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È uscito un mixtape con la voce di Kendrick Lamar sui beat di Dr. Dre

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Non sembra passato tanto tempo da quando Kendrick era un promettente rapper underground che spaccava tutto e si beccava anche i complimenti di Dr. Dre, presagio della nascita di una nuova leggenda con radici a Compton. Eppure Kendrick non ha mai rappato su un beat di Dre in nessuno dei suoi album, anche se era presente in maniera massiccia sullo stranamente dimenticato Compton. DJ Critical Hype, che ci aveva già regalato un mixtape mash-up tra Chance the Rapper e Kanye qualche anno fa, ha deciso di rimediare con un album che vede Kendrick rappare su alcune delle produzioni più conosciute di Dre.

The Damn. Chronic è un vero archivio di gemme per appassionati, specialmente perché utilizza molto del materiale meno conosciuto del periodo formativo di Kendrick, pre-Section.80. A ogni modo, sentire le mitragliate di rime di "Bitch, Don't Kill My Vibe" sul beat di "Forgot About Dre" è spettacolare, e l'atmosfera G-funk di "XXX" riesce a rendere la canzone ancora più anarchica. Forse è ancora più significativo sentire la voce di Nate Dogg su "Hood Gone Love It" di Jay Rock, e il verso di Kendrick da "I'm On 2.0" che rimbalza sulle bombe old school di "Straight Outta Compton" riprova che questi beat primitivi possono suonare ancora potentissimi. Ascolta The Damn. Chronic qua sotto.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey Canada.

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Recensione: Luciano Lamanna - Sottrazione

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Luciano Lamanna (è significativo che il correttore automatico lo cambi in LA MINA) è un veterano della scena techno romana. Mi è capitato di assistere a alcuni suoi set e sono sempre tornato a casa con la faccia piena di schiaffoni e molto soddisfatto.

Quello che però presenta come suo primo lavoro solista su Boring Machines (dopo un disco in coppia con Luca T. Mai), etichetta tra le migliori d’Italia che speriamo non abbia bisogno di presentazioni, è un disco quasi interamente privo di cassa, principalmente basato sul lavoro con i sintetizzatori (ma fanno capolino, significativamente, anche la chitarra di Manuele Frau e il flauto di Luca Spagnoletti).

Sottrazioni è un disco astratto, cupo, che evoca immaginari distopici. Come sempre in questi casi a fare la differenza fra un disco tra i tanti e un lavoro in grado di lasciare il segno è la classe del suo autore, in grado su un canovaccio non particolarmente originale o mai sentito, di comporre qualcosa che rapisce l’ascoltatore, lo accompagna in un mondo caotico e spaventoso, gioca a fornirgli qualcosa cui aggrapparsi per poi togliergli la terra da sotto i piedi e lasciarlo sperduto e senza punti di riferimento.

Un disco preciso e puntuale, che esplora sfumature molto differenti, dalle più spaventose a quelle più pacificate, e che la maestria del suo autore rende pieno di momenti interessanti sui quali ritornare spesso, che ne fanno già, nel suo genere, una delle cose migliori di quest’anno.

Sottrazione è uscito il 30 marzo per Boring Machines.

Ascolta Sottrazione su Bandcamp:

TRACKLIST:
1. Spina Nel Cuore
2. Sottrazione
3. Calma Apparente
4. Sussurri
5. Mai Più Come Prima
6. Futuro Domani

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"Now Only" di Mount Eerie è un album che colma il baratro del lutto

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Lo scorso settembre Phil Elverum era sul palco di una sinagoga a Brooklyn, New York City. E si è scusato. Era a metà del suo concerto, in cui stava suonando canzoni di A Crow Looked at Meun album che parla della morte di sua moglie, l'artista e musicista Geneviève Castrée—e ha annunciato che avrebbe saltato qualche canzone. Alla fine, Elverum non ha suonato tre delle canzoni più emotivamente crude dell'album, tra cui una in cui spiega come i ricordi degli ultimi momenti di vita di Geneviève . È una cosa strana da dire di un album in cui ogni canzone è incupita da pensieri di morte e malattia, me ne rendo conto. Ad ogni modo, al concerto nessuno ha detto niente. Phil ha continuato a suonare.

Ma è successa una cosa strana, con il proseguire del concerto. Elverum era lì, a suonare canzoni sotto la luce di un riflettore in uno spazio sacro, e la gente ha cominciato a comportarsi come se fosse a un concerto come un altro. Cantava, con voce così bassa che quasi sussurrava, di come ha visto la faccia di sua moglie trasformarsi in qualcosa di "itterico e sfigurato". Alla fine del pezzo, la gente applaudiva e fischiava, spezzando il silenzio e il senso di contemplazione. Nessuno ha gridato titoli di canzoni che voleva sentire o ha rovesciato birre per terra, ma persino questo trito rispetto del contratto sociale che regola i concerti mi è sembrato inadatto, una versione estremizzata di quel momento in cui sei al cinema a vedere un film e tutti ridono nel momento sbagliato di un film. Volevo dire alla gente di fermarsi, di stare attenta a queste canzoni - troppo importanti, piene di grazia e personali per essere contornate da qualcosa di così banale come dei pezzi di carne che sbattono l'uno contro l'altro. Ma in fondo Elverum sarebbe andato avanti lo stesso, sera dopo sera, a cantare dei "fazzoletti insanguinati" che sua moglie ha usato negli ultimi giorni della sua vita. Che cosa sarebbe cambiato?

Elverum, la cui predilezione per l'auto-interrogazione risale a molto prima dei prosaici monologhi del suo penutlimo album A Crow Looked At Me, parla di quanto la sua vita sia diventata strana sulla sua nuova opera, Now Only—una sorta di opera gemella, pubblicata a marzo sulla sua etichetta P.W. Elverum & Sun. Il brano che da il tutolo all'album—composto da quegli scioglilingua emotivi che sono diventati la firma musicale di Elverum negli ultimi anni ("a malapena sono musica", ha detto)—rimbalza da una sala d'attesa d'ospedale a un concerto nel deserto dell'Arizona.

Non c'è molta musica che assomiglia a quella contenuta in Now Only—essenzialmente, Elverum ha creato un genere dal nulla. Ha dichiarato di essere stato influenzato dagli psicodrammi sconnessi dell'ultimo Sun Kil Moon, dal confessionalismo senza vergogna di Karl Ove Knausgaard, dalle tenebre acustiche di alcuni album dei Palace Music di Will Oldham. Ma anche partendo da questi presupposti è difficile descrivere lo stile che Elverum ha adottato, a cuore aperto e senza peli sulla lingua. Anzi, ora che è uscito Now Only è ancora più complesso. A Crow Looked At Me era stato registrato nel silenzio, nella stanza di Geneviève, e con i suoi strumenti. Questo album, invece, comincia a considerare l'esistenza di un mondo che va oltre quell'esperienza. La distorsione terrosa dei vecchi album dei Mount Eerie fa di nuovo capolino nello spettro sonoro, così come un riff di chitarra di una canzone composta quasi 15 anni fa. Si adagiano all'interno della storia del progetto Mount Eerie, in un certo senso, qualificandosi come un passo avanti da parte di uno dei cantautori più capaci a rendere le tragedie delle splendide opere d'arte.

Sono i testi, soprattutto, a cercare di distogliere lo sguardo dal dolore. Su "Now Only", la canzone, Elverum racconta di essere stato sul tour bus di Skrillex, di essersi messo a guardare le stelle, e pensa alle "feroci eruzioni di singhiozzi" che si fanno sempre più rade con il passare dei giorni. Ma c'è un senso di realtà aumentata nel modo in cui descrive il suo fine settimana a un festical, un certo prurito che scaturisce dal suo descrivere conversazioni con Weyes Blood e Father John Misty come "bambini perduti / che esplodono sulla Terra in uno scontro di idee autoindulgente e struggente". Parla di quanto si sente lontano dal pubblico, e si chiede quanto sia strano il fatto che viene pagato "per cantare canzoni di morte per dei giovani drogati". Uno dei versi si conclude con un moto d'ansia: "Essere ancora vivo mi è sembrato così assurdo."

Su Crow, Elverum descriveva questo senso di distacco tra se e il mondo, causato dalla morte di Geneviève, come un "baratro". Su una delle sue nuove canzoni, "Earth", ne parla in maniera più approfondita. "Tutti quelli che ci conoscevano sembrano preoccupati", canta. La densità di dettagli su questi due album, il significato che viene infuso nella descrizione di fenomeni apparentemente insignificanti come fili d'aria e porte che si chiudono, li rende "pieni" come poche opere incentrate sul lutto hanno saputo fare. Tutti sanno o sapranno che cosa si prova a perdere una persona cara, ma quello di cui Elverum canta è qualcosa di diverso. Nessuno, spero, dovrà mai sentire il ricordo della prima volta che vide la persona che ha amato, mentre mangiava frutta fuori da un bus in folle, riecheggiare nel nulla. Elverum ne parla candidamente.


L'articolo continua dopo il link, un'intervista che avevamo realizzato con Phil per parlare del suo album precedente:


Quel baratro è una delle componenti più difficili da sentire nella musica di Elverum. Quando ascolto musica di solito sono in cerca di empatia, ma più lui esplora le profondità della sua confusione e della sua tristezza, meno credo nel potere dell'empatia per come lo consideriamo tradizionalmente. Forse non è possibile provare le stesse cose che un'altra persona ha provato. Questi sentieri labirintici disegnati dal suo pensiero, attraversati dalle sue canzoni, suggeriscono un semplice concetto: siamo soli, sia nella felicità che nel dolore. È un pensiero in cui è facile perdersi, soprattutto ascoltando "Emptiness Pt. 2"—apparentemente il seguito di un altro suo pezzo in cui cantava "Più vuoto, ancora ed ancora"—un brano in cui suggerisce che in fondo pensare all'empatia in un modo tradizionale è un gesto egoista. Anche accettando il senso di distanza e la solitudine che lo attanagliano, Elverum non concepisce alcuna tregua. L'unica verità, come cantava più volte in A Crow Looked At Me, è che "la morte esiste davvero".

