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Il video di "Worth It" di Young Thug è super sexy

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Ti chiedi mai cosa faranno le star mondiali per San Valentino? Be', Young Thug ha deciso di rispondere alla tua domanda. Nel nuovo video di "Worth It", Thugger è con la sua ragazza, Jerrika Karlae, e i due rotolano tra le lenzuola, limonano, dipingono casa, fanno quello che fanno gli adulti che hanno una relazione e un sacco di soldi. La canzone ha un suono da coppia, con il suo beat lento e sensuale e Thug che rende la sua voce più vellutata possibile.

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Nex Cassel: Tutti i colori del "Rapper Bianco"

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Nex Cassel. Foto di Alberto Pepe.

“Sono d’accordo sul fatto che Rapper Bianco sia il mio disco d’esordio in pratica. Quando faccio un disco diciamo che la roba che davvero che m’interessa sia quella di fare un classico, il mio classico.”

Nex Cassel pare avere le idee serie sul suo rap e sul rap in generale. Dopo aver ascoltato praticamente in loop il suo disco, a questo punto, d’esordio, che arriva dopo vari mixtape e Come Dio Comanda, progetto dal passato burrascoso, specie post-release, l’ho incontrato nel luogo in cui tutto ciò è cresciuto e infine perfezionato, il Bande Nere Records, per parlare di Rapper Bianco, ma non solo.

“Penso che pochi gruppi abbiano più di un classico, non parlo solo di rap. Quello che sto cercando di fare io è cercare di fare il mio disco, in questo senso. Fare già solo una pietra miliare, sarebbe un ottimo risultato. Non so se con questo ci sono riuscito perché fino a che il disco non esce e poi passa un po’ di tempo non riesci a rendertene conto. È una cosa che puoi capire solo quando il disco ha una vita propria. Poi difficilmente sono soddisfatto di ciò che ho fatto prima di mettermi al lavoro su qualcosa di nuovo, allora riparto come se dovessi fare un esordio e una pietra miliare.”

Il lungo periodo, tra l’altro, sembra essere proprio la dimensione del disco del rapper veneto, un disco che può solo che invecchiare bene, data anche il lavoro intensivo ed estensivo di ricerca che c'è stato a monte: “Diciamo che ascoltando rap da parecchio tempo tendo a pensare più in lungo. Calcola che per fare questo disco abbiamo fatto qualcosa come sessanta tracce, magari ce n’erano anche di più fighe o che erano più immediate, ma qua anche quelle più semplici sono state messe apposta all’interno del disco perché sono tracce che secondo noi possono reggere la distanza, abbiamo pensato più all’insieme, uno sguardo da lontano.”

Come si diceva, il disco è cresciuto e perfezionato nello studio milanese di Nex Cassel e St. Luca Spenish, ma la sua genesi è davvero lontana, non solo geograficamente. Nel disco c’è una forte matrice, per così dire, religiosa:

“Quando siamo andati in Sicilia per la lavorazione di questo disco in realtà volevamo fare un disco psichedelico con tematiche, appunto, religiose o comunque esoteriche, usare quel tipo di immaginario per fare delle rime. Quindi ci siamo anche immersi in letture di questo tipo e abbiamo prodotto un disco tutto con quel mood, pensa a “Il Figlio del Padre”, tipo “Leggenda”. Poi quando abbiamo finito quel lavoro ci siamo resi conto che un disco del genere potesse essere un po’ ostico, così ci siamo rimessi daccapo, salvando alcuni pezzi, in realtà rimaneggiati. Qualcosa di quel periodo è rimasto, più nei featuring forse, come quello che ho fatto nel disco di Johnny Marsiglia e Big Joe [Fantastica Illusione ndr], o in quello di Cali. Poi un’altra cosa che ci ha fatto desistere è anche che questo tema fosse un po’ inflazionato nel periodo in cui poi saremmo voluti uscire, penso a The Equinox Of God di Lil Pin o Dio C’è di Achille Lauro.”

“Comunque abbiamo ancora tutti i provini... Quando avremo tempo, tireremo fuori queste cose. Dovremmo prendere in mano tutto quanto, forse ri-registrarlo, mixarlo.”

Ma probabilmente le divagazioni distraevano Nex e soci dall'obiettivo di tirare fuori un album diretto, semplice, come la sua copertina e il suo titolo, in bianco e nero, Rapper Bianco, come se fosse necessario, per poter divagare, liberare la rampa di lancio e renderla più liscia possibile.

“Così, invece di fare un album particolare come quello concepito inizialmente, abbiamo deciso di farne uno che fosse 100% rap, a partire dal titolo. Abbiamo preferito non fare qualcosa di "strano" per forza, nonostante ci sia qualche divagazione tipo “Il Figlio del Padre”. Mi sembra che siamo riusciti nel nostro intento, comunque: scrivere un disco vario, ma che sia tenuto insieme dal mood un po’ cupo e negativo che caratterizza tutto quanto.”

E in effetti l'album, nonostante le variazioni sul tema portante siano frenate, contiene paesaggi sonori così diversi fra loro, ben rappresentati dai singoli usciti finora: si passa da quella che potremmo definire trap al rap classico, fino a suoni più hardcore, tanto che, durante l’ascolto, si ha quasi l’impressione di trovarsi davanti a un vero e proprio showreel delle capacità tecnico-stilistiche di Cassel:

Ed è anche per l'estrema commistione di generi che lo rende un album difficile da collocare in un anno o in un periodo preciso

“A proposito di sonorità vecchie e sonorità nuove: quel tipo di sound "old school" che abbiamo usato è tornato di brutto. Oggi è quasi più innovativo fare una traccia breakbeat rispetto alla roba trap. Nel nostro caso, comunque, abbiamo preso il basso dell'808, l'abbiamo tenuto altissimo, cioè abbiamo mixato tracce dal sapore anni Novanta in modo completamente diverso da come le avrebbero mixate negli anni Novanta.”

Questa continuità/discontinuità col passato è un tema che torna anche nel disco, per esempio nel featuring con E-Green, che sputa sul microfono: “mo' fate i real dopo Badass ma con me non attacca”.

“C’è stata un po’ una moda di dire “No, io mi ascolto Joey Badass”. Io sono abbastanza fan di Badass, però il primo disco era troppo citazionistico, sembrava un disco proprio fatto in quegli anni là, secondo me va bene rimaneggiare le cose, però devi aggiungere qualcosa che non c’era una volta. Puoi fare un film in bianco e nero al giorno d’oggi, però non può sembrare un film di Charlie Chaplin. Io per esempio ho fatto una copertina in bianco e nero, però ho messo la scritta colorata, sennò sembrava che non avessimo i soldi per la cartuccia. Invece no, l’abbiamo fatta in bianco e nero perché ci piaceva in bianco e nero.”

Dato che stavamo parlando di immaginario e contesto, ho pensato che Charlie Chaplin e il bianco e nero fossero un buon ponte per passare a discutere di infuluenze musicali. Mi incuriosiva molto sapere da quali ascolti fosse partito Nex Cassel per arrivare ad una così ampia gamma di risultati, se ci fosse più trap che rap vecchia scuola o viceversa. Mi risponde che non vuole rivelare nel dettaglio le sue influenze, “perché sennò poi gli altri le vanno ad ascoltare [ride]. Certa gente dice “Incredibile, fai veramente del rap sopra la trap”, per me è normale rappare sopra la trap, non è che bisogna per forza cantare con l’autotune sopra la trap. A me per esempio piace Young M.A., che è di Brooklyn, e rappa sopra la trap, ma molto normalmente, molto tranquillamente."

La tecnica mista che contraddistingue Cassel è forse uno dei tratti che lo differenzia maggiormente dal resto del panorama hip-hop italiano: non sta totalmente da una parte, né dall'altra, mischia "roba pseudo-trap con della roba più classica, perché magari al posto di mettere dei suoni elettronici ci abbiamo messo dei pianoforti o dei campioni filtrati, per cui si riusciva ad accostare. Adesso fortunatamente va anche questo tipo di trap grezza con i campioni, infatti non so nemmeno se sia giusto chiamarla trap."

Mi racconta poi di come probabilmente una delle influenze sia anche il rock, quello progressivo, strumentale. "Anche il look, se vuoi, è un po’ rock. Siamo amanti delle patch, sulla mia giacca trovi patch fatte da noi o dagli amici nostri, ne abbiamo anche fatta una proprio per l’uscita del disco. Poi l’ambiente rock è figo, perché, essendo un genere più datato, ti confronti con gente più vecchia, mentre alle serate rap, a volte, è invivibile."

Gli chiedo se non gli sia mai capitato di farsi una serata interessante, ultimamente, nel giro hip-hop, e mi risponde che forse l'ultima volta è stata al concerto di Skepta [al decimo anniversario di VICE Italia, NdR], anche se dice di non averlo ancora inquadrato benissimo. In generale, mi dice, sente tanta confusione, ed è per questo che preferire limitare i propri ascolti, per quanto riguarda il rap italiano così come quello internazionale. 

"Sento troppa roba mixata male... Io invece cerco sempre di tenere tutto a un livello molto elementare: c’è una voce, c’è la base, poi la base può avere tanti suoni, pochi, ma stanno per i fatti loro, non c’è un casino terribile. Secondo me il rap dev’essere una base, e una voce, qualche soluzione per i ritornelli, per non annoiare, ma non molto più di così..."

E qui si ritorna al discorso sulla semplicità di Rapper Bianco rispetto alla stratificazione degli album che escono in questo periodo, in cui diversi elementi elettronici, come l'abuso dell'autotune, a volte confondono il senso di un album e non permettono di arrivare ad un artista. "Ad esempio il disco di Travis Scott può essere anche quasi geniale, però all’atto pratico mi fa venire il mal di testa. Ascolti i singoli e ti piacciono, ascolti il disco e ti si frigge il cervello. Infatti quando arriva quel pezzo con Kanye West sembra una boccata d’aria fresca, è un po’ più normale. Quando arriva quel pezzo, finalmente respiri. Quel disco lì secondo me ha tanta tanta influenza rock diciamo, voci distorte, solamente che se vuoi fare il cantante sarebbe meglio che tu sapessi cantare. Perché cantare con un autotune, o meglio dover per forza sempre cantare con un autotune diventa pesante. Bello quando fanno i live con l’autotune, fino a che cantano va tutto abbastanza bene, quando iniziano a dire cose come tira su le mani, che viene una roba strana, è proprio strano... Cioè, prenditi due microfoni."

E così Nex continua per la sua strada, attingendo a piene mani dalle influenze che desidera assorbire e rielaborandole secondo il suo canone di semplicità e varietà, tanto che il suo modo di rappare sulla trap può essere considerato un trademark, una tecnica da tramandare. 

"Tu mi chiedi se io rappi sulla trap quasi a “insegnare” come lo si faccia? Non so se ci sia un intento educativo mentre lo faccio, per come è nata la trap è normale che, nella sua evoluzione, tutte le cose vadano rimescolate: prendere alcuni elementi e rimescolarli creando qualcosa di completamente differente è ciò che rende bella la musica elettronica. Io non so se oggi venga interpretata male la trap, però non c’è una sola maniera di andare sopra le basi trap, l’importante è che le cose girino bene. Giustamente io sono un rapper, quindi rappo, se sento una base trap che mi piace chiaramente la voglio spaccare."

 

Puoi acquistare Rapper Bianco su iTunes. Segui la pagina Facebook di Nex Cassel o il suo account Twitter per beccarlo agli instore.

 

Segui Tommaso su Twitter: @TommiNacca

 

"Brute" di Fatima Al Qadiri è proprio l'album politico e rabbioso di cui avevamo bisogno

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Nel bel mezzo della mia intervista con Fatima Al Qadiri, che sto tenendo via Skype su una panchina nel parco, un elicottero mi sorvola, coprendo la nostra conversazione. Sembra quasi un intervento divino, un rombo che ci ricorda che i temi di cui stiamo discutendo—il fascismo neoliberista e la crescente militarizzazione degli Stati uniti—non sono solo concetti astratti, ma la nostra realtà. "Molto appropriato", dice Fatima ridendo della coincidenza.

Brute, che esce per Hyperdub i primi di marzo, è il secondo album di Qadiri. Con i suoi sample di manifestazioni politiche e un tono generale di disperzione tra gelidi synth post-grime, tuoni di bassi apocalittici e progressioni di accordi minori, è forse la sua release più dura in assoluto. È un tributo alle azioni di protesta—un genere di libertà che lei ritiene in pericolo—tra titoli come "10-34" (il codice di polizia che indica una sommossa) "Curfew," e "Blows", e l'intro realizzato con il sample di un'arma sonica chiamata Long Range Acoustic Device (LRAD), che spara avvertimenti a distanza a un volume più alto dei normali altoparlanti e annuncia: you are no longer peacefully assembling [questa non è più una manifestazione pacifica —ndt].

Nata in Senegal e cresciuta in Kuait, Fatima Al Qaidiri è una DJ, producer e artista concettual, e non è la prima volta che un suo lavoro ha connotati politici, facendo parte di due collettivi che celebrano la diversità e i suoni regionali: il supergruppo Future Brown con J-Cush e gli Nguzunguzu, e GCC, una crew di artisti arabi della regione del Golfo. Ma anche se i problemi che Brute tratta sono universali, stavolta gli occhi di Qadiri sono puntati sulla sua patria adottiva, l'America, e sulle recenti proteste di Ferguson e Baltimora, che sono diventate una fonte di spunti per commentare il potere e la politica di oggi.

Noisey: Ieri Ho sognato che eravamo sotto uno splendido ciliegio, poi tutto a un tratto io me ne dovevo andare e tu diventavi un uomo bianco.
Fatima Al Qadiri: Haha, quello sarebbe un gran bel superpotere da avere nell'industria musicale. Probabilmente non lo farò mai, ma mi era venuta l'idea di fare un disco usando un'identità maschile americana di nome Frank Quandary. Sarebbe il mio nome se fossi un americano bianco.

Molti dei miei producer preferiti usano nomi feminili, come SOPHIE, Patricia, e Suzanne Kraft.Mi parre si stiano differenziando dallo stereotipo maschile bianco. Si rendono un po' più queer, un po' diversi.
Certo. Cercano di non fare parte della classe egemone, è una mossa punk molto comune.

Palando di egemonia, il tuo album Brute è un commento molto potente sull'autoritarismo in America e il crescente stato di polizia. Come ti era venuta l'idea?
C'è voluto molto, ed è stato sempre peggio. Ho iniziato a comporre mentre ero bloccata da un infortunio al ginocchio e sono rimasta bloccata in camera mia in Kuwait per un mese perché non riuscivo ad alzarmi. Ho passato quasi tutto il tempo su Twitter, bloccata in questo orribile cerchio di news che mi arrivavano di continuo. Ero già molto colpita da quello che stava succedendo negli States: Ferguson, Baltimora, etc... Per cui mi è venuta fuori un sacco di musica arrabbiata e disperata, e ho deciso che il tema dell'album sarebbe stato quello. Era anche una sfida: la musica di protesta è un vero e proprio genere musicale, dentro il quale esistono tanti dischi fondamentali. Penso anche che questi argomenti stiano toccando un sacco di gente in questo momento.

È interessante che tu l'abbia composto in Kuwait, mentre guardavi l'America dalla TV o da Twitter. Sembra proprio ci sia una distanza, o almeno una forma di mediazione, tra ciò che stava succedendo e la tua interpretazione.
Credo di consocere bene la realtà. Mi è capitato di subire in prima persona la brutalità della polizia e sono stata molestata da loro. È un argomento universale, sto cercando di mostrare a tutti come il diritto di riunione stia diminuendo in tutto l'occidente. È l'ultima cosa che ti rimane in una democrazia corrotta in cui non puoi più prendere parte alle decisioni, e votare non aiuta. L'altro giorno stavo parlando con un giornalista spagnolo e ho scoperto che da loro lo scorso anno è passata una legge anti-proteste, per cui gli attivisti hanno fatto una manifestazione olografica.

È assurdo!
È sconcertante, non è roba che ti puoi inventare. La gente che vive in occidente non pensa di stare sotto regimi autoritati, ma io vedo sempre più polizia in assetto militarizzato e cose simili, tutti segni di autoritarismo, e lo so riconoscere.

Se non ho capito male, hai campionato molte proteste contro la polizia.
Ci sono tre sample vocali principali nel disco, vengono tutti da video di YouTube. Uno è una registrazione di Ferguson, nella prima traccia "Endzone." Poi c'è "Blows," con un anchorman di MSNBC news che parla di Occupy Wall Street. Il terzo è un'intervista a un ex-sergente dell'LAPD, Cheryl Dorsey, che parla di polizia e potere. Non volevo sovraccaricare l'album di sample, ma volevo usarne un minimo per illustrare il contesto, stabilire il tono.

Ci sono anche suoni di scanner della polizia e sirene.
Oh sì, sono sample di effetti sonori, ovviamente non ho registrato degli spari in camera mia né ho accesso a uno scanner della polizia.

Di recente sono stata a Baltimora, e ho incontrato dei producer che guardavano le proteste in diretta sul web e ne prendevano degli estratti sonori da usare in delle tracce da club molto fighe.
Fantastico. Come ho detto: la musica di protesta è un genere, e il mio aproccio deriva da "What's Goin On?" di Marvin Gaye, ma io non scrivo testi, faccio musica stumentale e questo cambia tutto, perché più informaizoni verbali dai, più il mood e il messaggio sono concreti. Mi sembrava già che l'album o la cover fossero molto chiari, così come i tre sample vocali, per cui ho voluto lasciare alcune parti aperte all'interpretazione.

Parlando dell'artwork, che rapporto hai con l'artista Josh Kline? Com'è andata, hai visto il suo lavoro "Po Po," e ti sei detta "Devo usarlo"?
L'ho incontrato nel 2003, per cui ci conosciamo da un pezzo. È un mio buon amico e un grande artista, non so se hai visto la sua mostra al New Museum. C'era un video con Obama, alcune delle sue sculture sui Teletubbies, e la musica di sottofondo era una mia versione dell'inno Americano. Quando ho visto la mostra, stavo lavorando al disco e ho pensato che quella fosse un'immagine molto forte. Ma devo dire che, in confronto al modo in cui l'art director Babak Radboy l'ha modificata per la cover, la scultura originale è meno inquietante.

Josh Kline - Freedom 2015 (Immagine per concessione di 47 Canal, New York. Foto: Joerg Lohse)

Per cui Babak l'ha resa più pesante?
Ci sino peli e vene rotte sulla faccia del Teletubby, ora. L'ha reso un Frankenstein, ha preso un oggetto inanimato e gli ha dato vita, l'ha trasformato in una creatura senziente.

Hai realizzato prima le tracce o il concept?
Ho praticamente composto metà del disco, poi ho "concretizzato" il concept e ne ho composto l'altra metà. "Blood Moon" è forse la prima traccia che ho fatto per il disco, poi "Aftermath, "Fragmentation," e "Reach." La prima metà contiene tutti questi sentimenti di rabbia e disperazione. Le tracce più arrabbiate sono venute dopo. "10-34" e "Oubliette" sono state le ultime.

Adoro "Oubliette." Ne ho cercato il significato: è una perigione sotterrnea con un buco in cima, no?
Viene dalla parola francese "oublier," che vuol dire "dimenticare." Mi interessava l'idea di prigione come luogo in cui dimentichi il tempo e lo spazio. È come vivere in un buco nero. I prigionieri vengono dimenticati... dalla gente, dallo stato... Per cui mi interessava l'idea di un mondo fatto di costrizione e oblio allo stesso tempo.

C'è spazio in Brute provide per uno sguardo oltre questo inferno politico? O è un album completamente cinico?
No, non è cinico. Non faccio mai cose ciniche. Penso che il massimo che puoi fare come artista è fare sì che la gente non dimentichi, fare sì che il tuo lavoro diventi un monito. Mi interessa molto la storia, e molti dei miei dischi hanno a che fare con fatti storici. Desert Strike si riferiva a un momento storico ben preciso. Asiatisch si confrontava con la storia della Cina e la proiezione di idee e stereotipi sull'immagine della Cina. Molto prima di Brute, sono andata alle mie prime manifestazioni di massa, quelle di Seattle del 99, ero al primo anno di college. Erano proteste contro la IMF World Bank, e non avevo mai visto così tanti sbirri in vita mia: a cavallo, in bicicletta, in moto, in macchina, in elicottero. Fu un bruschissimo risveglio per me: l'illusione della democrazia americana crollò in un attimo.

Quando parli di "illusione della democrazia," intendi i diritti che vengono promossi da una democrazia ma non si estendono a tutti, giusto?
Sì, più o meno. In realtà questo attacco al diritto di protesta non è una novità. Ci hanno imboccato questa idea promozionale di una democrazia americana o occidentale che non esiste, e più si riconoscerà che è una fantasia, meglio sarà per la popolazione. Si tratta di tenere a mente i precedenti storici per non lasciarsi fregare da chi ti vuole inculcare queste idee fasulle.

Sono andata a una confrenza di Underground Resistance al PS1 e ho chiesto a "Mad" Mike Banks perché UR non avesse detto la sua su tutte le proteste di Black Lives Matter che ci sono ora. Mi ha risposto "Non dobbiamo commentare il presente perché stiamo costruendo soluzioni per il futuro". Una prospettiva futurista.
Ogni artista ha la sua maniera di rapportarsi o non rapportarsi col presente. Io sento di voler catturare qualcosa del presente, ma come ti ho detto: non è solo quello, voglio parlare del presente, del passato e del futuro, di quello che ho visto nel 1999 in America, e di nuovo nel 2003, quando ero a New York durante  le proteste contro l'invasione dell'Iraq. La risposta dell'NYPD fu incredibile, non la dimenticherò mai. Eravamo a Times Square, e c'era una fila di Antisommosa che camminava in fila davanti a noi, sbattendo i piedi e grugnendo, sembrava di essere in un film di fantascienza. La gente dà per scontata la libertà di manifestare, cosa che io non ho mai fatto perché vengo da un paese in cui non è garantita. Era molto importante che le prime parole del disco fossero "You are no longer peacefully assembled." Come se lo sbirro volesse proprio convincerti che non sei lì in maniera pacifica. Poteva essere la manifestazione più tranquilla di tutto il cazzo di pianeta terra, ma per lui non lo era.

