questi mutamenti rappresentino la parte più sana della sua personalità. Se non ci fosse stato alcun sintomo di evoluzione o tentato tradimento delle sue turbe giovanili, forse sarei più triste per Fabri Fibra di quanto lo sia per i commentatori del blog di Beppe Grillo.
 

Segui Laura su Twitter: @lautonini

 

Ho fatto visita al più grande inventore di strumenti musicali folli del mondo

$
0
0

L'emergenza acqua a Flint tiene la città in una morsa da alcuni anni. I media nazionali si sono finalmente accorti della battaglia quotidiana che gli abitanti di questa cittadina del Michigan affrontano per una cosa così semplice come l'acqua potabile. Ma anche in questo periodo buio, gli abitanti di Flint si dimostrano forti e continuano a fare quello che possono con le risorse che hanno. Seminascosto nella zona di Mott Park, dove gli affitti sono bassi e la situazione non è terribile come nelle parti peggiori della città, Ryan Gregory è un raggio di bizzarria in una città che non sembrava più capace di produrne.

Ryan e io siamo diventati amici circa dieci anni fa, quando i nostri rispettivi gruppi suonavano nelle cantine, nei baretti e nelle chiese di Flint, oltre che al nostro campo base, il Flint Local 432. Lui era giovane ed entusiasta, come noi. Quando l'età adulta cominciò a trascinarci verso strade diverse, io ho continuato a scrivere musica seguendo la tradizionale struttura pop e ho trasformato la mia band in un lavoro, mentre Ryan è uno dei pochi che si sono davvero immersi anima e corpo nella propria arte senza compromessi. Avevo visto la sua one-man band (che comprendeva una macchina a pedali che gli permetteva di suonare un'intera batteria senza smettere di suonare la chitarra), la sua annuale performance di Hallowen con il nome di Mr. Creepy (un garage pieno di gente in maschera che suona strumenti presi dalla spazzatura) e altre tracce della sua arte in giro per la città. Da musicista disilluso, continuavo a rimanerne sorpreso, e mi prefissai l'obiettivo di mettermi lì e capire come lavorava. Ci ho messo più di un anno.

“Tipo, l'altro giorno sono andato al supermercato. Era stranissimo. C'erano così tanti tipi di pane. Voglio dire, ma perché ti serve tutta questa scelta? Non ti fa strano?" mi ha chiesto Ryan una volta, fotografando perfettamente la propria essenza: un neo-hippie che vive nel momento storico sbagliato.

Sono tornato a casa di Ryan dopo tanti anni e tutto mi è parso molto più pulito di quanto mi ricordassi. Non sembrava più il regno di un accumulatore compulsivo, ma uno spazio creativo concentrato. Due casse d'acqua consegnate dalla Guarda Nazionale e dalla polizia locale giacevano in cucina. In casa si respirava un profumo di zuppa di lenticchie, ricetta della sua fidanzata Hannah. 

Il tavolo della cucina era coperto di scatoline contenenti pezzi sparsi, e una pila di progetti e schemi. Gli schizzi dei prototipi andavano da una macchina spara-bolle-di-sapone ambulante a un progetto semplicemente intitolato "Moon Bike".  Le installazioni artistiche folli e a volte insensate che conoscevo ora cominciavano a trasformarsi in idee precise e possibili. Rappresentanti da tutta la città e anche dal Burning Man hanno cominciato a interessarsi e a mettersi in contatto con Ryan. 

Con il proseguire della visita mi sono accorto che c'erano m'bira e pickup da chitarra attaccati a qualunque cosa. Non ho fatto in tempo a farci una battuta sopra che mi è stato mostrato come bastino una piccola asse di legno, una fila di viti e i rebbi di un rastrello per costruire una m'bira perfetta. Secondo il nostro protagonista, quelle che vendono nei negozi per ottanta dollari sono monnezza, ma quelle fatte letteralmente con la monnezza funzionano meglio.

Lo studio in cantina era tanto un museo quanto una sala prove. Gli strumenti comprendevano alcune m'bira, ma a meglio guardare c'era roba molto più assurda. Abbiamo suonato con una teiera con dentro un po' d'acqua attaccata a dei pedali riverbero, pezzi di chitarre, una porta riassemblata per creare un violoncello, cassette di canti delle balene dentro un mangianastri e scratchate come dischi in vinile, e il mio oggetto preferito: la sua assurda chitarra che sembra un oggetto di scena preso da Mad Max: Fury Road. A quanto pare ne aveva una uguale già prima, che però ha fatto una brutta fine.

“Avevo una chitarra giapponese, una Tesco molto economica a cui ho aggiunto le leve di freni di una bicicletta, dei registratori a bobina, e roba a caso per piegare le corde. Ci avevo anche inserito una drum machine fatta con giocattoli di Barbie modificati, con dei sensori a contatto per cambiare beat e velocità toccandoli. Ci avevo anche attaccato un sacco di m'bire.” Dopo avere messo su youtube un video in cui mostrava questo prototipo, Ryan iniziò a ricevere offerte per la produzione, di cui una piuttosto promettente. "Un tizio mi scrisse dicendo 'Faccio bare e sono un costruttore di mbili professionista. Voglio finanziare la produzione di questa chitarra. Realizza un design definitivo e scopri di che componenti hai bisogno.' Al che io ho disegnato un progetto completo, mi sono procurato i componenti e glieli ho mandati. Gli ho inviato il collo della chitarra, dei pickup, alcune manopole, delle componenti elettroniche e alcuni interruttori. Ma senza brevetti e la possibilità di agire per vie legali, è facile che qualcuno si approfitti della tua creatività: "Fondamentalmente il tizio non mi ha più contattato, e non sono riuscito a beccarlo più. Per ricostruire la chitarra ho dovuto ri-ordinare tutto a parte le meccaniche. A causa di questa storia, Ryan mi ha chiesto di non fotografare e di non scrivere di un paio dei progetti che mi ha mostrato.

Nel suo cuore Ryan è anzitutto un musicista e ha sempre voluto usare le sue creazioni per fare qualcosa di più interessante che delle mostre. Negli ultimi anni ha tenuto un sacco di concerti e di party, ma ovviamente il top èer tutti è stato il Mr. Creepy Show di quest'anno. "Halloween è anche il mio compleanno, e tutti gli anni mi vesto da questo personaggio random... Non ricordo... Probabilmente quando l'ho chiamato mr. Creepy ero semplicemente sbronzo, mi piaceva l'idea di mettere su una band con strumenti da discarica per suonare ad Halloween. Ho fatto dei mascheroni giganti per i miei amici e li abbiamo indossati. Di solito iniziamo a suonare facendo molto casino, suoniamo degli strumenti a fiato enormi, c'è un light show folle, e poi attacca questa pazza jam band immondezzara. Oddio, in realtà non mi piace molto il termine 'jam band'. Diciamo che suoniamo un po' alla Tom Waits..."

Lo scorso anno, la sua festa di Halloween si è trasformata in un vero e proprio festival del DIY. Tutta la scena di Flint è stata invitata tramite passaparola, onde evitare di attirare l'attenzione della polizia locale: "Volevo che chiunque non avesse mai suonato in vita sua potesse prendere in mano uno strumento e iniziare a suonare. Che nessuno si sentisse in imbarazzo e si potesse divertire. C'è una band che si chiama Sadie Lee che organizza sempre concerti in una casa qua accanto per cui nel suo seminterrato c'erano delle band, e anche nel garage di un altro vicino, mentre io avevo il mio cortile acchittato come una casa infestata. Ero convinto che gli sbirri non si sarebbero mai ficcati dentro questo strano buco per vedere se c'era una festa."

Dopo avermi mostrato un po' tutta la casa e le sue creazioni, mi ha dato in mano uno scatolotto pieno di manopole e con una drum machine per bambini in cima, di quelle con cui giocavamo da bambini: circolare con tasti di varie forme, ciascuno corrispondente a un suono, dicendomi: "Hai mai usato un saldatore? Ti piacerebbe?". Il circuit bending è una pratica usata da molti musicisti noise per crearsi i propri strumenti e nuovi suoni. L'ho visto fare a un sacco di gente ma non ci capisco nulla. Al che siamo entrati nel suo laboratorio, che praticamente consiste in un tavolo in mezzo a una stanza, ricoperto di pezzi di percussioni, tastiere e qualsiasi cosa lui trovi nelle discariche o gli diano i suoi amici, o compri nei negozietti dell'usato.

Mi ha iniziato a dare istruzioni, anzitutto dicendomi di svitare il fondo del giocattolo: dentro c'era un circuito molto semplice con un paio di connessioni, e ho guardato Ryan che le stuzzicava con dei pezzi di metallo: a seconda di dove toccasse, emetteva suoni con un tempo regolare o un pitch alto e strizzato. Al che ha preso il saldatore e ha iniziato a lavorare, attaccando altre robe alla piccola resistenza e connettendole a una manopola pescata dal suo inventario, con cui controllare la velocità. Premendo un bottone si lanciava il beat, e muovendo la manopola la macchina iniziava a emettere dei suoni molto strani.

Dopodiché Ryan mi ha mostrato un mucchio di grossi distintivi di latta trovati nel cassonetto di un Guitar Center, che i commessi indossavano per promuovere degli sconti. Ne ha cancellato tutte le stampe e li ha collegati a dei cavi a loro volta connessi alla drum machine. "Quello che sto per mostrarti è una roba che ho fatto una volta per far divertire dei bambini. Potevano suonare con la loro stessa carne. Potevo usare un conduttore come la grafite di una matita, ma funziona bene anche con la pelle." mi ha detto, premendo il pollice sul distintivo, distorcendo il suono o accelerando il beat a seconda della pressione. Al posto di un interruttore o di un tasto, stavamo usando la nostra pelle per modificare il suono. Che bomba!

Dopo avermi mostrato come funziona ogni singola cosa, siamo entrati nella regia del suo studio e abbiamo aperto una nuova sessione nel software di registrazione, mi ha ordinato di entrare nella stanza di ripresa e di iniziare a smanettare con la tavolata di strambi strumenti che vi ho illustrato, passandoli per un looper a pedale e un riverbero. Ho creato questo bizzarro soundscape mentre Ryan preparava il suo one man band set. Quando abbiamo iniziato a trovare il groove, mi sono spostato all'altra batteria che era lì montata, fatta di secchi e eltre percussioni non convenzionali. Il risultato della nostra jam suonava come un bizzarro mix tra Black Keyes, Tom Waits e Stomp. Potete ascoltarlo di seguito:

Dopo averlo riascoltato abbiamo deciso che era abbastanza strambo da tenerlo. Strano che con gli anni fossimo diventati così diversi, ma ci fosse ancora una strana alchimia sonora tra noi. La mia mentalità più convenzionale e il ta al suo approccio completamente fuori dagli schemi formavano un miscuglio molto interessante. Gli ho detto che ero invidioso della sua capacità di costruirsi le cose da solo. Io sono come la maggioranza degli altri: pago di più per una roba che non sarei in grado di costruirmi per conto mio. Inizio le cose e non le finisco. Quello che mi ha risposto mi è rimasto impresso e mi pare una buona conclusione per l'articolo: "È diverso. Tu hai fatto degli album e sei andato in tour. Quando invece io costruisco qualcosa e ci jammo, immediatamente penso alla possibilità di costruire qualcos'altro. In un certo senso, a entrambi piace costruire cose, solo che sono cose diverse, la vita è troppo breve per non passarla a creare cose nuove."

Potete trovare Ryan Gregory su Instagram, Bandcamp, and Facebook.

Nel nuovo video di Éstel Luz torniamo tutti bambini

$
0
0



Tommy, il protagonista di questo video, si sveglia una domenica mattina e scopre, poco dopo, che sua sorella maggiore è uscita, lasciandolo solo in casa. Chiaramente questo fa sì che Tommy prenda il possesso di ogni angolo della casa come un vero king, e che una normale domenica diventi il luogo di una libertà improvvisa ed esplosiva: ogni suggerimento della propria testa diventa un nuovo gioco, un nuovo mondo e uno, due, cento, mille nuovi Tommy.