Now Only, comunque, non è altrettanto intransigente. Elverum tenta di nascondere il baratro. Canta tenendosi leggermente più distante dai fatti che racconta, guarda alla sua vita all'interno di un contesto più ampio, si concentra su questioni esistenziali che lo tormentano fin da quando era bambino. Per esempio, dedica un lungo verso a una volta, a 23 anni, in cui ebbe paura di aver messo incinta una ragazza dopo una nottata passata assieme. E lo fa cantando di un futuro, spostandosi oltre l'eterno presente che la nebbia del dolore fa calare su una persona in lutto. Senza una vera speranza, o almeno non esattamente una speranza. Un suggerimento, se vogliamo: "La vita continua". Ma questo basta a dare un leggero senso di positività al suo messaggio. Su “Crow Pt. 2”, il brano che chiude l'album, lo canta in modo molto esplicito:

Con ogni giorno che passa, l'eco della tua vita sulla Terra si fa più quieto
Oscurato dal vento rumoroso del noi, dell'ora
Dei nostri pianti e lamenti per te
Ma anche del nostro vivere, del nostro parlare di com'è andata a scuola,
Del nostro far da mangiare, sopravvivere e basta, continuare a contenere amore

Almeno per adesso, per Elverum vivere significa continuare a salire sul palco e cantare queste sue canzoni a persone che non le capiscono perfettamente. Non potrebbero mai riuscirci. Ma lui lo fa lo stesso. Qualche settimana fa ha suonato a New York su un palco molto più importante rispetto a quello che aveva calcato nella sinagoga da cui abbiamo cominciato. Assieme a lui c'era un piccolo abete spelacchiato, probabilmente così che il pubblico avesse qualcosa da vedere oltre a lui e alla luce che lo illuminava. Con il passare del tempo capisci come fare ad alleviare il disagio che provi. La gente ha applaudito lo stesso i pezzi di Crow, ma quella volta è sembrato tutto meno grave. Now Only offre l'idea di una vita che continua, sebbene in mezzo al dolore.

E gli applausi, ora, sembrano una celebrazione di quest'idea. Non vogliono esaltare il dolore ma continuare a risuonare nonostante esso, perché andare avanti è l'unica opzione possibile. Non applaudiamo perché sappiamo esattamente quello che Phil ha passato—il vuoto ritornello di "Now Only" lo sottolinea ("La gente si ammala di cancro e muore / La gente viene investita dai camion e muore")—ma perché il suono della pelle contro altra pelle è una prova empirica della nostra inconsapevole perseveranza. In queste canzoni riecheggia una vita vissuta, e tramite il nostro applauso possiamo a nostra volta onorarla con un nostro eco. È un gioco di richiami tra sopravvissuti, in un certo senso.

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Ascolta Now Only di Mount Eerie su Spotify:

È stato scoperto un dissing di 2Pac a JAY-Z, Dre, Diddy e Biggie

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Siccome è illegale andare a esumare materialmente il cadavere dei cantanti e cibarsene, la casa d'aste americana Gotta Have Rock'n'Roll ha annunciato che sarà reso disponibile a partire dall'11 aprile uno scritto autografo di Tupac Shakur a partire da 30mila dollari. Supponiamo che il prezzo salirà considerevolmente durante l'asta, anche perché il pezzo è di quelli che attirano l'attenzione.

Si tratta infatti della bozza di ringraziamenti per l'album Don Killuminati: The 7 Day Theory, che poi è stata scartata in gran parte, mantenendo solo il finale: "WAR TIME! Worldwide, Nationwide, Citywide, Real Niggaz Do Real Things". 2Pac in questo dissing scritto a mano non risparmia nessuno, a cominciare da chi aveva cercato di ucciderlo nella famosa sparatoria del 1994 ai Quad Recording Studios di Manhattan. Puff Daddy o Diddy o Love o come cazzo si chiama in questo momento (qui è "Puffy"), Notorious B.I.G., Jimmy Henchman e altri "sono stati in silenzio e hanno cospirato per la mia caduta". Faith Evans "mi ha dato l'arma più potente di tutte, la sua bassa autostima e la sua fica rovinata", mentre Wendy Williams "è una grassa puttana". I Mobb Deep "hanno aperto la bocca dandomi l'opportunità di ridurli in polvere come i perdenti da zero vendite che sono"; Dr. Dre è "un gay represso"; i De La Soul "ce l'hanno con me perché vivo bene mentre loro sono dei ciccioni che vivono da poveracci"; JAY-Z (qui "Jay Zee") "è un signor nessuno", come Lil Kim "che succhia il cazzetto di B.I.G.". Fiuuu! Quando ho finito di leggerla mi aspettavo che arrivasse una frecciatina anche a me.

Leggi lo scritto completo qua sotto:

2pac tupac shakur asta killuminati makaveli liner notes

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La canzone di Sufjan Stevens su Tonya Harding è bella come il film

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Gli statunitensi adorano adorare chi è passato dalle stalle alle stelle. In fondo si sono costruiti un'identità nazionale convincendosi di stare vivendo un sogno di infinite possibilità, come se approdare nella baia di Hudson implicasse automaticamente un nuovo inizio, chiunque tu fossi. Fu lo scrittore James Truslow Adams a definirlo nel 1930, sostenendo che una sua parte fondamentale fosse "la possibilità di avere un'opportunità per chiunque, in base alle sue abilità o ai suoi risultati". Specificò, inoltre, che non si trattava di un sogno materialista, basato su "automobili e alti stipendi", ma della possibilità che il proprio talento innato venisse riconosciuto dai propri pari.

Secondo questa retorica, la pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding—di cui si è parlato molto recentemente per il film biografico che la vede protagonista, I, Tonya, nei cinema italiani dal 29 marzo—incarna alla perfezione il sogno americano. Nacque a Portland, in Oregon, una città ai tempi ancora lontana dall'essere il sogno bagnato hip super figo che Carrie Brownstein e Fred Armisen hanno raccontato nella loro serie TV Portlandia. Veniva da una famiglia operaia, viveva in un quartiere impoverito, sua madre la picchiava e insultava costantemente. Il pattinaggio artistico su ghiaccio fu "un modo per andarsene dalla fogna", come disse il suo allenatore, intervistato dal network televisivo ESPN per il documentario The Price of Gold.

Era una redneck, la Harding, e lo esplicitava nella sua persona. Abbassava la testa quando veniva insultata, ma continuava a tenere duro. Sulla pista si presentava trasandata, indossando abiti cuciti da sua madre. Le sue compagne, agghindate seguendo le regole non scritte di uno sport avvolto da un'aura di nobiltà, la odiavano per questo. Ma lei, da brava americana, teneva i denti stretti. E li digrignò così tanto che nel 1991 diventò la prima statunitense della storia a eseguire un triplo axel, cioè probabilmente il gesto più difficile della storia del pattinaggio di figura (qua raccontato dall'Ultimo Uomo). Era diventata un'eroina.

Una foto d'epoca di Tonya Harding.

Poi, nel 1994, lo scandalo. Harding assoldò delle persone per aggredire con un martello Nancy Kerrigan, sua rivale alle Olimpiadi. La sua vicenda affascinò l'intera nazione: era diventata un'eroina caduta, una bella maledetta. Solo il processo a O.J. Simpson distolse l'attenzione dei media dalla sua vita, che però continuò a essere piuttosto interessante: girò un sex tape con suo marito e lo vendette a Penthouse per 200.000 dollari, si diede alla boxe, partecipò a gare automobilistiche e suonò anche in uno sfortunato gruppo che venne fischiato alla sua unica esibizione, i Golden Blades. E qua andrei a citare delle parole scritte da Sufjan Stevens nel testo di accompagnamento alla sua canzone "Tonya Harding", pubblicata qualche mese fa:

"Tonya risplende nel pantheon della storia americana perché non ha mai smesso di mettere tutta se stessa in ciò che faceva. Ha combattuto il classismo, il sessismo, gli abusi fisici e i rimproveri pubblici per diventare un'incomparabile leggenda americana."

Sufjan adora la storia della sua nazione. Lo ha dimostrato scrivendo del Michigan e dell'Illinois, sviluppando un'idea cantautoriale in cui tradizione e religione convivono tranquillamente con sperimentalismi e progressismo. Ha raccontato le storie di eroi e anti-eroi: per lui parlare di un serial killer come John Wayne Gacy Jr. o di uno sfortunato ma fiero uomo politico come Adlai Stevenson è la stessa cosa. L'importante è raccontare la loro umanità, uscire dalla retorica dominante che li circonda e svelarceli al crocicchio che collega le loro insicurezze e la loro forza di spirito. Gacy è raccontato come un bambino dai genitori violenti, colpito alla testa da un'altalena, e i suoi omicidi sono solo suggeriti nei corpi nascosti, come tesori, sotto il pavimento della sua casa. "Nel 1952 il cuore non è stato tuo padrone", dice Sufjan di Stevenson, raccontando la sua fallita corsa alla presidenza; e poi ricorda la sua fierezza nella gestione della crisi dei missili cubani del 1962, anche qua lasciandocela leggere tra le righe: "Prove, prove / Ne ho sentito parlare / E qual è la risposta?"

"Tonya Harding", pubblicata in due versioni, è un documento preziosissimo. Distilla in cinque minuti l'assurdità della sua vita creando un'immaginaria, nitidissima fotografia della sua esperienza. "Tonya Harding, mia stella / Questo mondo è freddo / Ma tra simili ci si intende / E solo Dio sa che cosa rappresenti", comincia. "Eri solo spazzatura bianca da Portland / Hai affrontato il tuo dolore / Come se non ci fosse stato un domani / Mentre il resto del mondo rideva, e basta".

