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Zarro Vincit Omnia, la parabola di Jake La Furia

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Amici, compatrioti, hipster che leggete Noisey, prestate orecchio. Non siamo qui per lodare Jake La Furia: le hit reggaeton che gli uomini fanno sopravvivono loro, mentre le rime più spesse vengono sepolte con le loro ossa, e così sia di Jake. Siamo qui per rispondere alla domanda che da qualche stagione tormenta aficionados vecchi e nuovi del rap italiano, soprattutto alla luce delle ultime uscite del veterano milanese: perché il Signor La Furia è colto da follia improvvisa?

Cosa ha spinto uno dei massimi esponenti di questo genere a voltare le spalle ad un retaggio leggendario per trasfigurare nel Fatman Scoop bianco, ronzando con la noncuranza di un calabrone tra dirette radiofoniche su Radio 105 e improponibili cosplay del Santo Padre insieme a Rovazzi? Perché il Re Degli Sconfitti ha appena vinto Bake Off Italia - Celebrity Edition?

La risposta potrebbe stupire alcuni di voi. È “onestà intellettuale” e anche “la forza invicibile della zarrìa”. Ma procediamo con ordine: ripercorriamo la carriera del nostro dai suoi esordi, ed esaminiamo i fatti a nostra disposizione.

Il primo dei fatti è che la storia del rap italiano prende le mosse da un equivoco storico. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 la cultura antagonista italiana era orfana di un genere musicale identitario di riferimento. Gli eroi del punk HC ’77-’84 si erano ormai avviati lungo le strade del prepensionamento o dell’obitorio e una complessa e ramificata rete di autogestioni, centri sociali e Cobas necessitava di una musica semplice e di impatto che infiammasse i cuori dei militanti, e rivendicasse posizioni di alterità nei confronti dell’istituzione.

Per una serie di circostanze contingenti, la scelta è caduta sul rap, instradandolo su un sentiero domestico del tutto sui generis, più angusto e settario rispetto all’ampia biodiversità di cui l’hip hop già all’epoca godeva a livello internazionale.

Per questo motivo, all’alba dei ’90, in Italia usciva “Batti il Tuo Tempo” degli Onda Rossa Posse, mentre in America i Digital Underground esplodevano nei club con rime trasudanti autocoscienza e impegno sociale del tenore di: “just act a fool, it’s okay if you drool / Cause everybody’s gonna strip, and jump in the pool / And doowhatwelike, yeah…”

Allo stesso modo, circa venticinque anni dopo, in Italia usciva ”OGNT” di Sfera Ebbasta e in America questo:

Si può ben dire che ne sia passato di flow sotto i ponti. Ma allora dobbiamo domandarci cosa abbia ricomposto una frattura culturale larga come l’Atlantico, consentendo una rivoluzione copernicana del nostro rap, sia nei contenuti che nell’immaginario di riferimento. Cosa c’è stato in mezzo? In mezzo ci sono stati i Club Dogo. In mezzo c’è stato Jake La Furia.

Quando Fabri Fibra non era ancora riuscito a fare breccia nel cuore del pubblico mainstream con la sua formula comunicativa sospesa a metà tra Slim Shady e il Gabibbo, la classe milanese delle Sacre Scuole aveva già iniziato a cambiare le regole del gioco. A partire da 3 MC’s al Cubo i rapper hanno cominciato a curare maniacalmente l’aspetto formale delle liriche, ricercando soluzioni metriche ardite e cedendo al gusto bizantino del calembour linguistico.

Il boom commerciale dei Dogo ha avuto conseguenze di carattere sociologico. Tra tutte, la principale è stata quella di trascinare il rap fuori dai centri di aggregazione ideologicamente orientati, e accompagnarlo nelle periferie metropolitane, in mezzo agli zarri la cui sola bandiera è quella del nucleo ultras di riferimento, il cui solo credo è la voglia di bamba, sesso e soldi. Il rap marchiato Dogo è stato un vettore diretto “dalla gente per la gente / a chi non rispetta niente / a chi è senza rispetto per la gente”: un rap immanente, crudo, talvolta becero nel suo materialismo, ma anche sprovvisto di barriere d’appartenenza all’entrata. Il tipo di rap che ha fatto inorridire Militant A degli Assalti Frontali, e poi ha aperto la porta a una serie di nuovi artisti degagè e profondamente individualisti, da Emis Killa a Sfera Ebbasta alla famigerata Dark Polo Gang.

L’aspetto davvero interessante di questo fenomeno però è la leva utilizzata dal Cerbero meneghino per deviare le rotaie su cui l’hip hop italiano correva da più di un decennio. Quella leva è stato il loro nichilismo esasperato, esistenziale, metaetico. Un nichilismo cyberpunk che attinge a piene mani dall’universo iconografico di Mad Max e Ken il Guerriero e già guarda al naturalismo di Zola. Un nichilismo in grado di trasfigurare la Milano notturna in un grumo rappreso di lava, sulla cui superficie rovente creature ferali lottano con ogni mezzo (lecito o illecito) per la loro libbra di carne.

Sotto questo cielo vuoto i Dogo hanno condotto una lunga cavalcata suicida, scrivendo nel frattempo la perfetta colonna sonora di un incubo italiano pre e post crisi. Un incubo perfettamente riassunto nelle barre programmatiche con cui Jake conclude un pezzo del suo primo album solista, “Musica Commerciale”: “Frate io non credo in te, non credo a nessuno / e poi non credo in Dio e non credo nell'uomo zio, fanculo”. Gli esiti di questa operazione li racconta la Storia e il presente che oggi la scena italiana vive: con le sue luci e le sue ombre.

Per proseguire nella nostra analisi, cosa succede se la storia non finisce dopo l’ultimo hurrà? Cosa avrebbe inquadrato la cinepresa di Peckinpah se Mucchio Selvaggio non si fosse concluso con la carneficina finale? Che vita conduce un kamikaze che, dopo sacrificio, è rimasto - con sua somma sorpresa – vivo? La risposta la troviamo in Fuori Da Qui, seconda fatica solista della Furia, il primo dopo lo scioglimento de facto del collettivo con cui ha cambiato il tono del rap italiano dal rosso politico al rosso pulp. Si tratta di un disco profondamente malinconico, che fin dal titolo esprime un desiderio di fuga, e che si rivela nel suo insieme il perfetto concept album sulla crisi di mezza età di un bombarolo. Al suo centro troviamo un Jake ancora più disilluso, ma soprattutto più stanco. Quello che emerge dall’ascolto di tracce come “Qualcuno”, “Ali e Radici” o “Testa o Croce” è l’autoritratto di un uomo che ha vissuto assecondando i suoi istinti primordiali senza badare a nulla di quanto lo circondasse, e ha finito per smarrirsi nella notte della ragione.