Il video è diretto da Delia Simonetti e realizzato con la producer Romina Piperno, seguendo il mood giocoso e leggero di “Good To Me”, il primo singolo da solista dell'artista italo-colombiana Éstel Luz.

La traccia, che anticipa l'EP Angels, sta in quel territorio tra soul e funk che riesce, nello stesso istante, ad avere un piglio gioioso e malinconico, ritmato e profondo. E, seguendo questa doppia strada, anche il video è stato concepito come un tributo a quella sensazione malinconica di avere tutta la vita davanti, di avere davanti ai propri occhi infinite strade. Perché non è impossibile ritrovare quelle sensazioni se ritroviamo, dentro di noi, quel bimbo solo in casa che non vede l'ora di iniziare a sperimentare sulle note di un beat sincopato.

Quindi concentratevi, mettetevi nei panni di Tommy e schiacciate play.
 

Segui Éstel Luz su Facebook e Soundcloud.


"GOOD TO ME"
Scritta da Éstel Luz 
Prodotta, registrata e missata da Eugenio Mazzetto @ Casaluce
Mastering di Andrea Mari @ Hit Beat Studio 
Voce: Éstel Luz 
Violoncello: Beatrice Zanin 
Chitarra e tastiere: Eugenio Mazzetto 
Basso: Francesco Vecchia 
Batteria: Renato Tarricone

VIDEO 
Scritto da Delia Simonetti & Romina Piperno 
Diretto e montato da Delia Simonetti  
Prodotto da Romina Piperno  
Fotografia: Giulia Scintu  
Scenografia: Giulia Ceccarelli 
Trucco ed hairstyling: Erika Ginevra Meyer & Serena Congiu

Cast: Tommaso De Tuddo, Éstel Luz

 

Chi l'ha visto: Giuseppe Povia

$
0
0


Una foto di Povia

Ogni tanto mi piace controllare alcune pagine su Facebook per farmi una full immersion nel Paese Reale, e allora inizio a scrivere nella barra di ricerca di Facebook i nomi di Matteo Salvini, di Adinolfi, di Gasparri e se sono proprio ispiratissimo cerco anche Giuseppe Povia. Non sono uno di quelli che mette like per indignarsi con regolarità, preferisco scegliere i miei momenti di nervosismo e incastarli nell'agenda quando mi capita di avere un buco.

Insomma, qualche giorno fa ero curioso di avere il punto di vista di Povia sulla questione Cirinnà-Movimento 5 Stelle e scopro con un po' di preoccupazione che la pagina Facebook del cantautore non esiste più. Io e Povia, ma anche la mia adorata Virginia Ricci, abbiamo un'amicizia che va avanti da molto, molto, molto, molto tempo e lì per lì ho semplicemente pensato che una delle sue considerazioni personali sull'attualità e la politica fosse andata un pochino oltre, costandogli un ban o qualcosa del genere della pagina.

Subito mi sono precipitato sul suo blog, all'indirizzo povia.net/poviablog e mi sono accorto che tutti i post e i contenuti editoriali sono stati rimossi, senza dare un motivo specifico. Anche la pagina Facebook Ufficio Stampa Povia risulta ormai inaccessibile e giuro che non c'è ironia quando dico di essere un pochino preoccupato.

Attraverso i numeri di telefono dei collaboratori di Povia con cui ci è capitato di entrare in contatto durante questi anni abbiamo provato a scoprire qualcosa in più, ma purtroppo non abbiamo ricevuto risposta da nessuno (e anzi, approfittiamo di questa segnalazione per rinnovare ancora una volta la nostra preoccupazione).

Magari, proprio perché non seguivo gli aggiornamenti della sua pagina, mi sono perso il post in cui Giuseppe Povia ha spiegato che ha bisogno di prendersi un momentino per se stesso, o che (considerato che il suo nuovo disco dovrebbe essere in uscita a brevissimo) ha trovato un qualche accordo discografico che gli impone il silenzio, per qualche tempo.

Se per caso qualcuno di voi avesse informazioni, è pregato di contattarci, nel frattempo non possiamo fare altro che postare finalmente il video "Chi Comanda Il Mondo", che sta per compiere un anno, nella speranza che sia di qualche aiuto a Povia, nel caso fosse in difficoltà.


I Matmos hanno composto un intero album con una lavatrice

$
0
0

In quanto membro "casalingo" dei Matmos, Martin Schmidt ha passato quasi tutto il mese di gennaio nel seminterrato della casa che condivide col suo compagno e collaboratore Drew Daniel a Baltimora. Daniel se ne stava comodo ad ascoltare una compilation di musica Turkmena per flauto mentre Martin scrutava in ogni angolo della loro vastissima collezione di CD alla ricerca di un album acquistato eoni fa in un negozio cinese di Costa Mesa, California.

Entrambi lo ricordano come una geniale raccolta di "performance fuori di testa e strumenti assurdi", ma ora, col sommo rimpianto di Daniel, quella gemma casuale è andata perduta per sempre, ma lui non si dà per vinto, perché scavare tra i rifiuti domestici fa parte del lavoro dei Matmos. Nel corso di due decenni la coppia, ossesionata di rumori di ogni giorno, ha svolto un lavoro di simpatica archelogia alla ricerca di quello che Daniel chiama "il dono nascosto" nella banalità.

Foto di Josh Sisk

Il 19 febbraio i Matmos hanno fatto uscire un nuovo LP per Thrill Jockey, che consiste interamente di suoni campionati dalla lavatrice di casa loro. L'idea di Ultimate Care II (il titolo deriva dal modello della macchina) è venuta a Schmidt quando si è trovato a tamburellarci sopra a caso, rimanendo improvvisamente strabiliato dalle possibilità musicali intrinseche nell'elettrodomestico: ha un sequencer integrato e rulla come una drum machine. Inizialmente Daniel prese la proposta come uno scherzo, ma al secondo tentativo ha ceduto e accettato.

È fin troppo facile perdersi tra i meandri ideologici o i limiti technologici che i Matmos si sono imposti per ciascuno dei loro album. Ad esempio, per A Chance to Cut is a Chance to Cure del 2001, hanno usato solo suoni registrati in sale operatorie. Ma i due sono prima compositori che sperimentatori e non viceversa, non finiscono mai per sacrificare la struttura narrativa e la melodia alle loro geniali idee. I loro brani sono godibili sia da un punto di vista musicale che come collage digitali. Non sono quindi solo in grado di scovare diamanti allo stato grezzo, ma anche di trovarne praticamente ovunque! Poco prima dell'uscita di Ultimate Care II si sono presi una pausa dalle prove per i prossimi live (in cui porteranno una vera lavatrice sul palco) per parlarci del nuovo album e di come è cambiato il loro approccio concettuale.

THUMP: Drew, hai detto che 'idea di Ultimate Care II inizialmente era uno scherzo. Quando avete capito che invece potevate farlo sul serio??
Drew Daniel: Fin dalla prima volta che abbiamo provato a "suonare" la lavatrice a tempo con dei loop che avevamo registrato di quando era in funzione. Jason Willet, che è nostro amico e suona negli Half Japanese, ha suonato degli "assoli" di lavatrice su delle ritmiche di lavatrice. A quel punto l'album ha iniziato a prendere una forma interessante, superando lo status di cavolata divertente.

Martin Schmidt: Non vorrei suonare pretenzioso, ma io avevo capito subito che era un'idea della madonna. Negli anni abbiamo usato tante di quelle cose assurde come strumenti... Mi sono fatto un'idea di cosa possa funzionare e cosa no. Se cammino per strada, penso tra me e me "quel secchio dell'immondizia suona sicuramente da dio, quel palo invece non ha risonanza."

Quindi ti sei fatto subito un'idea delle possibilità.
Schmidt: Sì, in fondo una lavatrice è una macchina ritmica. È una miniera d'oro, come una drum machine con un sequencer... È perfetta e divertente.

Daniel: Il titolo Ultimate Care II lo abbiamo messo per ridere. "Ultimate" vuol dire "definitivo", ma come fa a esistere un "definitivo numero II"? Non ha senso...

Schmidt: Un po' come...A One Way Ticket to Hell...and Back.

Daniel: Sì, il disco dei Darkness. Bella, siamo i Darkness della musica concreta.

 

Siete mai stati tentati di usare anche un'altra lavatrice?
Schmidt: Mai e poi mai.

Daniel: Sarebbe stato scorretto. La Ultimate Care II è in un certo senso una reliquia di un'epoca passata, prima che si diffondesse la coscienza ecologica, e prima delle lavatrici silenziose. Una più nuova e funzionale sarebbe stata molto meno interessante da un punto di vista musicale.

A quando risale la vostra, quindi? Com'è messa?
Schmidt: Dovrebbe essere dei primi anni Novanta. Ieri è venuto un tecnico...

Daniel: Sì, perché si è rotta.

Oh no! Vi siete preoccupati?
Schmidt: Un po', ma erano solo i cuscinetti del cestello.

Eh?
Schmidt: Ce lo ha detto il tecnico, sono praticamente degli ingranaggi in plastica che fanno girare il cestello. Comunque, gli ho chiesto di che anno era e mi ha risposto che è più o meno del '93 o '94.

Daniel: Stesso periodo di Washing Machine dei Sonic Youth. Tutto torna

Parlando più in generale, pensate che avere un concept di base per ogni disco vi aiuti a concentrarvi creativamente?
Daniel: La società ha un idea troppo negativa dei limiti e dei confini. L'idea che avere infinite possibilità sia una buona cosa è puro marketing, è logica capitalistica, ed è anche l'esatto opposto di quello che si fa davvero quando si crea qualcosa: si fanno delle scelte e si cerca di dare forma alla propria attenzione. Le restrizioni nascondono quasi sempre una profonda elasticità. Una lavatrice è limitata perché ha un range di bpm e di ritmiche abbastanza limitato, ma quando scegli cosa prenderne e come usarlo riveli te stesso. Quando inizi a dare forma alla materia, la materia prende la tua forma.

Schmidt: Non penso che Surgeon, con gli stessi presupposti, avrebbe fatto un dico uguale al nostro.

Daniel: Neanche Arca. Persino Matthew Herbert avrebbe portato la musica in una direzione diversa. Io trovo interessantissimi gli Aube, che hanno fatto dischi interi usando suoni di luci fluorescenti, dell'acqua corrente, o della Bibbia.

I Matmos e alcuni loro amici preparano il "piano drag." Foto di Darcy Hemly.

Ci sono dei concept che poi avete abbandonato?
Daniel: Una volta abbiamo incatenato un pianoforte al retro di un camioncino, ci abbiamo piazzato dentro videocamere e microfoni e lo abbiamo trascinato per il deserto finché non si è completamente distrutto. Pensavamo avrebbe prodotto un sacco di suoni fichissimi. Martin ha bloccato la sordina affinché le corde non smettessero mai di risuonare. Speravamo di ottenere un suono bellissimo e interessante.

Schmidt: E invece è venuto fuori il suono di un cassone sbattuto. Non ha niente di musicale. Credo sia questa la differenza tra noi e chi fa vera e propria musica sperimentale. In seguito lo abbiamo editato e modificato col computer per farlo suonare bene, ma fu comunque un mega-fallimento.

Cos'è di preciso a rendere un risultato del genere fallimentare?
Daniel: Non deve essere solo un'idea fica, deve anche essere musicalmente intrigante. Prendiamo ad esempio Christian Marclay: il suo "Guitar Drag" è roba molto pericolosa politicamente. Fa riferimento a un orribile omicidio razzista avvenuto in Texas: un Afro-Americano fu trascinato dietro un camion e ammazzato. Il brano consiste in lui che trascina una chitarra dietro un camion, ma musicalmente possiede una bellezza così selvaggia e inafferrabile che gli dà molta forza artistica, oltre a quella concettuale e politica. Quello è esattamente un esempio di lavoro interessante dal punto di vista concettuale e anche musicalmente ricco.