La canzone di Sufjan prova a evocare, attraverso una serie di domande, ciò che è passato dentro alla Harding lungo il corso della sua vita. "Hai le scarpe slacciate? Perché tieni il broncio?", le chiede, con una tenerezza disarmante; "A che cosa ti servono, ora, i pattini? Dimmi, qual è la tua bontà?" Lavora a posteriori, Sufjan, rappresentandola al centro della pista che le ha dato fortuna e non di quella del circo mediatico che le è stato costruito attorno: "Il mondo si è divertito? / Tireranno su un casino / Ti costruiranno un castello / E lo distruggeranno quando avranno finito".

È un brano essenziale, "Tonya Harding", fatto di percussioni elettroniche minimali, pochi accordi di pianoforte e qualche intervento di sintetizzatore che scende a cascata sul quieto rivolo musicale che ne rappresenta la spina dorsale. Rappresenta la Harding nella sua forza ("Sei sopravvissuta a tutti gli schianti / E hai lavato via il sangue dalle tue cosce bianche") ma la ritiene responsabile delle sue fragilità ("Anche tu imbrogli / Come puoi biasimarla per avere pianto?"). Il linguaggio di Sufjan ha storicamente prediletto la punta di fioretto rispetto alle bombe a mano, ma è ben felice di adattarsi alla schiettezza genuina che caratterizza la sua musa ispiratrice:

"Tonya Harding, amica mia / Questo mondo è una puttana / Non finire in un fosso / Ti starò vicino fino alla fine".

E ancora, per concludere: "Continua a combattere come stai facendo / Mia principessa americana / Che Dio ti benedica d'incenso / Sei la mia splendente stella americana". Misericordioso ma non impietosito, affascinato ma non accecato, Sufjan Stevens ha saputo cogliere la figura della Harding in tutta la sua ambivalenza. Potete non avere un'ora e passa da dedicare al film di Craig Gillespie, ci può stare. Ma cinque minuti per ascoltare "Tonya Harding", e commuovervi allo stesso modo, li potete sicuramente trovare.

Elia è su Instagram: @lvslei

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Ecco i primi nomi di Ortigia Sound System 2018

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Voi lo sapete che Ortigia Sound System è uno dei nostri festival preferiti. Si svolge a Siracusa, nello spettacolare contesto del suo centro storico, l'isola di Ortigia, lambita dal Mediterraneo, baciata dal sole e scossa dalle vibrazioni elettroniche di artisti straordinari provenienti dagli infiniti angoli del globo. Quando poco fa ci è arrivata la mail che finalmente rivelava i primi nomi della line up, l'abbiamo aperta con sincera trepidazione, e poi ci siamo messi a urlare di gioia disturbando tutto l'ufficio.

Ma facciamo una bella presentazione da gran galà. Ortigia Sound System Festival si svolgerà dal 25 al 29 luglio 2018 a Siracusa e primi ospiti annunciati sono: James Holden & The Animal Spirits, Omar Souleyman, Erlend Øye, Kamaal Williams, Bad Gyal, Call Super, Flohio, Dan Shake, Or:la, Mafalda, Deena Abdelwahed. Poi ci saranno due showcase: quello di Whities Records con Bwana e Tasker, e un evento speciale sul Napoli Sound con Mystic Jungle, Nu Guinea e Filippo Zenna.

La festa, praticamente, viene declinata in tutti i modi possibili: dalla house al jazz fusion alla dancehall al mahragabat alla techno.

Gli abbonamenti Super Early bird sono andati a ruba in pochissimo tempo, gli Early Bird – Full Night Pass sono invece disponibili al seguente link: http://bit.ly/2GCT9aA.

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Dobbiamo ringraziare l'LSD per 'Blonde' di Frank Ocean, ma non solo

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Gira voce che Frank Ocean e il regista Tyrone Lebon fossero entrambi fatti di acido quando girarono il video di "Nikes" nel 2016. E non mi stupirebbe. Ci sono quelle riprese di Ocean seduto per terra, circondato dalle sue auto, con un bicchiere di carta nella mano destra, gli occhi chiusi mentre lo schermo si divide in due e lui dice che "ha due versioni". Il modo in cui guarda in camera mentre si cala il passamontagna sul viso, pronto a fare qualche passo incerto in avanti, in fiamme. La posizione delle braccia attorno al torso quando la sua voce finalmente ritorna normale verso la fine della canzone ed è ricoperto di lustrini sul palco e ci dice che "vive come se la scorsa notte fosse una vita fa". Il modo in cui cambia l'inquadratura quando canta "Acido su di me come la pioggia / L'erba si sbriciola e diventa glitter", poi taglia i versi fino ai loro elementi essenziali: "Pioggia / Glitter".

In Blonde, Ocean si trovava leggermente spostato dalla realtà con gli occhi aperti e le pupille dilatate, e nessun altro nella musica pop lo aveva raggiunto fin lì prima di Kacey Musgraves, con l'uscita di Golden Hour la settimana scorsa. Blonde e Golden Hour sono due album discretamente allucinatori, distaccati dalla mondanità da ondate su ondate di serotonina. I due cantautori vengono da due posti totalmente diversi – dal punto di vista musicale, spirituale, geografico, culturale, in pratica da ogni punto di vista – ma la vita li ha fatti atterrare in posti molto simili. Entrambi al traguardo del terzo progetto full-length, confrontandosi con l'avvicinarsi dei trent'anni, cercando di trovare la bellezza dietro il male, hanno cercato di vedere il mondo per quello che non è, immediatamente.

Non c'era bisogno di leggere le missive via Twitter della Musgraves sulle droghe per capire che ultimamente ha esplorato nuove combinazioni chimiche. Molti dei testi di Golden Hour sembrano appuntati sul cellulare nel mezzo di un trip. "Scoppio di empatia / Riesco a sentire ogni cosa", canta nella fulminea "Mother", parlando allo stesso tempo a sua madre e a suo marito. "Spero che le mie lacrime non ti facciano prendere male / Mi stanno uscendo da sole / È la musica in me / E tutti questi colori". Nella settimana da quando il disco è uscito, alcune piccole cose hanno cominciato a farsi più esplicite. "Slow Burn", che apre il disco, è laconica e stupefatta allo stesso tempo, in pace con il mondo ma disperatamente vogliosa di consumarlo tutto in una volta, un tranquillo ruscello di chitarre acustiche che scorre alle spalle della Musgraves mentre insiste "guarda quanti fiori". C'è un interludio di due battute verso la fine della canzone in cui gli accordi cambiano per un momento e la Musgraves sembra anelare qualcosa, posseduta: "Qualunque cosa mi faccia stare bene".

Questo edonismo rilassato è ciò che guida la nuova visione del mondo della Musgraves. Si trovava a mille chilometri di distanza da tutto ciò sul suo primo disco, Same Trailer, Different Park. Qui parlava di cuori spezzati, della ripetitività della vita nella cittadina di Golden, Texas, e anche quando arrivava la gioia era sempre vista da lontano, come dal fondo di un pozzo di noia. Il disco l'ha trasformata in una star e l'ha portata via da Golden, ma il suo seguito, Pageant Material, la vedeva intrappolata nella propria mente, incapace di lasciarsi andare. In due tracce si parlava quasi apertamente di depressione e di come l'aveva tenuta nascosta, e di claustrofobia. Sembrava bloccata in un mondo che si faceva sempre più grande ma anche più ostile.

La tendenza alla depressione di Ocean avevano affossato la maggior parte dei suoi primi due progetti, Nostalgia, Ultra e Channel Orange. Rileggiamo la sua eloquente lettera in cui racconta di essersi innamorato di un altro uomo (in cui esigeva urlante una spiegazione da Dio) e riascoltiamo "Bad Religion" (in cui soccombeva all'angoscia e imparava da un tassista che pregare "male non fa"). È tutto lì, torbido e contorto tra piccole esplosioni di gloria. Ocean stava cercando di capire quale posto occupasse nel mondo, e inseriva quell'agonia a forza nelle proprie canzoni.

Questo è in parte ciò che ha reso Blonde così immediatamente coinvolgente. Ocean ovviamente non aveva trovato alcun tipo di felicità permanente a 28 anni, ma la stava cercando attivamente, e a volte nuove forme e colori ce lo facevano avvicinare. C'erano momenti, come ce ne sono in Golden Hour, in cui l'LSD prendeva quasi completamente il volante. "Solo", in cui va "fuori di testa con l'acido", porta avanti immagini di "Inferno in terra", una città che brucia, ma è il "paradiso" lo stesso se ne respiri il fumo. I sogni – la mente al di fuori di sé – sono dappertutto, dall'istante in cui sente "ti amo" in "Ivy", al sogno bagnato di "Self-Control" e ai sogni di pensieri e pensieri di sogni che si scontrano in "Seigfried". Lui ha spiegato questa componente extraterrena in uno scritto uscito un paio d'ore dopo Blonde. Era strano e meraviglioso, in parte una storia che raccontava la sua prima esperienza con i funghetti, quando vide il quadrante di una macchina respirare, l'esperienza delle "palme imperiali e viti che vivono la vita sostenute soltanto dalla [dura] spalla", la psichedelia del tutto. Ma, come con la pioggia-glitter di "Nikes", riduceva tutto all'essenziale: "Il sentimento familiare amplificato".

È qui che si incontrano Musgraves e Ocean – quando amplificano il familiare, insistendo che la nuova realtà che vedono quando sono fatti è la vera realtà, per quanto travolgente. "Seigfried" scivola di nuovo nella psichedelia: "Mangia un po' di funghi, magari fatti un buon pianto per te stesso / Vedi un po' di colori, la luce che plana dalla Luna". La Musgraves ora è innamorata e il suo cuore non è più spezzato, ma vede la stessa cosa dappertutto – un "bacio pieno di colore", la "ora dorata" quando il cielo comincia a cambiare colore.