Lontano dai riflettori di un pubblico che già cerca altrove i suoi idoli, privato degli “amici con cui vendeva sogni”, Jake recita il De Profundis di un’esistenza vissuta con la fretta e la fame addosso, piena di errori e vicoli ciechi. Rivolge una preghiera ad un Dio che non crede, al rap in cui non si riconosce più, ad una Milano non più sua per diritto di spada. Chiede “ridammi una vita, ne hai presa metà“. A chiunque fosse rivolta, quella preghiera non è rimasta inascoltata. La replica è stata “Me Gusta”, singolo radio friendly dalle sonorità tropicali in cui il vecchio Fame, circondato da macerie e rimpianti, si mette improvvisamente a ballare. E continua a ballare, apparentemente sereno, disinibito, tra lo sgomento generalizzato di coloro che faticano a distinguere in quel panciuto Sileno danzante l’ombra del bandog che hanno imparato a temere.

Eppure, la grottesca coreografia di Jake La Furia non si è più arrestata da quel momento. A “Me Gusta” ha fatto seguito la multiplatino “El Party” e proprio in questi giorni la ultracore “MMMH”, un’accorata dichiarazione d’amore al culo femminile. Intorno è fiorita una nuova fase della sua carriera, alimentata da ospitate televisive, fugaci camei in commedie italiane e partecipazioni a reality show, in cui il rapper si compiace di interpretare, con divertito distacco, il ruolo del Gian Burrasca sovrappeso e tatuato.

Jake La Furia durante una puntata di Bake Off Italia.

Se avete cercato un barlume di redenzione alla fine di questo breve esame, siete destinati a rimanere delusi. Chi ha da sempre “fatto a pugni col mondo solo per vedere chi ha le corna più dure” non sembra destinato a trovare requie e compimento in una terra su cui l’Apocalisse è calata in sordina. Così la deriva caciarona del suo ultimo ciclo di singoli non appare indice di una ritrovata serenità, ma il trionfo finale del suo profondo nichilismo e della sua connaturata tamarragine. Del resto, quando hai cambiato per sempre il rap italiano, hai battuto tutti i tuoi rivali e perso solo contro te stesso, quando hai descritto con la Penna Capitale quindici anni di amoralità e brame tue e del tuo Paese, a cosa ti resta di credere se non al Culo?

Jake ha sempre detto e scritto solo la sua verità, ad ogni costo, per quanto violenta, per quanto ridicola. Ma chi può dire davvero come stia oggi Francesco Vigorelli, neo marito e neo padre, GOAT del rap italiano, attore, conduttore radiofonico, uomo grasso in un’ambiente ossessionato dalla forma fisica ad oltranza? Cosa ne è della coscienza di Jake? Ci hanno insegnato che bisogna immaginare Sisifo felice.

Guardando il Signor La Furia sedersi di fronte ad Alessandro Cattelan con un largo sorriso compiaciuto in mezzo al volto rubicondo, e ammettere candidamente: “ho detto cose talmente ignobili nella mia carriera da aver perso completamente ogni senso di responsabilità“, non facciamo fatica a crederlo. Zarro vincit omnia.

Alberto è uno degli admin di Chiamarsi MC senza apparenti meriti lirici, seguilo su Facebook.

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Guarda The People Versus Canesecco

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Canesecco è venuto nei nostri uffici per fare il gioco più bello del mondo: leggere i commenti dei suoi hater su YouTube. Tra Lord Voldemort e Guardia di Finanza, diciamo che alla fine è andata piuttosto bene.

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Radio Birikina è la radio più buongiornista d'Italia

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Sei un nonno, papà, nonna o mamma italiano un po' depresso e la musica contemporanea ti butta giù? Hai il sospetto che qualcuno abbia fatto una macumba ai tuoi figli facendogli perdere la testa per questa cagata che ti sembra la trap? Hai cominciato a sentire il peso degli anni sulle spalle e hai bisogno di esorcizzare i tuoi brutti pensieri condividendoli con altre persone come te? Non compri un CD da quando acquistasti, in un raptus di dolceamara nostalgia, un best of di Massimo Ranieri all'Autogrill di Secchia Ovest? NO PROBLEM! C'è Radio Birikina, che da quasi trent'anni trasmette nell'etere del nord e centro Italia bordate di sano ottimismo buongiornista e classici dimenticati dei bei tempi che furono.

Le due parole fondamentali per capire Radio Birikina sono "ottimismo" e "condivisione". Fondata nel 1989 a Castelfranco Veneto dal DJ e imprenditore locale Roberto Zanella, nasce come idea di un grande ascolto collettivo: "Birikina, il juke box anni 60 dove la monetina è stata sostituita da una telefonata, dove ognuno può ascoltare e presentare la sua canzone del cuore con il servizio di segreteria telefonica", dichiara teneramente il suo sito ufficiale. Vuole essere un porto sicuro, Birikina, a cui attraccare nel momento in cui il cuore decide che ha bisogno di prendersi una pausa dalle incertezze del mondo contemporaneo.

La programmazione di Birikina è quasi interamente musicale, se non per brevi interventi di DJ che invitano gli ascoltatori a chiamare per richiedere un brano, magari chiacchierando con qualcuno del più e del meno. Per il resto, le trasmissioni comprendono:

- Un accrocco pubblicitario visionario in cui spot per il nuovo SUV di turno e i panzerotti gamberi e granchi della LIDL si incrociano con la réclame della mostra-mercato dei limoni ed agrumi a Loreggia;
- Brevi notiziari che uniscono nazionale e locale in cui percentuali elettorali si accavallano con segnalazioni di bambini ricoverati perché nutriti da madri vegane intransigenti;
- Slogan che sprizzano ottimismo copia-incollati dai siti di aforismi di quelli che esplodono di like e condivisioni sulle pagine buongiorniste su cui brulicano i cinquantenni d'Italia (cit. "Recenti studi hanno dimostrato che le donne che ingrassano vivono più a lungo degli uomini che glielo fanno notare!");
- Una serie di mini-spot atti a invitare il pubblico a chiamare per richiedere canzoni, spesso contornati dallo statement ufficiale della radio: "NO PROBLEM!"

Con una piccola differenza quando sei all inizio tutti ti amano e fanno a gara x averti alla fine praticamente è l opposto

Questi ingranaggi si muovono assieme per far funzionare il macchinario di Birikina, grande piattaforma di affermazione identitaria personale e collettiva. Ognuno dei chiamanti afferma infatti con orgoglio la sua provenienza, una o due canzoni che vorrebbe ascoltare (si sa mai che una non sia disponibile) e magari un pensiero o una dedica a una persona in particolare. Oppure, perché no, all'intero pubblico della radio: i "Birikini".