Vi preoccupa mai l'idea di dare troppe informazioni agli ascoltatori e influenzarli troppo?
Daniel: Prima ancora di suonare in un progetto come i Matmos, ero un fruitore di musica a cui interessava estendere l'esperienza dell'ascolto per farla interagire con oggetti, azioni, discipline, persone e corpi. Quando avevo sedici anni avevo una zine, ascoltare musica per me voleva dire stare seduto in una stanza coi miei amici e cercare di trarre qualcosa da quello che stavamo sentendo. Mi è successo soprattutto con Scatology dei Coil, in particolare il pezzo "The Sewage Worker's Birthday Party", che è pieno di suoni strani, umidicci e appiccicosi, e le note del disco dicono che è stato ispirato da un film porno-coprofilo scandinavo. Per cui, non avendo ancora fatto coming out, lo ascoltavo e mi chiedevo: "Be', cos'è il sesso omosessuale? Qual è la versione più estrema e feticista del sesso omosessuale? E come potevo usare il suono per avvicinarmi a un'esperienza—una strana orgia di fisting svedese—che crescendo in Kentucky negli anni Ottanta non avevo proprio modo di provare? Non è un caso che poi sia finito a suonare in una band che confeziona tutte queste idee piene di risvolti particolari in una roba che fa chiedere agli ascoltatori "ma che diavolo sto ascoltando?". Riveliamo alcuni aspetti e ne nascondiamo altri, c'è sempre un po' di mistero nel processo che sta tra la ricetta e il piatto pronto, e non se ne andrà mai, non importa quante interviste facciamo.

Schmidt: Siamo il contrario degli Autechre.

Daniel: O di Aphex Twin. Svelare i materiali e il procedimento genera desiderio nell'ascoltatore: vole saperne di più, capire che genere di contesto può produrre quei suoni. Siamo più simili a un programma di cucina che a uno spettacolo di magia. Sono entrambi modi validi di lavorare, sono solo diversi. Non dico che tutti i maghi dovrebbero fare gli chef, perché io non andre sicuro a mangiare da loro.

 

La guida di Noisey per parlare dei generi musicali che non conosci

$
0
0

Eccoti qua. È sabato sera e ti trovi a una festa privata. Hai già fatto fuori quattro delle tue sei birre. Stai quasi abbastanza bene da metterti a parlare con qualcuno che non conosci già. Tutti si stanno divertendo, la squadra è in forma, qualcuno ti ha detto “bella maglietta”, sembra, senza sarcasmo. Ti è arrivato lo stipendio due giorni fa. Non puoi chiedere di più, è la vita che hai sempre desiderato. Stai bevendo Carlsberg, il che ti fa venire in mente perché non bevi mai Carlsberg. Ma tutto è bene. Finché non arriva quel momento, il momento in cui si manifesta il tuo incubo peggiore. Qualcuno vuole parlare della musica che sta passando in quel momento.

Vai nel panico. Balbetti, cominci a sudare abbondantemente. Non sai nulla. L’altro sa che non sai nulla. Hai mandato tutto a puttane. Hai mandato tutto grandiosamente a puttane.

Scappi di nascosto e ti ritrovi a guardare fuori dal finestrino del bus, gli occhi ripieni di lacrime, un groppo in gola, sopraffatto dal rimorso. Ma non ti preoccupare, passerà, non ci pensare. Guarda, abbiamo deciso aiutarti per la prossima volta. Stampati questa pagina, mettitela in tasca e tienila stretta ogni volta che rischi di avere un qualche tipo di interazione sociale. Risolto.

 

AMBIENT

 

Artisti da citare: Brian Eno, Stars of the Lid, il ronzio del frigorifero.
Cose da dire: “Ambient significa tutto e niente. Può essere il suono di una lavatrice durante gli ultimi spasmi di un ciclo. Può essere i Tangerine Dream che giocano con affascinante freddezza con i limiti di che cos’è la musica, e di che cosa può essere. L’ambient mette in pausa il mondo e ci circonda di blu, come larve all’interno di una crisalide di suono. Per me.”
Cose da non dire: “Sentite anche voi il rumore due balene che si accoppiano?”

 

BALEARIC

 

Artisti da citare: Leo Mas, Mike Francis, Status Quo.
Cose da dire: “Il fatto è che la balearic è uno stato mentale. Se pensi che sia balearic, allora sarà balearic. È questo il bello. Hai una cartina? Le ho appena finite. Sì, Phil Collins era una bella bomba!”
Cose da non dire: “Ma questa è ‘Atmosphere’ di Russ Abbott?”

 

CLUB

 

Artisti da citare: Rushmore, Nadus, Zig and Zag.
Cose da dire: “Questa nuova ondata di producer da club sembra fondere musica, moda e graphic design in maniera sempre più innovativa e intrigante.”
Cose da non dire: “Mamma, perché questo signore ha una tuta costosissima e mette in loop ‘The Ha Dance’ da due ore?”

 

DEEP HOUSE

 

Artisti da citare: Kerri Chandler, Ron Trent, Disclosure.
Cose da dire: “La questione è deep house o non è deep house non ha alcun senso per un vero fanatico di deep house. Ma sì, si può dire che il revival della deep house ha portato a un’invasione di dischi perlopiù noiosi che hanno tutti gli stessi schemi percussivi, le stesse campane pitchate, gli stessi suoni patinati di synth che suonano le stesse progressioni di accordi, le stesse voci femminili—ma se c’è l’anima, fa sempre centro.”
Cose da non dire: “Hai sentito il nuovo EP di Dale Howard? Da paura!”

 

DUBSTEP

 

Artisti da citare: Mala, Burial, Kode9, Flux Pavillion.
Cose da dire: "L'ultima vera sottocultura del Regno Unito. Prima che venisse trasformata in bro-step, era il suono scuro e devastante della tradizione soundsystem che incontrava la 2-step con un inconfondibile sapore South London."
Cose da non dire: "Wobble", "drop" o "Rusko."

 

FOOTWORK

 

Artisti da citare: DJ Rashad, DJ Paypal, Michael Flatley.
Cose da dire: "La figata riguardo la footwork è quanto sia legata al posto e alle circostanze. È cresciuta di pari passo con il ballo e le coreografie fino a diventare una delle culture giovanli più importanti degli ultimi vent'anni, a Chicago."
Cose da non dire: "Ah, bello: mi ricorda il suono che faccio quando cado dalle scale!"

 

HOUSE

 

Artisti da citare: Omar S, Jeremy Underground, DJ Otzi.
Cose da dire: "Vedi, l'house è un sentimento che non si può spiegare, a meno che non ti trovi già immerso nell'atmosfera. La house è il desiderio incontrollabile di portare il tuo corpo oltre ogni limite. E poi, come sai, siamo in una casa e house vuol dire casa. Per cui dobbiamo superare i limiti di questa casa. Per cui sfondiamo questo muro."
Cose da non dire: "Strictly Rhythm? Meglio Strictly Come Dancing!!!!!!!!11!"

 

ITALO-DISCO

 

Artisti da citare: Clio, Kano, Chico.
Cose da dire: "La bellezza dell'Italo è il suo essere senza vergogna: è la musica più cruda, pura ed emozionale che potrete mai ascoltare. È il suono del desiderio senza pentimenti e di quei momenti in cui vi viene il batticuore. È esilarantemente diretto ed è come un pugno attraverso la corazza di ironia che ognuno di noi indossa."
Cose da non dire: "Davvero ha appena cantanto Hey, how old are you/where is your harbour?"

 

TECHNO

 

Artisti da citare: Jeff Mills, Juan Atkins, Robert Hood, Hot Chip.
Cose da dire: "Sicuramente la parola 'techno' può comprendere qualsiasi cosa da Carl Craig a Rødhåd, ma se vuoi capire le radici di questo genere devi tornare a Detroit, dove il Trio di Belleville ha costruito le fondamento dell'elettronica del futuro, cambiando la club culture per sempre."
Cose da non dire: "È un po' ripetitiva."

 

UK GARAGE

 

Artisti da citare: MJ Cole, Zed Bias, The Stig.
Cose da dire: "È in questo genere che si incontrano l'alta moda e i ritmi proletari, è il suono di Londra poco prima di imboccare una svolta in direzione grime, dub-step e tutte le altre novità sulla scia."
Cose da non dire: "Ah sì, tipo i Disclosure?"

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

JPEGMAFIA vuole portare il rap fuori dall' "era di Drake"

$
0
0

C'è qualcuno che rifiuta categoricamente l'idea che quella attuale sia una "nuova età dell'oro" dell'hip-hop, ma che in realtà potrebbe persino rifiutare anche l'idea che la cosiddetta "età dell'oro" ufficiale lo sia davvero stata, che al posto di puntare al mainstream e confezionare pochi luoghi comuni in una merce di massa si poteva inasprire sia il lato di lotta che puntare sempre di più a evolvere il linguaggio del rap e del beatmaking. Sono gli stessi a cui i compromessi con l'R&B conservatore non vanno per niente giù, così come non gli gira bene che gente come Kanye sia considerata "innovativa".

JPEGMAFIA (ci tiene: tutto stampatello, tutto attaccato) è uno di questi: anzitutto, venendo da Baltimora, non gli pare il caso di festeggiare la cooptazione della cultura nera da parte del mainstream a fronte dell'anno di violenze e scontri appena passato, e né Bernie Sanders né l'intervallo del Superbowl possono offrire. La "Drake era" che racconta è un'epoca distopica in cui l'unico non-bianco candidato alla presidenza USA è un uomo di estrema destra, e o fa mischiando una specie di rap hardcore glitchato a un gusto semi-industrial per il rumore, ma con pure qualche ventata di trap contemporanea e melodia. Non tutto è perduto quindi, tra lui e l'armata radunata da Mykki Blanco per la sua nuova label, forse il rap non è del tutto in mano a stronzi che non sanno rappare

Il suo primo lavoro si intitola Black Ben Carson, esce in cassetta il 28 febbraio, ma lo potete già scaricare gratuitamente dal suo sito e ascoltare qui di seguito.

Alva Noto ci racconta la colonna sonora di "The Revenant"

$
0
0

Foto dalla pagina Facebook di Alva Noto.

Incontro Carsten Nicolai, alias Alva Noto, nel backstage di Set Up, la due giorni di musica e performance organizzata a Punta della Dogana a Venezia. Impugna un calice di prosecco, “I have just finished the soundcheck”, dice stringendomi la mano. Ci accomodiamo a un tavolino improvvisato e, mentre parliamo, tecnici e operai ci ronzano intorno per terminare l’allestimento. Alva Noto, producer e sound performer berlinese, classe 1965, è reduce dall’ennesima collaborazione (la sesta, per la precisione) con il musicista Ryuichi Sakamoto, con cui ha lavorato alla colonna sonora di The Revenant, l’ultimo film di Alejandro González Iñárritu, candidato a ben 12 premi Oscar. Dico ennesima collaborazione perché, nel 2011, insieme al compositore giapponese ha prodotto l’album Summvs, che segna l’apice creativo del sodalizio. Per l’etichetta elettronica tedesca Raster-Noton, fondata da Olaf Bender e Frank Bretschneider con cui Alva Noto ha prodotto tre album, il duo Sakamoto-Nicolai ha realizzato cinque album in un arco temporale di dieci anni: lavori di indubbia qualità, dal peso scientifico per ricerca musicale e sperimentazione avanguardistica del suono. Proprio in Summvs, ascoltando tracce come "Reverso", "Naono" o la rivisitazione di "By This River" di Brian Eno, si possono trovare i precedenti—anzi, gli spin off—di quello che cinque anni dopo sarà il lavoro per comporre la colonna sonora di The Revenant. Tutta la musica del film, cui ha collaborato anche Bryce Dessner dei National, è definibile come un’opera nell’opera: le tracce, realizzate con un ensemble di venti strumenti, fanno da cornice e contrappunto alla narrazione visuale di Iñárritu. Per chi non avesse visto il film, si può prendere in esempio la penultima pellicola del regista messicano, Birdman. Bene. L’intenzione delle musiche del batterista Antonio Sánchez, non è supportare il racconto—esattamente come in The Revenant—ma dare ritmo alle scene, aumentarne il dinamismo, già di per sé preminente dato il largo uso del piano sequenza.
Alva Noto ha quasi finito il suo prosecco. 