Membri (e superstar) di una generazione di persone impaludate da una disperazione leggera e da un'ansia pixellata, Musgraves e Ocean usano le droghe psichedeliche come via di fuga, qualcosa che li può cambiare in meglio, che elimini qualche velo. E in qualunque epoca avvicinarsi all'età adulta, trovare il proprio posto e capire che cosa si sta facendo, è doloroso. Loro stanno cercando una strada nuova. "Queste canzoni sono permeate da un sentimento di speranza per questo tempo e spazio su questo bellissimo pianeta, nonostante sembri in tumulto", ha scritto la Musgraves due giorni prima dell'uscita di Golden Hour. "No è ordinario. Sì è una gemma", Ocean scrisse ad i-D.

I loro raptus acidi li portano a diverse conclusioni. Ma ascoltandole in loop una dopo l'altra, "Futura Free" e "Rainbow", le tracce di chiusura di Blonde e Golden Hour rispettivamente, sembrano condurre uno strano dialogo l'una con l'altra. Sono entrambe ballate di pianoforte da quattro accordi, anche se quella di Ocean è un flusso di coscienza nervoso e storto, mentre quella della Musgraves è sorprendente, luminosa e concisa. Ocean, come Musgraves, parla con sua madre: "Ascolta queste canzoni, è terapia mamma / Mi pagano mamma / Dovrei essere io a pagare loro". Ma perde di proposito la concentrazione mano a mano che la canzone procede. Si incazza un po'. Il tutto sembra srotolarsi come un down.

La Musgraves invece sta ancora osservando i colori: "Giallo rosso e arancione e verde, e almeno un milione di altri". È un'immagine più pulita, più confortante, ma non più o meno vera della svolta caotica di Ocean. Non tutti i nuovi colori sono belli, ma Kacey Musgraves e Frank Ocean, nei loro capolavori, si rendono entrambi conto che vale la pena di continuare a cercare per scoprirlo.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Noisey USA.

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A$AP Rocky è un rapper sottovalutato

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"Purple Swag" di A$AP Rocky cambiò ogni cosa. Prima di quel pezzo, mischiare sprite e codeina era normale solo se venivi da Houston, Texas, o comunque dal sud. Rocky, invece, veniva da New York - "Harlem's what I'm reppin", andando nello specifico. "Tell my niggas quit the bitchin' / We gon' make it in a second". Tutti i rapper dicono che spaccheranno ogni cosa, nei loro primi pezzi, ma quando poi ce la fanno davvero andare a risentire le loro barre speranzose è pura gioia. E non era normale nemmeno cominciare un brano con la voce pitchata così bassa da diventare un gorgoglio primordiale se DJ Screw non era il tuo Dio.

Crescendo, Rocky aveva sempre guardato sia alla sua costa che a ciò che stava a sud della mappa degli Stati Uniti. Idolatrava gli UGK tanto quanto il Wu-Tang Clan, e quindi creare qualcosa di geograficamente ibrido gli veniva naturale. E poi, diciamolo: sapeva rappare. Lo dimostrò per la prima volta veramente in "Peso", che già "Purple Swag" interpolava a sorpresa: il beat di A$AP Ty svoltava all'improvviso passando dagli archi del Kronos Quartet a una cascatella brillante di suono su cui Rocky appoggiava barre ricolme di allitterazioni e assonanze, spacconeria e stile.

Il suo primo tape, LIVE.LOVE.A$AP, è uno dei capolavori rap della nostra generazione. Era un corpo estraneo nell'organismo della scena statunitense, una sbornia sonora che aleggiava in ugual misura attorno al cervello e allo stomaco. I beat di Clams Casino—anche lui, riprendendo il concetto che stiamo andando a sviluppare, una persona della cui importanza ci dovremmo ricordare tutti—suggerivano l'esistenza di un oltre-mondo, picchiettavano la durezza della tradizione del beatmaking della East Coast con punte di psichedelia, vertiginosi rallentamenti. "Palace", "Bass", "Wassup": pasticche di suono puro, assaggi di manicaretti linguistici.

"These other niggas so-so, they open off my mojo / Spanish Sophie with a half a kilo by her cho-cho". Rocky non giocava un gioco diverso. Distruggeva i suoi colleghi, si vantava delle ragazze con cui andava, delle droghe che prendeva e dello stile che aveva; ma lo faceva con un gusto per la lingua impressionante. "Bozos love my rose gold, purple got me slow-mo / Stuntin' like I'm Dorothy but my rubies in my gold though". Massaggi ai timpani, scintille di genio, schiaffi in faccia. Spavalderia giocherellona, ma anche rispetto e divulgazione: "Shimmy shimmy ya: ODB, ODB / Fuckin' other niggas broads: OPP, OPP". Ol' Dirty Bastard, i Naughty By Nature. Adesso c'era anche A$AP Rocky.

A$AP Rocky ai tempi di "Purple Swag".

Negli ultimi sei anni Rocky è diventato un'icona. Ha perso un fratello per lo sciroppo che aveva contribuito a dargli fortuna, ma è andato avanti. "Then I became a druggy, enhanced my fame and money / And for your pain and suffering, my karma's waiting for me". Non ha mai ricreato la magia di quel suo primo tape, ma ha comunque trionfato. Non grazie, ma nonostante la sua volontà di continuare a rischiare e sperimentare. "Wild for the Night", con la sua base brostep curata da Skrillex, è un pezzo oggettivamente stonato nel contesto della sua opera, ma dire che non spacca sarebbe un insulto alla sua capacità di giocare con gli spazi e le parole: basta anche solo l'enjambement all'inizio del brano, quel "Riding in that Testa...rossa, nigga catch up". E poi comunque attorno aveva "Fuckin' Problems" e "Goldie".

Lo stesso si può dire per "L$D", un lentone dream pop in cui il rap era praticamente un ripensamento: c'era nel video, non c'era sull'album. "I look for ways to say, "I love you" / But I ain't into makin' love songs / Baby I'm just rappin' to this LSD". Si era ricreato un'estate dell'amore, Rocky, in testa e attorno. Lavorava per impressioni, in quel periodo: su AT.LONG.LAST.A$AP, ricordate, compariva tale Joe Fox. Era un busker che aveva approcciato Rocky a Camden Town, a Londra, per dargli il suo CD. Lui lo aveva immediatamente invitato in studio. Gli fece suonare la chitarra sul brano di apertura di quell'album e gli diede uno spazio su un pezzo assieme ad M.I.A. e Future. Così, perché gli andava. Tanto c'erano "Canal St." con Bones ed "M'$" come garanzia che Rocky era sempre uno dei rapper più forti della sua era.

Ha continuato a costruire rap clamorosi, Rocky, inserendoli in album tanto caleidoscopici quanto ambiziosi. Ma ho come l'impressione che il suo valore non venga riconosciuto tanto quanto meriterebbe: il merito, o la colpa, è della polarizzazione delle opinioni che si è creata nel suo ambiente culturale di riferimento, cioè l'hip-hop. Da un lato la tradizione, la riscoperta e l'evoluzione delle forme musicali della black culture, l'afrofuturismo e il riconoscimento delle tradizioni african epost-diasporiche. Kendrick Lamar, Kanye West, J. Cole, Tyler, Chance The Rapper, Janelle Monaé. Dall'altro il dadaismo, la ripetizione mantrica che rende contemplazione la sovreccitazione, la rivoluzione stilistica e narrativa della trap. Young Thug, Future, Gucci Mane, i Migos, tutto il SoundCloud rap. E A$AP Rocky dove sta, in tutto questo? Un po' di qua, un po' di là. Tende al futuro e si sente parte del passato. E questo lo danneggia tanto quanto gli fa onore.

A$AP Rocky ai tempi di LIVE.LOVE.A$AP, foto promozionale.

Sta tornando ora, Rocky. Il suo nuovo album si chiamerà TESTING, ma prima di darcelo ci ha regalato tre brani scartati. Li ha chiamati DUMMIE, e due di questi sono tra i migliori della sua carriera. "☆☆☆☆☆ 5IVE $TAR$" è un capolavoro di spazi. Il beat è ridotto al minimo, un corpo scheletrico e disidratato che Rocky, avvoltoio, becchetta per trovare energie, spiccare di nuovo il volo. "Calvin and Raf / Now out of stock / They don't know Flacko / grippin' the wop". Quella "o" lunga di "Flacko" a spezzare il ritmo, a squarciare la tela come in un Fontana. "MONEY BAGS FREESTYLE", prodotta da quel genio visionario che è Dean Blunt, è una filastrocca criminale. "I foresee the jealousy all in your eyes for sure / Sure, they don't want to beef with my physique or my .44". È bambinesca, creativa, esilarante: "Ayy ayy, soundbite, soundbite, woo / Cheat code, cheat code, L1, down, right".

Fortunatamente anche i pezzi di TESTING sembrano darci un Rocky più costante e concentrato rispetto a quello degli ultimi anni, irrefrenabilmente affascinato da qualsiasi stimolo gli capitasse davanti agli occhi o dentro alle orecchie. "Bad Company", con l'esordiente BlocBoy JB, è un brano tanto teso quanto gioioso, soprattutto nelle scelte lessicali e nel piacere della ricerca sonora: "Flintstone bust down, color Murakami / Fruity pebble bezel, Wilma, Betty, Fred, and Barney". "A$AP Forever", invece, campiona uno dei brani più famosi di sempre dandogli un'inaspettata vita nuova: "Porcelain" di Moby, gioiello di sfioramento elettronico, diventa un affondo nella carne. L'incipit è epico: "Come fuck with the Mob, shout out to the Lords and the Gods". E andiamo a fottere con la Mob, volentieri. Ma preoccupiamoci di darle tutto il rispetto che le è dovuto, parliamo delle sue canzoni a chi non le conosce. Lodiamo chi sta al centro, ma non immobile: incantato da forze opposte che lo strattonano.