Birikina, così come i gruppi Facebook dai nomi come "Noi nati negli anni Cinquanta", attrae migranti digitali come un neon le zanzare e gli permette di stringere immediatamente legami di grande intesa, quasi amicizia. Sembrano intonare un canto silenzioso con le loro chiamate, i Birikini: "Abbiamo le stesse paure e insicurezze nei confronti del mondo moderno, ma grazie alla musica possiamo scacciarle via e tirare avanti: NO PROBLEM!"

Eccovi qualche esempio reale di chiamata, per farvi capire quello di cui stiamo parlando:

- Ciao Birikina, radio della mia happy hour. Ti chiamo per chiederti una canzone della sensualissima Anna Oxa. A tutti un cordiale saluto, e un buon proseguimento di giornata.
- Ciao Birikina, sono Claudio di Adria, provincia di Rovigo. Vorrei dedicare a tutte le donne del mondo, ragazze e giovani, "Il girotondo" di Sergio Endrigo oppure "Donna felicità".
- Ciao Birikina, saluto tutti i Birikini. Vorrei dedicare la canzone "La fisarmonica" di Gianni Morandi a mia suocera Livia.
- Ciao Birikina, vorrei dedicare a una persona speciale, perché era uno spirito libero, la canzone "Solo" di Adamo
.
- Buongiorno, mi chiamo Adelma Meroi, chiamo da Gorizia. Volevo fare questo messaggio a Roberto Cambruzzi di Gorizia che oggi compie 69 anni. Augurio particolare dal gruppo degli amici del casinò e un abbraccio particolare da Adelma. Vorrei dedicargli la canzone "A te", oppure "Cinque minuti" di Maurizio Arcieri. Grazie.
- Ciao Birikina, auguro a tutti gli ascoltatori una buona giornata, dato che c'è anche il sole. Vorrei ascoltare una canzone con il nome di una donna, come "Jenny" degli Alunni del Sole o "Lilly" di Venditti. Grazie a tutti e ancora buona giornata. Chiamo da Treviso.

Ascoltare Birikina ti ribalta il cuore. Vedovi e vedove dedicano canzoni ai loro coniugi scomparsi sapendo che non potranno mai ascoltarle, e poi qualcuno richiede "La Bomba" dei King Africa (quella che fa un movimiento sexy) dedicandola a tutte le donne del mondo. Casalinghe isolate in paesini del nord-est salutano altre casalinghe come loro, consce di essere comunque scaldate dallo stesso sole che splende nel cielo. Gemme dimenticate del canzoniere italiano si alternano a materiale perfetto per Orrore a 33 Giri.

Ciao grazie amici bk,eh già il gelo arriva sempre, sono i soldi che non arrivano mai! Ma le tasse arrivano si eccome. . .

Poi vai sul suo sito così Web 1.0 e ti si scalda il cuore, poi scopri il suo canale YouTube foderato di video da 5 visualizzazioni con l'audio rimosso da un algoritmo e vorresti andare immediatamente a Castelfranco Veneto ad abbracciare chiunque abbia gli accessi ai loro social. Poi scopri che esiste la sezione "Non conosci il titolo di una canzone?" grazie a cui puoi chiedere a Birikina informazioni su un pezzo che ti sei perso, come in uno Shazam ante litteram gestito da una persona in carne e ossa, ed è finita. Sei conquistato.

A proposito di social: Birikina è assurdamente forte su Facebook. Ha più di 200.000 like, guadagnati a forza di condivisioni di macro buongiorniste, meme amatoriali, aforismi, video di canini, gattini e animaletti vari, ricordi e ironie sui bei tempi che furono. Questo nonostante la totale assenza di curatela da parte del loro social media manager, che posta senza alcun criterio in barba a qualsiasi regola algoritmica. Le uniche costanti sono il primo e l'ultimo post del giorno, immancabili buongiorno e buonanotte.

Trovate esempi di post sparsi per l'articolo, accompagnati da commenti reali. Qua sotto, una selezione da quelli postati negli ultimi giorni.

Buongiorno birikini buona giornata di ascolto

Niente conservanti tutta energia "sana"

Che bella questa immagine... Chi l'ha messa. Buona giornata ROBERTO, Rosa *emoji della rosa*

Io quando ero giovane facevo la sarta A Udine e entrare questi negozi era qualcosa di magnifico ti veniva l idea solo con le fantasie che ti trovavi d avanti il bancone nonnaPierangela *serie di emoji a caso*

Da morire!

È bello quel cagnolino, Birikina. È molto bello. Non mancano però le contestazioni, immuni ai messaggi di umanità che la radio promuove tramite video di oche inferme: gli Animalisti di Treviso hanno infatti imbrattato un muro e lasciato recensioni piccate sulla pagina Facebook di Birikina per protestare contro le pubblicità di circhi, articoli per la cacciagione e pelliccerie che vengono trasmesse.

Le voci contrarie sono però la minoranza: la maggior parte degli utenti di Birikina è ben felice di prendere parte al suo gioco collettivo, impegnandosi anche fisicamente nel perseguimento delle sue passioni. La condivisione si fa infatti reale negli eventi che Birikina organizza: il FestivalShow, "spettacolo estivo" organizzato dalla radio di Zanetti assieme a sua sorella, Radio Bella&Monella, carrozzone di giovani talenti e vecchie glorie che anima le piazze del nord-est; le crociere di Birikina, che solcano le acque del Mediterraneo al suono delle canzoni di, per esempio, Alvio de I Nuovi Angeli; lo spettacolo "Ieri, oggi e sempre" con i grandi successi dei migliori anni della nostra vita, con la partecipazione di nomi come Dik Dik, Camaleonti, Los Locos e Mal dei Primitives.

Birikina è un grandissimo esempio di come si possa fare radio e avere successo dedicandosi appassionatamente a un pubblico al contempo enorme e fortemente definito. È una piattaforma perfetta sia per creare gruppo tra i suoi utenti-tipo che per affascinare, far divertire e commuovere menti venti-e-trentenni permettendogli di entrare nella mente della generazione di italiani che ha vissuto gli anni d'oro della nostra economia e ora cerca, a forza di nostalgia, carinerie ed emozioni, di mantenere la propria identità in mezzo al caos digitale della contemporaneità.