Noisey: Com’è stato tornare a lavoro con Ryuichi Sakamoto, però per la realizzazione di una colonna sonora?
Alva Noto:
Innanzitutto, come collaborazione credo sia stata molto diversa da tutte le precedenti, poiché, appena sono stato coinvolto nella colonna sonora, Ryuichi stava già lavorando da un bel po’ di tempo sulle musiche e ne aveva composte parecchie per una buona parte del film. Quindi, quando mi hanno chiamato, possiamo dire che metà della colonna sonora era già stata scritta, ma c’erano da includere alcuni elementi di elettronica nelle musiche già registrate; per cui ho lavorato su composizioni già esistenti, a volte creando nuove cose su cui Sakamoto aggiungeva qualcosa. Allo stesso modo anche Dessner era coinvolto: componeva sulla mia musica, ad esempio. È stata un lavoro molto ampio.

Ci sono state da parte di Iñárritu direttive o suggerimenti per la composizione delle musiche?
Iñárritu e Martín Hernández, il sound editor, sono stati entrambi elementi importanti anche nella colonna sonora. Per questo film eravamo al servizio del regista, quindi la collaborazione con Sakamoto non è paragonabile alle nostre precedenti, in cui avevamo sempre agito in totale libertà. In questo caso tu fai qualcosa per il film, e di conseguenza presti ascolto alle idee del regista e ai suggerimenti del sound editor. Si può dire che la colonna sonora non sia stata scritta solamente da me, Sakamoto e Dessner, ma penso sia stata composta, o meglio definita, da Iñárritu e Martín Hernández. Quando stavo componendo ero molto vicino al regista, davvero vivevamo porta a porta, e durante il periodo di conclusione delle revisioni ci siamo sempre scambiati suoni ed idee. È stata una situazione veramente creativa e produttiva.

A cosa vi siete ispirati per la creazione delle musiche? La sceneggiatura poteva dare molti spunti interessanti…
Quando sono arrivato c’erano dei templates che erano stati costruiti sopra tracce già esistenti, sia mie sia di Sakamoto. Secondo ciò che il regista voleva ottenere, in determinate situazioni del film, posso dire che il tutto è stato un work in progress: Iñárritu suggeriva qualcosa, noi modificavamo in base a ciò che ci chiedeva, poi, magari, a nostra volta, provavamo ad aggiungere qualcosa, come dei nuovi modi di vedere il suono. 

Le musiche, però, sembrano più descrivere l'ambiente che supportare la narrazione del film.
Sì. Se guardi alla maggior parte dei film odierni, le colonne sonore sono, in un certo senso, condimento. La tristezza diventa più triste, l’emozione diventa più emozionale, la paura diventa più paurosa: la musica è usata più che altro come un amplificatore. In The Revenant invece è basata su emozioni forti. Iñárritu voleva dare alla colonna sonora il potere di creare il senso della quiete e della calma, concentrandosi forse su situazioni più malinconiche e di riflessione anziché su quelle completamente dinamiche. Ovviamente ce ne sono alcune, ma la gran parte della musica è stata scritta per esprimere il tempo, le pause, la riflessione o la lunghezza della giornata. La musica è importante per il film perché aggiunge e non condisce.

Ti ha rammaricato che per l'Academy la vostra colonna sonora non può essere nominata agli Oscar?
Ad essere onesti, non ho veramente capito la lettera dell’Academy: il motivo per cui non potevamo essere eleggibili agli Oscar è descritto in maniera vaga, ma penso che ci siano due grandi problemi che riguardano l’Academy. Il primo: non riescono a capire come la colonna sonora è stata composta. Il secondo: molta della musica che abbiamo prodotto è incredibilmente delicata, drammatica, a volte non si capisce se il suono proviene dalla colonna sonora o dalla natura perché tutto è legato insieme, il suono naturale, dell’ambiente, o se dalla nostra musica. Nello specifico, nel mio lavoro ci sono molti rumori che creano una sorta di ambiente, di atmosfera, probabilmente sia perché io non scrivo colonne sonore—la musica elettronica non ha bisogno di scrittura—ma compongo direttamente con gli strumenti, perché sono musicista e compositore al tempo stesso. La ragione principale per cui siamo stati esclusi è che c’è più di un compositore, anche se questa regola è stata, in passato, violata più e più volte. Per esempio Sakamoto per gli Oscar è un free composer, ma loro non sono riusciti a spiegare perché hanno applicato la regola questa volta e non altre. 

Allora, visto che purtroppo non rischi di vincere l’Oscar, dimmi, secondo te chi vincerà quello per la Miglior colonna sonora?
Morricone, ovviamente. Devo dirlo: penso che lui meriti assolutamente un Oscar, perché è una leggenda. Se dovessi fare una lista dei dieci più importanti compositori di tutti i tempi, lui sarebbe uno di questi. Penso che si stia senza dubbio meritando tutti i riconoscimenti. È fantastico.

Quant’è importante la sperimentazione nelle musiche per film?
Quando consideri le grandi produzioni di Hollywood—e The Revenant è una di queste—per la maggior parte i film rimangono molto classici e quindi poco interessanti in termini di musiche. I compositori cambiano il loro stile per adattarsi al film, e così sembra di trovarsi davanti ad un altro compositore. Per quasi tutti i film, la loro musica è completamente diversa e non riesci mai a riconoscerla perché in continuo cambiamento. Apprezzo di più, per esempio, le colonne sonore di Cliff Martinez: è il genere di persona che riesce a mantenere la propria personalità, così riesci sempre a distinguerlo. Quello che però sta accadendo, da dieci anni a questa parte, è che si sperimenta veramente poco: le colonne sonore sono sempre più orchestrali e ce ne sono poche elettroniche. Quindi includere The Revenant tra i film in cui si è sperimentato, è una gran cosa.

"Killing Hawk" e "Goodbye The Hawk" sono i motivi più catartici, dove l'elettronica sembra farsi carico dell'emotività della scena. Come sono nate? 
Molta della forte bellezza di quelle scene proviene dalla loro intimità. Sono scene in cui lo strumento è molto fragile, dove l’elettronica suona come un flauto o qualcosa del genere ma che in realtà non lo è. Sakamoto ha composto con questo genere di strumenti e, di nuovo, Iñárritu l’ha adorato. C’è stato un episodio in cui Sakamoto aveva mandato un mock-up per la musica classica suonata in The Prophet, traccia che tutti hanno amato, e quando l’abbiamo senta, tutti hanno cominciato a dire cose tipo “The Prophet è grandiosa, inseriamola di più, non è poi così classica”. Iñárritu ha subito accettato, poiché grande fan della musica analogica e di come riesca a essere calda.  

Qual è stata la traccia su cui avete lavorato di più? Come mai?
La maggior parte delle cose che ho fatto non è nella colonna sonora, in realtà risiede in brevi scene, qualcosa di più fragile. Ovviamente nella colonna sonora c’è tanta mia musica, infatti come si può vedere nei crediti ho scritto Punished Hawk o Discovering the Buffalo che sono tra le tracce dalle sonorità classiche, basati su samples tipici e suoni molto tradizionali. Penso che la vera colonna sonora sia il film stesso, e anche se ovviamente ci sono alcune tracce riconoscibili nel cd, nel film ci sono mix diversi.

Musiche a parte, qual è il tuo parere sul film? Ti è piaciuto?
Fin dall’inizio mi sono sentito veramente connesso al film. È un film molto lento, non è frenetico come quelli a cui siamo abituati oggi. Da sempre sono stato influenzato da Tarkovskij, e il film ha molti riferimenti al regista russo. Mi sono sentito molto connesso alla lentezza del film, e credo che Di Caprio abbia fatto un lavoro pazzesco: sostiene tutto, da solo, per due ore e mezzo—questo film è stato anche una grande opportunità per poter mostrare le proprie abilità. Vincerà un Oscar, ne sono sicuro.

Ci sperano tutti, mi sa. Quindi secondo te quanti Oscar su 12 nomination si poterà a casa il film?
La mia previsione è di almeno cinque statuette: per miglior film, regia, fotografia, attore protagonista [risatina, NdR], e sonoro.
 

Paolo Marella scrive per ArtTribune e FlashArt, seguilo su Twitter: @PabloMarella

 

Il beatmaker ventenne che fa le basi a Kanye, Rihanna, Lorde e più o meno tutti gli altri

$
0
0

Se dovessimo riassumere il 2016 in due release, probabilmente saremmo obbligati a parlare di AntiThe Life of Pablo. Ecco, il beatmaker ventenne Mitus ha partecipato sia al disco di Rihanna che a quello di Kanye.

Le produzioni di RiRi e Yeezy, pur avendo una portata del tutto mainstream, si rivelano, ad ogni nuovo album, sempre più ambiziose e stratificate. Considerate la gente che è stata dietro a Yeezus, in cui c'erano sia i Daft Punk che Arca: si tenta di raccogliere, per dar vigore al lavoro, ogni possibile sfumatura del termine "figata" che può starci in un album del genere. Anti e TLOP hanno seguito questa stessa linea. Ovviamente dischi di questa portata non possono fare a meno di pesi massimi come Timbaland e Madlib, ma la presenza di producer un po' più "di nicchia", come appunto Arca, Scum o Sinjin Hawke è significativa del fatto che grossi blockbuster di questo tipo stanno diventando la rampa di lancio per giovani talenti della produzione.

Vi perdoneremo se non riconoscete subito il nome del giovanissimo producer di cui vi parliamo oggi: si chiama Mitus, ha meno di 1000 follower su Soundcloud, ma a solo vent'anni ha già messo la sua impronta su “Goodnight Gotham” di Rihanna e “FML” di Kanye, il che lo rende corresponsabile di tanti futuri bambini concepiti in questo inizio 2016. Il suo sound è pieno di echi, rullanti crepitanti e crescendo distorti. In pratica è come se componesse i suoi beat, poi ci camminasse sopra, li incendiasse e poi rimaneggiasse quel che ne resta, mentre ancora è fumante.


La sua carriera, finora, è stata in salita vertiginosa. Basti pensare che il primo beat che ha venduto lo ha venduto a Rihanna, e il primo studio in cui è entrato è quello di Kanye. Il ragazzo ha fatto passi talmente giganti che, nei pochi giorni passati dalla nostra chiacchierata alla pubblicazione di questo articolo, mi ha scritto per dirmi che ha firmato per altre cinque tracce da produrre per G.O.O.D. Music.

Tutti questi riflettori sono nuovissimi per Mitus, tanto che mentre parlavamo non sembrava nemmeno consapevole del peso di ciò che gli sta succedendo, e mi ha raccontato fatti e opinioni con una libertà e un'onestà che è difficile incontrare in producer coinvolti a questi livelli. 

Volevo complimentarmi a voce con questo nuovo talentuoso beatmaker, quindi l'ho chiamato per chiedergli come gli vanno le cose.


Noisey: Hey Mitus. Hai passato un paio di mesi belli caldi, mi sbaglio?
Mitus: Puoi dirlo forte!

Come ci si sente ad aver messo il tuo nome su due delle release più importanti uscite finora nel 2016?
Mi sembra una figata. Chiaramente quegli album sono grossissimi e io sono estasiato da questa situazione. Cioè, il mio nome nei credits sta a fianco di quello di leggende viventi come Rick Rubin.