Quanto è importante per te manifestare pacificamente? La distruzione di proprietà è una male a prescindere?
C'è una grossa area grigia tra la manifestazione pacifica e quella volenta. La proprietà privata viene coinvolta perché alla fine il problema fondamentale è la diseguaglianza di reddito, è la merce per eccellenza e distruggerla è un po' un atto rituale contro il capitalismo. Non mi prendo male quando si distrugge qualche proprietà di una multinazionale, tipo una farmacia CVS.

Sono stata alla CVS che ha preso fuoco durante le proteste di Baltimora. È ancora coperta di graffiti, sembra quasi un monumento.
Pensavo proprio a quella. Ma ci vorrà poco perché la trasformino in un nuovo palazzo scintillante ed elegante.

Il che ci fa tornare al discorso di prima sull'importanza di ricordare.
Esatto. Baltimora, Philly, Ferguson, e molte altre città sono state private di diritti, opportunità accesso al reddito... Tutte queste cose. È lì che viene tirato in ballo il problema delle proteste pacifiche o violente, e il problema della militarizzazione si manifesta. Ti scagli contro dei carri armati, gente bardata di tutto punto... Come potresti sconfiggere una forza del genere? Per cui alla fine la distruzione è più simbolica che altro, è come dare fuoco al tuo reggiseno.

Perché hai scelto di uscire su Hyperdub?
Perché penso mi abbiano dato più libertà artistica di chiunque altro, per cui ho scelto l'opzione più libera. Per quanto riguarda la mia musica, sono una maniaca del controllo, non mi va che qualcuno la incasini.

Il suono influenzato dal grime e iper-militante di Brute mi ha ricordato l'ultimo album di Kode9 e i suoi scritti sulla guerra sonica.
Certo, abbiamo molti interessi in comune. Nel suo libro parla del Long Range Acoustic Device (LRAD) per cui non è strano che ti sia venuto in mente. Ma a lui il disco l'ho dato quando era già pronto al novantanove per cento.

Ora che hai finito questo album a cosa lavorerai?
Ne ho tipo quattro iniziati. Il prossimo sarà estremamente gay. Mi pare di muovermi costantemente tra luci eombre, e il prossimo album sarà molto leggero. O meglio, avrà comunque dell'oscurità, ma sarà estremamente gay. Ma tipo "gay del golfo", non bianca.

Sembra una figata. Grazie per il tuo tempo, ora vedi di non trasformarti in un bianco.
Hahahaha che cosa folle. Forse un giorno lo farò.

 

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Tutte le performance dei Grammy 2016

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Chi se ne frega dei premi? Quelli interessano solo agli artisti, ma al pubblico interessa lo spettacolo. Quest'anno abbiamo visto performance di Adele, Taylor Swift, un tributo a David Bowie da parte di Lady Gaga, Kendrick Lamar, e altri. Le abbiamo raccolte tutte qua sotto così potrete recuperare se vi siete persi qualcosa.

Taylor Swift canta "Out of the Woods" con Jack Antonoff alla chitarra:

Sam Hunt e Carrie Underwood in "Take Your Time" e "Heartbeat":

The Weeknd canta "Can't Feel My Face" e "In the Night":

Ellie Goulding e Andra Day cantano "Love Me Like You Do" e "Rise Up":

Demi Lovato, Meghan Trainor, John Legend e Luke Bryan in un tributo a Lionel Richie 

Little Big Town in "Girl Crush"

Pentatonix e Stevie Wonder in un tributo a Maurice White, "That's The Way Of The World":

Tori Kelly e James Bay in "Hollow" e "Let It Go":

Kendrick Lamar in "The Blacker the Berry", "Alright" e altre:

Adele canta "All I Want":

Justin Bieber canta "Love Yourself" e "Where Are Ü Now" con Skrillex e Diplo:

Lady Gaga in un tributo a David Bowie:

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I Tale Of Us doppiati da musica di merda nell'esilarante parodia di Boiler Room

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Vi ricordate quei lesi che mettevano dell'eurodance di bassa lega sotto ai video di Boiler Room? Ecco, dopo mesi e mesi in cui ce li avevano tolti, sono finalmente tornati su Internet. L'idea è semplice: prendi un clip da un set Boiler Room, abbassa il volume e al posto dei dischi passati realmente nel set ci metti qualche disco del cazzo ripescato dai cestini dell'immondizia degli anni Novanta. 

L'ultima vittima di questa geniale operazione è il duo di producer e DJ italiani Tale Of Us. Se, come speriamo, li conoscete un po', vi renderete conto di quanto sia assurdo e disturbante vederli doppiati da roba tipo "Bye Bye Bye" degli N*Sync.

N*Sync + Tale of Us = divertimento garantito.

 

 

Chiaramente i ragazzi non stavano davvero suonando quella roba. Alcuni diranno che è un peccato, altri invece saranno sollevati di sapere che in realtà stavano mettendo un disco di Carl Craig. Però dai, quanto sono divertenti gli N*Sync?! Ne vogliamo ancora.

E se anche voi ne volete ancora, potete trovare altri video qui.

Fermi tutti: sono usciti quattro pezzi inediti del "vecchio" Neffa

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Fermate le rotative: sono spuntati fuori quattro pezzi nuovi di Neffa.

Un po' James Brown, un po' Edoardo Bennato e un po' Renato Carosone, in queste quattro canzoni di Me And My People, un progetto inedito di Neffa assieme a Deda e Gopher D.

C'è già in nuce il Neffa di Arrivi e Partenze, quello che univa sapientemente il pop all'hip hop con "Mistiche Vibre". "Beautiful Sbarbina" è forse il pezzo più particolare dei quattro, con un mood a metà tra Skiantos e In The Panchine (però dieci anni prima: i pezzi risalgono al '92 - '93). Scratch a cura di Dj Gruff.

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Vi presentiamo Arroyo, la nuova piattaforma elettronica italiana

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Kumo & Hedra, in duo come Comb.

Non è semplice, soprattutto nelle condizioni disperate in cui si trova il mercato musicale italiano, decidere di fondare una label label-less, una piattaforma che non abbia un particolare àmbito di riferimento, ma il cui unico argine sia quello di gusto. Così, nonostante oggi vi presentiamo un EP, quindi un prodotto musicle, bisogna pensare ad Arroyo così come l'hanno concepita i suoi fondatori: come "una piattaforma multiculturale che navighi tra musica, poesia, arte digitale e design."

Ci piace pensare ad Arroyo come uno spazio senza limiti, in continuo cambiamento, dove le idee possano viaggiare e realizzarsi senza inibizioni. L’unica costante è la nostra volontà di andare oltre le divisioni stilistiche e i generi musicali, trascendere le categorie per favorire sperimentazione e innovazione.

Oggi vi presentiamo la prima uscita di Arroyo, che i fondatori della label concepiscono come "un’introduzione ai suoni e agli artisti che caratterizzeranno i nostri orizzonti nei mesi a venire." I pezzi contenuti in questo EP sono tre, dei due producer toscani Kumo e Hedra e del loro progetto congiunto Comb. L'artwork è a cura di Studio Proclama, che ha creato uno scenario visuale "in cui la "tenda" Arroyo, proprio come gli Excursion Module della Nasa, naviga nello spazio con l’intento di esplorare mondi nuovi." Così l'immaginario di Arroyo si rispecchia in questa casa-mobile, una sonda a metà tra la concretezza dell'abitazione e il dinamismo del viaggio esplorativo.



“Penso di essere stato fortemente suggestionato nel mio percorso da artisti come Brian Eno e Boards of Canada, capaci di creare atmosfere che difficilmente riesco ad ascoltare in altri artisti. Per me fare musica è tutto questo, plasmare materia leggera per creare cosmi,” racconta Kumo, mentre il suo socio Hedra replica dicendo che produrre per lui è uno sfogo, un potente mezzo di comunicazione, oltre che di sperimentazione. “Mi piace ad esempio lavorare con la dissonanza, integrando suoni e non suoni contrapposti tra loro in una traccia fino ad ottenere un risultato organico.”

Queste concezioni estetiche si riversano nelle tracce, per cui in "My Own" Hedra gioca con la dissonanza per sottolineare il conflitto interiore della coscienza, oltre che le incursioni di elementi esterni, rimescolati e pestati in un groove costante e invariato, perseverante. 
Le fa eco "Who Cares" di Kumo, che chiude il cerchio: gli echi di Brian Eno si sentono nell'utilizzo di sintesi granulare e musica generativa, tanto che al groove della traccia/specchio di Hedra si contrappone un crescendo organico di suoni in progressione. 
Tra le due tracce, la collaborazione su "Aerial", che il duo, sotto al moniker di Comb, creano facendo dialogare la propria estetica in un rimbalzo di riverberi e sample.

Non aggiungiamo altra carne al fuoco e auguriamo ai ragazzi di Arroyo che la continuazione del loro progetto sia interessante e intensa come la prima pietra scagliata. Potete acquistare l'EP dal loro Bandcamp.

Segui Arroyo su Facebook e Bandcamp.

 

Il potere della musica New Age

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Opera d'arte ispirata ai cristalli da parte del musicista new age Iasos.

Mi trovo seduto in un bel salotto all'interno di una bella casa su una bella strada di una bella zona di South London. In sottofondo ascolto tamburi tribali. L'aria è impregnata di Nag Champa. Sono scalzo e le mie dita dei piedi esplorano il tappeto. Stringo un cristallo nella mano sinistra. Mi sta curando.

Sono arrivato a Streatham in un triste e nuvoloso venerdì pomeriggio per incontrare una donna di nome Valerie Pitts. Valerie, una guaritrice sessantasettenne che lavora sia in proprio che per il College of Psychic Studies di South Kensington, ha una presenza calorosa e tranquillizzante. Ha vissuto in questa zona della città per tutta la vita e si vede: ha una risata gloriosamente gracchiante da south londoner nata. Per arrivare a casa di Valerie ho attraversato il parco. Il luna park Benson è in città. Un gigantesco Spiderman in posa semi-coricata e semi-seduttiva stava tra un autoscontro e una giostra. Il vento fischiava attorno al supereroe e alle tonnellate di metallo arrugginito che lo circondano. Nell'aria si percepiva un leggero odore di olio e cipolle fritte.

Prima di incontrare Valerie, la mia conoscenza di cristalli e delle loro proprietà curative si limitava a una breve fascinazione per le pietre preziose che mi aveva preso all'età di otto o nove anni. Con pietre preziose indendo quel tipo di pietre preziose che si trovano nella sezione bigiotteria dello shop dei piccoli musei di provincia, che è dove ho passato la maggior parte della mia infanzia. Mentre i miei fratelli correvano direttamente verso le matite e le gomme io mi ritrovavo a esplorare con cautela i cristalli, esaminando delicatamente gli oggetti di turchese e acquamarina che mi trovavo davanti per poi comprarli e dimenticarmene poco tempo dopo. Non avevo idea che, per citare la rivista del College of Psychic Studies che mi ha gentilmente regalato Valerie, "i cristalli secondo la NASA contengono la stessa struttura DNA degli umani e delle stelle, per cui i cristalli possono lavorare insieme a noi per risolvere blocchi e schemi superati in ogni strato del nostro essere". 

Foto via

Se ti stai chiedendo perché mi trovi in questo salotto, a Streatham, con una guaritrice di sessantasette anni, è perché qualche anno fa, durante un periodo piuttosto buio della mia vita, sono andato veramente in fissa con la musica new age. Ero senza lavoro, e non facevo altro che stare seduto sul letto a fumare erba pessima e ascoltare canti dei delfini e synth morbidoni. Nient'altro. Ogni tanto mi trascinavo fino a un McDonald's per un cheeseburger e un po' di autocommiserazione. Alla fine sono riuscito a smettere di mangiare cheeseburger, mi sono trovato un lavoro e ho mollato l'erba. Ascolto ancora musica new age mentre lavoro, però, ed ero curioso di sapere se una vera, credibile professionista olistica avrebbe riconosciuto il valore della musica che io continuo a utilizzare come automedicazione. Ecco perché me ne sto seduto con un cristallo in mano, di venerdì pomeriggio, a Streatham.

Sembra un'ovvietà, ma in queste situazioni il primo approccio è una parte molto importante dell'interazione. Chiedo a Valerie come è entrata nel mondo dei cristalli e trovo immediatamente una cosa in comune tra di noi. "Negli anni Sessanta c'eravamo tutti sotto", dice. "Molti di noi si sono sposati e hanno avuto figli e poi, se è destino che tu lavori in questo campo, succederà qualcosa nella tua vita. Dicono che le fatine ti danno un calcio in culo. Cadi in un buco nero profondissimo e devi riuscire a strisciarne fuori. Io sono caduta in un buco nero". Mi chiedo se abbia preso la mia stessa strada: skunk e bibite gassate. 

"Prima mi rivolsi a una chiesa spiritualista", continua Valerie. "Era molto strana. La prima volta che ci andai mi diedero un cristallo, la seconda volta una rosa rossa, la terza mi diedero un teschio di cristallo e io risposi 'questo non lo voglio'. E loro mi dissero: 'devi accettarlo, sei un'alchimista'". Dopo questa rivelazione, in viaggio verso la Mente, il Corpo e lo Spirito, Valerie mi racconta di come un libro le cadde letteralmente sulla testa, un libro che riportava in copertina un cristallo, una rosa, un druido e una sacerdotessa. Questo la spinse a lavorare su se stessa e, visto che al tempo aveva un negozio, a comprare cristalli. Uno dei clienti le disse che li stava già usando, involontariamente, come strumenti di guarigione. "Mi diede questo pamphlet che pubblicizzava un corso di guarigione tramite i cristalli", mi dice Valerie. "Per la prima volta nella mia vita capii qual era il mio scopo nella vita. Frequentai un corso di due anni, poi un altro corso di due anni per diventare insegnante e ora insegno guarigione tramite i cristalli al college da quattordici anni".

Alcuni dei cristalli di Valerie (foto dell'autore).

A questo punto mi sto già affezionando a Valerie, e forse è la presenza dei cristalli tutt'intorno a me, ma mi trovo più bendisposto del solito rispetto a un punto di vista diverso dal mio. Pongo a Valerie un'altra domanda ovvia ma pertinente: che cos'è esattamente la guarigione tramite cristalli, e che cosa fa? Lei parte dalle basi. "I cristalli", mi dice, "sono come magneti: prendono l'energia negativa dal tuo corpo, e ci mettono energia positiva. Possiamo riequilibrare l'energia nel tuo corpo". Questo è essenziale, continua, per chi vuole comprendere il mondo nel modo migliore. Valerie e, presumo, anche i suoi compagni e i suoi clienti, hanno un rifiuto profondo per le norme sociali e cercano di favorire il pastoralismo rispetto al capitalismo. Il che, nell'attuale clima socio-politico, socio-culturale e socio-economico, sembra perfettamente comprensibile. Paragona la propria visione del mondo all'anarchismo e anche questo ha un certo senso. È anarchica quanto lo era Thoreau. Il salotto è il suo Walden. 

Rifiutare tutto quello che ci circonda, rifiutare anche la nozione di realtà è, in un certo modo, se ci pensi bene, più o meno quello che facciamo, inconsapevolmente, quando ci prendiamo una pastiglia e balliamo fino alle otto di mattina. Il mondo fuori dalla discoteca si dissolve e, anche se è chimicamente indotta e in questo senso artificiale, la sensazione di benessere che molti di noi provano in quell'ambiente è diametralmente opposta al grigiore della nostra vita di tutti i giorni. Tenendo presente tutto questo, puoi cominciare a capire la forma mentis di Valerie e degli altri professionisti olistici. È facile capire perché la gente rimanga affascinata dall'idea di tornare a una certa innocenza pre-industriale ponendo le proprie speranze nei cristalli. Per quanto possa sembrare assurdo al primo impatto. L'umanità è un desiderio costante di fuga. In questo momento, però, non voglio fuggire. Mi piace stare seduto in cucina, a parlare di stile di vita e di lavoro con una persona appassionata del proprio lavoro e del proprio stile di vita.

Estraggo timidamente il mio laptop e chiedo se posso mettere un po' di musica. Valerie acconsente. Metto una cassetta di David Blonsky chiamata Dance of the Dolphin, che è uno dei miei dischi new age preferiti. Mi chiedo se sia la stessa musica di cui parlava Valerie quando mi ha detto per telefono, una settimana prima del nostro incontro, che la musica new age è "incredibilmente, incredibilmente" importante per il suo lavoro. Dance of the Dolphin suona come dice il titolo: sciabordio di onde, canto di delfini.

"I delfini sono magici! Chi compone questa musica la usa nello stesso modo in cui noi usiamo i cristalli: è un modo per far svegliare la gente. Al Governo non fa piacere che ci incontriamo nei locali o nei festival per ballare", mi racconta. "E ballare, non dimentichiamolo, è una cosa che piace a tutti. Tutti adorano ballare. Togli il ballo e non rimane più nulla. Sto parlando di HOPE: Helping Other People Evolve. Si può fare con la musica". Ma nello specifico, quali sono i vantaggi della musica new age? "La musica new age toglie l'energia negativa da dentro le persone. Usiamo gong, campane di cristallo, tubi e altro. Usiamo le campane su vari centri di energia contemporaneamente, il che aiuta ad allineare i chakra". E io che pensavo fosse solo musica adatta a fumarsi le canne.

A questo punto Valerie mi invita a spostarmi in salotto. È qui che mi affida il cristallo. Siedo, cristallo in mano, mentre Valerie mi fa ascoltare un CD new age registrato da un suo amico. È più pesante della roba sperimentale, sottile come una ragnatela, che sono abituato ad ascoltare per rilassarmi. Un coro intona solenne un inno al ritorno verso un "altro posto" e per un attimo, soltanto per un attimo, l'incantesimo si rompe. Comincio a pensare a quanto sia semplice questa idea di tornare a qualcosa al di fuori della vita esperienziale, e a come si frantumi non appena inizi a pensarci. 

Poi una grancassa gigante fa la sua comparsa nel pezzo. A questa seguono una serie di vocalizzi di voci angeliche, una specie di remix techno di un disco dei Cocteau Twins. Mi rendo conto, in questo preciso momento, mentre sto seduto con i piedi a terra e un cristallo in mano, che voglio credere in questa cosa più di quanto abbia mai voluto credere in qualcosa. Per un motivo che non riesco a definire esattamente, questa intera esperienza mi si adatta perfettamente. Prendi i miei soldi, Valerie, prendili tutti. Ascoltiamo il CD in silenzio quasi totale. Sento che cambia qualcosa in me. Mentre mi alzo per tornare in cucina a fare lo zaino, rimettermi le scarpe e tornare alla stazione, ripassare vicino a Spiderman, tornare in ufficio, alla realtà irreale della realtà, giuro che mi sento leggero. Mi sento diverso.

Appena prima di andarmene, chiedo a Valerie di tirare le somme. Perché lo fa, perché la gente si rivolge a lei per periodi di anni, ma soprattutto che importanza ha tutto ciò, se il mondo è già finito nella merda. "Veniamo programmati, dalla scuola in poi. Devi fare le cose in questo modo, non le devi fare in quest'altro. E questo va avanti finché qualcuno non ci fa inciampare, cambiare prospettiva, e non ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di cambiare. Molte persone si accontentano di andare avanti a vivere quella vita. Quando lavori per conto di qualcun altro tutti i giorni, perdi quella spinta ad agire", mi ha risposto. 

"È una questione di vedere la realtà. Questa [indicando attorno a sé] non è la realtà della vita. Dobbiamo tutti svegliarci e rendercene conto."

Forse un giorno lo faremo. Se mi cercherete, mi troverete seduto sul mio divano, con i piedi sul tappeto e un cristallo in mano, e con Dance of the Dolphin nello stereo. 

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Giusy Consoli: la rivoluzione sessuale nel clubbing italiano

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Giusy Valentina Consoli. Tutte le foto di Guido Borso.

Quando sento parlare di discoteche nel 2016 provo una sensazione di smarrimento e anacronismo: mi sembra strano che qualcuno vada in discoteca; quel concetto lustro ed "estetico" ha lasciato spazio all'umore un po' blasé del club. Eppure il nostro è stato per lungo tempo il paese delle discoteche, e più di altri lo è ancora—con tutti i pro e i contro.

A fare la storia di quegli anni Novanta in cui uscire significava eccesso e trasgressione sono state alcune organizzazioni: Metempsicosi con Franchino in testa, Pervert, Diabolika e Le Folies de Pigalle. Sono nomi che rimangono nell'immaginario a segnare un momento storico in cui si prendevano la macchina o il bus per discoteche fuori dal centro, e vestirsi come degli alberi di Natale porno era non solo concesso, ma preteso.

Se c'è una persona che incarna appieno quel momento e le sue propaggini nel presente è Giusy Consoli, dj, producer e co-fondatrice della serata nota come Le Folies de Pigalle, un teadance emiliano giunto venerdì scorso al suo 21esimo compleanno.

Avevo pianificato di raggiungere Giusy per un'intervista sulla sua vita personale, ma quando mi sono ritrovata al ristorante al piano superiore delle Fonderie Italghisa di Reggio Emilia a un tavolo con ballerine in armature di lamé, l'amica di Giusy, Martina, che pianificava un San Valentino dalla suocera e un cantante di varietà con ghette color pastello, ho capito che l'unica cosa da chiedere davvero a Giusy era di condividere la sua esperienza diretta e la sua conoscenza enciclopedica della vita notturna italiana al suo massimo splendore. Ovvero, degli anni che ci siamo persi noi.

E perciò, mentre nei camerini Adami ed Eve in lustrini e perizomi si preparavano a entrare in scena, abbiamo parlato di come è cambiata l'idea di discoteca nel corso di questi 25 anni, di com'era essere una ballerina trans allora e del perché tutta quella scena un po' baraccona ha un senso di rottura diverso, ma non per questo meno forte, oggi che è démodé.