(Di solito traduco i testi di cui scrivo, lo faccio da una vita. Ma quelli di Rocky sono troppo belli in originale che renderli in italiano significherebbe perderne una parte.)

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Guarda anche:


Ascolta la playlist della settimana con A$AP Rocky, Gué e Kali Uchis

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Questo venerdì siamo tutti un po' impostumati dopo l'aperitivo tra colleghi di ieri sera che è andato avanti fino a notte fonda, quindi abbiamo voglia di ascoltare musica bella e rilassante, roba positiva che ci faccia iniziare bene il weekend, ma non abbiamo voglia di regole, costrizioni e stronzate del genere. Perciò, questa settimana la playlist di Noisey è: più lunga del solito, più varia del solito e contenente anche canzoni uscite nelle settimane scorse ma che abbiamo scoperto/a cui abbiamo pensato soltanto oggi. Perché il tempo non può dirci che cosa dobbiamo fare. Avete un'aspirina?

Ora: iniziamo da "Nessuno schema" dei Kina perché oggi sono uscite le ristampe (in vinile e CD) dei primi due album Nessuno Schema Nella Mia Vita e Irreale Realtà per Spittle Records, e sono due grandi capolavori del punk hardcore italiano che se non avete ascoltato dovreste ascoltare. E perché non c'è nessuno schema nella mia vita. Poi ovviamente ci spariamo le novità di Gué Pequeno, A$AP Rocky, la tamarrata incredibile di Achille Lauro, la trap noire di Drone126 feat. Ketama, Cardi B che è arrivata con il full length, "3 Below" di SAINt JHN. Ma in mezzo al mucchio troviamo anche l'ambient eterea di Christina Vantzou, approdata su kranky con No. 4, l'elettronica militante di Bonaventure, tratta dall'ultima devastante NON Worldwide Compilation, la bomba smooth funk jazzata di Kali Uchis (ma consigliamo di ascoltare tutto l'album Isolation), la psichedelia folk illuminata di Tobjah che avevamo già sentito in anteprima, il country pop altrettanto fritto dagli acidi di Kacey Musgraves, l'avant-rock velvettiano di Yuzo Iwata, ultima novità della leggendaria etichetta noise e sperimentale americana Siltbreeze, e un pezzo tratto dal nuovo LP degli italo-francesi J.C. Satàn che uniscono garage, hard rock e synth punk in un attacco frontale da brividi.

E con questo abbiamo esaurito quelle che secondo noi sono le migliori canzoni della settimana. Ascoltatele qua sotto e come al solito schiacciate quel follow su Spotify così potete restare sempre aggiornati e aggiornate. A lunedì!

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Un tipo ha fatto una cover di Calcutta in latino

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Ci sono una serie di fatti inconfutabili che mi portano a esortarvi a guardare il video qua sopra.

1) Calcutta è di Latina. Per la legge del calembour, cantare un suo brano in latino è perfettamente coerente.
2) Dopo l'avvento di De André canta la trap siamo ufficialmente entrati nell'era delle cover acustiche delle cose ma con il colpo di scena. Accettiamolo come un dato di fatto.
3) Il liceo classico è il più completo, dicevano. Il latino ti allena la mente, dicevano. Almeno ascoltando "Paestum" potete bullarvi un pochetto dei voti che prendevate alle superiori.
4) "Uèèèè insufficiens" > "Uèèèè deficiente".

Buona visione!

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Il pop potrebbe imparare qualcosa da Kali Uchis

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Uova. Latte. Formaggio. Pane. UN RAGAZZO. Non è la lista della spesa più normale del mondo, ma è quella che Kali Uchis mostra alla telecamera nel video di "After the Storm", la sua collaborazione con Tyler, the Creator e Bootsy Collins, uscito qualche mese fa. È uno di quei visual così ben fatti che ti fanno venire voglia di entrare nello schermo se non uscire mai più. I colori sembrano presi da un libro per bambini, se solo la trama fosse un'utopia surrealista. Kali canta a occhi socchiusi, appoggia il mento sulle mani, le unghie perfettamente curate. Scivola lungo la corsia di un supermercato su tacchi gialli, e la sua spesa prende vita. Sembra una visione da febbre a 39, ma in senso buono.

È dal 2012 che Kali Uchis, americana di origine colombiana, crea piccoli universi in cui perdersi. Quell'anno pubblicò un mixtape, Drunken Babble. Lo aveva prodotto interamente da sola, e aveva 17 anni. L'anno scorso ha pubblicato un video che sarebbe dovuto finire su tutte le liste dei migliori video del 2017: "Tyrant", assieme alla cantante inglese Jorja Smith. E prima ancora era arrivata "Nuestro Planeta", un brano tanto sudato quanto di classe cantato assieme a Reykon, stella del reggaeton colombiano. Sono sei anni che Kali produce musica di qualità ma, per qualche motivo, non le è ancora stato riconosciuto lo status di "grande" della scena. L'anno scorso è stata nominata per un Latin Grammy, l'equivalente dell'industria discografica latina dei Grammy americani, per il suo featuring su "El Ratico" di Juanes. Ma vi sfido a trovare qualcuno che la metta nella stessa categoria di gente come, per dirne un paio, Lana Del Rey o FKA twigs. Kali è una promessa, ma quanto ci vuole prima che questa venga considerata avverata?

Il primo album di Kali Uchis, Isolation, è uscito venerdì. Solo il futuro ci dirà se potrà essere un punto di svolta nella sua carriera, ma dovrebbe proprio esserlo. Gli aggettivi che mi viene da usare per descriverlo sono proprio quelli che avrei voluto usare: sognante, febbrile, femminista. Il suo immaginario affonda le radici tanto nella cultura colombiana che in quella californiana, evoca immagini di panni stesi ad asciugare al sole del mattino, lowrider parcheggiate in quartieri dai colori pastello illuminati, la notte, da luci al neon. Nei suoi testi parla di se come se fosse perennemente innamorata. È tanto beata quando distaccata, le sue parole foderate di romanticismo. Anche quando è velenosa, come su "Dead to Me", canta come se si fosse già lasciata tutto dietro e non vedesse l'ora di scoprire quello che il futuro le prospetta: "Pensi di avere qualche problema con me, baby, ma io a te neanche penso..."

A Isolation ha contribuito una serie impressionante di producer e autori. I Gorillaz hanno scritto e co-prodotto "In My Dreams", un brano strambo e nervoso in cui Damon Albarn ci regala quella che è la sua idea di felicità. Thundercat, uno degli uomini che hanno ideato e realizzato il mood musicale di To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, ha reso "Body Language" un'ipnotica cacofonia di fiati jazz che sottolineano l'euforia nella voce di Kali. I giovani maestri del jazz BADBADNOTGOOD, già suoi collaboratori in passato, compaiono sulla sopracitata "After the Storm". E Kevin Parker dei Tame Impala compare su "Tomorrow", sporcando di psichedelia la tavolozza di Kali.

Kali Uchis non è solo una cantautrice, ma è una di quegli artisti capaci di creare un universo creativo attorno a tutto ciò che fanno. Un mondo a 360 gradi in cui scrive le sue canzoni, dirige la maggior parte dei suoi video mantenendo un immaginario costante e tesse con cura un patchwork di collaboratori che vanno a elevare il suo suono e la sua estetica, ma senza mai adombrarli. Per intenderci, mi verrebbe da fare un parallelo con artisti come Charli XCX e Kevin Abstract.

È difficile spiegare perché Kali possa essere considerata una stella e non una superstar. Forse è perché non ha ancora pubblicato brani spiccatamente pop, quelli che vengono ingurgitati dalle radio e rivomitati per un'estate fino a renderli tormentoni. Forse è perché gli elementi jazz e doo-wop del suo sound sono troppo rétro o fuori dagli schemi per renderla la nuova Lana. Forse è perché è una donna, e c'è ancora chi fa fatica a credere a quanta autonomia abbia avuto in tutto ciò che ha pubblicato. Ad ogni modo, Kali è conscia del suo talento: "Posso comunque reclamare la mia femminilità, posso comunque prendere possesso della mia sessualità, mettermi ciò che voglio, apparire come voglio, essere chi voglio", ha dichiarato in un comunicato stampa allegato all'album, "e questo non significa che non posso anche essere una creativa, un'intellettuale, una persona che decide della propria vita". Forse Isolation porterà il mondo ad accorgersene. Almeno, speriamo.

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Questo articolo è apparso in origine su Noisey UK.

Ascolta Isolation su Spotify:

Recensione: Cardi B - Invasion of Privacy

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"Bodak Yellow" non è un pezzo rivoluzionario, è solo una buona trappata. In un clima culturale di rinnovamento post-#MeToo, però, la hit di Cardi B è diventata automaticamente qualcosa di più. Nello specifico, la storia di una ragazza di colore obbligata a fare la stripper per guadagnare due soldi. Una ragazza che, sulla forza di una loquacità spaccona e oggettive capacità al microfono, ha superato pregiudizi e avversità e ha dimostrato di saper rappare in modo veramente convincente nell'esatto momento in cui non è stato più necessario dover cedere al pop per diventare una superstar.

"Allora, hanno dato a una bitch due opzioni: spogliarsi o perdere / Ballavo in un club davanti a scuola / Ho detto 'ballavo', non 'scopavo', attenti / Ho dovuto mettere le cose in chiaro, a 'ste bitch piace farsi idee".

Comincia così l'esordio di Cardi B, Invasion of Privacy. "Get Up 10" è un brano narrativo, di quelli che di solito stanno all'inizio o alla fine degli album rap. "Facevo panini col tonno, ora faccio notizia / Ho cominciato a dire quello che pensavo e ho triplicato le mie views / Sono una real bitch, l'unica cosa fake sono le tette". Funziona, Cardi, perché anche quando si guarda dentro - cosa che aveva fatto raramente finora - non abbandona la spavalderia senza peli sulla lingua che la contraddistingue.