Ma soprattutto, Birikina è un modo incredibile per esplorare i meandri del grande canzoniere italiano che non trovano spazio nel soffocante ambiente creativo che domina le stazioni alla Radio Italia, che operano alla mercé delle major, degli obblighi di classifica e delle sbandate sanremesi. Grazie a Birikina ho scoperto l'ironia assurdista di "Tu fai schifo sempre" dei Pandemonium. Mi sono innamorato della disco music sgrammaticata di "Around My Dream" del Patrick Hernandez di Cinisello, Silver Pozzoli. Ho lasciato che il cuore battesse mentre Michel Polnareff cantava la sua versione naïf con la erre moscia de "La bambolina che fa no no no". Sono rimasto sorpreso dalla crudezza della canzone di Celentano sull'eroina, "La siringhetta", resa un'ansia prog da due membri del Balletto di Bronzo.

Ridere di Birikina sarebbe sminuire il suo enorme potenziale evocativo, il suo essere così fuori-dai-giochi da diventare una vera wunderkammer della musica italiana. Al contempo, sarebbe un peccato considerare uno scherzo una piattaforma che permette a persone sole di sentirsi meno sole tramite un buongiorno o una buonanotte, o comunque di farsi una bella risata con un video di bambine che si spiaccicano il gelato in faccia. Certo, Birikina fa spaccare in due dal ridere. Ma scalda anche il cuore, e titilla il cervello. Ed è sempre pronta a ricordarci che in fondo, anche se il mondo va a rotoli e il passato non tornerà mai più, non c'è da preoccuparsi: basta gridare, a pieni polmoni, un grande "NO PROBLEM!"

Elia è su Instagram: @lvslei

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Not for Us e NVRMORE hanno fatto scendere la Luna sulla Terra

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Avantguardia, il collettivo di DJ e producer italiani capitanato fondato da Pepsy Romanoff, OK Rocco e Shablo, sta costruendo mattone dopo mattone il muro di suono che sarà la sua nuova compilation, Takeoff, a cui ne seguirà una seconda, Landing. La data d'uscita non è ancora confermata, ma mentre aspettiamo possiamo consolarci con una delle bombe più fragorose che conterrà: "EYEZ" di Not for Us e NVRMORE, un brano lacerante con un video che sembra girato nel momento in cui gli infiniti universi paralleli che compongono il tessuto della realtà si sono infragnati l'uno sull'altro creando un gran pastrocchio in cui i pianeti fluttuano in mezzo ai paesaggi e l'aria si riempie di glitch e strane geometrie in 3D. Un esempio? Eccovelo.

Il video è opera di Mattia Benelli e Ok Rocco: il primo si è occupato delle riprese, mentre il secondo di montaggio e post-produzione. I due si sono conosciuti anni fa durante le riprese di un video di Tormento, e questa è la loro seconda collaborazione per Avantguardia dopo "Midnight Rain" di Themis. "Ero ad Amsterdam da Rocco per sviluppare un progetto assieme e avevo con me questo girato che avevo pensato per uno shoot per Vogue Italia", racconta Mattia, "e abbiamo pensato di fondere fashion e visual art in questo viaggio sia interiore che cosmico".

"Il video è un lavoro a quattro mani o, come preferisco dire, di due sensibilità", racconta invece Rocco. "Sono intervenuto sulle immagini di Mattia con l’intenzione di prendere il sasso da lui lanciato per scagliarlo oltre. Avuta la sua totale disponibilità a poter violentare le immagini, ho agito nel rispetto dell’unica legge possibile della sperimentazione: la totale libertà espressiva, senza limitazioni di regole e tecniche, senza i paletti di uno storyboard o storytelling predeterminati; e cosi, giocando, anch’io sono entrato in un mondo parallelo da cui hanno preso origini le mie visioni".

E ancora: "Il video è un breve viaggio, un flusso nell’irrazionale, nell’onirico, che si muove attorno alla femminilità. Corpi, sguardi fragili ed enigmatici che si mescolano armoniosamente a un ambiente surreale dove vivono paesaggi lunari, geometrie astratte e forme 3D. Rotoscoping e tracking sono stati realizzati volutamente lo-fi per accentuare il contrasto tra le dimensioni geometrie e l’organicità dei corpi e degli elementi naturali. Il tentativo è stato quello di creare una poetica visiva priva di condizionamenti giocando fino a far scendere la luna sulla terra".

L'atmosfera irreale del video, però, non esisterebbe senza il brano che la suggerisce: la produzione di Alberto aka Not for Us è unisce vocine modificate e giochi di pieno e vuoto spiazzando continuamente l'orecchio dell'ascoltatore, quasi rifiutandosi di interpretare il mood come un oggetto statico. Dietro ai saliscendi del brano, però, c'è un vissuto ben definito.

"Il pezzo è nato essenzialmente perché ero una fase in cui ero abbastanza giù", racconta Alberto, "Non avevo molta voglia di parlare, non uscivo tanto. Questa cosa si rifletteva nella mia musica, e questa produzione è venuta fuori abbastanza ermetica. Il tema principale della canzone è il silenzio: ci sono questi grandi vuoti in cui sale la voce completamente modificata che dice Look into my eyes, e spesso quando guardi negli occhi una persona non devi dire niente".

Essendo Not For Us uno dei producer italiani che sembrano trovarsi più a loro agio in una zona interstiziale tra elettronica pura e produzione di beat hip-hop, abbiamo pensato che fosse sensato chiedergli che cosa ne pensava del rapporto che questi due mondi hanno stretto nella scena italian contemporanea. "Penso che con l'arrivo della trap ci sia stata un'accelerazione che ha portato alla scoperta di suoni molto più affini all'elettronica rispetto a quelli con cui si faceva tradizionalmente hip-hop", spiega lui. "Adesso ci si è un po' standardizzati, ma non è una colpa: è un business, e se resti nel mainstream una volta che trovi la formula la sperimentazione lascia un po' il tempo che trova".

"A parte questo, secondo me si poteva spingere ancora un po' sull'acceleratore per provare a raggiungere una convivenza migliore tra questi mondi, conclude Alberto. "Diciamo che però, al momento, secondo me i nomi che stanno portando più innovazione e elettronica nei loro pezzi sono Tha Supreme e Low Kidd".

Ci sentiamo presto con un nuovo tassello del mosaico di Avantguardia, e avremo presto informazioni sulla data d'uscita della loro nuova compilation. Intanto, seguiteli su Facebook.

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La musica del nuovo Life Is Strange è dolceamara come l'adolescenza

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I primi anni del decennio che ha ormai intrapreso la via del tramonto si sono aperti con una bella ondata di post-rock, alt-pop, indie-folk e una decina di altri sottogeneri tutti assimilabili ad un tipo di musica per cuori deboli, (post)adolescenti, eterni innamorati e disagiati. Sebbene siano anche molto diversi tra loro, album come When I'm with You dei Best Coast, For Emma, Forever Ago dei Bon Iver e l'incredibile debutto degli Alt-J, come tanti altri usciti tra il 2010 e il 2012. Quando si arriva al 2013 è il tempo di due album grossi: da una parte gli Arcade Fire con l’ambizioso Reflektor e l’esordio dei Daughter con If You Leave. Un album clamoroso per quantità di coltellate in grado di infliggere alle nostre parti deboli, con un po’ di pezzi che diventano standard di quei tempi.