Una delle location della nostra intervista—il bagno dei camerini.

Noisey: Partiamo da quando non eri Giusy Consoli?
Giusy Consoli:
Sono nata a Catania, ma quando ero piccolissima mi hanno trasferita fuori Milano, a Bovisio Masciago, dove ho abitato fino ai 18 anni. A 18 anni mi sono trasferita a Modena dove ho fatto lavori normali—dovevo darmi da fare, perciò mi sono asciugata le lacrime da bambina di casa viziata e mi sono rimboccata le maniche. Ho fatto l'estetista e un po' di tutto.

E poi come ti sei avvicinata al mondo delle discoteche?
Ero molto amica di Giuliano [Bavutti, con cui poi ha fondato Le Folies de Pigalle] con cui andavamo spesso a Riccione a ballare. Tutti impazzivano perché io avevo un'immagine così forte, ero sempre vestita strainciuciatissima e strafirmatissima, Vivenne Westwood, i tacchi a spillo, pantaloncini, Gaultier non Gaultier. E poi ero trans—cioè sono trans... Non so bene neanche io adesso cosa sono: mi sento donna e mi sono sempre sentita donna, sia col pisello che senza, però ancora oggi a volte mi chiedo cosa sono sono. Cosa siamo tutti? Chissà. Siamo degli angioletti.

Comunque continuavano a chiedermi di lavorare e io ho sempre detto di no, finché una volta ho provato e da lì l'ho sempre fatto.

Perché non ci volevi lavorare—non ti piaceva quel mondo?
Non è che non mi piaceva, non mi interessava lavorarci. Poi ci ho provato e mi sono divertita perché avevo tutti i maschi ai miei piedi, quindi mi sono detta, "Devo farlo." [ride] No, scherzo, era la musica al centro di tutto e io volevo metterla al centro della mia vita. Così a 23 anni ho cominciato a lavorare come una pazza e non mi sono mai più fermata, prima come ballerina alla Villa delle Rose di Misano Adriatico, poi al Cocoricò, poi al Le Plaisir di Desenzano sul Garda, poi a Roma e Milano. E non ti dico che so fare solo questo, so fare tutto—se vuoi ti smonto l'impianto di questo locale e te lo rifaccio nuovo.

Giusy sovrintende la preparazione delle ballerine. In questa foto è con Endrada.

E come ti è venuta poi l'idea di Le Folies? La serata nasce come teadance [serate che iniziano a orario aperitivo e continuano tutta notte, inizialmente nate come serate gay e poi ampliate al resto del pubblico]—e oggi quasi nessuno sa cosa sia un teadance.

La serata è nata nel 1995 come teadance perché a Milano avevo iniziato a frequentare la Colazione da Tiffany e mi sono resa conto che da noi una situazione simile non c'era. Perciò ho detto a Giuliano, "Facciamolo." Era un periodo in cui il teadance andava abbastanza, per esempio ce n'era uno anche all'Echoes di Riccione.

Avete sempre curato tu e Giuliano tutti gli allestimenti, l'immagine dei ballerini etc?
Io e Giuliano abbiamo una storia complicata, adesso è un anno e mezzo che siamo tornati a lavorare insieme—dopo 15 anni di partnership ci eravamo divisi per cinque anni durante i quali io ho gestito i G Parties Folies a Modena. Ora non siamo più soci, io mi occupo della parte artistica ma voglio fare la dj finché posso, e finché posso rimarrò con Giuliano. Ma mi piacerebbe anche andare avanti per la mia strada.

Sempre in quegli anni, nel 1994, sei stata selezionata per il film Padre e figlio di Pasquale Pozzessere, che ti ha dato molta visibilità—lo stesso anno la notizia della tua aggressione arriva infatti su tutti i giornali.
Sì, facevo la ballerina all'Echoes a Riccione e mi hanno detto che stavano facendo la selezione per il trans più bello d'Italia per un film—c'erano delle ragazze perfette, ma alcune avevano una voce che non ti dico. All'ultima selezione, quella che si è tenuta a Roma, mi hanno presa. Dopo quel film ho anche fatto Carabinieri ma non è proprio il mio—cioè, mi stufo di tutto, mi stufo subito.

Gli anni Settanta erano già stati anni di conquiste e livello legale e culturale per la comunità trans, ma è negli anni Novanta anche grazie a film e situazioni come quelle organizzate da te che c'è un vero riconoscimento. Hai avvertito, nel corso di questi anni, dei cambiamenti?
Il cambiamento è stato fortissimo: ormai è tutto libero, se accendi la televisione su Canale 5 c'è Vladimir Luxuria che fa L'isola di Adamo ed Eva. Quando ero io agli inizi invece le persone non sapevano nemmeno cos'era un trans, se dicevo a uno che ero trans mi chiedeva "Cos'è?" Allora io gli prendevo la mano gliela mettevo sul pacco—al tempo non ero operata—e dicevo "Questo è." E li vedevi che scappavano perché non erano abituati... Però poi ci ripensavano e tornavano. Era un tabù, i trans non si vedevano certo in televisione.


Giusy posa nella gabbia.

Ma per come è oggi la situazione, sia nelle discoteche che a livello di visibilità televisiva, non pensi che sia anche un po' uno sfruttamento dell'immagine e della nomea "trasgressiva" della transessualità?
No, secondo me la maggiore visibilità è pensata per dare un taglio all'omofobia. Ci sono passata anch'io per gli anni della scuola, dove i compagni prendono in giro gay o lesbiche o anche solo ragazzi effeminati. Perciò, anche se concordo che possa essere una cosa fatta anche per audience, il fatto di farla diventare una cosa un po' più normale servirà a evitare che i nostri figli non vengano bullizzati e non si sentano urlare "Oh, frocio!" a scuola come succedeva a me. Sì lo fanno per audience, ma soprattutto lo fanno perché non sia più tabù.

A proposito di trasgressività. Quando nasce una nuova serata di solito nasce perché ci si rende conto che c'è un bisogno non soddisfatto da parte del pubblico. La componente più immediata delle tue serate è sempre stata la trasgressione—era questo il bisogno che volevi soddisfare?
Sì, quando vado negli altri locali, soprattutto in quelli commerciali con la musica EDM, li trovo di una noia mortale. Lì è pieno di ragazzi e ragazze che si annoiano, manca quella cosa... Quando io e le mie amiche andavamo in un locale a vent'anni ci facevamo succedere il delirio. E me ne accorgo soprattutto nei locali commerciali, sono piatti da morire: mi è successo anche al Cocoricò ultimamente—tanta gente ma pochi personaggi, ballano ma non interagiscono con l'ambiente, non gli interessa. Per capire quanto è cambiata la cosa, pensa che prima i ballerini del Cocoricò erano vestiti da Dean e Dan di Dsquared. Che circo che vi siete persi, ragazzi.

Una cosa tipica del concetto di discoteca anni Novanta è appunto quello del trasformismo e dell'esagerazione. Come ti vivi e ti sei sempre vissuta questa dimensione di recitazione e spettacolo?
Nella discoteca come la intendo io è tutto finto, fuori da qua io sono un'altra persona, a casa mia sono un'altra persona. A lavorare ti devi immedesimare. Qualche giorno fa uno mi ha scritto un messaggio, "Fuori dalla discoteca sei fantastica, ma quando entri in discoteca diventi un demonio." Ed è vero, come è vero che divento un demonio a livello di organizzazione: quando hai uno spettacolo da mettere in piedi, come quando hai un'azienda e qualcuno lavora male, tu ti incazzi. Oltretutto, io se non devo lavorare mi annoio: cerco di divertirmi ma dopo un po'—diciamo alle quattro—mi rompo e inizio a rompere al mio fidanzato che vorrebbe rimanere fino alle sei.

Giusy Consoli @Duende 06.02.2016 pt2#direttrice#Folies#hotnight#modenasaltainaria

Pubblicato da Fabio Davolio su Sabato 6 febbraio 2016


Di cambiamenti e in qualche modo di un "lento scemare" della scena delle grandi discoteche italiane mi hanno parlato anche Obi Baby e la crew di Metempsicosi. Mi sembra di capire che ci sia stato un boom a metà anni Novanta in cui era tutto nuovo—poi per ragioni economiche e musicali è scemato il tutto e ci è rimasta solo la nostalgia.
Eh sì, già a fine anni Novanta hanno distrutto tutto e hanno chiuso i locali, poi la crisi ne ha fatti chiudere altri ancora. Per esempio prima qui dentro [nelle Fonderie Italghisa] facevi di tutto, adesso fai qualcosa con fatica. E devi andare dietro alla moda musicale: adesso devi andare dietro alle etichette, a nessuno frega più niente dell'animazione fantastica—a nessuno frega niente di essere partecipi, invece quando io ero solo una cliente altro che ballerina sembravo. E poi a fine anni Novanta ricordati che è arrivata la minimal che ha rovinato tutto e svuotato i locali perché la gente non si divertiva a ballarla.

A parte questo, a livello proprio di situazione e di atteggiamento, quali differenze riscontri con le serate che nascono oggi?
Nelle serate che sono nate adesso non c'è niente: è solo dj da tre, quattro, ventimila euro, impianto della madonna e ledwall. Non ci sono ballerini, non c'è il vocalist che dice, "È l'ora dei bocchini" e non c'è quello che canta... Quelle serate sono una piaga. Non c'è una figa con un tacco a spillo, sono tutti con gli scarponi—sabato ho lavorato in un locale dove c'era una ballerina con le scarpe col carrarmato, lì le ho detto proprio 'Ma non ti vergogni?' e mi ha anche chiesto perché! 'Ma secondo te puoi metterti su un cubo con quelle scarpe?!' Tanto a nessuno frega niente oggi, ti distruggi e ciao.

Martina, ballerina e cara amica di Giusy, con Nicola, cantante e vocalist della serata.

Mi dicevi che in questo momento però c'è però una ripresa della scena, della cura per la scena clubbing.

Diciamo che c'è da un paio di anni ci troviamo di fronte al boom di musica techno che somiglia molto all'elettronica—i suoni Ottanta e Novanta della techno di oggi riprendono suoni dell'elettronica. E infatti dopo qualche anno in cui mi seguivano soprattutto i fan del primo minuto, oggi ci sono anche ragazzi giovani che vengono alle serate.

Quindi secondo te c'è una sorta di relazione inversamente proporzionale tra il fatto che la società almeno sulla carta dovrebbe essere più progressista e che d'altra parte noi siamo tutti più piatti? Come se, essendo consentito tutto, non sentissimo il bisogno di evadere?
Esatto, per i ragazzi di oggi siamo antichi. Siamo antichi perché ci piace divertirci. Per esempio, sono 15 anni che lavoro allo SkyLight a Verona: all'inizio faceva solo gay e c'era anche la darkroom—magari io ero in consolle e non mi impressionavo se a mezzanotte sparivano tutti per andare in darkroom a ciucciare cazzi e poi tornavano belli freschi a sentire la musica. Poi questa cosa è cambiata, da locale solo gay è diventata una situazione friendly, poi mista e resta tutt'ora mista. Poi non sta a me giudicare, c'è chi ama quel genere e chi ama magari il vuoto—perché per me quello sono le persone che vanno a ballare per stare fatte davanti a un mare di casse, vuote. Che poi non vuol dire che il mercato vada da quella parte e che in un certo senso sia necessario adattarsi.

Vuoi dire che hai pensato a progetti di "compromesso"?
Qualcosa bolle in pentola. Mi piacerebbe organizzare una serata techno—senza ballerine, puntare tutto sul dj e al massimo un vocalist, una cosa più piatta ok—tanto per l'immagine ci sono io, non c'è problema. Per fare business bisogna tenere conto che le discoteche fanno fatica. Se poi la serata va bene ci metto le ballerine e gli inciuci.

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"Hivemind" è l'esordio di Mhysa su NON records

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Foto concessa dalla label

MHYSA è il moniker sotto al quale l'artista concettuale di Philadelphia E.Jane ha appena fatto uscire il suo primo EP per NON Records. HIVEMIND—questo il nome dell'EP—è la sua seconda apparizione sulla label dopo la NON WORLDWIDE COMPILATION VOLUME 1, in cui era comparsa "Power Cuts", una potente collaborazione con Chino Amobi. Jane è anche conosciuta come metà di SCRAAATCH, duo di DJ/performer legati alla label di Rabit Halcyon Veil.

HIVEMIND esce oggi su Bandcamp con il seguente messaggio: "Realizzato ANZITUTTO per le donne nere da una donna nera in USA, con amore per il popolo e la resistenza" e "NON TODAY. NON TOMORROW. NON FOREVER." Nelle sue tracce, sample industrial con frammenti di glitch si infilzano du beat riverberati, prodotti da DJ Haram e dal suo compare in SCRAAATCH plus_c. I testi di "Jezebel", "No Ordinary Love" e "Feel No Pain"—tutte cover rimaneggiate di Sade—sono esplorazioni dei temi di resistenza e oppressione di genere.

"Just A Girl", invece fa la stessa operazione con un brano dei No Doubt. MHYSA ci ha spiegato questo aproccio via mail dicendo che "Sono tutte cover perché volevo utilizzare materiale che già ho compreso, o almeno ho pensato di comprendere: quando reinterpreti una canzone, impari qualcosa di nuovo sul suo testo." Ecco, provate a imparare qualcosa anche voi.

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Duke Montana e Sick Luke: due generazioni di rap italiano

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Sick Luke e il padre. Foto concessa da Duke Montana

Duke Montana è un veterano dell'hardcore rap romano. Per presentarlo nel migliore dei modi, basti dire che non esiste voce a lui dedicata nella Wikipedia italiana—per sapere qualcosa su quest'uomo, quindi, o ci rivolgiamo alla versione inglese del portale oppure saltiamo qualche passaggio e lo intervistiamo, magari assieme a suo figlio Sick Luke, giovane beatmaker che conosciamo per aver prodotto, tra le altre cose, Dark Polo Gang ed Emis Killa.  

Noisey: A che età avete iniziato a fare musica?
Sick: Tredici, quattordici anni...
Duke: Sì, più o meno a quell'età Luke mi ha detto: "papà vorrei provà a fà le basi, a comprare una tastiera per fare musica." Allora mi sono emozionato, perché non gli avevo mai detto di seguire i miei passi, non l'avevo mai forzato. Ero molto fiero, ha fatto tutto di testa sua.

Sick: Prima di comprare una tastiera già le facevo di nascosto col pc di mio padre... [Ride] Ho iniziato con una demo di Fruity Loops, pensa! Dopo che mi chiudevo da un po' di tempo a fare musica fino alle sei di mattina mi sono detto: vabbè, è ora di fare sul serio. Duke: però gli ho detto che la prima base avrebbe dovuto darla a me! Il nostro primo pezzo assieme è stato "Making Moves" su Grind Muzik I. Poi ha continuato a fare musica e l'ho preso anche per gli altri volumi di Grind Muzik e alla fine per il mio disco ufficiale, Stay Gold. Ero contentissimo.

Duke, tu sei un veterano. Il tuo primo gruppo rap risale ai primi '90, i Power Mc's, con Julie P e Ice One. Poi c'è stato Atlantis Land coi Flaminio Maphia.
Duke:
Sì. Ascolto rap da quando avevo 8 anni, il primo testo l'ho scritto intorno agli undici, ai dodici. Il primo vinile l'ho inciso a quattordici. Ho conosciuto Ice One quando ero appena tornato da Los Angeles, nel 1990 circa. Allora quattro persone ascoltavano hip hop, mica come adesso... Comunque abitavo ad Ostia, stavo camminando su Via delle Baleniere, e vidi uno con delle buste che camminava dondolando in un modo riconoscibilissimo. [Fa un'imitazione molto divertente, NdR] Poi era vestito largo, e ai tempi i rapper li riconoscevi così. Allora l'ho approcciato e gli ho detto: "ma a te piace l'hip hop?" E lui mi fa "come no, ho fatto anche cose con Bambaata. Mi chiamo Ice One". Bambaata, capirai, per me era una leggenda... La prima serata l'abbiamo fatta in un posto che si chiama Il Castello, vicino al Vaticano. Stavano con Afrika Bambaata, e io me lo so' ritrovato là davanti. Il godfather of rap! Ci siamo messi a parlare e poi ci è venuta fuori questa idea dei Power Mc's.

Luke, hai mai ascoltato i vecchi dischi di tuo padre?
Sick:
Come no. Da piccolo sentivo i suoi dischi mentre giocavo alla Playstation, soprattutto Atlantis Land, papà toccava temi molto seri e quelli più espliciti mi colpivano, ovviamente [Ride]. Conosco ancora tutte le canzoni a memoria perché le cantavi sempre a casa, quando stavi a scriverle... ti ricordi?
Duke: Certo, come no. Mio figlio dice così perché, come sai tu che sei di Roma, la mia musica è molto esplicita, vera, cruda. Magari i suoi amici gli dicevano "canta le canzoni di tuopadre", a undici anni, e non è che Luke poteva ripetere "Vaffanculo, pezzo di merda" e così via, capito? [Ride

Pensa che mio padre mi dice sempre che il rap non gli piace perché la musica "è sempre uguale"! È davvero bello che voi invece siate così uniti anche musicalmente.
Duke:
Ti capisco, perché mia madre era uguale. Mio padre però si fomentava sentendo le parolacce. Eazy-E però gli piaceva, diceva che era uno vero. Io e Luke siamo un po' come Ice Cube e il figlio, col figlio che ha seguito le orme del padre che rappava già da un sacco di tempo. Se li vedi insieme, sembrano fratelli. Poi, una cosa bellissima, ultimamente mentre stavamo in studio, Luke ha acceso il computer e mi ha detto: "ti devo fare ascoltare una cosa" e io pensavo fosse una base, perché Luke me le fa sempre sentire. Invece era una sua strofa rappata! Mio figlio adesso è un producer on the mic! È anche molto bravo, ha queste tecniche nuove che neanche io riesco a fare. Anche le melodie e i ritornelli, davvero belli. Sono molto fiero di lui. 

Danno, in un'intervista di parecchio tempo fa, dice che secondo lui non bisognerebbe ascoltare solo rap. Che ne pensate?
Duke:
Prima di tutto Danno è un amico e un artista che rispetto molto. Sono d'accordo, io ascolto un po' tutto. Soprattutto funk, soul, reggae... Invece non amo il metal, il reggaeton, la dubstep, e la techno
Sick: La musica elettronica, insomma.
Duke: Sì, però ad esempio sto in fissa con la trap.
Sick: Io ascolto tutto, davvero. Tanto alla fine la musica de oggi è tutta mischiata. È da una vita che ascolto musica elettronica e produttori elettronici che adesso stanno sui dischi dei rapper che ascolto. In "No Good For Me", del 2011, ho campionato i Prodigy. Basta che il pezzo mi piaccia musicalmente e non guardo troppo il genere.


Oltre al rap americano, ascoltate anche rap italiano, magari quello vecchia scuola?
Duke:
Io ho sempre ascoltato il rap americano.
Sick: Anche io, a dire la verità. Considera che sono nato nel '94 a Londra ma sono cresciuto in America, ascoltando rap americano. Ascoltavo Ice Cube e Busta Rhymes, ad esempio... E un po' tutto quello che metteva mio padre, sentivo qualsiasi disco passasse per casa. Da piccolo mi ascoltavo rap come se fosse musica italiana leggera. Da bambino a quei tempi un, in Italia, s'ascoltava Ligabue, Vasco, magari, e io ascoltavo rap. Col fatto che sono cresciuto in America, capisco quello che c'è dietro al rapper americano. Di rap italiano contemporaneo ascolto la gente con cui collaboro.
Duke: Magari ti ascoltavi gli Eiffel 65. Dipende da quanti anni hai adesso, no? Io ascoltavo gruppi tipo NWA, A Tribe Called Quest, Public Enemy, Kool G Rap, Onyx, Das Fx. Non ti basta un'intervista fratè... Un'altra cosa bella del rap odierno è che è tornato quello spirito party di una volta... È un'attitudine che mi piace molto.

È un peccato che molti rapper della cosiddetta vecchia scuola perdano più tempo a scrivere cazzate su Facebook piuttosto che a fare musica, non credi?
Duke:
Sì, certo, perché ora ti spiego. Quando una cosa va forte, si porta appresso invidia e gelosia. Invece di dire "cazzo, questi portano avanti un movimento" gli si sputa merda addosso. Invece no, dovrebbero dire "a ognuno il suo".

Lo so io, Luke, qual è il tuo rapper italiano preferito: Frankie Hi-NRG! 
[Ridono all'unisono].
Duke: Frankie era un mio fan che mi ha anche fatto delle foto durante un concerto coi Power Mc's. E non è che mi abbia fatto un torto grosso, chiariamoci, non è che mi abbia fatto qualcosa di male. I diss fanno parte dell'hip hop, non c'è niente di male. Un giorno mi ha detto che aveva una mia foto appesa in camera. Capito? Però io non porto rancore. Anzi, lo saluto: ciao Frankie!

Ciao, Frankie! Che poi comunque qualcosa di Frankie non era neanche male, no? La Morte dei Miracoli era un bel disco.
Duke: "
Quelli che Benpensano" era un bel pezzo! Sinigallia è un mio grande amico. Lo conosco dai tempi di Power Mc's, a Frankie fece un ritornello stupendo.
Sick: "Quelli che Benpensano" era un gran bel pezzo, vero.  

Sick, che dici dei rapper italiani di adesso? Ti piacciono quelli con cui tuo padre ha collaborato in Stay Gold? Fibra, Club Dogo, Emis Killa...
Sick:
Sì, sì, sono giù con loro. Marra, pure. Tutti questi che hanno i beat che spaccano e che stanno al passo coi tempi. Mio padre, ovviamente, coi miei beat suona più nuovo, diciamo, come la roba americana. Suona un po' come i Dark Polo su beat freschi. 
Magari prima era tutto campionato invece, adesso è raro che lo faccia... Per "Neve a Settembre" [dei Dark Polo NdR] avevo campionato una cosa all'inizio del pezzo.