Così come cupcaKKe, Cardi si inserisce in una tradizione di rapper che, parlando di se in maniera sincera e carnale, rivelano una grande contraddizione della cultura hip-hop: non c'è alcun motivo per cui nella scena i cazzi debbano essere così tanti rispetto alle vagine. Sentire ragazze parlare di tipi, di sesso, di soldi e di snitch dovrebbe essere ormai normale, e invece è estremamente piacevole ascoltare Cardi che dice che vuole fare un threesome con Rihanna e Chrissy Teigen in "She Bad", in cui YG invece di fare il grosso a cazzo duro idolatra lo spirito e il corpo della ragazza che gli ha dato spazio su un suo pezzo: "Compra una Bentley al suo uomo / Ha sia negri che bitch".

Senza contrasti, però, Invasion of Privacy risulterebbe statico. E invece "Be Careful" parla dei suoi sogni di matrimonio, prende a schiaffi testuali un ragazzo infedele, alza il velo sui doppi standard relazionali che vigono in determinate coppie senza paura di rivelare le fragilità della voce narrante: "Mi hai fatto guardare nello specchio come se fossi diversa / Ho pensato di avere difetti per le tue inconsistenze". "Thru Your Phone", su un beat solare, incalza invece il suo destinatario con un misto di minacce esilaranti e domande lancinanti: "Ti verserà una tazza di cereali con un cucchiaio di candeggina / Te lo darò da mangiare tipo 'negro, buon appetito / L'hai scopata senza condom? La ami o no?"

Sebbene Cardi abbia ottenuto i suoi maggiori successi inserendosi nell'estetica e nell'immaginario trap, con l'esclusione di "Bodak Yellow", "Bartier Cardi" e la divertente "Money Bag" i brani che si rifanno a quel filone sono i meno esaltanti dell'album. È quando tenta nuove strade che Cardi rivela il suo vero potenziale: quando si esalta per aver incontrato Beyoncé, quando sperimenta con lo spagnolo assieme a Bad Bunny e J Balvin in "I Like It", quando esplode di gioia festeggiando i traguardi che ha raggiunto assieme a un'altra enorme mente creativa della musica statunitense, cioè SZA, in "I Do".

Invasion of Privacy è uscito venerdì 6 aprile per Atlantic Records/Warner.

Ascolta Invasion of Privacy di Cardi B in streaming su Spotify:

Tracklist:

1. Get Up 10
2. Drip (feat. Migos)
3. Bickenhead
4. Bodak Yellow
5. Be Careful
6. Best Life (feat. Chance The Rapper)
7. I Like It (feat. Bad Bunny & J Balvin)
8. Ring (feat. Kehlani)
9. Money Bag
10. Bartier Cardi (feat. 21 Savage)
11. She Bad (feat. YG)
12. Thru Your Phone
13. I Do (feat. SZA)

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Ecco perché Guè Pequeno è ancora il mio rapper preferito

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Guè Pequeno si appresta a essere il primo rapper puro (escludendo quindi i vari Caparezza o Fedez) a prendersi il Forum di Assago, in una data che si prospetta storica programmata per il marzo del 2019. Questa è soltanto l'ennesima conferma che Guè è il rapper più forte d’Italia in questo momento.

Secondo i puristi più intransigenti, il rap italiano è morto all’incirca nel 1999, quando Neffa ha smesso di fare rap e sono usciti gli ultimi capolavori di quella fase come i dischi di Melma & Merda e Uomini di Mare. Negli anni successivi il genere è andato un po’ in crisi, almeno per quanto riguarda la sua popolarità, e a mantenerlo in vita, per farlo poi tornare di nuovo anche al successo commerciale nella seconda metà degli anni Duemila, sono stati essenzialmente due nomi: Fabri Fibra e la Dogo Gang (in particolare i Club Dogo e Marracash).

Se nei primi anni dei Club Dogo il rapper più forte sembrava Jake La Furia (che resta molto forte, ma sembra ormai meno interessato del suo socio alla carriera musicale), con gli anni è stato Guè Pequeno ad affermarsi sempre di più, e a reclamare la propria importanza anche da solista, lavorando senza sosta e pubblicando una media di un album ogni due anni, oltre a quelli del progetto madre e a altre collaborazioni. L'estate scorsa è uscito il quarto album a suo nome, Gentleman, e si può interpretarlo come la rivendicazione di un ruolo che in questo momento non ha eguali nel campo del rap italiano.

Se è vero che Fabri Fibra ha da poco fatto uscire quello che potrebbe essere il suo lavoro migliore su major (Fenomeno), quasi sicuramente il suo disco più personale e sentito, è anche vero che negli anni è stato più discontinuo, e che si tratta di un ottimo disco in cui però continua “semplicemente” a fare il suo, senza provare a confrontarsi con troppa novità.

Non c’è assolutamente nulla di male, ma non si può non notare che Guè invece non smette di guardare avanti, e di dimostrarsi al passo con le tendenze più nuove, senza mai sembrare un vecchio che prova a fare il giovane, ma anzi dimostrando, grazie al proprio innegabile talento stilistico, di potersi posizionare un gradino sopra a tutti anche in territori molto lontani da quelli da cui era partito.

Gentleman è un disco riuscito nel suo obiettivo di essere una macchina da hit, e soprattutto una grande dichiarazione di libertà: il disco è diviso tra un’anima street e trap (genere al quale si era già accostato addirittura nel 2013 con “Business”) e una più ragga, caraibica e da party—passione che Cosimo ha sempre coltivato sin da quando pubblicava su MySpace le playlist delle sue canzoni preferite.

In un disco sospeso tra la festa e l’ignoranza, secondo la lezione di Drake c’è spazio anche per un po’ di intimismo (sulla linea inaugurata con “Rose nere”) in un pezzo come “Non ci sei tu”—ma si tratta in media di un album divertente, leggero, che parla principalmente di swag e di divertimento, meno introspettivo di altri suoi (più divertente di Vero, ad esempio, che era più scuro).

Ma, e questo è un punto cruciale, rispetto ai Club Dogo di maggiore successo Guè ha abbandonato anche la patina da centro commerciale: quello che coraggiosamente manca del tutto in Gentleman sono le hit appositamente studiate per le radio italiane, quelle con i featuring delle popstar nel ritornello.

È un album in cui, invece, si è circondato di chi voleva davvero nel suo disco: dalle collaborazioni classiche con Don Joe, Luchè (autore di una strofa semplicemente incredibile in “Oro giallo”) e Marracash, al coinvolgimento dei due giovani Re Mida del beatmaking italiano Charlie Charles e Sick Luke, e di due bravi MC e teen idol come Sfera Ebbasta e Tony Effe della Dark Polo Gang.

Per certi versi si può arrivare a dire che, alla faccia di nuove leve fortissime che si stanno prendendo tutto, il migliore album trap italiano, a oggi, se parliamo di un lavoro compiuto dall’inizio alla fine, lo ha fatto uno che va verso i 40 anni. E che dai giovani, sia quelli del pubblico che gli artisti (che sono cresciuti ascoltandolo e che fanno la fila per lavorarci insieme) è ancora assolutamente rispettato e considerato come uno di loro, nel senso migliore del termine, e non come un vecchio saggio ma che non sa più divertirsi. Inoltre, a differenza di molti “vecchi” della scena, fa una cosa molto hip hop nel senso classico del termine, cioè quella di supportare le nuove leve (peraltro non è un caso che sia Ghali che Fedez siano stati in qualche modo “scoperti” da lui).

Del resto tutte le ultime cose di Guè sembrano fatte volentieri, con piacere, con divertimento, manifestando una certa ricerca nei suoni (le produzioni sono tutte di prima classe e i suoni potentissimi), grande amore per la musica e per quello che si sta facendo: forse la cosa più difficile per chi ha già molti anni di carriera alle spalle e a un certo punto solitamente si riduce a fare le cose inserendo il pilota automatico (rischio che i Club Dogo stavano correndo, e forse è giusto che vengano accantonati per un po’).

Se quasi tutti i rapper dal successo consolidato si limitano a mantenere la loro posizione, quello di Guè è un caso abbastanza unico: è andato migliorando e i suoi ultimi lavori possono tranquillamente essere considerati i migliori della sua carriera - forse anche grazie al fatto che non si deve confrontare con le pietre miliari già fatte, uscite sotto l’egida di un altro progetto.

Brani fortissimi come “Tuta di felpa” o “Trinità” arrivano dopo una carriera già decennale, e tutti gli album che ha fatto negli ultimi anni (da Bravo Ragazzo a quest’ultimo, passando per Vero e Santeria in coppia con Marracash) potrebbero giocarsela per il titolo di suo lavoro migliore.

Sulla stessa linea anche tutte le ultime tracce uscite in cui compare il rapper milanese sono di livello altissimo, potenzialmente tra le sue migliori: parliamo della bonus track “Io non ho paura”, dei due pezzi sul disco di Night Skinny (“Pezzi” e “6AM”), il featuring sul disco di Ernia (“Disgusting”) e l’ultima novità, quella mina assoluta che è “Come se fosse normale”.

Ricordandoci sempre che stiamo parlando di un artista che ormai gioca più o meno nello stesso campionato, quello del mainstream di prima fascia, di un Tiziano Ferro (quando esce un suo disco va fisso in cima a tutte le classifiche), Cosimo non sembra più cercare la hit facile. È radiofonico (leggero, non conscious, non troppo hardcore) ma, a differenza di altri colleghi, non per le radio italiane: scrive avendo in mente radio più urban, più vicine ai club, che qui praticamente non esistono. O forse è l’artista che potrebbe fare entrare la radiofonia italiana nel presente. È più probabile che continuerà ad avere il suo successo soprattutto nello streaming e nei concerti, ma non si sa mai.

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Guarda The People Versus Marracash & Guè Pequeno:

"Dame tu cosita" è la nuova Rana Pazza?