Tipo "Youth", una lunghissima poesia che tratta le istanze profonde e irripetibili della giovinezza. Chitarra che insiste sullo stesso giro, un piano ad accordi secchi, riverberi e un testo che dice cose del tipo “Noi siamo spericolati / Noi siamo la giovinezza selvaggia / A caccia di visioni del futuro/ Un giorno vi riveleremo la verità / Che morirà prima di arrivare”.

Nel 2015 questa ondata musicale si incrocia con un caso fondamentale nel fiorente mercato videoludico di quel periodo: l’uscita di Life is Strange, avventura grafica a episodi, sviluppata da Dontnot e pubblicata dalla Square Enix. Maxine ha 18 anni, frequenta l’Accademia d’Arte di Blackwell nell’immaginaria Arcadia Bay, nell’Oregon, ed è appassionata di fotografia. Maxine è una ragazza un po’ timida, parla poco con le persone del mondo ma di contro ha la testa sempre affollata dai pensieri e noi, che siamo lei, ne siamo attraversati costantemente. C’è questo incipit che vede Maxine inseguire una farfalla blu e pur di fotografarla la insegue nell’angolo buio nel bagno della scuola. In quel preciso istante assiste all’omicidio di una ragazza per mano di un compagno di classe. Nel momento dell’uccisione, quando Maxine viene assalita dalla paura e dal dolore, qualcosa succede: il tempo si riavvolge, riportandoci a qualche attimo prima dell’omicidio.

Uno screenshot dal primo episodio di Life Is Strange, con Maxine nella camera di Chloe.

Maxine ha un potere magico, e noi possiamo usarlo per salvare la vita della ragazza, Chloe. E per fare tantissime altre cose.

Raccontare la trama del gioco potrebbe essere anche semplice, ma non lo è descrivere le sensazioni che esso sa suscitare: emozioni che si acutizzano quando le cose ci portano a dover fare delle scelte sulla storia e sul destino del percorso. Ci si affeziona ai personaggi, come ci si affeziona al periodo della vita dei protagonisti, un’adolescenza sofferente e maledettamente intensa, bizzarra come gli imprevisti fantastici della narrazione. La tematica del viaggio nel tempo e del mistery si condiscono a momenti dolceamari, come quando Chloe e Maxine una notte fanno irruzione all’interno di una piscina privata. Ah ecco: una cosa che mi stavo dimenticando di scrivere è che le due ragazze sono alla ricerca di Rachel Amber, l’amica scomparsa di Chloe.

La colonna sonora del videogioco è un coagulo di dolce morte, di quella roba che ascolteresti solamente dopo essere stato lasciato dalla ragazza o aver scoperto di aver perso l’amico d’infanzia: ci sono di mezzo gli Sparklehorse, i Mogwai, Bright Eyes, i Foals, gli Alt-J. In questi giorni esce in Italia il prequel, Life is Strange: Before the Storm, incentrato sulla relazione tra Chloe e Amber: a questo punto penso (e spero) sia facile capire del perché Daughter e Life is Strange stiano così bene assieme, come Wagner e l’odore del napalm al mattino.

La storia tra il gruppo londinese e la casa di sviluppo francese è quella di due segmenti destinati a toccarsi, cateti di un triangolo del quale condividono una base artistica fatta di atmosfere sospese e difficili da gestire.

Mentre scrivo questo pezzo ho giocato solamente al primo Episodio del prequel, intitolato Awake. L’incipit ci mette nei panni di Chloe che vuole entrare in questa fattoria abbandonata e dispersa tra i boschi, divenuta sorta di centro sociale per redneck. Dentro ci stanno suonando i Firewalk, uno dei gruppi preferiti di Chloe. I Firewalk nel mondo fuori i bit non esistono, ma i tizi che cantano e suonano quel punk rancidello e sexy sono una band inglese, i Pretty Precious, e la canzone si chiama "Are You Ready for Me".

Chloe, in uno screenshot da Before the Storm.

La scena del risveglio dal letto, ambientata la mattina successiva al concerto, è accompagnata dalla voce della cantante degli Speedy Ortiz nella ballatona con fitte chitarritiche a là Jason Molina che sa di fine anni novanta, "No Below". Tra una partita ad una sorta di Dungeons & Dragons e qualche chiacchierata fuori dal liceo Chloe si ritroverà a fare una passeggiata tra i boschi con Amber: sì, i boschi sono ovunque, e tutto odora di Twin Peaks in salsa teen.

Ma sono i Daughter che alla fine fanno il lavorone scrivendo, solamente per il primo episodio, qualcosa come otto tracce. La loro musica veste benissimo i luoghi e le persone di quella piccola America che, per quanto fatta di cose contemporanee, sembra perdersi da qualche parte negli anni novanta. Il mood generale può sintetizzarsi in "The Right Way Around", colonna sonora del menù principale , una strumentale di dialoghi tra basso e chitarra che si intersecano seguendo una solida ritmica, un inno alla provincia immutabile e ai sentimenti di chi la vive.

Come in ogni grande storia di crescita e fuga all’americana c’è un momento durante il quale si prende un treno e si scappa via dalle cose, scena accompagnata dal pezzo "Hope", che personalmente mi sembra fare richiami fortissimi ai periodi gloriosi dei Sigur Rós.

La fuga delle due ragazze è piuttosto breve e sa più di scampagnata. Cosa che in effetti fanno, rifugiandosi in un parco, l'Overlook Park. Durante questa parte dell’episodio parte un brano che si chiama "Departures", emotivamente legato alla questione della relazione paterna perduta di Chloe. Sembra un interludio, nel quale domina un piano lamentoso tipo primissimi Coldplay.

Chloe e Rachel, in uno screenshot da Before the Storm.

Buona parte dei pezzi hanno una tensione stabile, dove uno o più strumenti sembrano andare in loop eterno. Un po’ come "I Can't Live Here Anymore", che riascoltata fuori dall’ingame mette un po' a disagio e crea un senso di inquietudine.

I momenti più toccanti di Awake sono quando Chloe sogna il padre scomparso o, addirittura, residui dell’esistenza paterna entrano nella quotidianità. La vita della protagonista è circondata da mura fragili, scavate dalle infiltrazioni di un evento traumatico che non vuole andarsene, cicatrici che si fanno sempre più pesanti. "Dreams of William" dice questo, forse, senza dover usare le parole.