Raccontami qualcosa di questi tre artisti che hanno collaborato a Stay Gold.
Duke:
Mentre ero sotto la doccia ho sentito in radio una canzone di Fabri [Fibra, NdR] che cita le mie barre in "Gates of Hell". Mi piaceva questa cosa, ma non lo conoscevo personalmente. Alla fine siamo riusciti a metterci in contatto e lui mi ha detto che stava in fissa con la roba mia, c'aveva Street Mentality, rappava i testi miei e del Seppia al telefono. Da lì è nata la collaborazione.  
Guè secondo me, di quelli sopra ai trenta, è il più bravo del rap italiano. fa la sua cosa e non gliene frega un cazzo, non ha la mente chiusa. Anche Jake è un ottimo rapper. Emis lo conoscevo da prima che esplodesse a livello nazionale, ci beccavamo spesso nel backstage dei miei concerti a Milano. Grande rispetto come amico e come artista vero.

Ditemi qualcosa in più sul processo creativo che sta dietro alle vostre collaborazioni.
Duke:
A un genio si dà sempre carta bianca. Luke produce un sacco di basi, è molto prolifico e praticamente tutto quello che fa mi piace. 
Sick: Al mese farò una trentina di beat. E di tracce una ventina... Ho anche parecchi clienti. 
Duke: Al Sick Studio, dove nasce la magia! [Ride]. Il Sick Studio Studio di Garbatella, ci vengono giovani rapper da tutta Italia. Addirittura dalla Svizzera e dall'America. 

Su cosa state lavorando, adesso? Soprattutto tu, Duke, è da un po' che non ti si sente, dacci qualche notizia per aumentare l'hype.
Sick:
Io sto facendo un sacco di cose. Oltre a lavorare con mio padre produco anche Dark Polo Gang, BPR squad, poi Blocco Recordz e sto facendo delle cose per Carosello Records, la mia etichetta. Adesso usciranno, oltre a Crack Musica che abbiamo finito, anche i dischi di Pyrex e Wayne. Anche il disco di mio padre è prodotto interamente da me, e in alcuni pezzi rappiamo insieme! Usciranno sicuramente dei video, più avanti.

Duke: Sto preparando un sacco di cose. Grind Muzik 4 [interamente prodotto da Luke, NdR] è quasi pronto e anche il disco ufficiale sta per uscire. Abbiamo già girato il primo video. Uscirà prima l'album e poi il mixtape. Ora ti dico in anteprima assoluta come si chiamerà il disco. Sei pronto? Ma sei pronto davvero? Il disco si chiamerà R.A.W., che sta per Real Always Wins. Fratè, è speciale. Oltre ad essere una citazione ad Eddie Murphy e Big Daddy Kane...
Sick: ... vuol dire anche guerra al contrario, war.
Duke: bravissimo Lu! Guerra, guerra contro i fake! [Ridono, insieme].

Wow, grande, lo aspettiamo. Chi pensi che siano, nel 2016, i "falsi"? Adesso che le carte in tavola sono mischiate e che ragionare con la dicotomia underground/mainstream, per la verità già fuorviante qualche anno fa, è proprio impossibile?
Duke:
ora ti spiego questa cosa. La maggior parte della gente in Italia non sa cos'è il rap. Pensa che un mio fan qualche giorno fa mi ha mandato, tramite Facebook, un disegno creato da lui in cui stringo la testa decapitata di Moreno in una mano! I ragazzini dicono che Moreno è un fake perché secondo loro chi è vero viene dalla strada, veste largo e manda a fanculo la polizia. 
Moreno però ha detto in un'intervista che sua madre si è arrabbiata perché il figlio dice le parolacce nelle canzoni. E allora anche questo potrebbe voler dire essere vero. Anche se io personalmente non lo ascolto, almeno lui parla della sua realtà e non fa finta di essere un disagiato come tanti che invece nascondono la loro vita agiata. La gente attacca le major e poi scrive che Illmatic è il miglior album nella storia del rap. Illmatic è stato spinto dalla Sony, la stessa casa che ha spinto me! Tutti possono essere veri a prescindere da età, religione, rango sociale. L'importante è che uno rappi della propria realtà. Ricordatevi che anche Raekwon dei Wu Tang Clan ha fatto un featuring con Justin Bieber. 

 

Matteo è esperto di Dark Polo, vestiti da donna e ritorni di fiamma

 

Vi presentiamo "Change For The World", il nuovo video di Charles Bradley

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Charles Bradley ha visto un bel po' di cose brutte nella sua vita. Quindi, quando dice "put away the gun and take this love," quando dichiara che "hate is poison in the blood," quando parla di divisioni razziali e odio promosso dalle religioni, devi star zitto e prestargli attenzione. Ecco, questo è il messaggio del pezzo "Change for the World," uscito qualche tempo fa, di cui vi mostriamo il video qui sotto

"Questo video rappresenta a pieno il pezzo," ci spiega Bradley. "Ci fa vedere molte cose che succedono ora nel mondo. Bisogna aprire gli occhi, le orecchie e il cuore e rendersi conto che ci vuole un cambiamento." Ecco, dicevamo: quando Bradley parla, tutti zitti.

Mentre lo ascoltate, potete anche guardare le immagini che il regista Eric Feigenbaum ha messo nel video, di cui ci racconta: "L'idea iniziale era di fare qualcosa che riflettesse quel senso di impotenza espresso dal testo, rappresentare il contesto in cui tutti, al mondo, ci troviamo, allo stesso modo in cui lo fa il pezzo: come un fiume in piena di terrori e segnali d'allarme, tenuti insieme solamente dalla nostra percezione istantanea. Charles si guarda intorno, guarda al mondo di oggi, e vede che c'è troppa roba che fa paura. Noi volevamo rappresentare questa sensazione nel video, non volevamo focalizzarci su qualcosa in particolare, volevamo un puzzle in cui ogni pezzetto avesse lo stesso peso. Ecco perché il video a un certo punto diventa quasi frenetico, quasi impossibile da seguire, impossibile reagire a questa frenesia. Per Charles è così semplice: la soluzione è l'amore, accettare l'amore, dare amore, far spazio per l'amore, e il punto è che lui riesce a distillare amore anche dalle facciate delle costruzioni che si spezzano sotto il peso del suo passato, di tutto quello che ha visto. Sentire queste cose da lui è incredibile e mi ha ispirato in un modo pazzesco."

Ok, quindi sarebbe bene che seguiste il consiglio di Charles: uscite di casa e date il vostro amore a qualcuno. Fate del bene a qualcuno. Siate i motori di un atto di gentilezza e dolcezza. Fatevi ispirare dal signore del soul. 

Il nuovo album di Charles Bradley, Changes, uscirà il primo di aprile per Daptone. Lo potete pre-ordinare a questo link. Sotto al video trovate le date del suo tour mondiale che passerà anche da queste parti, più o meno.

Mentre pensate a chi dare il vostro amore, schiacciate play: 

Le date del tour di Charles Bradley:

3/13 Tampa, FL – Gasparilla
3/25 Boise, ID - Treefort Music Fest
3/30 London, UK - O2 Forum
4/01 Paris, France - l'Olympia
4/02 Reims, France - La Cartonnerie
4/03 Utrecht, Netherlands - TivoliVrendenburg
4/06 Amsterdam, Netherlands – Paradiso – SOLD OUT
4/07 Brussels, Belgium - Cirque Royale - SOLD OUT
4/08 Koln, Germany – Live Music Hall
4/09 Berlin, Germany - Astra
4/12 Hamburg, Germany - Grunspan
4/13 Copenhagen, Denmark - Amager Bio
4/15 Bristol, UK - Colston Hall
4/17 Gateshead, UK - Gateshead International Jazz Festival at Sage Gateshead
4/23 New York, NY – Beacon Theatre
4/24 Philadelphia, PA - Union Transfer
4/28 Chicago, IL - Thalia Hall
4/29 Milwaukee, WI - Turner Hall
4/30 Madison, WI - Majestic
5/04 Nashville, TN - Exit/In
5/05 St. Louis, MO - The Old Rock House
5/06 Davenport, IA - Daytrotter
5/12 San Diego, CA - North Park
5/13 Los Angeles, CA - Theater At The Ace Hotel 
5/16 Santa Cruz, CA - Catalyst
5/17 San Francisco, CA - Fillmore
5/19 Portland, OR - Crystal Ballroom 
5/20 Vancouver, BC – Commodore – SOLD OUT
5/23 Seattle, WA - Neumo's
5/26 Minneapolis, MN - First Ave
5/27-28 Suffolk, VA - Lava Music Festival
5/27-29 Boston, MA - Boston Calling Music Festival
6/02 Washington, DC - 9:30 Club
6/15 Ewijk, Netherlands - Down The Rabbit Hole
7/16 Pori, Finland - Pori Jazz

Junkie XL racconta come ha creato la colonna sonora di "Deadpool"

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DEAD1.jpegImmagine dal film Deadpool. Foto di Joe Lederer. Per gentile concessione di 20th Century Fox.

Chi è il supereroe dalla bocca larga, vestito di spandex rosso, che spesso parla direto in camera? Si tratta di Ryan Reynolds nella parte della star dell'omonimo Deadpool, che lo scorso weekend ha superato tutti i record di incassi di un film vietato ai minori. Il nuovo super/anti-eroe ha dalla sua dei dialioghi unici, grandissime scene d'azione, e una stupenda colonna sonora by Tom Holkenborg ALA Junkie XL. Holkenborg, producer, musicista e compositore con all'attivo diversi dischi di platino e una nomination ai Grammy, è in giro dalla seconda metà degli anni Novanta, è stato il primo in assoluto a remixare un brano di Elvis Presley, e ora si trova tra i nomo più in vista della musica da film. Dal il suo lavoro pieno di percussioni esplosive per Mad Max: Fury Road alle inquietanti atmosfere di Black Mass con Johnny Depp, Holkenborg è in grado di dare nuova linfa allo stile tradizionale delle colonne sonore. Nel mini-documentario che vi presentiamo, Holkenborg parla di come ha combinato due diverse influenze musicali per creare il suono synthoso di Deadpool.

DEADJXL.jpgTom Holkenborg, a.k.a., Junkie XL, nel suo studio. Foto di Dirk Kikstra

Holkenborg ci ha spiegato come ha creato una colonna sonora così “funky, arrogante, giocosa e violenta”: “Sono stato contattato dal regista, Tim Miller, che molto curiosamente, era un mio fan da quando era un raver nei club di New York e ballava le mie tracce. Quando ha scoperto che ero stato io a fare la musica per Mad Max si è detto 'cazzo, devo parlargli'." Dopo aver visto il film assieme al regista, ai produttori e a Ryan Reynolds, Holkenborg dice che non poteva credere a quanto fosse divertente, "Era una bomba. Non sapevo cosa aspettarmi e fu una gran sorpresa, divertentissimo."

DEAD2.jpegImmagine dal film Deadpool. Foto di Joe Lederer. Per gentile concessione di 20th Century Fox.

“Ho analizzato il film, l'ho visto cinque volte prima di cominciare. Mi sono chiesto ‘Ok, cos'è che sto cercando?’ E mi sono reso conto che il personaggio non cresce dal 1990. Tutti i suoi riferimenti sono di prima di quell'anno, ha un Walkman dell'83, e anche il suo costume risale a quegli anni. Per cui ho iniziato a pensare di avere bisogno di un suono anni Ottanta. Ho un sacco di synth che risalgono a quel periodo, e mi sono impegnato a cercare effetti e processori di quell'epoca, che dessero il suono autentico che dovevo avere.” Quando poi ha trovato le macchine giuste, Holkenborg ha chiamato il regista e ha detto, “Penso di esserci: sarà una roba tra Frankie Goes to HollywoodMichael Jackson e il tema di Miami Vice... ma sotto speed.’”

DEADCOVER.jpgLa cover della colonna sonora di Deadpool

Holkenborg sostiene che Deadpool è stato uno dei suoi lavori più difficili perché in ogni scena il tono emotivo può cambiare quattro o cinque volte, “Mi chiedono sempre ‘Qual è l'emozione più difficile da musicare?’ Nessuna, sono tutte semplici, il problema è quando sono messe una dopo l'altra in successione rapida. Passare da triste ad arrabbiato è facile, ma passare da un momento triste a uno estremamente divertente a un'altro di nuovo triste poi arivare a uno molto teso e arrabbiato quindi a un momento di incertezza per poi finire di nuovo in commedia... in 50 secondi! Be' hai bisogni di fermarti un attimo a ragionarci su.’”

Deadpool sta andando meglio di quanto ci si possa aspettare, ma Holkenborg sapeva già che sarebbe stato una roba incredibile. “Lavorare su film come Mad Max e Deadpool, vuol dire sentire di stare facendo qualcosa di speciale. Speri sempre che il pubblico se ne renda conto. Con Deadpool è successo, e ne sono felicissimo.”

Ecco quindi a voi la genesi di Deadpool raccontata da Tom Holkenborg in persona.

Deadpool è appena uscito al cinema, mentre la colonna sonora sarà in vendita qui dal 4 marzo.

Tyler: "La gente non l'ha capito, ma 'Yonkers' era uno scherzo"

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"Quel beat l'ho fatto per scherzo. Volevo fare un beat di merda tipo New York, e volevo che ci rappassimo sopra come se fossimo di New York e fossimo ritardati. Poi, avevo qualche verso a caso e ho pensato 'Li metto su questo beat, dai, alla fine è figo'. E poi è piacuto a tutti. È una roba folle, perché nessuno sa che l'ho fatto per un cazzo scherzo. Ci ho messo letteralmente otto minuti a fare quel cazzo di beat."

Si Parla di "Yonkers", che è stata praticamente la maggiore hit di Tyler e quella per cui tutti siamo usciti di testa quattro anni fa. Lo ha rivelato intervistando Vince Staples per la radio online della App Golf Media, sotto lo pseudonimo di DJ Stankdady. La prova è nel video qua sotto.

 

Con Shablo tra la neve e Fargo

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Vi abbiamo già raccontato tutto ciò che si nasconde sotto la superficie di Mate y Espìritu, ma oggi vi facciamo vedere il video realizzato per "Chessplaying This Dame" e che riprende le atmosfere di Fargo (di cui tra l'altro, in Italia, è andata in onda l'ultima puntata giusto un paio di giorni fa). Il video, realizzato da Pepsy Romanoff, allo stesso modo di tutti i progetti sviluppati in direzioni satelittari attorno a questo disco e ad Avantguardia, è un'antologia di paesaggi raccolti attraverso un viaggio sulle strade innevate dell'Alaska. Qualcosa di simile a quanto era stato fatto per il precedente video di "Superstition", cantato da Benny Lendano, ma in questa circostanza alle riprese si aggiungono brevi inserti personali di Shablo.

Il brano è stato composto per la prima volta intorno al 2008 ad Amsterdam, in un periodo in cui Shablo si era trasferito stabilmente in Olanda per lavorare alla sua musica ed è stato cantato dalla cantante jazz Raffaella Herbert, per poi vivere una storia travagliata e di grandi cambiamenti (un po' come tutti gli altri brani del disco) fino a trasformarsi nella versione che si può ascoltare oggi. "C'è stato un grosso lavoro di aggiornamento e, in qualche misura, di confronto con me stesso", mi spiega Pablo, in un'ottica che è quella di una rilettura della proprio musica, qualcosa che difficilmente si riesce a fare facilmente e che, di solito genera una sensazione quasi di imbarazzo e iper-criticità nei propri confronti (o almeno, per me è così).

Mate y Espìritu è disponibile su iTunes.
Puoi seguire Shablo su Facebook, Twitter e Instagram.


41 modi per capire "The Life of Pablo"

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Artwork di Anna Magni

Come si dice, le opinioni sono come il buco del culo: ognuno ne ha una, qualcuno se le schiarisce, e non si può parlare di Kanye West senza tirarne fuori una. Nel corso degli ultimi tre anni, specialmente negli ultimi tre mesi, in particolare nelle ultime tre settimane e soprattutto negli ultimi tre giorni, il mondo è rimasto appeso alle labbra di Kanye, in attesa della sua prossima mossa e incapace di trattenersi dal parlarne. E ora è uscito l'album The Life of Pablo. Sei pronto a dire la tua?

Noi lo siamo! Anche se il disco è uscito da sì e no ventiquattr'ore in formato diverso da un rip di un video, la gente ha già cominciato a giudicarlo. Forse è troppo presto per una recensione dell'ultimo album del sedicente più grande artista di tutti i tempi, ma, come si dice, chi ha tempo non aspetti tempo. Le recensioni stanno uscendo, che tu lo voglia o no. Leggerle tutte può diventare impegnativo, anche se gli articoli su Kanye non sono mai abbastanza. Per cui abbiamo convocato quarantuno dei nostri giornalisti e influencer preferiti, abbiamo fatto scrivere a ognuno la propria recensione, e le abbiamo raggruppate tutte qua sotto. Così puoi leggere tutte le opinioni che ti servono su TLOP senza dover visitare altri siti che, si sa, fanno schifo. Anche noi ci sentiamo come Pablo (Neruda, perché scriveva un sacco e anche noi abbiamo scritto un sacco).


Le contraddizioni rivoluzionarie di Kanye West, di Drew Millard

Invece di creare un bel personaggetto o tentare di nascondere gli elementi meno gradevoli della propria personalità, Kanye West ti fa visitare ogni angolo della sua psiche, anche quegli angoli che ti fanno dire "CAZZO PORCA TROIA ZIO CHE CAZZO". Questo è uno dei miei aspetti preferiti di Kanye, e The Life of Pablo prova che Kanye è un maledetto sensei di questo tipo particolare di contraddizione. Usa allegramente l'immagine di rimanere macchiati dal culo sbiancato di una modella nel crescendo di “Father Stretch My Hands Pt. 1”, che per il resto è un puro pezzo gospel. Trasforma Young Thug nel nuovo Kirk Franklin in "Highlights", una canzone di cui vi ricorderete dal suo Twitter come "Quella in cui dissa Kim" (per differenziarla da "Quella in cui dice che si scoperà Taylor Swift"). La sua confessione di stampo Knausgaardiano, in cui ammette di essere preoccupato che sua moglie voglia il divorzio e lascia passare un riferimento al Lexapro per i veri fattoni, si chiama, che Dio benedica Yeezy, "FML". "Freestyle 4" in realtà è l'ottava canzone. Eccetera, eccetera, eccetera, giù a spirale verso l'infinito finché non prosciughiamo tutti le nostre carte di credito comprando i suoi abiti marron-fashion che ti fanno sembrare Dobby l'elfo di casa. Ma più che per tutte queste cose, Kanye è grande perché ogni volta che fa uscire un disco sembra che stia totalmente ricalibrando dal punto di vista sonico l'hip hop—ora, il rap deve suonare tipo goth-gospel (gothpel?) e se a qualcuno non dovesse andare bene, be', è un peccato perché è così che va adesso, ora scusatemi ma devo infilarmi questo sacco di iuta e andare a recuperare le Yeezy Boost che il fratellino di Taylor Swift ha buttato nella spazzatura

Drew Millard è un giornalista di Los Angeles. Seguilo su Twitter.


La recensione in forma di Haiku di The Life of Pablo, di Slava Pastuk

odî Kanye West
a lui non interessa
ascolta il disco

Slava Pastuk è l'editor di Noisey Canada. Questo è il suo Twitter.


L'universo personale di Kanye in The Life of Pablo, di Briana Younger

I miei occhi sono quasi volati via da quanto li ho alzati al cielo quando Kanye West ha twittato che The Life of Pablo—che al tempo si chiamava Waves—sarebbe stato un album gospel. Sono stato sbugiardato nel corso dei primi novanta secondi. A essere onesti, questo è lo stesso uomo che ha infilato un inno nel suo album di debutto, per cui forse non avrei dovuto essere così scettica. L'inclusione di Kelly Price, Kirk Franklin, testimonianze e cori che si avvicinano al livello di sincerità dei God's Property è stupefacente e dà vita a molti dei momenti più alti dell'album. Anche se non si tratta certo del "vecchio Kanye" che a quanto pare lui oggi odia, bisogna dire che TLOP presenta un tentativo di patchwork di tutte le migliori versioni di se stesso: il grime pretenzioso e spesso osceno di Yeezus, il minimalismo emo di 808s, l'immaginazione ambigua di MBDTF e, a volte, il magnetismo accattivante della sua prima trilogia. Il fatto che TLOP suonasse da paura già da un rip illegale di uno stream è prova della sua qualità o prova della nostra disperata volontà di vedere Kanye come noi desideriamo che sia, o una combinazione delle due cose. Non saprei dire se il casino che è successo con l'uscita abbia messo in ombra l'album stesso—entrambi dimostrazione di una oltraggiosa battaglia tra Superego e Id—ma forse questo non importa. Kanye crea #moments, e questo è per sempre cristallizzato nella sua confusa, sacrilega arroganza. 

Briana Younger è una scrittrice di Washington, DC. Ecco il suo Twitter.