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Se, come noi, ogni giorno guardate quali video vanno in tendenza su YouTube avrete sicuramente notato un video intitolato "Dame tu cosita". È stato caricato qualche giorno fa da Ultra Music, cioè uno dei canali che odiano di più la musica: sono quelli dell'Ultra Festival di Miami, per darvi un'idea, e quindi la più grande fabbrica dell'EDM ancora in attività. Certo, nel loro catalogo ci sono delle mine di Basshunter, un po' di Steve Aoki d'annata e la migliore popstar zozza dell'Est Europa cioè Inna, ma per il resto è tutto un gran droppettoni bassettoni tette culi zarraggine lol e cover di "Destination Calabria".

Uno dei più grandi business di Ultra Music è creare tormentoni. "Dragostea Din Tei" è merito loro, così come questa canzone da 176 milioni di views di tale Pikotaro. Il loro nuovo carrozzone virale è appunto "Dame tu cosita", che potete vedere cliccando play sul video qua sopra. Se avete sotto mano un cappio, assicuratevi di non avere a portata di mano ganci a cui appendervi.

"Dame tu cosita" è un pezzo di tale di El Chombo, un tizio di Panama che ha accompagnato la vostra perdita di fiducia nei confronti dell'umanità con "Chacarron", uno di quei pezzi che non sapete di avere sentito ma avete sentito sicuramente. Qualche mese fa un tizio ha caricato su DailyMotion un video di questa "Dame tu cosita" contenente l'animazione di un alieno che balla, e ovviamente l'internet ci si è lanciato sopra come un avvoltoio affamato.

La scintilla che ha acceso nei lombi dell'umanità lo stesso fuoco che arde in quelli del Chombo non è stata accese, stranamente, dalle romantiche parole d'amore del testo. Non c'è passo di danza abbastanza idiota da non poter essere reso un "challenge" su Musical.ly, e quindi nel giro di qualche tempo la piattaforma si è riempita di gente che muoveva il bacino imitando il nostro amico alieno. Su YouTube ci sono decine di compilation di gente che balla "Dame tu cosita", come quello qua sotto.

Ora Ultra Music ha caricato un "video ufficiale" del brano, rubando l'idea al povero zio che l'aveva messo su Dailymotion. Nel momento in cui scrivo, il video ha ottenuto circa 111 milioni di views. Non siamo ancora ai livelli della Rana Pazza, che ha un video da 1 miliardo e passa di views caricato molto dopo la sua reale data d'uscita, ma siamo probabilmente di fronte a uno dei nuovi terribili tormentoni che vi perforeranno le orecchie nei prossimi mesi.

Ci risentiamo per la consegna del disco di platino al signor Chombo. Nel frattempo vi consigliamo di dare un'occhiata alla migliore hit virale di tutti i tempi, quando le hit virali erano il risultato di esperimenti sul mercato del pop britannico e si facevano campionando la sigla del Dr. Who.

Elia ha chiuso le finestre per non lanciarsi giù dal terzo piano, seguilo su Instagram prima che trovi un modo per suicidarsi: @lvslei

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Godiamoci il nuovo video di Gzuz prima che venga arrestato

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Vi ricordate di Gzuz, il rapper tedesco che aveva fatto un video talmente violento da far impazzire gli youtuber americani? Non importa, lui si ricorda sicuramente di tutte le views che ha beccato "Was Hast Du Gedacht" con le sue scene di droga, armi e sangue. Così ha pensato di farne un altro, e devo dire che sto cominciando ad affezionarmi a questa specie di coccodrillo su due zampe con l'accento di Amburgo (non so davvero distinguere gli accenti in tedesco, dico così per dire).

Il nuovo singolo è uscito ieri e si intitola "Drück Drück" ("Premi Premi", nel senso di premere il grilletto) e ammonta ad altri tre minuti e quarantaquattro secondi di gustosissima violenza, droga e questa volta un quantitativo sorprendentemente basso di armi vere (sostituite da quelle da paintball). Non ho idea di che cosa dica il testo ma a giudicare dai gesti che accompagnano le strofe di Gzuz e LX (un incrocio tra Duke Montana e una iena che non vede una carcassa da una settimana) si parla di prendere a pugni degli stronzi, rubargli i soldi e usarli per comprare Rolex, auto e cocaina, e fermarsi soltanto per rispondere alle telefonate della tua tipa. Insomma, un altro tranquillo giovedì in ufficio.

Le mie parti preferite del video sono: la tuta di viola/rosa di Gzuz; quando LX scende dalla macchina in mezzo al traffico e si avvicina alla telecamera sfregandosi il naso con sguardo spiritato; la piadina dall'aria zero invitante che sempre LX addenta come se fosse un orecchio umano; il tizio a torso nudo con in mano un'accetta in mezzo a quarti di bue penzolanti; i rumori dei pugni che si infrangono sulle facce degli amici di Gzuz; la roccia di cocaina da tre etti che mostrano orgogliosi alla telecamera che è molto evidentemente cocaina vera; il tipo che entra in un negozio come se volesse rapinarlo e poi prende solo un gelato dal frigo. Godiamocelo prima che lo sbattano in galera.

"Drück Drück" è tratta dall'ultimo album di Gzuz Wolke 7. Guarda il video in cima al post.

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Il video di "1942 Flows" di Meek Mill è commovente

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Meek Mill è in prigione da novembre 2017, quando una giudice lo ha condannato per aver violato la propria libertà vigilata. Da allora numerose figure prominenti, tra cui JAY-Z e James Harden, hanno espresso il loro supporto nei suoi confronti. Ora il suo team ha pubblicato il video ufficiale di "1942 Flows", tratto dal suo ultimo album Wins & Losses, ed è un commovente tributo al movimento #FreeMeekMill.

Il video comincia immaginando il momento della liberazione di Meek: "Mi sento come uno schiavo liberato, mi sono sentito nel mirino di certe persone. Stare per strada significa potersi vedere portar via la propria libertà in qualsiasi momento". Sullo schermo, poi, compare il video per cui è stato arrestato: "Mi hanno visto andare in moto. E questo dice tutto: vieni condannato quando spari, quando accoltelli. Io sono stato condannato perché sono andato in moto".

Ci sono poi immagini tratte dalla manifestazione Rally4Meek, tenutasi lo scorso novembre, e inquadrature dello skyline di Philadelphia. Il video è presentato dal sito Justice4Meek.com, che contiene un link a una petizione su change.org il cui scopo è che a Meek e a tutte le persone nella sua situazione venga riconosciuta la possibilità di uscire su cauzione. Il video di "1942 Flows" è qua sopra.

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Recensione: surrenderdorothy - breathingexercise

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Non avete idea di quanto mi sono gasato ad ascoltare "XO Tour Llif3", a sentire la voce di Lil Uzi che all'ennesimo "Tutti i miei amici sono morti" perdeva senso fino a diventare un lamento primordiale. Please, xanny make it go away. Come a sentire Lil Peep parlare di cose terribili, accorgermi di un riff dei Mineral sotto le sue parole. Insomma, a rendermi conto che il rap contemporaneo ha riconosciuto nella tradizione emo statunitense un enorme serbatoio di significato e ne sta attingendo a piene mani. Ma c'è un ma.

"La mia filosofia è che ci sono due tipi di album. Ci sono persone che fanno album che assomigliano agli album di altri. E ci sono persone che fanno album a cui la gente si ispira per crearne di nuovi. Questi secondi sono i cazzo di album che voglio fare! Venderanno di meno, lo so. Ma avranno un significato maggiore."

Il primo album dei surrenderdorothy, weneveraskedforthis, cominciava con queste parole, campionate da un discorso di Ian MacKaye dei Fugazi. Erano in due allora, sono in due ancora oggi. Uno è Bones, cioè uno dei rapper più influenti della nostra era assieme al suo collettivo, il TeamSESH. Nessuno spazio tra le parole dei titoli. Immagini sfocate. Nessuna intervista, o quasi. Uscite a ritmi frenetici e disordinati. Alias su alias. Un gusto per la bassa risoluzione. Un amore per l'estetica goth, una sbandata per l'immaginario metal e una passione per le modalità espressive dell'emo anni Novanta americano. L'altro è Greaf, uno dei producer del TeamSESH, quello su cui si sa di meno e al contempo quello più capace a tradurre le forme chitarristiche dell'ultimo decennio del millennio nella lingua dell'hip-hop mantenendone la piena espressività. Ecco: ascoltare un beat di Greaf è come leggere una poesia tradotta perfettamente.

Bones e Greaf fanno album che esistono solo su SoundCloud, su YouTube e in link su servizi di hosting da dove possono essere scaricati gratuitamente. breathingexercise è la loro nuova opera, a tre anni di distanza dall'ultima. Non vendono, e neanche vogliono farlo. Ma vogliono incidere un sentiero nell'erba e nella terra, non seguirne uno già battuto. E quindi cantano:

Non riesco a respirare da solo
Ho bisogno di te, più che mai

C'è un senso di solitudine lancinante, in breathingexercise, che si risolve nella ricerca di un altro, che è anche un salvatore. Da cosa? Dalle insicurezze, dal pessimismo, dall'isolamento che ci attende nel nulla alla fine dell'esistenza. È la ricerca di un riferimento nel buio - lighthouses, fari nella notte "il cui splendore non attira alcun occhio". La melodia più dolce, percussioni minimali, uno smeriglio di chitarra acustica a rifrangere sul fondale. Lo stesso che si fa arpeggio in thebestversionofmyself, parentesi di gratitudine: alba, proverò a essere la miglior versione di me stesso per te.