Il buon lavoro dei Daughter sta tutto qui, nell’essere riusciti ad avvolgere il cuore e i nervi di Life is Strange, senza mai rubare la scena a quello che si vede e a quello che fanno i personaggi, ma donando allo spettatore-giocatore un potente layer emotivo in più.

“Non ho mai scritto niente di personale, è come entrare in sintonia col personaggio di Chloe, provare a identificare la sua vita, i suoi sentimenti di dolore e di perdita, con la mia”, dice intervistata Elena Tonra, che sarebbe la voce dei Daughter. La sintonia ha funzionato: Before the Storm non è solo un videogioco, ma anche un gran bell’album.

Ah, sul finale dell’episodio c’è un incendio notturno e la chiusura è affidata a "Flaws", melodia misteriosa e piano fantasmagorico su cori che vengono da un oltremondo. Vabbè, fate prima a giocarvelo.

Ascolta Music From Before the Storm dei Daughter su Spotify:

Diego è su Twitter: @Dieg8_6.

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Che cos'è l'ITPOP?

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Devi sapere che fare questo lavoro (il “critico” “musicale”) dopo i 25 anni è una roba da fiatone. Stai sempre a rincorrere gente più giovane di te, che fa roteare gli occhi mentre tu ti gratti caratteristicamente la testa cercando di capire che cosa cazzo ci trova in questa musica che si ascolta tutto il giorno, mentre ripeti che nel 2007 sì che uscivano robe fighe.

Sta di fatto che naturalmente voi avete ragione e io torto, perché la musica è dei giovani. Ed è per questo che sto ascoltando la playlist Indie Italia di Spotify, interrotta dalla pubblicità di un’altra playlist perché a Noisey non c’è budget per un account premium. L’idea è di capire che cos’è questa cosa che chiamiamo ITPOP, usando il (diciamolo, molto appropriato) termine coniato dalla massoneria dell’indie italiano.

L’ITPOP, tanto per cominciare, è il figlio adolescente dell’indie italiano; se qualche anno fa i suoni erano ancora legati a un certo retaggio alternative (penso a Zen Circus, Teatro Degli Orrori, Ministri), l’attenzione della scena si è piano piano spostata su sonorità più morbide, prima con verbosi cantautori armati di pianoforte e chitarra acustica e poi, lasciandosi alle spalle anche l’ultima traccia di serietà adulta, con un approccio più leggero, che ha preso in un certo senso una vita propria.

L’etichetta ITPOP, come tutte le migliori etichette, si applica a una pletora di stili diversi. Ci sono le serenate trap, c’è l’intimismo cantautorale, c’è il pop ironico che si mescola con la house music, c’è il revivalismo romantico all’italiana. È inutile quindi cercare di parlarne dall’esterno come di un fenomeno unico e unitario, ma mi piace l’idea di vivisezionare un po’ questa scena.

La corrente interna che ha maggiormente attirato la mia attenzione, per la sua peculiarità, è quella di un sottogenere che si potrebbe chiamare retro-romantic o old-romantic. Le sue origini sono da cercare in album come Fuoricampo dei Thegiornalisti, Egomostro di Colapesce e nell’estetica degli Ex-Otago, ma probabilmente anche nell’ondata globale di recupero della muzak anni Ottanta – la stoffa con cui viene tessuta la vaporwave.

Si tratta appunto di un pop retrò che fa massiccio uso di synth, piano elettrico, ritmi funk/soul a transistor e voci morbide e sussurrate, praticamente una versione aggiornata al 2018 di “Barbara” di Enzo Carella, ma per sua stessa natura (sono passati 40 anni) più superficiale, effimera, generica e, appunto, quasi programmata, come una musica da ascensore, come il suono di un videogioco ambientato nella Milano Da Bere. Esempi perfetti di questa categoria sono “Le 4” di lemandorle, “Blatte” di Colombre e Iosonouncane, “Da qualche parte” di Diamine, “Le luci rosa” dei Cambogia (che riesce quasi a sembrare un pezzo degli 883 ascoltato da un nastro consumato), “30 40 50” di Bianco, la nuovissima “Fuji” di Delmoro che poi sarebbe il singolo che ha scatenato questa riflessione sulla chat di redazione.

Ma all’interno dell’ITPOP si fanno rientrare anche i “fuoriusciti” dalla scena rap come Coez, Carl Brave X Franco 126 o Frah Quintale, mentre resistono soltanto parzialmente reinventandosi “vecchie” glorie come Zen Circus, e i sopracitati Ex-Otago e Colapesce. Qualcuno preferisce il formato più tradizionale della ballata da pianoforte, come il re della scena Calcutta, oppure Galeffi, qualcun altro rimane fedele a un approccio indie rock, ad esempio Maria Antonietta. Poi c’è la gioiosa elettronica più moderna e da ballo incarnata da Cosmo. Allo stesso tempo qualcuno degli iniziatori passa di categoria: i Thegiornalisti, in maniera quasi impalpabile, hanno scavalcato il basso muretto che separa l’ITPOP dal pop senza prefissi. Come hanno fatto? Fondamentalmente, hanno smesso di essere degli squattrinati romantici.

Dal punto di vista tematico, infatti, volendo generalizzare, è la musica della classe disagiata, quella descritta del saggio di Raffaele Alberto Ventura uscito l’anno scorso: “un esercito di venti-trenta-quarantenni, decisi a rimandare l’età adulta collezionando titoli di studio e lavori temporanei in attesa che le promesse vengano finalmente mantenute”. Il suo immaginario lirico è escapista e poggia le sue basi su un nichilismo chic, una depressione cool, in cui si celebrano la pigrizia, l’innocenza e il superficiale sentimentalismo bohémien che deriva dall’aver letto troppo presto e in un contesto forse sbagliato i classici Einaudi. Se questa descrizione ti sembra troppo semplicistica, rifletti con me sul fatto che un progetto come Cambogia sia riuscito a raggiungere un certo successo semplicemente mettendo insieme a tavolino una serie di luoghi comuni basati su questa pura estetica.

Se non vogliamo ascoltare i testi basta guardare i video. In un fulgido esempio di male gaze, molti clip dipingono un “mondo perfetto” fatto di appartamenti arredati dalla nonna in cui giovanissime ragazze, tutte magre, more e minute, ballano, lottano, amano, bevono e litigano, spesso in mutande; è una caleidoscopica riproduzione delle fantasie di ogni adolescente italiano dotato di una cuginetta più o meno della stessa età. Allo stesso tempo, scorrendo la playlist di Spotify di cui sopra, le uniche due donne vere che trovo sono Maria Antonietta e Anna Viganò aka Verano – ma di certo non mancano quelle fittizie, oggetto di quasi tutte le canzoni ivi contenute.