Parliamo della voce di Kanye, di Rebecca Haithcoat

Non mi piace la voce di Kanye West. Non in senso figurato. Penso che sia figo che dica che è il meglio in tutto perché adesso vi rivelo un piccolo segreto riguardo al dire che sei il meglio in tutto: la gente prima o poi ci crede. (Potresti anche convincere te stesso). No, intendo letteralmente il suono della sua voce quando rappa. Il suo suono nasale e la sua cantilena mi hanno sempre dato talmente tanto fastidio che non riuscirei ad ascoltare la sua musica se non fosse così Olivier Rousting nella produzione. In TLOP, Kanye effettivamente mette insieme suoni e tempi e ritmi che sono raffinati quanto i Balmain delle damigelle di Kim, ognuno su misura per la canzone che lo indossa, ognuno perlaceo e lussureggiante e così pieno di beat talmente dettagliati e intricati che vorresti davvero esaminarli da vicino con un buon impianto. Nell'insieme e dopo tre o quattro ascolti, TLOP mi sembra avere la mia produzione preferita tra tutti gli album di Kanye, e una buona metà delle canzoni mi hanno fatto scattare in piedi. Ma la sua voce. È l'esatto opposto della voce di Ty Dolla $ign da "ho fumato troppe Backwood e poi ho ingerito un chilo di melassa" che accarezza il ritornello di "Real Friends" o dello stormo di angeli che sposta le montagne su "Ultralight Beam". Quello che il timbro vocale di Kanye sembra manifestare è profonda frustrazione e debilitante insicurezza, ma frustrazione e insicurezza riguardo a cagate stupide e insignificanti come la ragazza che l'ha mandato affanculo in terza media. Non penso che Kanye sia pazzo. Ma sembra di essere il tipo di uomo che insiste sempre per avere ragione, il tipo di uomo che ti SCRIVERÀ SOLO IN CAPS finché non ti arrendi, il tipo di uomo da cui una donna dovrebbe guardarsi bene. Proprio come quei blogger intrombabili. 

Rebecca Haithcoat è una giornalista di LA. È su Twitter.


Kanye West, artiste?, di David Drake

Più schizzi e spruzzi di colore che ritratti, The Life of Pablo è una raccolta di idee più che di canzoni. In qualche modo dà un feeling minore, anche se certi momenti—l'eleganza melodica di "Highlights", lo zoppicare lo-fi alla Timbo di "Feedback"—trascendono il resto dell'album. I testi passano da profondo-finché-non-ci-pensi (per quanto possa essere vero "Name one genius that ain't crazy" sembra la razionalizzazione difensiva di uno stronzo) a slogan esuberanti ("Any rumor you heard about me was true and legendary"). Zig-zagga pure tra roba motivatrice da poster coi gatti all'inclusione di "trash" basso ("Awesome, Steve Jobs mixed with Steve Austin") al trattare gli oggetti come donne, man. Come la maggior parte della produzione recente di Kanye, il tuo godimento di questo materiale sarà proporzionale al tuo apprezzamento o alla tua tolleranza del brand Kanye, anche ora che è totalmente sbocciato come mattacchione.

Raramente sembra interessato a connettere con il proprio pubblico tramite ciò che è familiare—accontentare il desiderio di "vecchio Kanye"—, mentre si lascia guidare piuttosto da un'onestà brutale, che poi era sempre la strategia del vecchio Kanye. Una delle sue canzoni più fredde è anche una delle sue migliori, in cui il poco calore filtra dai bordi malinconici ("Real Friends"). È inaspettatamente comprensibile. Non è che il suo stile di vita da reality TV sia finto, ma serve a mostrare i limiti della "sincerità" come una finestra sull'arte che vale la pena ascoltare: Kanye è uno strano, più facile da apprezzare per la sua sincerità in astratto che da viverci insieme. Se Kanye asseconda qualcuno, si tratta di chi vede l'arte al suo punto più alto come un catalogo di sogni post moderno. Il suo lavoro è un mettersi in mostra—il fatto che abbia messo sotto contratto Desiigner sembra sminuire liquidare la carriera di Future come una questione di pitch, il suo utilizzo della storia della musica sembra voler privare i critici dei propri strumenti. Nel complesso, The Life of Pablo non è una ritirata dopo lo shock di Yeezus, ma probabilmente resterà un peso piuma. Ci sono molte idee qua sopra, però, boccioli che non fioriranno mai del tutto, come se Kanye non avesse avuto il tempo o la forza di volontà di dare loro più della scintilla iniziale di vita. 

David Drake è un giornalista di Chicago. Seguilo su Twitter.


L'avventura di Kanye West, di DVS

Come molti americani, quando ho sentito dire la settimana scorsa che c'era un tipo di nome "Kanye West" mi sono detto "Porca vacca! QUESTO non me lo posso perdere!" ADORO quando la gente ha dei nomi. Sono andato alla biblioteca di quartiere, che è stata bruciata, e ho chiesto alla bibliotecaria se aveva dei libri sulla "gente" e sull'"imparare le cose". Lei ha detto che no, per via che era bruciata. Questo "Kanye" ce la mette proprio tutta per non farsi notare.

All'improvviso, la bibliotecaria mi ha preso da parte e mi ha detto che aveva mezzo grammo di “America Online” nel gilet ed era disposta a condividerlo. Non appena ho appoggiato i cristalli colorati gusto frutta sulla lingua, ho istantaneamente saputo tutto. In quel momento ho imparato che Kanye una volta si chiamava "Logan" ma fu rapito dal Governo del Canada, ribattezzato "Weapon X" e nelle sue ossa fu iniettato il metallo finto ma FOLLEMENTE duraturo "adamantium", che migliorò le sue abilità di autoguarigione e la sua grande forza. Poco dopo incontrò il professor Charles Kanye, che lo inserì tra i "Kanye-Man", un gruppo di studenti che condividevano simili incredibili abilità e poteri. Fu così che cambiò nome per provare la sua dedizione alla causa e per riaffermare il suo ruolo come braccio violento del gruppo. E poi ha anche fatto... un album prog rock fuori di testa. Si intitola tipo Hey Here Comes Pablo, He's Your Friend. Anche il titolo è fuori di testa.

DVS l'altro artista vivente più grande del XXI secolo. Complimentati su Twitter.


Ah già, c'è anche un album, di Jessica Goodman

La lunga marcia verso la Yeezy Season Three si è conclusa quando Kanye West è entrato dentro al Madison Square Garden preceduto da una mezza dozzina di Kardashian vestite in outfit personalizzati Balmain x Yeezy, perché nessuno si dimentichi a che famiglia Ye è sposato o che il suo status di star internazionale ora gli permette di twittare "BILL COSBY INNOCENT" e comunque fare il tutto esaurito nell'arena più grande del mondo alle quattro del pomeriggio di giovedì. Certo, lo spettacolo avrà anche potuto essere tecnicamente incentrato su vestiti beige e una grande sorpresa, ma quando infili la famiglia più famosa del pianeta, Anna Wintour, un centinaio di rapper famosi, duemila modelle, altrettanti giornalisti e ventimila fanatici di Yeezus dentro un posto, è praticamente la mossa più arrogante che un umano possa tentare. Giravano canne, cavi aux e discorsi motivazionali sulle corporation e code da due chilometri per comprare il merch e cori di FUCK NIKE e ringraziamenti a Dio e hype su Tidal e Tyga. C'era anche la musica però, giusto? Quella spacca. Mi piace un sacco. 

Jessica Goodman è editor delle sezioni musica digitale e libri dell'Entertainment Weekly. Seguila su Twitter.


Teen Time: Kanye? Kan-okay, non Kan-yay, di Eli Zeger

Kanye West è un coglione e con The Life Of Pablo il suo atteggiamento lunatico e concitato ha decisamente messo in ombra il suo lavoro. Secondo l'opinione (narcisista) dell'artiste, secondo i suoi numerosi tweet, questo è passato dall'essere "l'album della vita" definitivo, a "UNO degli album migliori", ma TLOP si merita un ulteriore passo avanti: è semplicemente un buon album, lungi dal meritarsi l'ipotetica eredità culturale che vanta il suo creatore. TLOP ha i suoi momenti, tuttavia, tanto che alcuni riescono a farmi dimenticare il mio disgusto—"Real Friends" per essere precisi. È impossibile rimanere impassibili davanti all'atmosfera viscerale e inquietante della traccia. "Real Friends" non ha nulla a che vedere con le strumentali abrasive di MBDTF; anzi, dipinge uno scenario R&B minimale e intimo. Quel loop di piano granuloso e quell'eco da caverna sul beat insieme danno i brividi, e le brevi quasi-armonie che Ye canta durante i ritornelli sono splendide.

Mi piace anche quel sample di Arthur Russell su "30 Hours"; anche se la canzone è più vivace di "Real Friends", anche lei ha un feeling minimalista. I momenti migliori di Ye sono quando le strumentali suonano modeste e (al di là dell'improvvisazione su "30 Hours") sintetiche.

Eli Zeger è il corrispondente di Noisey dal mondo dell'adolescenza. Fallo sentire amato su Twitter.


La fan fiction definitiva di Kanye, di Ezra Marcus

Quando avevo dodici anni, in pieno boom Harry Potter, sono entrato dentro alla stanza di mia madre e ho trovato uno spesso blocco di fogli sul suo comodino. L'aveva stampato da Internet e graffettato con le sue mani. Ho dato un'occhiata e, ta-dah!, era un racconto di fan fiction erotica in cui Severus Snape aveva rapporti proibiti con Harry Potter, Ron e, dio santo, Albus Dumbledore. Rimasi pietrificato.

La fan fiction erotica è uno dei più famosi prodotti di Internet: siti come AdultFanFiction e AO3 offrono milioni di storie in cui amati personaggi di film, TV, letteratura, musica e il mondo delle celebrità si ammazzano di botte tra loro. Magari non avete mai letto questa roba, ma ci sono buone probabilità che la ragazza con il cappello con le orecchie da gatto o il ragazzo con forti opinioni su Sherlock l'abbia letta. Sai chi altri ha scritto fan fiction selvaggia? Kanye West. In "Famous" descrive una tresca immaginaria tra lui e Taylor Swift. Certo, ne viene fuori un po' imbarazzante e disperato. Ma per nulla originale. Questa è una storia erotica tra Kanye e Taylor. Questa è un'altra. Qui Taylor si scopa Kanye con uno strap-on. È piuttosto arrapante. È anche perfettamente normale. Centinaia di migliaia di nerd si immaginano i loro idoli fare porcate ogni giorno. È giusto giudicare Kanye con un occhio di riguardo solo perché uno dei protagonisti delle sue fantasie è lui stesso?

Per usare le immortali parole di SamuelX: “Sdraiato supino sopra il letto king-size, Kanye tentò di abbozzare il suo caratteristico ghigno sentendo il proprio culo cedere alle spinte di Taylor Swift”. Amen.

Per quanto mi riguarda, The Life of Pablo spacca il culo, ma questo lo sapevate già.

Ezra Marcus è il cugino che ha rubato il computer di Kanye. Rincorrilo Twitter.


We're all on an Ultralight Beam now, di Brian Josephs

Ci sono rimasto troppo sotto con “Ultralight Beam” perché mi fregasse qualcosa del resto dell'album. Quando Kanye West ha twittato che The Life of Pablo sarebbe stato un album gospel, ho pensato che fosse una figata. Dopo qualche giorno si è messo in prima linea per difendere il proprio ano—aveva chiaramente bisogno di Gesù. Ce l'ha ancora: chi è che promuove il proprio album su Saturday Night Live come se fosse un mixtape di DatPiff? 

A dir la verità, tutti abbiamo bisogno di essere salvati. L'altruismo del gospel è spesso più un'aspirazione che un sentimento genuino. Ma in "Ultralight Beam" Chance The Rapper si lascia andare al cento percento, senza rete, e Kirk Franklin gli guarda le spalle. Credo che, se l'eco del coro sul finale non ti ispira una reazione viscerale, tu sia condannato alla dannazione eterna. 

Brian Josephs è un giornalista di VICE. Seguilo su Twitter.


Fanculo tutto il resto, parliamo della vera star, di Paul Thompson

Non voglio parlare di Kanye West—per lo meno non strettamente—ma ascoltatemi comunque. Per quanto possa essere fico per un rapper-producer di Chicago fare il tutto esaurito al Madison Square Garden per una sfilata di moda, è pur sempre una sfilata in cui modelli e modelle sono soggetti a liste lunghe pagine di istruzioni in ALL-CAPS e in cui i vestiti vengono venduti all'affrontabilissimo prezzo di 455 dollari per un pullover beige senza maniche. Quindi anche se la produzione di The Life of Pablo ha un suono superbo, la vera magia di giovedì è arrivata quando Kanye ha pensato di aver finito e ha deciso di passare in giro il cavo aux.

Ora potremmo parlare di Vic Mensa che tenta di nuovo a pubblicare il singolo del cambio di marcia, o potremmo parlare di Kanye che si rimette a perseguitare la Nike. Ma non sono qui per parlare di Kanye. La canzone che ha spaccato la giornata di giovedì è arrivata da Young Thug, lo scheletrico rapper di Atlanta che era appena sceso dalla passerella con una bottiglia di (ahem) Sprite nella tasca della giacca militare di cuoio e pelliccia. È salito lentamente sul palco ed ha attaccato “Ridin’ Through the City”, una lezione universitaria su diamanti neri e insufficienza renale e AK47 appoggiati sulle gambe. C'è qualcosa di interessante da dire su quello che aspetta tre anni tra un album e l'altro, attira decine di migliaia di fan, parla a voce alta e senza compromesso del proprio ruolo nella cultura di oggi e nella storia. Ma c'è anche qualcosa di interessante da dire su quello che gli frega il posto sotto i riflettori. "Fanculo questa roba, diamoci dentro". 

Paul Thompson ne ha due piene. È anche su Twitter.


The Life of Pablo supera le aspettative, di Ty Howard

Lasciatemi cominciare con il dire che ero sinceramente spaventato da come questo album avrebbe potuto suonare. Kanye non ci ha mai veramente deluso (a parte quando non ha fatto produrre Yeezus alla 808 Mafia in toto), ma questo album mi preoccupava senza dubbio. Ogni mia paura è stata messa a tacere dopo averlo ascoltato. 

Solo Kanye poteva mettere insieme Kelly Price, Frank Ocean, Rihanna, Young Thug, Post Malone, Metro Boomin, Chance The Rapper, Kirk Franklin e molti altri in un album senza farlo scoppiare. Speravo che ci fossero 'Ye e Kirk Franklin sopra una base di Metro, ma vorrà dire che dovremo aspettare fino al prossimo album per questo. Però c'è Kanye che tira dei colpi al fratello di Brandy sulla stessa traccia ("Highlights") di Thugger Thugger, The-Dream ed El DeBarge, ed è tanto fico quanto sembra. Se dovessi scegliere un pezzo preferito in questo momento, sarebbe sicuramente "Highligths".

Nel complesso, 'Ye ha buttato fuori un altro disco della madonna che Internet non apprezzerà fino all'anno prossimo e sarà la colonna sonora della vita fino all'uscita di Views from the 6. Grazie, Pablo—volevo dire, Kanye.

Ty Howard è l'editor del blog hip-hop Fake Shore Drive. Seguilo su Twitter.


The Life of Pablo: una relazione complicata, di Aly Comingore

Ciao. Sono la tua amica che ha abbandonato il carrozzone Kanye dopo la storia di Cosby e poi ha ceduto all'ansia sociale e ha seguito l'intera presentazione al Madison Square Garden dalla propria scrivania. Ora sono qui per dirti che la Yeezus Season è un vero ottovolante di emozioni e che non c'è problema ad apprezzare The Life of Pablo perché, in effetti, questo disco è davvero bello, cazzo. Il verso su Taylor Swift è misogino? Sì! Lei l'ha approvato? Non lo so. Tutto questo non importa perché il sample di Sister Nancy in quel pezzo è oro colato. È egoista che Kanye scriva una canzone su Kanye che scrive una canzone su Kanye? Sì! Dovresti essere infastidito dalla sua arroganza? Probabilmente sì. Il coro di "Ultralight Beam" mette in ombra tutto ciò? Al cento percento! Ti senti combattuto? Perfetto. 

Aly Comingore è la managing editor di VICE's Live Nation TV. Seguila su Twitter.


The Life of Pablo: l'ardua recensione metaforica, by Jeremy Larson

La Teoria della Relatività Generale di Einstein è stata confermata giovedì, tramite la collisione di due buchi neri: sì, Kanye West ha detto una cosa brutta su Taylor Swift, e Internet ha risposto. Ma limitarsi a questo vorrebbe dire guardare ai pianeti e ignorare la galassia: The Life of Pablo è un paradosso cosmico. Come un balletto galattico, Kanye presenta una guerra tra l'infallibilità e la mortalità sul piano astrale. È pieno di raggi di luce più luminosi di qualunque stella e antimateria così buia da eludere ogni legge della scienza e della ragione. Ci sono corpi celesti che Kanye esplora con una GoPro, universi paralleli che contengono "Feedback" da TLOP e "I'm In It" da Yeezus, e l'attrazione gravitazionale di Kanye stesso che dimostra che in effetti tutto gira attorno a lui. Kanye rappa del suo cazzo sopra dei sample di Nina Simone perché queste sono le leggi immutabili del suo universo. È il creatore di meme e il divoratore di LOL. Per Kanye non esiste Dio o l'Uomo, solo un'insondabile collisione intergalattica tra i due: Pablo. 

Jeremy Larson è un raggio di luna e un raggio di sole, l'Alfa e l'Omega. Illuminati su Twitter.


Metro Boomin? Vorrei di più, ma me lo faccio andar bene, di Trey Smith

Questa è musica da domenica mattina per chi non va in chiesa e pensa che gli avanzi di alcolici della sera prima si possano definire brunch (è così). Kanye ha cattivo gusto per certe cose, come abbiamo imparato dai suoi tweet delle ultime due settimane, ma la musica non fa certamente parte di queste cose. Non pensavo che il disco sarebbe stato brutto, ma il circo social-mediatico non mi aveva reso esattamente smanioso di ascoltarlo.

Tutto è cambiato durante lo spettacolo Season Three non appena "Ultralight Beam" mi ha fatto venire la pelle d'oca su tutto il corpo. Ora che ho ascoltato uno stream integrale, credo che sia la cosa più completa dopo My Beautiful Dark Twisted Fantasy. Se un progetto nel 2016 non è prodotto almeno per metà da 808 Mafia o Metro Boomin ci sono buone probabilità che faccia schifo, e questo per qualche motivo non fa schifo.

Visto che gli esperimenti di Kanye con i nuovi media diventano sempre più importanti, TLOP potrebbe essere il suo ultimo album per un po' di tempo—forse per sempre. Se così sarà, si tratterà della miglior conclusione (o di un inizio di pausa molto lunga, perché si tratta di Kanye) With his ventures into new mediums picking up speed, TLOP could be Kanye's last album for a while—maybe ever. If that's the case, this is about as great a conclusion (or beginning of a super extended hiatus, because this is Kanye) che potessimo sperare. E la traccia che Thugger ha messo all'evento è una bomba e non vedo l'ora che esca Slime Season 3.

Trey Smith è un esperto di prodotti da forno e allevamento di api. Scopri di più su Twitter.


La grande domanda a cui The Life of Pablo non risponde, di Annalise Domenighini

Dopo tre anni, mesi di tira e molla, un ciclo di stampa eccessivo e stressante mai visto prima, almeno tre crolli nervosi e chissà quante strane, fino ad allora inesplorate emozioni questo album mi ha costretta a provare, c'è una cosa soltanto che sono riuscita davvero a estrapolare da The Life of Pablo, ed è che Kanye e Drake devono limonare ASAP.

Annalise Domenighini è la Social Producer di Noisey. Ovviamente è su Twitter.


Pizza alta e pensiero profondo: l'identità di Chicago è forte in Kanye, ma la vostra identità è che dovete darvi una calmata, by Ernest Wilkins

"Name one genius that ain't crazy"

Mentre il metodo di presentazione del nuovo album di Kanye non dovrebbe essere replicato da nessun altro—e mi riferisco a te, rapper famoso rimasto senza idee al di fuori di "Uhm, prendiamo Metro Boomin?"—quel verso continua a perseguitarmi. 

Kanye West è mio cugino. Non letteralmente, ma condividiamo una storia simile, dalla mamma con mille lauree che lavoravano all'Università Statale di Chicago all'andare al centro commerciale di River Oaks ogni weekend tra il 1999 e il 2003. Sono contento se lui ha successo, anche quando dice cazzate o si comporta da bambinone perché una donna lo ha lasciato e ci sta ancora male anni dopo. Sarà pure un narcisista che avrebbe bisogno che qualcuno gli dicesse di no ogni tanto, ma è il NOSTRO narcisista.

Per quanto riguarda l'album... sai cosa? No.

Questo è l'equivalente musicale di una persona che aspetta le 11.55 per consegnare l'esame. Oh, mi ha fatto piacere sentirlo fare riferimento finalmente al miglior diss di tutti i tempi, "I Hit It First" di Ray J, anche se tre anni dopo l'uscita. Smettiamola di prenderci in giro. Non sono qui per convincervi. La gente di Chicago sarà contenta che ci sia gente di casa sul disco (YAY CHANCE), chi lavora nei media sarà contento di avere qualcosa da scrivere e il resto del mondo si concentrerà sul produrre meme mentre cerca di comprare delle Yeezy tarocche dai cinesi. L'Internet della critica musicale nel 2016 è Galactus: quando si focalizza su una cosa, finisce sempre per distruggerla. Me ne torno a dormire.

Ernest Wilkins non è quello che ha rubato il computer di Kanye. Le prove sono su Twitter.


Davvero, ci avevano promesso più Young Thug, di Haley Potiker

Prima di tutto, io volevo più Young Thug. Mi era stato esplicitamente promesso più Young Thug di così. Voglio dire, sarei stata comunque contenta dell'album, ma la delusione delle aspettative porta alla disperazione. E poi: perché c'è un imitatore di Future su "Pt. 2"? Una teoria non confermata è che Kanye abbia chiesto a Future di collaborare all'album, e Future abbia chiesto una cifra esorbitante. 'Ye, visto che è nella merda coi soldi, ha trovato un Future tarocco—Desiigner—che facesse un'imitazione perfetta e l'ha messo sotto contratto per un decimo del prezzo. Sulle prime, Kanye ha pensato a un piano per far diventare Desiigner ricco e famoso solo per dare fastidio a Future. Poi si è impigrito e si è limitato a dargli una strofa sull'album.

Ecco una cosa che non capisco: su The Life of Pablo si parla tantissimo di scopare con altre donne. Per cui Kim Kardashian se n'è stata in studio con Kanye giorno e notte ad ascoltarlo parlare di scoparsi tutte le tipe che trova in palestra e gli ha detto solo "grandi barre, caro"? Ma parlando di barre, trovo rassicurante sapere che Kanye prende il Lexapro.  