Quando hai cominciato a produrre?
Quando avevo tredici anni. Forse è strano da dire, ma ho iniziato a far musica a partire da lavori con i software e robe di programmazione che facevo. Poi ho scaricato una demo di FL Studio e ho cominciato a giocarci un po'. Ho fatto alcune robe e le ho buttate online. La gente ha iniziato a commentare con entusiasmo, quindi anche io l'ho presa un po' più seriamente. A quindici anni mi sono procurato un manager ed ecco come tutto è cominciato. Adesso mi sento tipo un trentenne ahah—anche se di anni ne ho venti. Il percorso non è stato semplice.

E come sei riuscito a collaborare con Rihanna?
È stato strano, onestamente. Non avevo mai venduto un beat prima, quello che ho dato a lei è stato il primo. Assurdo. Gliel'ho venduto per 18.000 dollari. Prima di allora non avevo tirato mai su nemmeno cento dollari con la mia roba. Avevo firmato un contratto un paio di anni fa e il mio agente è andato in studio con Rihanna e le ha fatto sentire i beat. Un paio di mesi più tardi mi è arrivata la notizia che era interessata ad una delle mie tracce e che mi invitava in studio con lei per lavorarci insieme. 

Wow, e com'è stato lavorare con Rihanna?
Ci credi quando ti dico che è la ragazza più dolce del mondo? Oltretutto è mega tranquilla.

Quanto tempo è passato?
La prima volta che ha ascoltato le mie tracce è stato a giugno del 2014, ma sono entrato in studio con lei nel gennaio del 2015.

Com'è stato dividersi lo studio con i tuoi idoli e con producer così rinomati?
Interessante. La prima volta che sono arrivato da Rihanna è stata davvero gentilissima con me, e meno male perché la situazione per me non era semplicissima da sopportare, ero molto nervoso. Poi è arrivato pure Kanye. All'inizio era stranissimo mettersi a discutere con loro, ma poi, le volte successive, mi ero già mezzo abituato alla cosa. Avevo i nervi a fior di pelle ma era tutto allo stesso tempo divertentissimo.

E come è successo che sei arrivato a lavorare con Kanye?
Il primo pezzo che ho dato a Rihanna era “Mitus Touch.” Forse te lo ricorderai—la gente si chiedeva perché fosse scritto male, non sapendo che in realtà era il mio nome. Il mio incontro con Kanye è avvenuto perché Riri aveva voluto quel pezzo nel suo album e Kanye ne aveva scritto la maggior parte. In pratica io e Kanye ci siamo conosciuto perché ha scritto sulle mie strumentali. Dopodiché mi hanno chiesto di fare altra roba per la sua label e poi dovevo stare pure sul suo album, ma non ho capito cos'è successo alla fine, ma non è andata così.

E come hai lavorato su “FML”?
Quel suono strano che senti lungo tutta la traccia è mio, e sono miei anche i rullanti e i bassi. Kanye ci ha messo il sample. Prima il pezzo era tutto diverso... Il modo in cui Kanye lavora è davvero super interessante. Riesce a scrivere quattro o cinque versioni diverse di un pezzo, con beat totalmente diversi. Il mio beat l'ha conquistato all'ultimo minuto. 

Quante volte sei stato in studio con lui?
Due volte: una con Rihanna e un'altra volta in cui sono stato a casa sua a lavorare per nove o dieci ore di seguito, è stata una figata te lo giuro. 

Com'è stato vederlo al lavoro?
Incredibile. Non so perché, non ero nemmeno nervosissimo. Di tanto in tanto mi fermavo un secondo e lo guardavo suonare. Era bellissimo. Kanye è il mio idolo. Penso molto spesso a quei momenti, ad essere sincero. Sa fare proprio tutto. Non delega a nessuno. Sono stato in studio con altri grossi producer in passato, e di solito hanno gli ingegneri del suono che lavorano per loro. Kanye no. Kanye fa tutto da solo. È fighissimo.

Siete anche usciti o solo studio?
Una volta abbiamo fatto pausa insieme, entra un tizio in studio e ci dice “Ora ci guardiamo questo film,” e lo mette su questa TV gigantesca. Era The Hateful 8 —ai tempi non era ancora uscito. Devo dire che mi è piaciuto molto, anche se stavo un po' su di giri in quel momento!

Qual è stato il momento più assurdo che hai vissuto in questi due anni?
Forse la prima volta che sono andato in studio con Rihanna. Suonavamo il mio beat e Kanye è entrato e ha iniziato a ballare. Sai quel balletto famoso che fa? Ecco, ha iniziato a farlo sul mio beat. Immaginati quanto stavo impazzendo, mi scoppiava la testa, ma cercavo di mantenere un contegno. Non sapevo nemmeno che sarebbe arrivato. Non me lo dimenticherò mai.

Incredibile. Con chi stai lavorando adesso?
Sto lavorando per Lorde, ma ho parlato anche con la label di Lady Gaga e con Beyonce—sono sicuro che stia prendendo in considerazione qualche mio beat. La cosa strana è che ho un po' di beat che se ne stanno in giro e passano per le mani di questi personaggi giganteschi, ma non so bene chi ha cosa. L'importante è che arrivino ai migliori. 

La lista che mi hai fatto è impressionante! Lavori anche a roba tua ogni tanto?
Chiaro. Quest'anno dovrebbe uscire un mio EP. Ora sul mio Soundcloud c'è un po' di roba nuova e a quanto pare sta andando bene. Sono tracce un po' diverse da quelle delle mie collaborazioni, ma è sempre roba mia che affiora, da qualche parte. In questo momento sto cercando di tenere in equilibrio il mio lavoro personale con le produzioni che mi vengono commissionate. Penso che il mio EP uscirà verso la fine di quest'anno.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Il nuovo video di Massive Attack e Young Fathers è una versione sci-fi di "Possession"

$
0
0

L'avete visto Possession, il film di Andrzej Zulawski? Se la risposta è no, andate subito a rimediare: il regista polacco è morto da una settimana e il minimo che potete fare per tributarlo è sapere chi era e che cosa ha regalato all'umanità. Ad ogni modo, ai fini di questo post vi basti sapere che il succitato capolavoro è un horror decisamente complesso, e non nel senso di "oh che palle non si capisce niente" quanto piuttosto di "oh mio dio sono troppo terrorizzato per fare i conti con le implicazioni di quanto sto vedendo". Ecco, dato che i Massive Attack, durante tutta la loro carriera, non sono mai stati tipi da visual leggerini e psicologicamente consolatori, hanno deciso di dare al loro brano composto e registrato coi Young Fathers un video che ricorda molto da vicino una delle scene del film.

La differenza principale è che c'è di mezzo quello che si direbbe a tutti gli effetti un robot alieno, ma che potrebbe benissimo essere un parto della mente della protagonista , simulacro della sua perdita di controllo. Lei, ci avrete fatto caso, è Rosamund Pike, mentre la regia è di Ringan Ledwige. La canzone che il video commenta, "Voodoo Is In My Blood" è una scultura di rime semi-grime, groove gotici e un gospel inquietante nel ritornello. Fa parte dell'EP Ritual Spirit, che potete comprare qui e che ha dentro anche collaborazioni con Tricky e Roots Manuva.

I due volti di Caneda

$
0
0

Di solito, per farsi un'idea di quello che un rapper rappresenta o propaganda, per capire il suo suono e in qualche misura stabilire se corrisponde a una necessità che sentiamo, ci basiamo sui suoi pezzi più noti. Questo non significa che si debba necessariamente giudicare un rapper dalla copertina, ma soltanto che non è dopo aver spulciato i B della sua produzione che decidiamo di scartare Moreno (tanto per fare un esempio comprensibile) dal novero degli esseri umani che avranno la possibilità di occupare parte dei megabyte disponibili nei nostri telefoni, computer o altri aggeggi in cui si conserva la musica.

A volte questo giudizio si riduce ad essere troppo sommario e quindi ci perdiamo per strada alcuni pezzi che potrebbero corrisponderci molto bene, ma nella maggior parte dei casi è necessario fare una cesura per evitare di doversi sucare una quantità di musica mostruosa lontana dai nostri canoni di gradimento.

Con Caneda questo giochino non funziona, mai. Immagino che ci sia una certa quantità di persone che conosce il rapper milanese solo per la sua strofa nel pezzo di Guè "Il Ragazzo D'Oro" o per quella in "Cioccolata" di Maruego, magari alcuni negli ultimi giorni hanno deciso di concedersi un po' di guilty pleasure con "UNPODI" e pensano che Caneda sia quella cosa lì.

Se un ascoltatore si basasse su quella parte della discografia di Caneda, quella che ha collezionato numeri e ascolti importanti, e si facesse cullare da qualche pregiudizio potrebbe pensare di avere davanti una roba ignorante, qualcosa a metà tra una specie di Rick Ross e uno Shade con qualche anno in più. Il che non implica (e nemmeno lo esclude) che Shade sia una robetta insapore fatta per attirare un pubblico di ragazzini senza alcun interesse ad andare oltre un mezzo video / mezzo freestyle / mezzo vlog su Facebook, ma semplicemente che la direzione discografica scelta è quella.

Caneda esce da questi canoni e, un po' come ha sempre fatto, anche in questo Mozart Nella Giungle Mixtape fa un po' a cazzi suoi. Nonostante il disco esca in free download per per Honiro Label (il cui roster al momento comprende Briga, Low Low, Mostro e altri rapper il cui pubblico di riferimento non sono sicuramente i trentenni) non si riesce bene a inquadrare a chi sia indirizzato questo lavoro, un po' come è sempre stato per Caneda.

Prima membro della Dogo Gang, poi vittima designata di una serie di storie spiacevoli che hanno coinvolto Marracash e il fu Odei Clan di Roma, l'unica costante della carriera di Cano è sempre stata fare a cazzi suoi, in una dinamica artistica che potrebbe essere ben rappresentata dal super-cattivo Due Facce, uno dei nemici di Batman. 

Giusto per capire in quale momento della sua carriera esce questo mixtape, si può provare a riassumere gli ultimi cinque anni della sua carriera, che hanno subito una svolta dopo la sua uscita dalla Dogo Gang, conseguente alla storia a cui abbiamo accennato poco più sopra (se siete in vena di gossip, approfondite pure, ma non qui). Negli anni successivi si dedica a un po' di progetti e suggestioni personali, mixtape e sperimentazioni su basi insolite, come si può ascoltare in alcuni brani di Ancora3cmdiossigeno (2012), Sinatra (2013) e Neda si sveglia a mezzanotte. Nel 2014 firma per la Newtopia di Fedez e J-Ax, con il secondo che non si fa problemi a definirlo un poeta, e probabilmente insieme a Dargen è uno dei compositori retoricamente più complessi che la storia del rap italiano abbia prodotto. Coperto da Shablo alle produzioni e Zangirolami (che, guarda caso, collabora con Dargen da anni) a mix e master nel 2014 pubblica La Dolce Vita, ancora una volta nella forma di mixtape.

Un altro salto e si arriva più o meno ai giorni nostri, in cui Caneda non compare più nella seziona roster del portale di Newtopia e un mixtape in più da aggiungere alla lista, Mozart Nella Giungla appunto, che è tutto tranne che un concept album e che è difficilmente indagabile fin dal momento in cui si apre lo .zip per infilarlo in iTunes o qualsiasi altro software capace di leggere file MP3. Per prima cosa mancano tutti i tag come titolo, artista o album, che non è così grave, ma che in qualche modo può rientrare in quello schema di dualismi a cui ho fatto riferimento prima, qualcosa del tipo Questa è la musica, pigliatela.

Musicalmente manca un filo conduttore e si passa da ballate hip-hop a episodi di suoni latineggianti (come in "Lau"), che probabilmente riprendono quella volontà di sperimentare su basi fuori dagli schemi, a volte forse troppo fuori dagli schemi (come  "Il Ladro Di Cuori") e i temi del mixtape sembrerebbero qualcosa di vagamente sentimentale, che viene poi spiazzato via dai seicente un po' di figa nella proto-hit "UNPODI".