Ora il vecchio scoreggione dentro di me ha preso il sopravvento, ma non voglio dire che in questo genere non si trovino momenti di ottima musica. In generale trovo molto interessante una generazione di musicisti che sceglie di riprendere in mano la lezione dell'Italia più folgorata, anche se gradirei meno citazionismo, meno mondi fatati in cui tutti sono belli e scopano e si divertono, e un po' più di sincerità, di mondo reale, di onestà intellettuale. E donne.

Ma la grande figata del pop è che per quanto un testo possa essere stupido, per quanto un suono possa essere pacchiano, per quanto un accento possa essere irritante, quando un ritornello funziona nessuno lo può negar. Quindi, ok: benvenuto ITPOP. Sappi che ti teniamo d’occhio.

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Recensione: Zen Circus - Il fuoco in una stanza

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C’era una volta un trio di ragazzi pisani che cantava nei centri sociali e se la prendeva più o meno con tutto e tutti, con la schiettezza e la sfacciataggine di chi se ne strabatte il cazzo di qualsiasi cosa. Quel trio oggi è un quartetto, ma soprattutto quei ragazzi oggi sono uomini. Da quest’ultima considerazione deriva tutto, ma proprio tutto quello che si può dire de Il Fuoco In Una Stanza.

Vale la pena chiarire che il decimo disco degli Zen Circus è bello, perché da tutto quello che sto per scrivere temo potrebbe non trasparire questo concetto, che però è fondamentale: la band ha messo insieme un lavoro al tempo stesso sfaccettato, accattivante, più complesso di quanto sembri e, colpo di scena, socialmente accettabile. Tra l’altro, riuscendo a non rinunciare alla propria coerenza. Eppure stravolgendo tutto completamente.

Lo dicevano già una decina d’anni fa, che esser stronzi è dono di pochi e farlo apposta è roba da idioti, e tagliato il traguardo degli -anta i toscani si sono resi conto che forse essere contro non è più una priorità. Il cambio di paradigma da La Terza Guerra Mondiale è abbastanza evidente fin dal titolo: niente più massimi sistemi, niente più ideologie urlate in piazza, ma gioie e tragedie domestiche, istantanee di vita, microcosmi - per quanto sempre e comunque letti nella chiave salace tipica dei testi di Andrea Appino. Non normalizzazione, quella la lasciamo agli imbecilli, nemmeno rassegnazione, ma accettazione. Accettazione delle megacorp che fatturano fantastiliardi, delle diseguaglianze sociali, dell’impossibilità di cambiare il grande disegno con la chitarra, ma anche della possibilità di fare qualcosa di buono per se stessi e per le persone vicine, magari scoprendo che in fondo, massì, buttare giù una canzone sanremese a quarant’anni non è poi il male assoluto.

Finisce che Il Fuoco In Una Stanza è il lavoro più vario e più malinconico degli Zen Circus, i quali non ne fanno mistero e anzi, ne fanno uno dei punti di forza durante la promozione. Allo stesso tempo, però, è l’album più pop, più orecchiabile, più accettabile di tutta la loro produzione (ok, Appino è ancora una cloaca quando scrive, e per questo gli si vuole sempre bene, ma non è quello il punto), un album di storie normali, per persone normali. Raccontate con una maestria e una capacità che normale non è affatto, ma non credo potrò mai abituarmi allo xilofono festaiolo e all’ironia witty witty di “Sono Umano”. Le canzoni non sono più abrasive, ciniche e taglienti, sono accoglienti, ironiche e rotonde. La rabbia e il disgusto hanno lasciato spazio a una più mite disapprovazione. Se dieci anni fa aveste chiesto: “Hey raga, apericena in corso Como?” gli Zen Circus avrebbero risposto (in una perifrasi più caustica e arguta): “Cacati in mano e prenditi a schiaffi bauscia coglione, ci aspettano con la pasta in bianco al Leonca”. Oggi alla stessa domanda risponderebbero: “No, grazie, andiamo a casa che ci scade la spesa in frigo”.

Andate Tutti Affanculo era un disco che, beh, prima di tutto si chiamava Andate Tutti Affanculo, ma era anche dritto, risentito, incazzato per le ingiustizie del mondo o almeno dell’Italia (quel Paese che sembra una scarpa, appunto). Il Fuoco In Una Stanza è un lavoro migliore sotto tutti gli aspetti, è ben scritto, più aperto, più maturo, più fresco, ma è anche tutto colorato e figlio dell’età del giudizio. No, non è un male, certo che non è un male, significa che stiamo parlando di artisti in grado di rinnovare e rinnovarsi, ed è un’ottima notizia. Però “Il Rosso O Il Nero” dice che “È la morale comune / Fattene una ragione / Che venga da un centro sociale / O da una corporazione / Tu decidi solo la taglia e il colore / PS: il floreale spacca questa stagione”, e fa male. “Low Cost” poi è una pugnalata al cuore.

Non mi ricordo di com'era il mio viso
Ai tempi in cui niente era tinto di rosa
Quando lasciavo la mancia a tutti
Senza poi aspettarmi qualcosa
Star solo era più che normale
Anzi era strano pensarlo diverso
Ma l'illusione poi disillude
E il mondo di questo è sempre contento
Così mi sono arreso agli altri
Mi copro sempre quando tira vento
E se campare ormai è obbligatorio
Lo è anche tradire il regolamento

Cosa direbbero gli Zen Circus del 2008 a quelli del 2018? “Andate affanculo”.

Il fuoco in una stanza è uscito il 2 marzo per Woodworm/La Tempesta.

Ascolta Il fuoco in una stanza su Spotify:

TRACKLIST:
1. Catene
2. La stagione
3. Il mondo come lo vorrei
4. Sono umano
5. Il fuoco in una stanza
6. Low cost
7. Emily no
8. Rosso o nero
9. Quello che funziona
10. Panico
11. La teoria delle stringhe
12. Questa non è una canzone
13. Caro Luca

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Recensione: Lil Yachty - Lil Boat 2

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Per recensire Lil Boat 2, probabilmente, non servirebbe neanche premere play — come invece io ho dovuto fare. Non capisco innanzitutto questa mania per produrre dei “sequel”, a distanza di poco tempo, dell’album d’esordio. Un’usanza che in qualche modo svilisce anche ciò che c’è stato prima, perché toglie quell’aura di intoccabilità che un Illmatic — esempio random — ha e avrà per sempre. Se esistesse un Illmatic 2, il primo disco probabilmente sarebbe meno iconico.

Ma dicevamo della copertina: in un disco che si chiama Lil Boat 2, non c’è la barca in copertina, ma un incredibile zoom sul faccione del nostro Yachty, che decide di buttarci addosso ben 17 tracce, ovviamente con numerosissimi ospiti. Una scelta strana per chi si definisce il “King of the Teens”, perché nessuno, e sottolineo nessuno, oggi ha la testa di ascoltarsi un album di diciassette tracce. Specie se Teens.