Niente di tutto ciò significa che non mi piaccia The Life of Pablo o che non abbia passato l'intera mattinata a imparare a memoria "I Love Kanye".

Haley Potiker è una giornalista di LA. Seguila su Twitter.


Il Vangelo di Pablo, di Judnick Maynard

Quando Kanye ha dichiarato che il suo nuovo album sarebbe stato un disco gospel, ho costruito un'arca di positività attorno a me stessa perché sapevo che Twitter sarebbe stato sommerso da un'infinità di hot take. Kanye è nero; noi non scherziamo con la parola gospel. Non mi sono fatta prendere dall'ansia o dal nervoso in attesa di cosa sarebbe successo. Avevo fede nella sua capacità di mantenere la parola da musicista perché non ho mai conosciuto quest'uomo in altro modo. Se le lacrime che ho versato domenica mattina significano qualcosa, è che essere neri è ancora una cosa meravigliiosa, e che i giovani neri sono ancora i veri trendsetter. L'ultima generazione non l'ha fatto impazzire come avevate previsto, vecchi puzzoni. Se c'è una cosa che va detta al riguardo è che ancora una volta Kanye ha legato l'immagine esausta e noiosa di Taylor Swift alla storia della musica nera. Non l'ha resa famosa; l'ha resa rilevante per l'unica cultura che conta.

Judnick Maynard è una giornalista di Brooklyn. Seguila su Twitter.


Kanye West pubblica il suo album più personale, di Joe Zadeh

Dal titolo alla vecchia foto di famiglia in copertina, The Life of Pablo è molto chiaro nel dire: questo sarà riflessivo e autobiografico, ok? Per cui ha senso che suoni come una riduzione di ogni sfumatura di Kanye che abbiamo mai conosciuto. Ci sono gli scintillii soul alla College Dropout e le barre di classe alla "No More Parties in LA"; la gioia gospel in stile "Jesus Walks" su "Ultralight Beam"; l'introspezione di "FML"; l'autoconsapevolezza cronica di "I Love Kanye"; il caldo groove da Chicago house di "Fade"; e le dosi concentrate di Yeezus che macchiano qua e là come sangue su una maglia bianca fatta di synth piacioni su "Feedback" o di agguerrito animalismo su "Feedback 4".

Il risultato è un album che non sembra avere alcun concetto o tema o progresso narrativo e, dopo album come MBDTF e 808s, è facile rimanere delusi da ciò. Ma forse è proprio questo il punto. TLOP è una raccolta caotica e incostante che vive coraggiosamente dei propri movimenti impulsivi. La decisione di rifare "Facts" è un colpo da maestro; la decisione di ribaltare completamente "Wolves" è stata una merda. Il testo passa come un ubriaco da virtuoso e significativo a volgare e pigro, ed è spesso difficile capire se ci si trova in una cappella o in uno strip club, e i campionamenti sembrano fatti da un bambino che prende a pugni i pulsanti della radio con le migliori stazioni di tutti i tempi. Eppure c'è una sorta di magnificenza in quanto è incasinato, in come la sua visione retrospettiva assomiglia alla memoria, frantumata e illogica. Grazie a questa sensazione da greatest hits, questa imprevedibilità incontrollata e a questo bisogno disperato di prosperare al di fuori del mondo, è probabilmente l'album più Kanye di tutti.

Joe Zadeh è l'editor di Noisey UK. Qui è su Twitter.


Tutti amano Kanye?, di Emilee Lindner

Nel bel mezzo del suo listening party al MSG Kanye urla che bisognerebbe riconoscergli più credito. "Questa roba è stata difficile", abbaia ripetutamente quando i fan non urlano abbastanza forte per il suo nuovo video game. Per cui urlano più forte quando li costringe a guardarlo ancora. Ascoltano Yeezus. Quando dice di essere un dio (o, nel caso di TLOP, "Steve Jobs meets Steve Austin"), loro ci credono.

Possiamo essere influenzati da Kanye o farne la parodia. Gli vanno bene entrambe le cose. La sua misoginia fa cagare, ma anche quella sembra essere lì per estetica. Chiama sua moglie bitch e la tratta come un oggetto quando canta "I bet me and Ray J would be friends but we love the same bitch / Yeah he hit it first but I'm rich". Si attribuisce il merito della fama di Taylor Swift e si sente autorizzato a prendersi il suo corpo cantando "I feel like me and Taylor might still have sex. I made that bitch famous".

Non posso far finta di non vedere la misoginia—che sia un personaggio o no—per cui non ho altre idee da esprimere su TLOP. L'unica visione che ho è Kanye circondato da vestiti di merda e modelle annoiate, alla ricerca disperata di attenzione mentre i suoi fan lodano il suo lavoro a comando, ignorando i problemi.

Emilee Lindner è una giornalista di New York. La trovi su Twitter.


Guida pratica a The Life of Pablo e all'Equinox di Soho, di Kyle Kramer

Non riesco a "capire davvero" un album se non "entro nel suo mondo". E il mondo di The Life of Pablo è un mondo che non conosco. Per esempio, non sono mai stato in una palestra Equinox, dove vanno tutte le cagne. Ho cercato su Yelp per capire se la clientela tiene testa alle aspettative e ho trovato la seguente recensione di L.D.: "Prima di tutto, vorrei mettere in chiaro che Equinox non è per gli atleti. È per 'clienti' che hanno paura della morte e persone brutte". Forse non è qualcosa di cui canterebbe The-Dream, ma sembra il posto per me, non è vero? Bianca Z. aggiunge: "Una cosa positiva è che c'è uno spazio comune in cui sedersi (una specie di foyer) tra il juice bar al primo piano e la reception al secondo piano".

Non ho nemmeno mai visto un buco del culo sbiancato. Ho guardato alcune soluzioni omeopatiche per lo sbiancamento su wikiHow e ho scoperto che il sapone alla papaya è una buona soluzione. O, se non riesci a trovare il sapone alla papaya, "puoi anche frullare un pezzo di papaya matura e applicarne un bel mucchio sull'area desiderata. Lascialo agire per trenta minuti e poi lavalo via. Tempo un paio di settimane e dovresti vedere uno schiarimento significativo". Vuoi sapere la mia? Kanye non dovrebbe preoccuparsi di macchiarsi la maglietta, anche se mi è capitato di versare della candeggina sui vestiti in passato ed effettivamente è molto fastidioso. Vuoi sapere l'altra mia idea? La vecchia storia di Kanye che sarebbe meglio come producer che come rapper potrebbe finalmente essere vera in questo album, ma questa è un'altra storia. 

Kyle Kramer ha recentemente annullato il suo abbonamento a Planet Fitness. Dàgli del ciccione su Twitter.


I tanti, a volte cristiani, messaggi di The Life of Pablo, di Brandon Soderberg

Prova a separare The Life Of Pablo dallo stupendo listening party tra Dune The Warriors se fosse stato diretto da Isaac Julien e anche dalla lista crescente di tweet idioti di Kanye e, poi, ignora i passaggi dell'album in cui Kanye sembra Dirty Grandpa. Se fai tutte queste cose, The Life of Pablo è un gran casino imbottito di clip audio, pezzi di musica d'altri (più che sample), mezze canzoni e mode radiofoniche Kanyezzate. È una celebrazione dell'incoerenza e una giustificazione per la mancanza di tatto—la seconda metà è più "coesa" ma meno coinvolgente, il che ci fa capire qualcosa su quanto i difetti non siano sempre difetti. Anche se ogni mossa non-musicale che Kanye fa ultimamente fa pensare che si preoccupi molto di quello che le persone sbagliate pensano di lui (perché sente il bisogno di entrare nel partito anti-stimolazione anale?), la sua musica non è così. È vero che in alcuni punti suona come un disco gospel, e quando succede succede eccome, ma ogni album di Kanye—pieno di esuberanza agrodolce—è un disco gospel se ci pensi bene. La cristianità di Kanye in ogni caso è noiosa a fianco della religiosità di convenienza di Chance the Rapper o di Kendrick Lamar. Il sampling metatestuale qui (grazie ai sample Rihanna si trasforma in Sister Nancy e in Nina Simone, la trap e la house diventano una cosa sola, e Kanye diventa un genio dell'avanguardia del passato, Arthur Russell), quei contrattempi del Kanye IRL (furto di computer, pazzie da Lexapro) e le cose più propriamente personali/politiche (il paragone tra l'economia in crisi e i fallimenti del padre, un verso sulle violenze della polizia) sono più profondi dell'immaginario cristiano infilato a forza. Comincia in chiesa e finisce dentro un capannone a Chicago negli anni Ottanta, e i due posti finiscono per essere la stessa cosa.

Un aspetto per cui questo disco è molto cristiano è il disprezzo caustico e disinvolto per le donne. Dovremmo sfidare Kanye su questo argomento (anche se forse dovremmo anche considerare questo quasi-commovente tweet anti-transfobia), ma vorrei aggiungere anche che quando noi ascoltatori—in particolare ragazzi bianchi—pretendiamo "di meglio" da Kanye ma non dai rapper che balliamo nel club o in camera o in macchina, stiamo perpetrando uno schema di aspettative basato sulle respectability politics verso alcuni artisti di colore e questo tipo di vecchie stronzate politiche andrebbero abbandonate oggi che entriamo nella seconda fase del Movimento per i Diritti Civili—il quale, a proposito, sarebbe stato lecito aspettarsi avesse un influenza maggiore su questo disco. Quel verso ripetuto in "Feedback", però, è perfetto! E anche Chance che menziona Jason Van Dyke (almeno su SNL).

Brandon Soderberg è l'editor della sezione arte del Baltimore City Paper. Seguilo su Twitter.


Kanye West ci costringe a prestare attenzione, di Olivia Becker

Per dire quanto poco ho badato all'uscita dell'album di Kanye: quando mi hanno detto di guardare il live stream su Tidal, ho googlato TIDAL perché pensavo fosse il titolo dell'album. Per cui questo dovrebbe darvi un'idea di quanto sono aggionrata sulla Kanye-mania che ha preso il sopravvento del mio Twitter e, a quanto pare, del mondo.

Detto questo, TLOP mi è piaciuto (anche TIDAL non era male). Una volta fatta la distinzione tra la musica di Kanye e il suo personaggio, non è difficile capire perché è così riverito. Le mie parti preferite di TLOP sono quelle in cui Kanye non rappa, il che è una cosa inaspettata perché dei suoi album precedenti mi sono sempre piaciuti più che altro i testi (c'è qualcosa di più sinteticamente poetico di “I live by two words: ‘fuck you, pay me’”?). Ma quello che mi ha colpito di più di TLOP è stato il suono. La stratificazione, i sample e i beat tutti intrecciati assieme fanno sembrare l'album un'esperienza totalizzante per cui ti devi sedere, invece di qualcosa che mi ascolterei indifferentemente in cuffia mentre vado al lavoro.

TLOP dimostra ancora una volta che Kanye è una di quelle rare figure culturali che hanno una propria forza gravitazionale: ogni cosa che fa causa una reazione di massa e funziona tutte le volte semplicemente perché lui è lui.

Olivia Becker è una giornalista di VICE News. Seguila su Twitter.


Ho già scritto la mia opinione in un altro articolo su Noisey e sarebbe ridondante parlarne anche qui ma se proprio ci tenete ecco qua, di Kat George

Kanye West non ha rispetto per le vittime di abusi sessuali.

Kat George è una giornalista di New York. Seguila su Twitter.

 


Alcuni pensieri su Paul Newman, di Nick Greene

L'ultimo ruolo di Paul Newman è stato in Cars della Disney. Ha interpretato la voce di Doc Hudson, un'auto da corsa parlante che, da quando è andata in pensione, è diventata una macchina/dottore/giudice. Il personaggio, come Newman, era morto prima dell'uscita di Cars 2 (Wikipedia: "Per omaggiare l'attore, la Piston Cup venne rinominata in onore del personaggio"). Naturalmente, nessun necrologio di Newman citava Cars. C'è tanto altro di cui parlare se si vuole ricordare la vita di Paul Newman. Era un attore da Oscar, un esperto di ragù e condimenti per insalate, un benefattore e un marito devoto. Era un veterano della Marina e, secondo chiunque l'abbia conosciuta, Paul Newman era una persona molto bella. Un santo! Quasi troppo—se si può dire che avesse un difetto. Anche se non pensi che recitare sia difficile, se non pensi che la tecnica sia compatibile con, per dire, il titolo di "genio", devi comunque considerare Paul Newman un genio di fronte alle sue numerose conquiste. Per dio, possedeva anche una scuderia di auto da corsa! (Per questo fu scelto per Cars). Parlo di Newman perché sto ascoltando "Feedback", un'ottima canzone sul nuovo album di Kanye West The Life of Pablo. Noisey mi ha chiesto di scrivere cosa ne penso, e io mi sono bloccato sulla frase di quella canzone “Name one genius who ain’t crazy”.

Paul Newman. Paul Newman è un genio che non era pazzo. Kanye probabilmente se ne è dimenticato perché ha completato The Life of Pablo troppo in fretta.

Ad ogni modo, se ci fosse una persona che si potrebbe paragonare a Kanye per la quantità delle proprie imprese, sarebbe proprio Paul Newman. Lui capirebbe.

Nick Greene viene chiamato anche Nick Mano Fredda. Sfidalo su Twitter.


Le tante vite di Kanye West, di Brandon Caldwell

The Life of Pablo è stato annunciato come un album gospel da Kanye West. Forse sarebbe stato più giusto chiamarlo The Life of Job. Il modo in cui West ha pianificato questa uscita sembrava seguire le Prove di Giobbe: alta autostima e arroganza sono state usate come maschere per la maniacalità e per il desiderio di accettazione. Arrivare a questo punto è stato un casino, e altri alleati della Kanye West Think Tank se ne sono andati. Eppure, TLOP risulta un magnifico tuffo nelle profondità della mente di un trentottenne che può ancora permettersi di pensare di avere otto anni. Forse è per questo che le tonalità di TLOP fanno riferimento a ogni travestimento che ha indossato da College Dropout del 2004: backpacker, outsider industriale che non capisce che il suo messaggio è il nuovo establishment, misogino che conosce solo la mascolinità del rap. “Ultralight Beam,” “Low Light” e “Father Stretch My Hands” sono pezzi gospel che lottano per la loro identità all'interno di un album che celebra un edonismo pornografico degno di Yeezus ("Freestyle 4"), il picco dell'egomania di West ("Famous", "I Love Kanye") e il matrimonio tra i due ("Highlights", "Waves"). TLOP prosegue il mantra di West di spremere il meglio dai propri ospiti, che si tratti di un contributo minimale (Andre 3000, Young Thug, KiD Cudi) o enorme (Chance The Rapper). Kanye avrà trovato la perfezione nell'oscurità nel 2010. Eppure è ancora tormentato e riluttante a lasciare andare alcune cose di cui credeva di essersi liberato.

Brandon Caldwell è un giornalista di Houston. È su Twitter.


L'editor di Noisey Australia recensisce The Life of Pablo, di Tim Scott

Io vivo in Australia, per cui non sono riuscito ad andare al Kanye Fest 16 al Madison Square Garden. Anche se vivessi a New York dubito che avrei sborsato 160 dollari di biglietto per guardare la star dell'hip hop che mette le canzoni del suo nuovo disco da un computer, mostra i suoi nuovi vestiti e annuncia un videogame che sembra comprenda la sua defunta madre Donda che vola in cielo. Né ho fatto parte degli stimati venti milioni di persone in tutto il mondo che hanno guardato il live stream dell'evento. 

Questo è un nuovo album di Kanye, e a questo punto sappiamo cosa aspettarci: canzoni su Kanye. Un primo ascolto di The Life of Pablo conferma questo preconcetto. Tra i vari diss ci sono versi come “I miss the old Kanye, shit from the gold Kanye / Talking ’bout the soul Kanye, set all his goals Kanye”. Uno dei migliori versi che Kanye ha scritto su se stesso da molto tempo a questa parte. Mi piace anche che voglia mettersi una GoPro sul cazzo.

Tim Scott è l'editor di Noisey Australia.


Ci servono più di quegli Emoji col fuoco, di Kathy Iandoli

The Life Of Pablo, wow. Se Graduation, 808s and Heartbreak, e Yeezus avessero copulato in un'orgia molto scomoda e impacciata, Pablo sarebbe il figlo illegittimo che poi cresce e diventa un ricco uomo di successo. Oh, non si può dire nulla della cura che Kanye ha messo in quest'album, anche perché ha aggiunto tracce fino all'ultimo minuto al pacchetto. I producer—che vanno da Metro Boomin al signor Yeezus in persona—si inquadra perfettamente in questo patchwork casuale. Gli ospitoni—Rihanna, The-Dream, El DeBarge, Kirk Franklin, e cazzo, pure Young Thug—sono tutti lì per un motivo. Anche le sclerate che Kanye ultimamente fa su Twitter suonano molto meglio su disco, tipo "I feel like me and Taylor might still have sex, I made that bitch famous”, famosa strofa di “Famous.” O che ne dite di “Blac Chyna fuckin’ Rob, help him with the weight” poetica strofa tratta da “Highlights”? E chiaramente sappiamo tutti che dare della prostituta a una donna non è carinissimo, e nemmeno è proprio la cosa più fine del mondo sventolare il culo della moglie come un trofeo, ma a un certo punto con Kanye fai una scelta: smetti di considerarlo e ascolti soltanto la sua musica. E in questo modo non ci sono più elementi di disturbo e rimangono unicamente le sue scelte coraggiose, la musica e tutto l'impegno che ci mette. Ad alcuni girano le palle perché in molti volevano che The Life of Pablo si rivelasse un disco di merda. E invece sorpresa: non lo è! E forse ora, ogni volta che lo ascoltate, vi potrete immaginare Naomi Campbell vestita da gattona o Thugger appena uscito da un bagno di sangue o ancora le sorelle Kardashian vestite da famiglia di Crudelia De Mon, ma non è forse questo che voleva comunicarci Kanye?

Kathy Iandoli scrive e vive a New York. La trovi su Twitter.


Pensieri più caldi del caldo, di Dan Ozzi

Sabato scorso è uscito il tanto atteso album nuovo di Kanye West, e se avete acceso Internet negli ultimi giorni vi sarete già sucati mille articoli e recensioni che ne parlano, mille editoriali, pensieri a caldo e listoni. Quindi lasciate che vi tolga sto peso dicendo: non mi esprimerò su quest'album a caldo.

In quest'epoca internet-anarchica, essere i primi a pubblicare qualcosa significa cercare disperatamente di racimolare click sul proprio sito, e questa pratica ha fatto sì che perdessimo la capacità di concedere il tempo necessario all'analisi di ciò che abbiamo davanti. Chiunque dica che ha compreso a fondo un album ascoltandolo una o due volte—in particolare un album a cui un artista ha lavorato magari per anni e anni e considera essere non solo l'album della sua vita, ma l'album della vita di tutti, anzi, il miglior album di sempre—è un farlocco.

Mi ascolterò quest'album quando mi pare e piace. Lascerò passare sicuramente il weekend e forse anche la settimana successiva. Lascerò che piano piano gli strati di questo lavoro si discostino l'uno dopo l'altro per farmi arrivare alla comprensione del nucleo. Ma quello che non farò è cedere a queste stupide dinamiche di clickbait del giorno d'oggi. BILL COSBY COLPEVOLE.

Dan Ozzi scrive per Noisey ed è l'unico critico musicale degli USA. Qui su Twitter.


The Life of Pablo è Gospel Punk, di Byron Yan

Se dovessi descrivere quest'album a qualcuno così, di getto, direi che è un disco gospel con testi punk. I testi di Kanye sono spesso secchi, diretti, e a tratti molto autoanalitici, anche per un ego gigante come il suo. In certi momenti ti fa ridere, in altri scuoti la testa o alzi un sopracciglio perché dice robe decisamente fuori dal mondo. Credevo davvero che Yeezus sarebbe stato il suo disco più punk, ma The Life Of Pablo lo batte di gran lunga. Dalla sua zine (grazie Kanye per averci insegnato come pronunciare correttamente questa parola), al merchandising, all'album stesso, tutto urla PUNK. Aspettiamo solo che si allarghi i lobi e si tatui sulle mani. 

Byron Yan vive e scrive a Toronto. Eccolo su Twitter.


Quello era il primo Kanye, questo è il Kanye maturo, di Al Shipley

Il Kanye dell'ultimo periodo potrebbe essere compreso se lo si legge come un atto di satira pesante nei confronti dei cliché dello showbusiness, come il flm del 2007 Walk Hard, la storia di Dewey Cox, una delle poche commedie prodotte da Judd Apatow che Mr. West non ha ancora citato in nessun modo. Yeezus è stato il "dark fucking period" di Dewey Cox, mentre The Life Of Pablo è il risultato di ore e ore passate sul mixer, a chiedere che ti venga fornito "un maggior numero di percussionisti aborigeni e un esercito di didgeridoo.” A Kanye sembra importare sempre meno la sua carriera come MC, mentre tira staffilate a gente tipo la Nike, Ray J e Taylor Swift—roba che, se non fosse per lui, ci saremmo già dimenticati da un pezzo. Il Più Grande Esteta Vivente non molla e continua a infarcire le sue opere con interessantissime gallerie di suoni e voci, che fanno da corollario alla sua. E gli artisti secondari coinvolti non possono che ringraziare, tipo Chance, che coglie al balzo l'occasione fornitagli per essere la Nicki-di-“Monster” o il Jay-di-“Diamonds” di quest'album. “I Love Kanye” è il riassunto perfetto del rapporto un po' à la Lennon anni Settanta di West coi propri fan, quelli che sperano ancora che torni il Kanye dei vecchi tempi, un po' come me. Ma non è nemmeno giusto mistificare il passato: anche Late Registration era un casino, anche se forse era un casino migliore di questo.

Al Shipley è uno scrittore di Baltimore. Qui il suo Twitter.