Caneda, come già capitato nel corso della sua carriera resta indecifrabile, se lo chiedete a un suo fan vi dirà che è un genio, che dietro un pezzo che ripete un po' di figa per cinque minuti c'è una critica radicale e sofisticata, e magari è pure così, ma se lo chiedete a qualcuno che non lo sopporta vi dirà semplicemente che è il rapper più ignorante della scena. Quale sia la verità non ci è (ancora, e chissà se capiterà mai) dato di saperlo, quello che è certo è che questo mixtape, come altri della recente produzione di Caneda, non è indispensabile e in qualche senso manca di una soluzione di continuità tra le varie tracce, ma allo stesso tempo sarebbe un gravissimo errore non dargli la possibilità di un ascolto.

Mozart Nella Giungla Mixtape è disponibile in free download su Honiro.it


Club To Club e Noisey ti regalano Oneohtrix Point Never, Actress e Primitive Art nella Buka!

$
0
0

Club To Club ha definitivamente due case: da una parte Torino resta la sede storica del festival, dall'altra la sua presenza su Milano è già fortissima e, nel corso di tutto il 2016, si farà ancora più massiccia. Tra la versione primaverile C2CMLN, lo spinoff estivo con Festival Moderno e le varie #C2CPREMIERES che ancora ci aspettano, il takeover meneghino è davvero massiccio. Ovviamente c'è solo da gioire, però era da un po' che Club To Club non metteva piede nella Buka: da poco meno di un anno, dato che lo scorso aprile ci aveva portato Ben Frost, Andy Stott e Vaghe Stelle. Ci ricordiamo molto bene di quella serata e di quelle emozioni, dovute ovviamente alla line-up oltre che all'atmosfera incredibile del club-non-club di via Padova. Bene, è il momento di tornare. 

La data è venerdì 26 febbraio. L'occasione è il passaggio di Oneohtrix Point Never, del tour che fa eco all'ambiziosissimo Garden Of Delete, già manifestatosi live nella sala principale del Lingotto durante #C2C15: si preannuncia un'escursione tra apocalissi da cameretta, gonzo trance e power metal distopico. Ma c'è un altro grandissimo ritorno: Actress, che da qualche anno ha stambilito la regola che nessuna regola estetica è applicabile a lui e alla sua musica. Si fa vivo quando vuole, come vuole e col suono che gli pare, lasciando i più basiti e affascinati. Non sappiamo cosa aspettarci da lui, il che è un bene, e la stessa cosa potrebbe dirsi dei Primitive Art: anche per loro si tratta di un ritorno live dopo una lunga assenza, il che ci aggrada molto. Sul fronte dei DJ set, invece, si faranno vive due delle nostre DJ crew preferite: LSWHR da roma e Hencote/Henkot da mamma Milano.

Tutto questo ben di Dio è visionabile qui e acquistabile qui, ma il bello è questo: Noisey e Club To Club danno la possibilità di vincere un ingresso e insieme ad esso un kit comprensivo di maglia e borsa a tema "Saluti da Club To Club", scrivete una mail coi vostri dati ENTRO LE ORE 12 DI GIOVEDÍ 25 FEBBRAIO a festa@vice.com 

 

Gli italiani hanno davvero capito il rap?

$
0
0

Tyler The Creator intervistato da PTW. Foto via SCUSA.

Possiamo dire tranquillamente che nel 2016 tutti ascoltiamo rap. Pure io che dieci anni fa avevo i capelli lunghi, il pizzetto, mi mettevo le magliette dei Megadeth e storcevo il naso quando sentivo gli Anthrax su Bring the Noise coi Public Enemy (a proposito delle magliette dei Megadeth: in realtà ero solo arrivato troppo presto). Oggi il rap lo ascolta pure chi usa ancora il termine “indie” quando la gente gli chiede che genere fa col suo gruppo, pure chi commenta i post su Facebook di Vivo Concerti taggando gli amici. Oggi il rap lo ascolta pure chi mette la sessione privata su Spotify per “provare a capire perché la gente impazzisce per Fedez”. E lo stesso fenomeno accade a livello mondiale—non siamo lontani dal dire che oggi un certo tipo di ascoltatore rap è indistinguibile da chi fino a poco tempo fa era il target del pop super-mainstream. E questo non è affatto un male, anzi va tutto bene. Stiamo assistendo a un passaggio importante per la storia della musica: quella che trent’anni fa era una sottocultura nata dalla necessità di espressione artistica in un contesto violento e marginale, una sottocultura nata dalle difficoltà degli afroamericani, oggi è diventata mainstream. Anzi, oggi il rap è più forte del mainstream, del pop, delle chitarre, di qualsiasi altra cosa. L’unico problema, in tutto questo, sta nel modo in cui noi, che non veniamo da quella sottocultura e non abbiamo nemmeno idea di come sia toccarla da vicino, ne fruiamo in modo più o meno leggero. E banalmente non è soltanto una questione di cultura, ma innanzitutto di barriere linguistiche. Un ascoltatore di rap medio, con il suo inglese medio, non può percepire il rap come un suo equivalente americano o inglese. Perché? Ce lo spiega Paulo Freire, che è uno studioso dell’educazione brasiliano. Se non avete sbatti di leggere la citazione potete saltarla, ve la rispiego appena dopo.

L'educazione funziona o come strumento usato per facilitare l'integrazione delle generazioni più giovani nella logica del sistema presente nell'ottica di creare conformità o diventa una pratica di libertà, il modo in cui uomini e donne interagiscono criticamente e creativamente con la realtà e scoprono come partecipare alla trasformazione del mondo.

Queste parole vengono dalla sua Pedagogia degli Oppressi, un testo seminale nel campo della pedagogia critica. In pratica, secondo Freire, l’educazione scolastica, quella scritta, non serve a nulla se lo studente non sviluppa la capacità di porsi criticamente nei confronti della realtà in modo da metterla in questione e migliorarla in un’ottica collettiva e collaborativa. Che riportato al nostro argomento significa che, se mi trovo di fronte il testo di una canzone—rap, in questo caso—e non provo a comprenderlo criticamente, se me lo lascio scorrere addosso diciamo, non sto intraprendendo un processo di arricchimento personale. Questa acriticità semantica con cui approcciamo i prodotti culturali esteri ci porta probabilmente ad un maggiore coinvolgimento sonoro tout court: ci facciamo prendere dal beat, cantiamo il ritornello un po' a caso, sbiascicando sillabe. Ci divertiamo: Dess no mi, actinlaiaueismen dess no mi.

Ma ha senso che il rap americano e il grime inglese siano solo questo, nel 2016? Non è un po’ uno spreco fruire del loro ricchissimo linguaggio e del loro enorme potenziale sociale senza avere gli strumenti per applicarne il significato alle nostre vite o al contesto a cui si riferiscono?

Metto in chiaro che usando l’espressione “avere gli strumenti” non pongo una contrapposizione tra un pubblico “alto” e uno “basso”. Parlo in termini educativi/linguistici—e il problema, a questo livello, sta nel fatto che la tradizione dell’insegnamento delle lingue in Italia ha un approccio pesantemente grammaticale e poco pratico, e conseguentemente non calato in un contesto. Il risultato è che magari cinque verbi riusciamo a coniugarli, una mail di lavoro la sappiamo scrivere, ma a meno di aver avuto culo coi professori o esserci allenati in modo autonomo, se ci troviamo di fronte un madrelingua molto probabilmente ci caghiamo in mano a parlargli tranquillamente. Questo però meriterebbe una riflessione a parte. Per concentrarci su come questo gap si applica alla fruizione musicale, iniziamo dalle sculture di Rodin. Se me ne trovo di fronte una posso apprezzarla in quanto ho dei personali canoni di estetica. Ma sapere che le sue opere erano brutalmente crude, realiste e volutamente incomplete in un mondo in cui la scultura era decorazione, formula e allegoria le mette in prospettiva. Mi permette di addentrarmi maggiormente nel riconoscerne il valore e non solo spararmi una fotina e dire, “Ah, che bomba l’Uomo che cammina!”

#paris #art #museerodin #whatfranceis #lhommequimarche #nofilter #likeforlike

Mi sono lanciato in questo paragone figurativo soprattutto per poter citare What the Fuck Did He Say? Young Thug and the Abstraction of Rap, un pezzo di Brian Zarley pubblicato sul sesto volume della Pitchfork Review. Nel suo articolo, Zarley traccia un paragone sorprendentemente sensato tra la nascita dell’astrattismo a livello pittorico e il flow di Thugga. “Mondrian sosteneva che la sua ‘nuova idea plastica’ non potesse essere espressa tramite la rappresentazione, ma tramite i principi puri che la compongono: il colore e la linea”, scrive Zarley. Allo stesso modo, il potenziale rivoluzionario di Young Thug sta nell’essersi concentrato non sui parametri secondo i quali normalmente giudichiamo il valore di un MC—flow, vocabolario, retorica—ma sulla fonetica, sulla pronuncia. O, in altre parole, sul modo in cui usa i fonemi, “i principi puri” che che compongono il linguaggio. 

Il valore di Thug sta quindi nel fatto che le sue canzoni non parlano-di-qualcosa ma sono espressione astratta e fine a se stessa. Il suo ultimo singolo "F Cancer (Boosie)" è, a quanto traspare dal titolo, un omaggio all’amico Boosie Badazz, recentemente sopravvissuto a un cancro ai reni. Ma i riferimenti alla malattia si esauriscono nella prima riga del primo verso. “Fanculo il cancro, un saluto a Boosie”, dice Thugga, e nel giro di trenta secondi lo troviamo a sparare boiate tipo “Ho un sacco di ali che mi circondano il corpo”, “Sono Rey Mysterio, la mia vita su HBO” e “Sai che ho pane come un croissant”. Che cosa importa il contenuto quando è pronunciato in quel modo così fuori dagli schemi, così nuovo e strano che anche un americano medio fatica a comprenderlo ad un ascolto disattento? Basta guardare il processo di trascrizione dei suoi testi che scatta su Genius ogni volta che esce un suo nuovo brano per rendersi conto di come diverse interpretazioni si sovrappongano nella ricerca di un significato comune. Il punto è che non c’è la necessità di trovarne uno.

Ora, se in Italia chi normalmente ascolta rap—dal ragazzo che sta al centro sociale a fare freestyle cercando di diventare il nuovo Kaos, ai pischelli che vanno a vedere Moreno quando firma le copie del disco all’Auchan di Cesano Boscone—si ascolta Young Thug, probabilmente non lo fa per apprezzare le sue sfumature di pronuncia. Gli piace la musica, così come qualche parte del testo, e probabilmente si gasa a sentire il ritornello di Check e ride ogni volta che Thugga dice SHEESH! perché gli viene in mente Matteo Renzi che prova a parlare inglese (viene in mente anche a me, purtroppo).
In breve: per il modo in cui generalmente siamo abituati a percepire la cultura estera—sempre doppiata, sempre italianizzata, riadattata secondo i nostri standard—non ci è immediato comprendere il significato di una canzone rap non italiana, quindi non è possibile il più delle volte cogliere le stratificazioni di questo genere tutt'altro che semplice.