Il rap è un genere drammaticamente incentrato sul concetto di "io". Io spacco, io scopo. Ma anche: io sto male. breathingexercise suggerisce la possibilità di un rap che va oltre le caratteristiche che ne definiscono le impietrite forme basilari. Il "tu", e quindi il "noi", aleggia su ogni nota, su ogni lettera che compone queste canzoni. tendingtothegarden, curando il giardino della nostra relazione. Anche se tutto ciò che tocchiamo si fa pietra. È rap che rifiuta anche la sua stessa linfa vitale, la parola: "Quando mi guardi non riesco a dire nulla", ifihadthewordstospeak, slowcore da cameretta per pianoforte e voci campionate.

Peep era qualcosa di diverso. La depressione, la morte e le relazioni umane, nelle sue splendide parole, apparivano come temi da esplorare tramite l'edonismo. In XXXTentacion le stesse tematiche vengono ridotte all'osso, quasi banalizzate nella loro semplicità, e così risultano al contempo di facile fruizione, evocative seppur accessibili. I surrenderdorothy vengono da un terreno emotivo diverso, più vicino alle quiete, rassegnate implorazioni d'aiuto di Mark Kozelek che alla drammaticità esplosiva di un Corey Taylor. Cosa? Lo slowcore non c'entra niente con il nu metal, potreste dire. Ma, come ha dimostrato X, e prima di lui Yachty, le categorie sono morte. Tutto può essere rap, anche l'emo puro, se viene da persone che abbiamo deciso essere "rapper". E quello dei surrenderdorothy è il miglior emo che possiate ascoltare nel 2018.

breathingexercise è uscito il 30 marzo, lo puoi scaricare gratis.

Ascolta breathingexercise su SoundCloud:

Tracklist:

1. becarefulupthere
2. lighthouses
3. thebestversionofmyself
4. rougharoundtheedges
5. tendingtothegarden
6. lifeasiknowit
7. ifihadthewordstospeak
8. neversaiditwouldbeeasy
9. repeatinfinite

Elia è su Instagram: @lvslei

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Secondo la stampa inglese, la musica drill uccide

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Londra è una capitale che contiene moltitudini. Polo finanziario d'importanza globale, casa di università e college tra i migliori del mondo, epicentro culturale – le sue sfumature sono molteplici, collegate dalla rete metropolitana più antica del mondo. Salta su uno di questi treni e dirigiti verso i margini della città, posti come Walthamstow, Elm Park, Forest Hill, e l'opulenza architettonica della capitale diventa un ricordo lontano, rimpiazzata da blocchi di case popolari colorate secondo una paletta di grigi perfettamente intonati alla famigerata meteorologia inglese.

È qui, nelle zone più marginali in cui vivono i londinesi più puri, che la musica drill inglese è stata concepita. Parente dell'omonimo sound di Chicago, la UK drill ha vari punti in comune con la sua controparte americana. Le star sono giovani (Chicago aveva Chief Keef, che firmò per la Interscope a 16 anni; Londra ha Loski, il cui singolo di debutto “Hazards” è stata pubblicato a quella stessa età); la musica è dura come il cemento, e spesso ispirata alla brusca realtà che circonda i suoi creatori; e, sopratutto, in questo momento è individuata come fattore che ha contribuito all'aumento degli omicidi di teenager negli ultimi dieci anni.

Proprio come per la sua cugina del Midwest, il conflitto tra rap e quello tra gang si sovrappongono nella UK drill. E, se parliamo di fatti, alcuni video musicali realizzati per incitare alla violenza o suscitare una reazione da parte di una gang rivale sono stati presentate come prove in vari processi per omicidio degli ultimi anni (vedi questi del 2016 e 2018). Ma questa sovrapposizione è anche il punto in cui la verità si ferma e comincia il panico morale. Mentre la violenza con i coltelli ha il record di vittime da otto anni a questa parte, la drill è ora parzialmente incolpata di una recente serie di omicidi, più di 50 soltanto a Londra quest'anno. Eppure individuare nella musica l'origine del problema significa rifiutare palesemente di guardare oltre gli strati superficiali della società, negare la realtà dell'ambiente che circonda una fetta considerevole della gioventù inglese, chiudere gli occhi davanti alle cause fondamentali.

Il quotidiano The Times è la più importante tra le voci che si sono alzate contro la UK drill. La prima pagina del numero di sabato 7 aprile strillava il titolo "Famoso DJ Tim Westwood ricava profitti dalle gang". La versione domenicale, The Sunday Times, ha postato un'indagine sull'argomento intitolata "Drill, la musica 'demoniaca' legata all'aumento degli omicidi giovanili". Due aspetti importanti da sottolineare qui sono: a) gli esempi citati dall'articolo del Sunday Times non sono drill (citano l'utilizzo di testi di canzoni nel processo che ha portato alla condanna nel 2015 di Rickell Rogers, rapper che non fa drill), che significa che la loro indagine contiene soltanto due prove che collegano la drill all'aumento di omicidi giovanili (quelli del 2016 e del 2018 linkati sopra), che sono meno di quanti giornalisti siano stati impiegati per scrivere l'articolo; e b) il Times è un giornale legato al partito Conservatore, il che fa capire molte cose sulla loro decisione di prendere di mira la drill invece che, per esempio, l'austerity imposta dal governo o i tagli alle risorse della polizia.

Per quanto la drill dipinga un ricco affresco di cultura e linguaggio di strada – le canzoni sono piene di frasi come “going cunch” (un termine che fa riferimento ai membri delle gang di Londra che gestiscono la distribuzione di droga fuori città, un fenomeno in crescita), “trapping” e “chefing” – si tratta del riflesso dell'ambiente in cui si sviluppa, più che di un'influenza che ha sui suoi ascoltatori. Ha milioni di fan, una minuscola percentuale dei quali sono coinvolti in attività illegali, e il collegamento tra ascoltare la drill e commettere atti di violenza è debole a dir poco. Come ha detto DJ Bempah del gruppo drill 67 a Radio Four lunedì mattina: “[Drill] è soltanto vita vera, parli di quello che succede tutti i giorni, che è successo nella tua via... La musica può influenzare le tue emozioni ma non le tue azioni. Non può farti uscire e accoltellare qualcuno".

In realtà c'è un numero considerevole di fattori che hanno portato alla crescita degli omicidi giovanili a Londra. Su questo ogni politico ha il proprio punto di vista su quali siano le cause e che cosa bisogni cambiare per fermare l'escalation di violenza. Sadiq Khan, sindaco di Londra, crede che serva più polizia nelle strade (grazie ai tagli al budget, ora in Inghilterra e Galles ci sono meno bobby rispetto a dieci anni fa), mentre la ministra dell'interno Amber Rudd, del partito pro-austerity dei Conservatori, sostiene il contrario, ignorando un rapporto emerso grazie a un leak che suggerisce che i tagli al budget siano da incolpare dell'aumento del crimine. In altri posti la colpa è stata data ai social media, al collegamento tra il mondo criminale e la passione inesauribile di Londra per la cocaina, alle guerre territoriali. E in un pezzo approfondito pubblicato da VICE, Max Daly ha dedotto che questa conversazione che si diffonde tra i vari social network aggrava la violenza giovanile, intensificando le faide davanti a un pubblico molto più numeroso.

Ma indipendentemente dal problema percepito, queste cause potenziali si potrebbero raggruppare tutte in un unico cerchio, che stringe senza possibilità di fuga le persone che vivono in aree di classe bassa, soffocando le risorse che servirebbero a migliorare la loro qualità di vita e le loro prospettive future. Quando l'austerity cresce, lo stesso fa il crimine; quando il lavoro è poco, la vita di strada ha un fascino maggiore. E con meno polizia, è inevitabile che la violenza cresca. Sono le cause fondamentali di questo problema a dover essere affrontate: la mancanza di centri giovanili nelle aree più povere, la scarsa prontezza dei servizi sanitari per chi ha problemi mentali. Più di ogni cosa si deve smettere di ignorare le persone marginalizzate; anche loro meritano l'opportunità di essere viste come qualcosa di più di una massa accumulata in fondo ai binari, lontano dalla città, lontano dagli occhi e dal cuore finché non è troppo tardi, come in questo caso. È un fatto: l'aumento di omicidi tra i più giovani non è un problema della scena musicale inglese, è un problema del governo inglese. Affermare il contrario è da pazzi.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey UK.

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Gué Pequeno, Fedez e J-Ax hanno fatto pace

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Quasi quasi mi scende una lacrimuccia. J-Ax ha appena postato su Instagram una foto di lui con Fedez e Gué Pequeno, tutti sorridenti, con una didascalia che parla di rispetto e di stima reciproca. L'occasione è l'annuncio dell'aggiunta di Gué alla line up che salirà sul palco a San Siro il primo giugno per quello che hanno chiamato "il match finale" tra i due fondatori di Newtopia.

Direi che vale la pena esserci per assistere a questo evento storico. I biglietti sono in vendita su TicketOne.

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I Placebo suoneranno all'I-Days

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Il festival I-Days è uno dei più grossi e importanti dell'estate italiana, e quest'anno occuperà lo spazio dell'area Expo di Milano dal 21 al 24 giugno. Dopo aver annunciato la presenza di artisti come Liam Gallagher, Pearl Jam e Queens of the Stone Age, l'ultima aggiunta alla line up è stellare: i Placebo calcheranno infatti il palco sabato 23 insieme ai Noel Gallagher's High Flying Birds, ai Ride e a Paul Kalkbrenner.

La band di Brian Molko è in giro a festeggiare il ventennale di Without You I'm Nothing e a ricordarci che se oggi il rock'n'roll non è più soltanto la casa di maschilisti e stereotipi cazzocentrici è anche merito suo, con la sua immagine androgina e le tematiche edonistiche e pansessuali trattate nelle canzoni.

La figata è che Noisey avrà uno spazio tutto suo al festival, chiamato La Cameretta di Noisey, a cui anche voi potrete accedere per partecipare a giochi, interviste e iniziative speciali. Vi daremo maggiori informazioni in seguito.

I biglietti per le quattro serate dell'I-Days sono in vendita sul sito ufficiale.

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