Ci manca il vecchio Kanye?, di Nevona Friedman

In un'intervista, Drake ha dichiarato che la nostalgia per i suoi vecchi album sotto sotto non è altro che la nostalgia per la vita passata dell'ascoltatore. Non ti manca So Far Gone; ti manca andare in giro con il tuo ragazzo delle superiori e cantare con lui. Non mi ero mai accorta di quanto mi mancasse "Il Vecchio Kanye" e quanto onestamente mi mancasse rimanere fregata da Kanye. Ci ha tenuti a distanza per anni e poi ci ha imposto di mandare giù tutto in poco più di un'ora (e in 240p su Tidal tra l'altro). The Life of Pablo non era ancora uscito, il che ci ha obbligati a farcene un'idea basandoci sui rip comparsi su KTT e i vari Periscope.

Se in Yeezus Kanye si lanciava contro una (fisica e) metaforica montagna, TLOP lo vede scendere lungo una cascata, immediato ed effimero. Indignazione (“Fuck Nike”; “Maybe Fuck Dad too?”) e isolamento (fare figli fa paura) in parti uguali, dove i suoi predecessori hanno stabilito trend e tecniche, sembra che Kanye trovi la sua dimensione nell'assenza di pionerismo. E poi, come ha già detto, a tutti piace un album gospel.

Nevona Friedman è una maître à penser e una cospirazionista di Ted Cruz che vive a New York. Seguila su Twitter.


Una veloce recensione scritta sul telefono per strada dopo aver a malapena ascoltato il disco, di Eric Sundermann

È stata una settimana stressante. Kanye, con una mossa da Kanye, ha mandato totalmente affanculo il piano di uscita dell'album. Ha preso l'idea di sorpresa e l'ha ribaltata, dato che essenzialmente ha fatto uscire The Life of Pablo pezzo per pezzo nel corso dell'ultimo mese. È stato fastidiosissimo, specialmente per chi lavora nel campo della stampa musicale, ma il risultato finale è speciale. Ho ascoltato l'album intero soltanto una volta, ma alcune di queste canzoni—in particolare "Waves", "FML" e "Wolves"—sono tra le più dinamiche della sua carriera. TLOP è come se Yeezus, My Beautiful Dark Twisted Fantasy, e 808s & Heartbreak avessero scopato e da questi fosse nata una creatura di nome Pablo. Kanye è entrato totalmente nella sua fase Steve Jobs, accettando il suo sociopatico interiore, e ora sta chiedendo a Mark Zuckerberg di regalargli un miliardo di dollari per le sue idee. Non vedo l'ora di leggere i suoi prossimi tweet. 

Eric Sundermann si sta lasciando andare. Questo è il suo Twitter.


Ho un paio di cose da dire su Sia, di Jabbari Weekes

L'ho già detto e lo ripeto: non scriverò più niente su Kanye West. Mi rendo conto che il mio lavoro rende questo proposito impossibile da realizzare, ma ho deciso. Invece vorrei parlare della cantautrice Sia Kate Isobelle Furler, anche conosciuta con il nome di Sia. Forse vi ricordate di lei per il suo famoso singolo "Chandelier", ma sapevate che ha anche firmato alcune hit di Rihanna, Beyoncé, Britney Spears e un'ex-cliente di Roc Nation? Quell'ex-cliente è Rita Ora, ma anche chiamandola per nome penso non sappiate di chi si tratti. Ecco perché mi riferisco a lei usando la sua occupazione. Ad ogni modo, Sia è anche vegana e vive con un cane di nome Pantera. Da non confondere con Panthera, del pessimo remake del 2011 di Thundercats. A proposito di mammiferi di terra, Sia non compare più su "Wolves" e Chance The Rapper si riferisce a lei come fantasma nella prima traccia. Cazzo.

Jabbari Weekes è la massima autorità mondiale su "Wolves" CDQ. Lo trovi su Twitter.


Un ottimo lavoro, di Yung Costanza

Nonostante tutti gli insulti che gli sono stati rivolti, il percorso travagliato che ha attraversato, le varie etichette di genere che ci si possono appiccicare, The Life of Pablo è incredibile. Ammetto che tra la linea di abiti, i suoi tweet incostanti e offensivi e il costante rifiuto di rispettare una data di uscita, le aspettative si sono abbassate. Ma quali che fossero le tue aspettative, la musica che ha creato è bellissima. "Ultralight Beam" spicca come la perfetta traccia di apertura (e la strofa di Chance è la mia parte preferita dell'album). Vorrei dire che questo disco è come un ponte temporale tra College Dropout e Yeezu, ma suona anche completamente diverso, impossibile da inserire in una fase temporale. È come se in ogni album fino a questo punto Kanye avesse imparato a suonare uno strumento, e ora abbia raggiunto lo status di artista completo, diverso. Non è un cambiamento radicale come Yeezus, è un'evoluzione. E, pur pensando che questo sia un album meraviglioso da ogni punto di vista, non posso fare a meno di pensare che tutto questo, TUTTO QUESTO, l'abbia messo insieme nel suo "tempo libero". Incredibile. Semplicemente, suona da dio e nient'altro gli si avvicina. Non dubiterò mai più della sua abilità compositiva.

Yung Costanza rimane preoccupato per il debito di Kanye. Rassicuralo su Twitter.


Il mio diario su The Life of Pablo, di Zach Kelly

11 febbraio 2016

Non sono un tale purista da avere bisogno di ascoltare il nuovo album di Kanye per la prima volta in qualità da CD (ma sì, "Wolves" mi piace come piace a tutti voi occupanti del carrozzone), ma sono abbastanza sicuro di non volerlo ascoltare durante un livestream su Tidal alle quattro del pomeriggio, che è poi esattamente l'ora in cui cerco di piazzare il mio grasso culo sul tapis roulant. La questione è la seguente: non sopporto i collezionisti di scarpe, le uscite di album mal programmate, gli adolescenti ricchi, e tutte le altre cose che i miei coraggiosi colleghi giornalisti di NYC hanno dovuto sopportare ieri al MSG. 

Ma se devo essere sincero, mi sono sentito anche un po' invidioso. Tu no? Mi piace l'idea dei listening party, è la realizzazione che di solito è insostenibile. Nonostante Yeezy Season 3 appaia raffazzonato (mi sono sintonizzato dopo che aveva finito il disco, in tempo per ascoltare un frammento del nuovo Young Thug che è stato una bomba come previsto, ma ancora più radiofonico del previsto), era difficile non rimanere meravigliati da quanto Ye sia capace di rendere esclusivo un evento inclusivo, e viceversa. Prima passi il cavo aux a un tipo che probabilmente non si merita tutto questo POTERE; il momento dopo stai cercando di scopire chi tra queste persone abbia avuto un ruolo nell'assassinio di Liberace

Quel pomeriggio non ho sentito neanche un secondo di The Life of Pablo. E probabilmente non riuscirò ad ascoltarlo nemmeno domani. Ma quando lo ascolterò, spero di sentirlo insieme a tutte le persone a cui interessa davvero. Fino ad allora, continuerò a odiare le sue scarpe del cazzo.

15 febbraio 2016

Alla fine l'ho ascoltato come tutti voi, su Tidal alle tre del mattino (ricordatemi di chiudere l'account). Sono indeciso.

Zach Kelly sta sul tapis roulant, non all'Equinox. È anche su Twitter.


Questioni di famiglia: The Life of Pablo, by Angus Harrison

Le prime parole in The Life of Pablo vengono pronunciate da un bambino, che con voce squillante grida "non vogliamo diavoli in questa casa". Consapevole o no, questa è stata la cosa che mi è rimasta impressa dopo il primo ascolto. L'album mi ha dato l'idea dei demoni di MBDTF e Yeezus che fanno un casino dentro un appartamento, come se Kanye cercasse di costruire una casa fondata sul rimpianto e l'eccesso. Penso che questo disco sia quello che mi è piaciuto di meno di Kanye, ma mi aspetto che dopo vari ascolti si riveli quello più interessante. È senza dubbio il più conflittuale, quello in cui ringrazia Dio con più fervore ma allo stesso tempo assesta i colpi più bassi e sporchi contro gli uomini e, purtroppo, più spesso le donne che lo circondano. Passaggi salienti: "FML" con the Weeknd, il sample di Sister Nancy in "Famous" e la nuova versione di "Fade". Alcune delle sue decisioni liriche mi fanno incazzare, ma non c'è alcun artista che potrebbe lasciarmi senza fiato, quasi in lacrime in certi punti, allo stesso modo. Nonostante tutte le sue colpe, è uno di famiglia.

Angus Harrison è un editor di Thump UK. Seguilo su Twitter.


Ho scritto questa recensione troppo presto e non ho avuto tempo di rifarla, by Jeff Rosenthal

"I hate the new Kanye, the bad mood Kanye, the always rude Kanye, spaz in the news Kanye. I miss the sweet Kanye..." La cosa divertente di Kanye è sapere che qualunque cosa tu voglia, non la otterrai—e qualunque cosa tu ottenga, ne vorrai ancora. A volte ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi stessi; forse è davvero un dio. Per cui eccomi qui, ad ascoltare in repeat un rip incompleto e imperfetto di uno stream di Tidal di The Life of Pablo rubata da Zippyshare alle 6:45 del mattino. È bello! È brutto! È probabilmente incompiuto e forse potrebbe essere il suo album migliore (come hanno detto alcuni) se solo riuscissi a capire che cazzo sto ascoltando. Ora capisco perché nessuno è stato capace di esprimersi, nelle interviste. Suona come tutto e niente, come se si fosse impegnato troppo o troppo poco. Suona come tutte le versioni di Kanye, spalla a spalla a spalla, posizionate come dei giocattoli delle Kardashian o di Star Wars dentro alle scatole. O forse, se vogliamo essere sinceri, suona come Desiigner e Pastor TL Barnett. E chi se lo sarebbe aspettato? 

Jeff Rosenthal sta pensando di passare a Zippyshare Premium. Questo è il suo Twitter.


Mi sento Pablo scrivendo questa recensione, di Alex Hancock

Kanye West è tre Pablo su The Life of Pablo. È l'apostolo (che ha rivelato essere l'ispirazione per il titolo) che racconta il viaggio doloroso compiuto per mantenere il favore del Signore, evitando la Sua luce, reso cieco ma anche il più importante messaggero di Cristo. È Escobar, un uomo sopraffatto da uno stile di vita fatto di denaro, donne e droga, che lotta con la stessa idea della perdita di libertà legata al matrimonio e alla paternità che lui affrontata in Yeezus. È Picasso, dipinge un paesaggio sonoro e scolpisce un blocco di marmo fino a raggiungere la sua idea di album, con tutte le sue astrazioni. L'album in sé è bello, anzi, fantastico. Ma l'aspetto più interessante di The Life of Pablo è la strategia di uscita, un tipo di sociocreatività new age che ha quasi raggiunto vette di post-modernismo e dadaismo. Tanto West quanto Kardashian, questa è stata la prima volta che siamo davvero stati invitati a scoprire il processo creativo e che ci è stato concesso uno sguardo dietro le quinte sulla formazione di un album di Kanye West, senza il misticismo delle session di My Beautiful Dark Twisted Fantasy. L'iconico bloc notes, i tweet, la performance al MSG, il battesimo su Saturday Night Live—senza queste cose l'album non è così speciale. Fidatevi, non ho mai raccontato una bugia online.

Alex Hancock ama Kanye quanto Kanye ama Kanye. Amalo su Twitter.


La musica ci ricorda che siamo tutti umani, di Ryan Bassil

Quando guardi qualcuno negli occhi, ti viene dato accesso temporaneo alla sua anima. Può accaderti con uno straniero o qualcuno che ami, ma l’aesperienza resta comunque di grande valore e apre dei passaggi di comunicazione così speciali che trascende il linguaggio. Per questo motivo mentre la telecamera si soffermava sui visi di modelli e modelle raggruppati davanti al Madison Square Garden per la serata d'apertura di The Life of Pablo, l'idea che gli occhi di questi sconosciuti stessero guardando dentro ai miei sprigionava un potere unico. È raro percepire della musica per la prima volta come un corpo unico come ci è successo giovedì, eppure sono questi momenti di connessione che hanno umanizzato l'esperienza. È stato come non solo ascoltare un album, ma condividere un momento. Senza parlare di quello che abbiamo davvero ascoltato, ha reso la giornata speciale. Con quegli occhi a guardarci, c'era un'immobilità e un silenzio in quelle facce che ha creato uno spazio per pensare al potere enorme, toccante che la musica può esercitare su di noi.

Ryan Bassil cerca di allineare i suoi chakra. Resta in contatto su Twitter.


Kanye West è dolce, di Larry Fitzmaurice

Allo stesso tempo saggio, tagliente, nostalgico e al passo coi tempi, The Life Of Pablo è l’exploit più pop di Kanye West, un album in cui una delle più prominenti icone della cultura pop si allontana dalle trappole geografiche che lo avevano ingabbiato nei suoi primi lavori. Il titolo non è solo un riferimento all’anno di nascita di West, ma anche al pop pulito e soffocante di metà anni Ottanta, a cui il disco attinge spesso. I coautori Max Martin (“Shake It Off”) e Jack Antonoff (“Out of the Woods,” “I Wish You Would”) danno il loro contributo, ma i fan non faticheranno a sentire la mano di West su questo disco. Ci sono dei passi falsi, perché anche gli dei sbagliano—“Wildest Dreams", che pare un reboot stanco di Lana Del Rey e dei Pet Shop Boys—ma per il resto West ci regala un album da sogno febbrile millennial pop, un gesto generoso in cui gli hater hanno ampio spazio per odiare.

Larry Fitzmaurice pensa che Yeezy Season 3 = #squadgoals. È su Twitter.

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La guida di Noisey alla minimal wave italiana

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I 2+2=5.

Qualche tempo fa, parlando con Alessandro Adriani e Alessio Natalizia—non contemporaneamente—ho avuto modo di alludere alle compilation di synth wave italiana che i due hanno curato rispettivamente su Mannequin Records e Strut, una quattro anni prima dell’altra. Per synth wave si intendono tutte le venature elettroniche che costellavano e variegavano il già fecondo terreno new wave/post punk, a partire dai primi anni Ottanta. Le scintille dance arriveranno in incognito in un secondo momento, ma saranno le fondamenta di tutta l'irriverenza con cui quella nuova e bizzarra "musica elettronica" si poneva come alternativa di nicchia alla disco music commerciale. 

Stilisticamente Danza Meccanica (2009) e Mutazione (2013) hanno punti di contatto più che evidenti: entrambe coprono la fascia centrale della decade di riferimento, e sono accuratissime istantanee dell’enorme potenziale creativo di cui la penisola disponeva, per confrontarsi col resto d’Europa. “Niente da invidiare alla Neue Deutsche Welle,” ripeteva Alessio, ed era vero. 

Il primo ad aver parlato di new wave italiana da queste parti è stato Valerio Mattioli, con l'intervista a Gianpietro Huber dei bolognesi Stupid Set, di quasi un anno fa. Partendo un po' da lì, un po' dalle moderne suggestioni danzerecce che ne attingono a piene mani, ho raccolto tre testimonianze che aiutassero a stabilire la vera natura di questo filo conduttore. Nello specifico di un fiorentino, Daniele Ciullini, di recente ristampato su Ecstatic, e di due milanesi, Giacomo Spazio, fondatore assieme a Nino La Loggia della seminale band new wave 2+2=5, e di Fred Ventura, che dal post punk dei suoi primi State of Art è diventato icona italo disco—di cui però non tratteremo.

PS.  Le foto sparse in qua e là, invece, sono tutte state scattate nel corso del lungo pomeriggio che ho trascorso a casa di Giacomo. Sono orrende perché fatte col telefono mezzo scarico.



"Ai tempi da quel che ho visto non c’era alcun tipo di coscienza collettiva su quanto stava succedendo. Ad esempio, quando ho ristampato i Musumeci ho chiesto a tutta la scena di Torino chi fossero, per rintracciarli. Nessuno li conosceva. Alla fine ho messo una traccia dentro Danza Meccanica 2, perché non avendoli trovati non è che potevo metterne più. Che succede? Che mi scrivono loro. “Abbiamo visto che hai inserito la nostra traccia, ti volevamo ringraziare.” Ho fatto un salto dalla sedia di due metri, non ci potevano credere. A quel punto mi hanno raccontato anche di loro. Facevano parte della scena anarcopunk. Facevano punk hc in pezzi da un minuto, ma ci hanno fatto confluire l’esperienza elettronica di Cabaret Voltaire, Throbbing Gristle, etc. Atrocità del genere umano varie, insomma. Nonostante tutto nessuno li conosceva. Cioè questi avevano una tape label, suonavano in giro e nessuno mi ha saputo dare informazioni su di loro." (Alessandro Adriani)


Nuova onda fiorentina
Daniele Ciullini, negli anni Ottanta, lavorava all’assessorato alla cultura del comune di Firenze, e organizzava concerti per band emergenti, mostre di arte contemporanea, design, etc. “Nella scena elettronica degli anni Ottanta il sintetizzatore la faceva da padrone,” mi racconta, “specie se si pensa a gruppi come Throbbing Gristle, SPK, Einsturzende Neubauten. Le fanzine sono state una grande porta verso lo scenario indipendente. A Firenze c’erano Paolo Cesaretti con Free e Vittore Baroni con TRAX, Tribal Cabaret, Dancing Silhouette, tutte fanzine classicamente fotocopiate, con contenuti che si distaccavano nettamente dall’ambiente dei Cure, e si avvicinavano all’elettronica in vari modi.”

Paolo Cesaretti curava la fanzine Free—sua sarà anche la label Industrie Discografiche Lacerba—che a detta di Daniele “era di una raffinatezza esemplare, pari a quella dell’inglese 4AD”. Il giro musicale, allo stesso modo, era molto composito: “Qui a Firenze avevamo i Neon, che credo siano il gruppo più conosciuto dopo i Litfiba e i Diaframma, poi c’erano i Pankow, e molti altri, certo.”


Milano in fermento
Giacomo Spazio mette subito le mani avanti. “Il panorama è un po’ complesso da spiegare. Milano in quel periodo lì era piena di disillusione e dubbi su cosa stesse davvero succedendo. Ai tempi c’era la sinistra e la destra, comunisti e fascisti, e pure tra punk ne esistevano alcuni di destra. Oltre a questo non c’era niente, c’era stato un tentativo di autoproduzione in forma cooperativistica, e quindi band che si erano staccate dalla musica progressive.” 

Per tutti quelli che avevano abbracciato la causa punk, la smania di evoluzione era totalizzante, e in poco tempo divenne la costante per tutto. “Dal ‘77 in poi il fermento era totale,” mi spiega Fred, “forse solo un dieci percento di quelli che erano  parte di questa scena a Milano sono rimasti fedeli ai primi ideali. A un certo punto il punk si è commercializzato, è diventato un fenomeno da baraccone qualunque; c’erano delle band notevoli che continuavano a fare musica di alto livello, ma c’era anche chi si stancava dei limiti che lo stesso punk poneva. Di conseguenza l’avvento di determinati strumenti musicali elettronici facilitò la svolta di molti artisti.”

“Dopo il punk c’è stata sì l’evoluzione nel post-punk e nella new wave, che continuavano entrambi il discorso basso-chitarra-batteria, ma spesso si aggiungevano anche synth, batterie e tastiere elettroniche. Il D.I.Y era importante, ed è per questo che mi facevano storie per il negozietto di oggettistica punk che avevo aperto. Ci vendevo di tutto, e riuscivo anche a fare cinquantamila lire a settimana. Per molti stavo snaturnado il punk. La gente tende ad escludere che la complicità di intenti non era così militante come si credeva. Una parte di noi era felice di essere presente e di abitare la notte al Plastic. Il Plastic era il nostro locale. Per il giro punk/new wave era un punto di riferimento.”


"Senza dubbio i La Maison sono stati il miglior gruppo wave milanese." (Giacomo Spazio)


Convivenza ed eterogeneità
Specie a Milano, stava alla sensibilità di ognuno scegliere i propri punti di riferimento, intesi come luoghi di ritrovo. “Quelli che ritenevano il Plastic una merda, già ai tempi, erano molti,” prosegue Giacomo, “in città c’erano varie frange di sottoculture. Per noi il punk non era il bondage e il chiodo, potevano esistere anche altre cose. La scena si sviluppa in un modo e ha le sue derive. Per me uno dei gruppi più sconosciuti e più validi usciti da Milano, per esempio, sono i La Maison, che facevano elettronica sperimentale, con testi vari parlati. C’era un’enormità di persone in campo, molte di queste che si muovevano da un’anima all’altra della città. Le personalità più definite appartenevano al giro del Virus, che era il punto di riferimento del punk militante.” Quando gli chiedo se come 2+2=5 ci abbiano mai suonato mi risponde con un no categorico, sottolineando l’ostracismo sviluppatosi da entrambe le fazioni, e le ostilità che persistono tutt’ora tra alcuni di quei protagonisti.


Flyer vari.

Locale wave per eccellenza era invece l’Odissea 2001, dove a detta di Fred “ci sono passati tutti, dai DAF, Clock DVA, Bauhaus, Gang Of Four, Siouxsie And The Banshees, pure molti della Neue Deutsche Welle.”

“Fuori dai centri sociali,” riprende Giacomo, “la scena vera era molto più coesa di quanto non venga mai ricordata. Le persone si frequentavano, si conoscevano e si scambiavano cultura, con grandissimo rispetto. Il gruppo dark andavamo tutti a vederlo, per esempio. Non ci ancoravamo a niente in particolare, l’eterogeneità era alla base di tutto ciò che facevamo.”

Milano sfavillava di luce propria in questo senso, e intato però quei primi addetti ai lavori peccavano di capacità imprenditoriale. Le band duravano poco, si scioglievano ancora prima di produrre il primo disco, e spesso incidevano a malapena qualche pezzo. “A Firenze e Bologna era diverso,” suppone Fred, “c’era molta più costanza e meno voglia di sperimentare. Non in senso negativo, si portava avanti l’idea con una consapevolezza diversa. A Milano c’era la tendenza a rimanere colpiti dal rinnovamento, che portava anche a non avere più voglia di condividere determinate esperienze con persone che non la pensavano come te. Era veloce la tecnologia che si evolveva, così come il gusto musicale e il cambiamento radicale in ogni ambito. Nell’84 già era cambiato tutto, era un altro mondo rispetto all’81, per dire.”