Questa non-astrazione del linguaggio del rap si nota nel momento in cui i media musicali mondiali si concentrano a decifrare e speculare sull'universo linguistico e fonetico dada di Young Thug, mentre qui da noi ogni tentativo di allontanarsi dalla linea semantica classica, come quello di Bello Figo Gu, viene liquidato come parte di quell’orribile filone chiamato LOL RAP. Che poi sia vero o no, è comunque assurdo che non ci rendiamo conto della particolarità del suo universo linguistico e del parallelismo con quanto avviene all'estero. Anche Bello Figo non usa solo lemmi esistenti e ha i suoi neologismi: facciaml, bonegiare, minghie, felicio. Anche Bello Figo si lancia in metafore e paragoni praticamente insensati in cui è il suono e non il significato ad acquistare importanza. Se fosse solo un povero coglione buono per due risate, perché molti rapper italiani più che rispettati non si fanno problemi a sostenerlo e, anzi, a seguire indirettamente le sue orme? Perché non è scomparso come i vari TruceBaldazzi e compagnia bella? Ora, Bello Figo vuole far ridere, e non è che abbia automaticamente il valore di Thugga – ma i paragoni ci sono, ed è divertente ascoltare, per dirne una, "Mussolini" pensando a cosa sarebbe successo se Gu fosse nato a Little Mexico, dall’altra parte dell’oceano.

A Little Mexico non ci è nato Bello Gu, ma Future, che è un altro al centro delle polemiche sulla de-semantizzazione del linguaggio nel rap: un flow fatto di parole mezze mugugnate, annacquate e ripetute fino all’ossessione che sicuramente dà fastidio ai maestri della tecnica e del flow. 

L'impressione è che noi, che rimastichiamo quanto arriva dall'estero in maniera distratta, ci perdiamo alcune sfumature essenziali di un gioco che non solo ha importanza a livello musicale, ma sta travalicando all'ingerno del sociale e del politico, in alcuni casi. 

Pensiamo all'immagine di Thug, alla volontaria de-machizzazione che promuove vestendosi da donna ad Atlanta, in una scena decisamente maschio-centrica come quella trap: non è nemmeno la scelta degli abiti, ma il luogo, il contesto sociale e il rapporto con i suoi predecessori che rendono importante una banale scelta di abbigliamento. Nel momento in cui in Italia la stessa de-machizzazione viene riproposta da Achille Lauro, ecco che di nuovo rischia di ricadere nello sfottò. Lì ci sono ragazzini e ragazzine seriamente influenzati da questo cambio di traiettoria, qui è qualcosa di divertente e strano, è un gioco che al limite porta come risultato che un paio di major mettano sotto contratto giovani tamarri di Vimercate. 

Avvicinandoci al rap come mero prodotto commerciale, perdiamo di vista l'enorme impatto sociale che alcuni personaggi stanno avendo nella storia degli Stati Uniti, ci sono battaglie in atto che, come spesso succede, ignoriamo perché la nostra non-cultura mediatica le tiene lontane da noi. L’esempio più lampante del 2015 è stato To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, un concept che (prendere il respiro) parla di depressione, afferma fragilità in una scena in cui fare il duro è linfa vitale, intavola un discorso sulla pace tra gang in nome di una comune identità africana discesa dagli Zulu, passa per un’aspra critica delle violenze della polizia nei confronti della comunità afroamericana, si concentra sulla parziale ipocrisia della stessa nel reagire alla cosa per concludersi con una semi-identificazione di Lamar nella figura di 2Pac (espirare). 

Questi numerosi livelli di significato che molti ignorano hanno invece una ricaduta pratica semi-immediata sulla società. "Alright" è diventata un canto di protesta nel giro di qualche mese dall’uscita dell’album. Noi, che oltre a stare dall'altra parte del mondo abbiamo anche uno sguardo terribilmente parziale, per avvicinarci almeno a uno di questi livelli dobbiamo prenderci almeno un pomeriggio per studiare su Genius il testo di "King Kunta", capire chi era Richard Pryor e che senso ha la patata dolce nella cultura africana. 

Un altro grande spartiacque che una maggiore comprensione immediata della lingua e un conseguente approccio critico facilitato ci aiuterebbe ad identificare sta nella contrapposizione tra bragging e umiltà. Bragging è “tirarsela”, “fare i grossi”, ma suona meglio in originale. Il concetto di indipendenza è una pietra miliare tematica del genere, indipendentemente dal livello di penetrazione nella cultura dominante dell’artista—dal Voi non siete come noi dei Dogo ad Egreen che se ne va da Unlimited Struggle e se ne esce con il livore di Beats & Hate. C’è però una tendenza a sviluppare questo concetto in due modi contrapposti. Da un lato, l’ormai generico approccio massimalista. Chiediamo a Drake: Started from the bottom now we here, e poi I got a bigger pool than Ye and look man, Ye’s pool is nice, mine's just bigger's what I’m saying. Dall’altro, esiste un modello che trova orgoglio nell’evitare i denti d’oro, i party di Philipp Plein e un proprio brand di cartucce per il vaping. Il punto è che rischiamo di non renderci conto di quanto questo approccio culturalmente sano, marcatamente politico e potenzialmente rivoluzionario stia già penetrando nel profondo del mondo-che-parla-inglese, mentre la cosa più teoricamente “politica” che abbiamo noi a livello di “rap” mainstream è Fedez. 


[un ringraziamento speciale alla redazione de Il Fatto Quotidiano]

Oltremanica, i Boy Better Know (e Stormzy, e Novelist, così come un sacco di altri) stanno proponendo un modello di rap sostenibile, DIY, schierato e con una risonanza mediatica non indifferente. L’esempio più lampante sono i fratelli Adenuga, Skepta e Jme, le due figure principali dei BBK. Entrambi fanno gli MC da più di dieci anni, entrambi hanno iniziato a farsi sentire fuori dalla scena grime a partire da "That’s Not Me"—probabilmente il loro pezzo più famoso, una di quelle canzoni che chiunque, nel Regno Unito, ha almeno sentito una volta. E la cosa particolare è che il successo non è arrivato con la CoCo o i meme o le vocine autotunate, ma con un pezzo effettivamente e letteralmente grime: sporco, grezzo e minimale, e un testo che va contro il modello dominante di rapper famoso che l’industria e la scena in gran parte auto-perpetuano. “Ti scopi qualsiasi tipa? Non sono io. Limoni qualsiasi tipa? Non sono io”, dice Skepta nel ritornello. “Sì, un tempo vestivo Gucci / Ma ho buttato via tutto perché non sono io. Vero, una volta vi assomigliavo / Ma vestirmi a cazzo? No, non sono io.” Versace Versace Versace Versace chi? E simili proclami di indipendenza, dichiarazioni stile ce-l’ho-fatta (ma per davvero) sono onnipresenti nella stragrande maggioranza della produzione di entrambi. 

Il successo che Skepta ha avuto nel 2015 con la forza, praticamente, di tre pezzi ("That’s Not Me", "It Ain’t Safe" e "Shutdown") è incredibile. Era sul palco assieme a Kanye West quando questo ha presentato per la prima volta "All Day" agli scorsi BRIT Awards (e con lui Jme, e Stormzy, e Novelist, e un sacco di altri giovani rapper londinesi, e due lanciafiamme). Ha fatto concerti in tutto il mondo, ma sempre con un’umiltà clamorosa. A tal punto che, a New York, il nostro è andato a fare freestyle per strada e a regalare copie del suo mixtape. Drake è uscito di testa e si è tatuato “BBK” sulla spalla. E tutto questo senza un album, senza un ufficio stampa, senza un’etichetta – dato che a gestire tutte le cose di BBK ci pensa Jme, che è ugualmente entrato nella coscienza musicale collettiva d’oltremanica con il suo ultimo album Integrity>. Il suo è stato un “farcela” meno clamoroso di quello del fratello, ma un perfetto completamento del suo messaggio. Mentre Skepta propone a livello mondiale una coerente dichiarazione di umiltà, Jme fa la stessa cosa applicandola a livello pratico e locale, regalando copie di Integrity> in cambio di carte dei Pokémon e andando a regalare di persona una Playstation 4 a un fan.

L’importanza di comprendere questi modelli è enorme. Perché possiamo tranquillamente andare avanti a cantarci iteinseif ondeblo, notivenfodecops lungo il Naviglio Pavese, ma intanto chi da noi fa rap portando un messaggio veramente politico e anti–ostentazione resta ben lontano dal poter raggiungere il potenziale eco che i suoi colleghi londinesi hanno invece creato. E questo per la quasi-assenza della coscienza critica da cui abbiamo iniziato. La cosa strana è che ce li abbiamo eccome, i nostri esempi di esperienze rap con potenziale di miglioramento sociale. Per intenderci: non Gué che fa il pezzo sull’Italia cattiva dicendo “come mai l'epicentro del terremoto non è mai a Montecitorio”. Altra roba—che però o si è persa con gli anni per personale evoluzione dell’artista in questione, o rimane in una nicchia, o sembra avere un potenziale ma si perde nella banalità. Facciamo qualche esempio. 

Via: Dargen D’Amico. A me piace "Bocciofili", molto, così come tutto Vivere Aiuta a Non Morire. E sono piuttosto sicuro che se Dargen avesse voluto inserire ragionamenti sul sesso e l’accettazione di sé come quelli che ha fatto in "The Sleepy Molotov (Analità universale)", "Lo Amore Per Tutti" o "Di vizi Di Forma Virtù" (la canzone) nel suo album più pop e più ampiamente pubblicizzato tra i media italiani avrebbe potuto benissimo farlo. Non siamo ai livelli di, chessò, Le1f, ma Dargen è stato ed è una figura rivoluzionaria per il modo in cui gioca, tra le varie cose, con IL SESSO in una società pesantemente portata a farne molto, e pure a farlo strano, senza però farlo sapere a nessuno e pronta a tirare su un’indignazione viscerale ogni volta che si parla apertamente di coito non-riproduttivo, e magari non eterosessuale. 

Riprendendo i pezzi citati prima, in ordine, D’Amico ha scritto di 1) quanto sia normale e bello essere pelosi 2) quanto sia normale e bello scopare liberamente, in tutti i modi, con una varietà di posizioni e incastri che mancava nella cultura italiana da quel bellissimo passaggio sull’accoppiamento ne La Vita Agra di Bianciardi 3) quanto sia normale e bello non essere sicuri del proprio orientamento sessuale. E poi chissenefrega se sono solo parole o se è davvero l’esperienza personale dell’artista, l’importante è il messaggio che arriva e la conseguente ricaduta pratica, l’arricchimento personale dell’ascoltatore, il passaggio di un’idea su cui ragionare. Però ora il regazzino-tipo si prende bene se sente le parole “Esci quelle bocce che le voglio / Cospargere con l’olio”, non “Però anche il tuo uomo è messo ok / In quanto a glutei, entrambi vi farei”. Anche in questo caso, come per Achille Lauro che si veste da donna, il messaggio rimane sempre confinato a una nicchia, per gli altri la portata è solo LOL.

Un altro messaggio vittima di questa nicchia è quello del TruceKlan: i loro pezzi sono spesso onesti e potenti spaccati di disagio sociale, potenzialmente in grado di introdurre argomenti scomodi come i diritti umani nelle prigioni e la marginalizzazione dei problemi delle periferie. E sono, in più, pieni di mazzate al clero e di riferimenti a cose splatter. Il risultato (e in parte la realtà) è quindi che i vari “Sparo sangue quando piscio / Scambio Satana per Cristo” possono prendere il sopravvento sui “Prego pe’ i pischelli sotto chiave”. Quando Chicoria va in TV a parlare di droga con Giovanardi non viene visto come una persona che ci è passata in mezzo e parla con cognizione di causa, ma solo come un debosciato che bestemmia nei suoi pezzi. Che poi Chicoria È un debosciato che bestemmia nei suoi pezzi, ma il valore della sua musica e della sua opinione nasce proprio dalla sua esperienza di vita e dal suo essere la persona che è.

...aka il nostro eroe. 

La nostra perpetua travisazione della cultura estera ha, tra l'altro, come conseguenza l'appiattimento delle distinzioni, laddove andrebbero fatte: non è citare il Parlamento, non è andare sul palco di Sanremo e sbraitare WAKE UP GUAGLIU’. Ogni livello del nostro sistema educativo, dalle scuole ai media, dovrebbero rendersi conto di quanto siamo lontani dal resto del mondo. Mentre negli Stati Uniti Kendrick stringe la mano a Obama e Killer Mike accompagna la campagna elettorale di Sanders, qui la maggiore interazione tra politica e rap è Giovanardi che chiama Fedez "Coso Dipinto" e Fedez che in tutta risposta nomina così l'edizione deluxe del suo album.

La possibile soluzione a questo ritardo culturale sta nell'educazione. Al punto dell’evoluzione umana e sociale in cui siamo arrivati, “formare” deve significare soprattutto comprendere con cognizione di causa le complessità del mondo, dell’arte e della cultura in un’ottica di arricchimento personale e reciproco, ma soprattutto attuale. Se non riusciamo a percepire le possibili ripercussioni del rap, ma più in generale della musica, dell'arte, sulla realtà è perché nessuno ci insegna che è così che si fa oggi, è così che si parla ed è così, in parte, che si combatte per cambiare le cose. Se non ci allineiamo realmente a quello che succede all'estero, non rischiamo solo di non comprendere seriamente il rap, ma rischiamo di continuare ad avere una distanza incolmabile tra la strada e la politica, e non avremo certo un nostro Kendrick come colonna sonora alle lotte sociali. Dovremo accontentarci di marciare sulle note di "Fischia il Vento". 
 

Elia scrive per Rumore e gestisce il sito Traduco Canzoni. Non usa mai Twitter, ciononostante eccolo qua: @elia_alovisi

 

Abbiamo scoperto il significato segreto di “Blue (Da Ba Dee)”

$
0
0

Tutte le immagini via YouTube.

Il mondo era in bilico su un baratro con tutte le aspettative del nuovo millennio che lo sbilanciavano sempre più verso il precipizio di quel 2000 che doveva portarci le macchine spaziali e altre figate tecnologiche. Ben presto le aspettative hanno iniziato a confrontarsi con la realtà, e il nuovo millennio si è rivelato per ciò che era: una fonte di grande disappunto giorno dopo giorno. La cosa più eccitante dal punto di vista tecnologico, se escludiamo Napster che ha trasformato la musica in un bene potenzialmente gratuito, era un virus pronto a distruggere internet e che alla fine si è rivelato innocuo come quelle pandemie che esisono solo nei telegiornali e in un paio di aeroporti in Madagascar. Non era facile trovare un anthem, un inno adatto a descrivere quelle sensazioni e quell'epoca, qualcosa che riflettesse in musica la crescente cyber-dipendenza da caffettiere automatiche e nuovi social network in cui postare/modificare/condividere per pochi minuti fotografie brutte. Qualcosa che fosse in grado di descrivere quel sentimento di crescente apatia e inesplicabile tristezza. Serviva qualcosa in grado di raccontare pienamente le possibili sfaccettature del futuro, ma che non si allontanasse troppo dal presente piagnucoloso. Servivano gli Eiffel 65.

Ripensare alla loro canzone più famosa oggi, in retrospettiva, ci fa accorgerere che ha afferrato alla perfezione lo spirito di quei tempi. Quel pezzo è riuscito a raccontare benissimo la nostra generazione, marcita fino a compiere trentacinque anni mentre continua a considerarsi adolescente. Una generazione il cui futuro è diventato passato, proprio mentre era lì ad aspettare quel futuro, quello che i film e i libri le avevano promesso. Potrebbe suonare come un pezzo euro-dance da dimenticare e condannare all'oblio, ma la verità è che era qualcosa di più, perché è stato capace di descriverci. La verità è che eravamo tutti blu, da ba dee, da ba die.

Iniziamo a indagare il testo di "Blue (Da Ba Dee)", a partire dalla strofa di apertura:

"Yo listen up here's a story,
About a little guy that lives in a blue world,
And all day and all night and everything he sees,
Is just blue like him inside and outside."

È importante capire subito le molte sfaccettature che la parola "blue" può rappresentare in questo testo. Sarebbe un errore pensare che il cantante degli Eiffel, Jeffrey Jey, si riferisse al termine "blue" nella sua sola accezione di colore. Anche se il video contiene effettivamente dei piccoletti blu (ne parleremo in seguito), è possibile leggere molto di più nelle parole di Jey. Se iniziamo a considerare la parola "blue" con significato di triste o depresso, allora il verso di apertura si trasforma in un macigno pesante che soffoca l'esistenza moderna, votata al consumo sfrenato. Attenzione a quel "everything he sees (is blue)", come se il mondo stesso, non la sua anima, fosse inquinato. Il mondo freddo, spietato e blu, che ci congela all'esterno e all'interno.

"I have a blue house with a blue window.
Blue is the colour of all that I wear.
Blue are the streets and all the trees are too.
I have a girlfriend and she is so blue."

È doveroso notare quanto l'omino blu stia proiettando la blueness della sua esistenza su tutti gli aspetti materiali della vita. La sua casa, i suoi vestiti, ora è tutto blu, proprio come la sua finestra sul mondo. Questa figura retorica è molto evocativa e ci fa capire che se le finestre della tua casa sono di un colore, allora tutto ciò che vedi attraverso assumerà quel colore, in questo caso il colore della tristezza. L'omino ha anche una fidanzata e pure lei, probabilmente contagiata dalla sua negatività, è diventata blu.

Al di là del testo, vale anche la pena di considerare il video ufficiale di "Blue (Da Be Dee)".

Screen Shot 2016-02-09 at 12.30.27.png

Il video inizia con i componenti degli Eiffel 65 e i loro faccioni in diretta su degli schermi semoventi che lasciano poi il posto al vero protagonista della canzone: l'omino blu, ovviamente. Il significato di quegli schermi televisi è, chiaramente, di libera interpretazione, ma non è folle pensare che potrebbero in qualche modo stare a significare il senso di oppresione e inquadramento che provoca l'attenzione dei media.

Screen Shot 2016-02-09 at 12.37.47.png

Curiosamente, nonostante il chiaro sottotesto socio-politico delle liriche, il video si limita a rappresentare la blueness del metaforico omino blu nella forma di alcuni veri e propri omini blu. Il significato narrativo di questi alieni rimane poco chiaro per tutta la durata del video e a un certo punto i membri della band ingaggiano anche una specie di gara di velocità con gli alieni, che in altri frangenti si limitano a guardarli suonare la loro canzone e/o rapirli per poi provare videndevolmente a togliersi la vita. Il video è pieno di scene inspiegabili, come questa ad esempio:

Screen Shot 2016-02-09 at 12.52.59.png

All'interno di quella bolla c'è intrappolato Jeffrey Jey.

Screen Shot 2016-02-09 at 12.54.20.png

Mentre in questo frame un altro membro degli Eiffell 65 sta sparando un raggio (blu) di elettricità contro uno degli alieni blu con l'obiettivo di ammazzarlo.

Screen Shot 2016-02-09 at 12.56.34.png

Screen Shot 2016-02-09 at 12.57.04.png

In uno degli ultimi frame c'è questa scritta PLEASE COME BACK, particolarmente inspiegabile se si considerano i numerosi atti di violenza, tentativi di rapimento e attentati alle rispettive vite che sono stati perpetrati nelle scene precedenti. La scritta è blu, per i motivi che ormai avete facilmente intuito.

È importante a questo punto segnalare che gli alieni blu del video possiedono un loro sito web ufficiale. In accordo con la letteratura presente in questo sito, che è sostanzialente un breve racconto a partire dagli eventi del video, la storia è che uno degli alieni blu—uno scienziato molto rispettato tra gli abitanti del suo pianeta Natale di nome Zorotl—decide di rapire Jeffrey Jey per carpire da lui il potere della sua musica. Comunque, ciò che Zorotl non tiene in conto nel suo piano è l'estrema fedeltà degli altri membri degli Eiffel 65 a Jeffrey Jey, che infatti si mobilitano immediatamente per andare a salvarlo. Ciò che viene spontaneo chiedersi è quale tipo di persona abbia deciso di dedicare una percentuale del tempo a sua disposizione da vivo per scrivere una fan-fiction basata sul video di "Blue (Da Ba Dee)". Chi è che si è sentito così emotivamente coinvolto dai 3 minuti e 39 secondi del video da sentire l'esigenza di mettere insieme un paragrafo di questo tipo:

"I 3 umani chiamati Eiffel 65 hanno intercettato le trasmissioni della Star Ship di Zorotl, il quale ha pronunciato nella loro lingua le seguenti parole: "Siamo generalmente esseri pacifici e siamo innamorato dell'Arte-Scienza che voi chiamate Musica. Con il vostro aiuto ci piacerebbe impararne le regole e, per meritarci i vostri insegnamenti e mostrare le nostra buona intenzioni, se lo permetterete io stesso, Zorotl, vorrei salire sul palco insieme a voi per cantare la vostra canzone "Blue", insieme. Come gesto di amicizia."

Forse non sapremo mai perché cazzo qualcuno abbia scritto questa storia, ma una cosa è sicura: l'autore era risolutamente consapevole che dietro questa canzone si nasconde una molteplicità di significati di difficile interpretazione, di importanza universale.

Il loro impegno gli è valso di aggiungere qualcosa alla tradizione di una canzone che siede a metà tra "Hey Baby" di DJ Otzi e "Cotton Eye Joe", una canzone capace di evocare mille anni di confusione storica e anti-climax. Una canzone che ha dato un calcio nel culo a "Mambo No.5" in ogni classifica sensata, che nel tempo è diventata il più grande successo della storia della musica italiana in territorio statunitense.

Non permettete a nessuno di sostenere che questo pezzo di euro-dance sia spazzatura, o pop scadente e di cattivo gusto. È un inno alla nostalgia eterna, alla sensazione di solitudine che in qualche modo di lega tutti quanti. È Derek Jarman con una grancassa. Questa è la nostra storia, siamo tutti omini blu, seduti nelle nostre case blu a guardare un mondo blu attraverso le nostre finestre blu, da ba dee. Da ba die.

 

Bok Bok ha lanciato una nuova serie di mix intitolata "Essentials"

$
0
0

Il mercoledì è un giorno di merda, che riusciamo a portare a termine solo grazie alla caffeina e quel che rimane dei nostri istinti di sopravvivenza, con un'irrefrenabile bisogno di inforcare le cuffie e dimenticare dove siamo per almeno un'ora. Bok Bok deve avere ben presente quella sensazione, perché ha appena caricato un nuovo mix che dovrebbe essere il primo di una nuova serie intitolata Essensials, con relativo sito dedicato.

Il primo episodio vi porta via dalla grigia vita lavorativa e vi trascina su un immaginario dancefloor, regalando una gemma da dancefloor spaccatutto dopo l'altra (tipo il suo remix strumentale di "Lean and Bop") a fianco di varie morbidezze R&B, legate ovviamente da tutto quello che ci sta in mezzo. Ne arriveranno molti altri nei prossimi mesi, ma per ora respirate un po' di ossigeno con questo primo Essential.

A proposito, se volete sentirvi Bok Bok su un vero dancefloor, potete andare questo sabato alla festa di Super a Milano, con Fatima Al Qadiri, Abra e Giorgio Di Salvo.

Il black metal psichedelico degli Oranssi Pazuzu è tornato

$
0
0

Photo by Pauliina Lindell

Questo venerdì, i finnici Oranssi Pazuzu metteranno in circolazione il loro quarto LP, Värähtelijä. I fan della musica estrema più ostica e ipnotica saranno comprensibilmente eccitatyissimi all'idea. Gli OP sono una delle band più interessanti del metal contemporaneo e questo nuovo album si prospetta come una bella rinfrescata al loro sound, già ricco dininfluenze strane, psichedeliche e sperimentali. Esce grazie agli sforzi combinati di 20 Buck Spin e Svart, che sono a loro volta tra le label che rilasciano la musica pesante più fica, mentre noi vi regaliamo la premiere del loro nuovo video "Lahja".

Il pezzo è un trip auditivo, per cui è ovvio che ci voleva anche un trip visuale, un rito iniziatico che fa diventare il mondo prima tutto blu e poi tutto rosso.

Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>