I Pop Group all'Odissea 2001, 29/04/1980. Foto via

 

Minimal perché economica

La maggiorparte della produzione musicale evolutasi dal ‘79 all’81, cosiddetta minimal synth, era divenuta tale soprattutto perché a disposizione c’era ben poco oltre al minimo indispensabile. Tutto era dettato dall’economia di quei tempi, e ciò è fondamentale per definire il momento. Anche Daniele conferma di aver cominciato a “registrare i suoi microbrani alla vecchia maniera, con solo un registratore a quattro tracce.” Generalmente bastavano quello, un synth e una batteria elettronica. “Eravamo già abbastanza propensi a guardarci intorno,” riprende Fred, “e nel momento in cui si è presentata l’occasione di inserire nelle nostre formazioni l’uso di synth o drum machine, l’abbiamo colta al volo. Rendeva tutto molto più semplice a livello di gestione della parte programmabile elettronicamente. I mezzi per registrare erano veramente pochi, di conseguenza l’avvento di certa strumentazione ha fatto sì che chiunque potesse permettersi una batteria elettronica e un synth monofonico, senza spendere un capitale. Dato che avevamo tutti la possibilità di registrare quattro piste, la minimalità diventava una necessità.” 


Flyer dei savonesi F.A.R. (Final Alternative Relation)


One man band vs Band

A Firenze Daniele si inizia ad approcciare alla produzione musicale mediante la mail art, e le sue branche più sperimentali, dedite anche alle registrazioni ambientali. “Si trattava di rumori dalla città, spezzoni di film o di radio, e registrazioni di tipo quasi domestico. Ho iniziato a mischiare a tutto questo dei miei microbrani, in stile Music For Films di Brian Eno, da un minuto o poco più. Dopo un po’ che mi allenavo, è successo che una persona che conoscevo si è mollato con la ragazza, è andato a vivere in albergo, non aveva posto per tenere sintetizzatore, registratore a bobina e tutta una serie di strumenti, e mi ha chiesto di tenerglieli per lui. Io ben volentieri li ho messi nella piccola stanza dove lavorava mio padre quando era vivo. Mi sono comprato un synth Yamaha, una batteria elettronica Boss, e ho cominciato a produrre questi brani. Sono riuscito così a raccogliere le principali suggestioni in Domestic Exile, nel 1982, e Nuance, fanzine con audiocassetta inclusa, due anni dopo.”

La condizione di Daniele non era una novità. In quegli anni l’industrial italiano stava già sfornando i suoi nomi più risonanti, e spesso erano tutti artisti singoli, non gruppi. “Maurizio Bianchi, Die Form, Merzbow… lui venne anche a Firenze,” riprende Daniele, “qui in collina, quando vide le lucciole non ci capì più niente. Non le aveva mai viste [Ride]. In generale sembrava quasi che i gruppi avessero creato un loro genere musicale, un loro percorso, il singolo invece faceva tutto in autoproduzione e autodistribuzione attraverso canali come la posta. I gruppi avevano i loro circuiti appositi, comprese le etichette di riferimento a seconda delle città. I disgraziati lupi solitari come me se la sono fatta tutta da soli, questa strada. Adesso attraverso Facebook ogni tanto entro in contatto con gente che mi dice di aver acquistato le mie cassette chissà dove.”

Lasciati alle spalle il passato negli HCN assieme a Marco Philopat, i 2+2=5 vedono l’ingresso di Rieko—”una ragazza giapponese che abbiamo subito annesso al gruppo, non appena si è presentata”. Insieme, nell’83, pubblicano il loro primo LP Into The Future, di recente ristampato da Mannequin. “È quasi anni Settanta come concept, non so come dire. È registrato nell’83, ma le canzoni sono di qualche tempo prima. Non era così semplice avere i soldi per fare i dischi, né tantomeno farli. Into The Future mostra questa carica contemporanea, una visione disperata che avevo all’epoca, e i testi lo dimostrano bene. La mia generazione è stata la prima a rendersi conto di star lottando per niente. È stato uno dei tratti, unito alla parte musicale, più realisti della nostra musica. Ha contribuito a rendere il disco sempre attuale, per così dire.”

Per Fred, “usare un synth e una drum machine era anche un modo di velocizzare la pratica creativa interna a ogni band.” E i suoi State Of Art erano i primi ad avvalersene, nonostante le nette influenze inglesi alla Joy Division, Factory Records, etc. Era quasi una questione di comodità—”spesso alcuni membri non c’erano e grazie a questa strumentazione avevamo una lineup numero due”—oltre che, come detto sopra, di convenienza economica. 


Germe dance
“La componente dance, quando c’è di mezzo un synth,” riprende Fred, “una drum machine, e l’uso di determinati ritmi, è inevitabile. Era la versione seriosa del far ballare le persone, che poi si è evoluta nell’italo disco, synth pop etc. Il ballo non era considerato primario, ecco. C’era molta attitude e molti poser. Non si voleva far parte di una massa, ma di un’elite. Fare quella musica era comunque elitario, perché non era quello che si poteva sentire nei club, nelle discoteche commerciali.” Curioso come da tabù, l’attributo dance sia diventato ingrediente fondamentale di tutte le rivisitazioni che, in chiave moderna, hanno riscosso più successo di recente. La stessa EBM, a suo modo, ne era stata anticipatrice, in quanto “musica che ti prende il corpo e lo muove; un sequencer, una batteria e una voce. Ancora meno elementi del minimal synth.”


Network e comunicazione
Mi spiega Giacomo: “Un uomo contemporaneo a tutto questo che ha fatto tanto a livello di comunicazione è stato Francesco D’Abramo. Grande appassionato di musica, trasmetteva da Radio Popolare ed è stato il primo in assoluto a inserire in una sua trasmissione ‘quello che succedeva’ in giro. Poco dopo Lele e io ci siamo inventati una trasmissione che non esisteva, 00, con la quale abbiamo prodotto anche delle fanze. Era sempre su Radio Popolare e trasmettevamo solo musica italiana. Neanche a dirlo, era costantemente osteggiata non solo all’interno della radio, ma anche tra gli ascoltatori.”

Culla di gran parte del materiale synth wave storico di quei primi anni Ottanta è stata anche Pordenone, con Ado e gli altri protagonisti del Great Complotto. “Era una scena piena di partecipanti e compartecipanti,” va avanti Giacomo, “non tutti scendevano in campo a suonare. Alcuni aderivano solo perché si sentivano affini. L’importante era la frattura sociale di pensiero, non di stile. Era come avere un pentolone che bolliva con dentro gli spaghetti, ma nessuno si sentiva davvero pronto a mangiarselo, quello spaghetto.”


La nuova onda italiana di Frigidaire
Il piatto ha iniziato ad apparire effettivamente ricco, solo quando qualcuno ha avuto la lungimiranza di  servirlo in tavola. “Mi ha scritto mio figlio l’altro giorno,” racconta Giacomo, “chiedendomi di chi fosse un certo numero telefonico. Lo guardo e rispondo ‘No, non ne ho idea,’ e lui ‘Me l’ha mandato un mio amico che l’ha trovato su un vecchio Frigidaire, in cui c’era anche il tuo vecchio indirizzo della casa occupata dove stavi.” Quello di Frigidaire, la storica rivista di Vincenzo Spragna—che Leon Benz ha intervistato per VICE non troppo tempo fa—è stato un primo censimento su cosa stava davvero succedendo in Italia in quegli anni. Lo speciale era diviso in tre parti, ognuna su un numero diverso, e consisteva in un lungo elenco di band/artisti emergenti italiani, con breve descrizione della musica fatta, foto e recapiti.

In Italia il punk è riuscito a sopravvivere in modalità più congrue rispetto al giro wave, specie se politicizzato, e quindi inconsapevolmente conservatrice. Ciò che invece ha determinato la totale versatilità di certe sintetizzazioni sonore della deriva minimale della new wave locale è da riallacciarsi all'essenzialità della strumentazione che, come si è visto, era più un bisogno fisiologico che una velleità. 

Spiega Fred: “Quello che ho notato ai tempi è stato che c’è stata una tendenza a utilizzare male le grandi opportunità che venivano offerte, quindi della disponibilità di mezzi sempre migliori. Quando questi erano migliori, i dischi venivano sempre più di merda. Il fatto di essere minimali è un po’ come il primo Dogma di Lars Von Trier: utilizzare il minimo indispensabile e uscirsene lo stesso con capolavori.” Qualsiasi declinazione/proiezione sul presente di ciò che è stato concepito in quegli anni, è un tramite che tesse col passato un canale di scambio, che alla lunga aiuta i vecchi e i nuovi arrivati a respirare aria fresca, depurata come al solito da ogni forma di malinconia nostalgica. Come dice Giacomo, "Trovi in me una persona che è disinteressata al passato. Sono contento di aver fatto quello che ho fatto, ma sono più contento di quello che riuscirò a fare."

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Head Wound City è il nuovo supergruppo con membri di Locust, Blood Brothers e Yeah Yeah Yeahs

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Head Wound City è tipo il supergruppo chemetterà fine a tutti i supergruppi. E butterà il sale per terra. Con Jordan Blilie e Cody Votolato dei Blood Brothers, Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs, Gabe Serbian di Cattle Decapitation, The Locust e Zu, e—tanto per cambiare—Justin Pearson di tutte le band noise-rock-post-hc del mondo.

Il loro album, intitolato in maniera molto appropriata A New Wave of Violence (come la famosa zine di Raymond Pettibon),  suona esattamwnte come ti imagineresti possano fare cinque persone da sempre conosciute per l'innovazione nel rock: un'offensiva senza sosta contro i tuoi timpani.

In realtà Head Wound City esiste circa dal 2005, quando hanno realizzato il loro primo EP, ma gli ci sono voluti undici anni per fare un album su Vice Records.  Qui potete ascoltarvi l'estratto, “Scraper,” mentre qui potete pre-ordinarlo.

Head Wound City are on tour soon:

Il cantante dei Bring Me The Horizon ha ribaltato il tavolo dei Coldplay agli NME Awards

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Se c'è stato un beef veramente futile l'anno scorso, è stato quello per cui Oli Sykes dei Bring Me The Horizon si è incazzato di brutto per il fatto che il nuovo album dei Coldplay A Head Full of Dreams avrebbe copiato la stessa simbologia di Sempiternal dei BMTH. Come atto di rivalsa, o forse solo per dimostrare chi è veramente la band più imbarazzante della musica britannica, Sykes ha deciso di rompere le palle ai Coldplay agli NME Awards. Durante l'esecuzione dal vivo dell'innocuo singolo pseudogrunge "Happy Song", Sykes è sceso dal palco e si è addentrato nella zona in cui sedevano i musicisti. Si è diretto al tavolo dei Coldplay e ci è saltato sopra, prendendo a calci bottiglie e piatti al massimo delle possibilità offerte dalle sue gambette secche. Poi ha fatto dondolare il tavolo finché questo non si è ribaltato, rovesciando cibo e bevande addosso a Martin e compagnia.

Viene da chiedersi come mai i Coldplay abbiano permesso a uno scenekid qualsiasi di rovinare loro il tavolo. Ma se ci pensi bene, puoi stare sicuro che i milioni di dollari conservati nei loro conti bancari rendano episodi di questo tipo molto poco importanti.

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Sempre più pop star fanno da megafono alla causa dei rifugiati

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C'è un detto: è meglio cercare risposte alle domande della vita nell'arte piuttosto che nella politica. Questa idea diventa sempre più importante nel 2016. Gli artisti utilizzano le proprie piattaforme per esprimersi sui temi che contano, che si tratti di Miley Cyrus sulla fluidità di genere, Benga sulla salute mentale o Killer Mike sulla campagna Black Lives Matter.

Di recente è il singolo di Beyoncé "Formation" a presentare un testo ultra aggressivo (“I like my baby heir with baby hair and afros / I like my negro nose with Jackson Five nostrils”), immagini dell'Uragano Katrina, violenza della polizia e una potentissima inquadratura finale su un graffito che recita “Stop shooting us”. Soltanto due giorni fa, l'esibizione di Kendrick Lamar ai Grammy ha inserito l'argomento dell'ingiustizia razziale all'interno di una delle cerimonie di premiazione più importanti del mondo.

Le tragedie continue causate dalla crisi dei rifugiati sono diventate un promemoria costante di quanto il mondo faccia schifo. Almeno trentacinque rifugiati sono morti dieci giorni fa a largo delle coste della Turchia, a causa del ribaltamento di alcuni barconi. Il sabato prima, ne erano annegati trentanove. Le stime parlano di almeno tremila persone annegate l'anno scorso mentre andavano in cerca di asilo nei paesi dell'Europa. A volte sono numeri come questi ad attirare la nostra attenzione, a volte sono le foto dei bambini annegati. 

È nella natura delle notizie di fluire velocemente. Un momento siamo in lutto e pretendiamo un cambiamento, il momento dopo uno dei nostri giornali nazionali sempre più di destra ci incoraggia a demonizzare tutte quelle persone che fanno la fila sulle nostre coste, accusandoli di rubarci il lavoro, l'assistenza e i parcheggi, spesso dimenticando la sofferenza che li porta fin qui. Save The Children non fa in tempo a lodare il supporto del Regno Unito per i figli dei rifugiati siriani che il Daily Mail pubblica un pezzo che accusa i giovani rifugiati minorenni di mentire sulla propria età. Appena una lettera aperta a David Cameron da parte di 120 economisti definisce la risposta britannica alla crisi "moralmente inaccettabile", il Telegraph pubblica un articolo intitolato "Britain Must Be Cruel to Be Kind", scritto dal segretario dell'UKIP. Non sorprende che YouGov abbia riportato la settimana scorsa che gli inglesi considerano la propria stampa nazionale la più a destra d'Europa. 

Mentre la crisi dei rifugiati viene ripetutamente trattata dai media in termini di allarmi, statistiche e costi, e le tante associazioni benefiche faticano a far sentire il proprio messaggio sopra il caos del panico, il ruolo dell'arte assume un'importanza crescente nel ricordare al mondo che al centro di tutto ci sono vite umane. MIA, PJ Harvey, Kindness, Robert Plant, Tinariwen e molti altri si sono fatti avanti e hanno espresso le proprie opinioni sulla situazione, non soltanto tramite raccolte di fondi e interviste, ma creando nuova musica e video che si pongono l'obiettivo di umanizzare la lotta e le storie dei moderni rifugiati, per imporre una prospettiva nuova alla cultura popolare, facendo passare con successo il messaggio che una crisi umanitaria internazionale non dovrebbe mai ridursi a una questione di politica estera, statistiche sull'immigrazione o manovre politiche. 

Il singolo di MIA del tardo 2015 “Borders” è stata una delle prime chiamate alle armi. Il video, girato dalla stessa MIA, metteva coraggiosamente in evidenza il viaggio e i rischi che si prendono le persone tanto disperate da cercare di raggiungere l'Europa con ogni mezzo. Facce di uomini di colore, spesso la categoria più demonizzata dalla stampa britannica, si vedono scalare recinti, correre nel deserto e lanciare sguardi risoluti attraverso il filo spinato. MIA si piazza con disinvoltura davanti alla barriera impenetrabile, dura suggestione di quanto sia facile dare per scontata la propria libertà quando si sta dalla parte giusta della recinzione. "Ho scelto di comunicare qualcosa che credevo più urgente", MIA ha detto in un'intervista a Noisey. "Ovvero che questa gente non è quella roba. Non si tratta di persone violente, armate, arrabbiate e sul piede di guerra. Per me era importantissimo chiarire quel punto, ed ecco perché ho girato il video in quel modo". 

PJ Harvey non si è mai fatta problemi a dire le cose come stanno. In questo caso si è messa in società con il fotografo documentarista Seamus Murphy all'inizio di febbraio per il suo ultimo singolo, "The Wheel". La canzone e il video che la accompagna sono state direttamente ispirate dai loro viaggi in Kosovo e Afghanistan nel corso di quattro anni—viaggi che hanno visto la coppia confrontarsi con le persone che hanno subito le conseguenze delle recenti guerre e visitare villaggi abbandonati a causa della pulizia etnica e delle faide. È una riflessione potente e inquietante sull'idea che la storia si ripete oggigiorno con la crisi dei rifugiati in corso. Ha totalizzato più di un milione di visite in sole due settimane. 

Murphy ha dichiarato a  Noisey: "Per comporre il film di 'The Wheel' abbiamo usato molto materiale girato durante il primo viaggio del 2011, filmati di sessioni di prove di Polly a Londra e il recente viaggio in Kosovo. L'enorme crisi in Europa era già su tutti i telegiornali da mesi. Ho passato un po' di tempo sul confine tra Grecia e Macedonia e poi in Serbia, prima di entrare in Kosovo. Tutto stava succedendo in territori associati ai recenti conflitti in Kosovo e più in generale nei Balcani. L'idea del ciclo, delle ruote e della ripetizione era ancora troppo evidente, era necessario usarla".

Nonostante tutto ciò, però, sembra che argomenti come questo siano ancora considerati territori problematici—che, se gli artisti si esprimono, i loro sforzi verranno smontati, visti come opportunistici, o anche solo come una rottura di palle. Come ha detto MIA a Noisey, aveva la sensazione che molti non parlassero per "paura di risultare noiosi". Poi ha aggiunto: "In tanti non parlano di questi temi perché non è sexy".

L'acrimonia verso gli artisti che utilizzano la loro posizione per parlare di questioni serie non è nulla di nuovo. Sembra strano parlare di Johnny Borrell nel 2016, ma il frontman dei Razorlight ha fatto una gran figura quando è stato ospitato dal programma politico della BBC This Week qualche settimana fa, parlando di come le pop star si avvicinano alle questioni sociali più importanti.

“Essendo sui giornali [con i Razorlight], mi sembrava giusto parlare di cose che fossero importanti, e metterle in evidenza", ha detto al conduttore Andrew Neil. "Ma fu interessante perché emerse un grande cinismo nei confronti di questa cosa. Tipo 'Okay, questo tizio vuole fare la rockstar salva-mondo...' Ma non ero io e non eravamo noi a fare qualcosa per salvare il mondo. Era la gente che ci lavorava ogni giorno: Friends of the Earth, Greenpeace, ecc. Sono loro a portare avanti il lavoro. Ma i media non li degnano di uno sguardo."

Eppure, un po' dappertutto, si vedono sempre più artisti andare contro la corrente del "no comment". Immaginate la faccia di Simon Cowell e dei suoi alleati quando, a mezzanotte e mezzo del 28 luglio 2014, Zayn Malik ha twittato "#FreePalestine", lanciando un dibattito tra Directioners sui pro e contro del programma di insediamento in Cisgiordania di Netanyahu. Zayn ha ricevuto svariate minacce di morte, e noi ci siamo innamorati ancora di più. 

Beyoncé non twitta da agosto 2013 e non risponde a una domanda diretta da quasi due anni—che, coincidenza, è anche il periodo in cui Bey è diventata sempre più politicizzata—preferendo lasciare che il suo lavoro parli da sé. Dopo tutto, un video così afroamericano come "Formation" non ha bisogno di alcun commento. È la presa di posizione più esplicita in favore di Black Lives Matter che sia stata presa da un artista al di fuori del mondo hip-hop e ha totalizzato ventisei milioni di visite in meno di due settimane senza neppure venire indicizzato pubblicamente. 

Il nuovo singolo di Kindness "A Retelling" uscito a febbraio, è stato scritto con in mente la storia di un rifugiato siriano in particolare, di nome Ayman. Lui sostiene: "Se ti affidi a un profilo pubblico per far avanzare la tua carriera, e usi i media per guadagnare tramite la comunicazione, allora, nella mia testa, hai la responsabilità di utilizzare questo vantaggio per parlare di cose importanti".

"Importante" è quasi un understatement quando si parla della traccia che ha registrato, che contiene parole a volte troppo vere da sopportare. Seguono la storia di Ayman partendo da Damasco, dove è stato preso di mira dal Governo per aver filmato la rivolta con una piccola videocamera, finché fugge per salvarsi la vita, per poi ritrovarsi a vivere da solo in un appartamento di Glasgow, senza sua moglie e i suoi figli. La canzone è contenuta in The Long Road, un album concepitorganized dalla Croce Rossa per unire i rifugiati e i musicisti perché questi li aiutino a raccontare la propria storia. Comprende Tinariwen, Robert Plant, Scroobius Pip e altri, incorniciato dal pluripremiato produttore Ethan Jones.

“Abbiamo passato un periodo di egoismo e avidità di destra, e questo ha rovinato molti discorsi", suggerisce Kindness. "Riviste per ragazzi, Loaded, NME, anche VICE: era tutto basato su una versione semplificata della cultura giovanile, priva di consapevolezza politica, anzi, di auto-consapevolezza, semplicemente perché non era fico", dice. "Non voglio essere passivo, o stare comodo, voglio stimolare attivamente un'agitazione, per le persone che stanno peggio”.

Come ogni forma d'arte, la musica ha un certo potere, non solo attraverso l'esposizione, ma nella sua abilità di comunicare valori umani fondamentali ed emozioni a un grande pubblico, che è una cosa che un articolo di giornale o una legge sull'immigrazione non possono fare. Il pop ha sempre camminato fianco a fianco con l'attivismo, ma come abbiamo visto con cause come Black Lives Matter e oggi la crisi dei rifugiati, più artisti saranno disposti a incentrare il contenuto della propria arte su problemi specifici, più il pop avrà il potere di cambiare la percezione, amplificare storie mai ascoltate e influenzare un cambiamento sociale profondo e duraturo. E in questo periodo di crisi umanitaria, in più si è a parlare della sofferenza dei rifugiati, meglio è. 

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