Finite le premesse, tocca parlare dell’album: da non grandissimo fan di Lil Yachty, ero rimasto alla sua versione colorata, auto-tunnata e allegrona ed essendo passato MENO DI UN ANNO da Teenage Emotions non mi aspettavo un cambiamento così radicale. Il nostro decide di mettere da parte lo strumento più vituperato della musica dei millennials e mettersi sotto con un suono più crudo, sottolineato anche dai titoli tutti in CAPS — altro fatto meramente estetico che mi ha fatto storcere il naso.

Menzione d’onore per Offset, Quavo e ovviamente 2Chainz, ma davvero ho fatto fatica ad arrivare alla fine delle 17 tracce. Ora, nonostante io combatta e urli al mondo di essere ancora un giovane al passo con i tempi, questo disco mi ha fatto realizzare un fatto che ormai la fa da padrone, specie nel panorama musicale (t)rap americano: probabilmente dovremmo smettere di aspettare dischi, parlare di dischi, pensare ai dischi. Concentriamoci sui singoli, lavoriamo sui singoli e smettiamo di rimpinzare potenziali singoli di filler per poter parlare di dischi. Perché non ha senso.

Lil Boat 2 esce oggi, venerdì 9 marzo, per Quality Control.

Ascolta Lil Boat 2 su Spotify:

TRACKLIST:
1. Self-Made
2. Boom! featuring Ugly God
3. Oops featuring K$upreme and 2 Chainz
4. Talk to Me Nice featuring Quavo
5. She Ready featuring PnB Rock
6. Get Money Bros. featuring Tee Grizzley
7. Count Me In
8. Love Me Forever
9. Das Cap
10. Pop Out featuring JBan$2Turnt
11. NBAYoungBoat featuring YoungBoy Never Broke Again
12. Mickey featuring Offset and Lil Baby
13. FWM
14. Flex
15. Whole Lotta Guap
16. Baby Daddy featuring Lil Pump and Offset
17. 66 featuring Trippie Redd

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Ascolta la playlist settimanale con Vince Staples, Vegas Jones e Grouper

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Ok, oggi è il compleanno del nostro Elia Alovisi (fategli gli auguri su Instagram) quindi siamo belli carichi. Sulle scrivanie della redazione campeggiano torte del Lidl e sacchetti di caramelle gommose. Per qualche motivo nessuno sta bevendo alcol, che è una vera stranezza. Ma tutti stiamo aspettando con ansia il momento in cui potremo alzarci e trasferirci al bar all'angolo.

Quindi insomma tutto questo per dire che la nostra playlist per il weekend è la solita bomba, che noi siamo carichi e che "Get The Fuck Off My Dick" di Vince Staples è decisamente il singolo della settimana. Poi siccome non siamo dei mostri ci abbiamo messo insieme anche cose più dolcine come "Non è un gioco" di Pretty Solero, Ketama e Franco 126, "For You Too" che è il fulminante ritorno degli Yo La Tengo, l'altro grande vecchio David Byrne con "Everybody Is Coming To My House" dal suo nuovo album American Utopia; poi abbiamo il post punk funkeggiante dei Parquet Courts, un altro po' di trap italiana e non, una botta di psichedelia (è uscito il nuovo album degli Oneida!) e, insomma, come sempre una mezz'ora di qualità.

Segui la playlist della settimana su Spotify per vederla aggiornarsi automaticamente ogni venerdì. Buon weekend, divertiti, non farti male e ci vediamo lunedì.

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La storia segreta della musica del primo The Sims

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Nel 1999 Jerry Martin si mise a sedere nello studio di registrazione che si era costruito nel suo garage in un sobborgo di San Francisco con l'obiettivo di scrivere musica nel modo meno appariscente possibile. Lavorando come Audio Director per uno studio che sviluppava videogiochi, la Maxis, aveva già lavorato alle colonne sonore di simulazioni iper-dettagliate come SimCity 3000 e SimCopter. Ma The Sims, l'ultimo progetto su cui il visionario direttore Will Wright l'aveva messo al lavoro, era qualcosa di diverso. Il giocatore poteva costruire una casa dal nulla provando un senso di infinita possibilità, ma senza alcuna traccia di magnificenza; era come un osservatore che si librava in volo su una città dall'alto di un elicottero, ma senza poter scendere a mettere poi tanto mano sul modo in cui il sistema urbano funzionava. Per la maggior parte del tempo, si giocava costruendo muri, cercando la giusta carta da parati e ammobiliando stanze. Non era poi niente di così particolare, e quindi doveva esserlo anche la musica di sottofondo.

"Doveva essere molto rilassante e contemplativa", mi dice Martin al telefono. Mi sta chiamando dalla sua nuova casa, tra i monti della California centrale. "Sei lì a costruire e sperimentare, a trastullarti con la tua casa—e puoi andare avanti per ore e ore. Non c'è un gran finale da raggiungere con un lungo crescendo."

A diciotto anni dalla sua data di uscita, The Sims è diventato un'istituzione. I quattro episodi del gioco (e le sue innumerevoli espansioni) sono state tradotte in 22 lingue e hanno venduto circa 200 milioni di copie a livello mondiale. Man mano che il gioco diventava più famoso, anche la musica che lo accompagnava ha dovuto adeguarsi. Nella colonna sonora di The Sims 3 c'erano ri-registrazioni in simlish, la lingua parlata dai sim, di canzoni di My Chemical Romance, Flo Rida e Kelly Rowland. Quella di The Sims 4 è stata composta dall'illustre compositore neoclassico britannico Ilan Eshkeri.

Ma una sezione della colonna sonora del primo Sims ha ancora oggi una potenza unica. La musica che accompagna la modalità Costruisci—composta da Martin assieme a Marc Russo, sassofonista dei Doobie Brothers, e al pianista John R Burr—era una serie di sei composizioni new age strumentali per pianoforte. Non appena fermavi il tempo per un po' di ardito giardinaggio o per trovare il tetto perfetto per la tua casa, quei sei brani cominciavano immediatamente a massaggiarti i timpani. Per anni, all'inizio del millennio, milioni di ragazzi e ragazze hanno passato ore ad ascoltare jazz impressionista semi-improvvisato senza nemmeno accorgersene.

Quei brani sono probabilmente tra le collezioni di musica più ascoltate del secolo. Nel 2005, BusinessWire riportò che il primo gioco della serie aveva venduto 16 milioni di copie. Solo quattro album contenenti materiale originale pubblicati nel 2000, l'anno in cui The Sims venne messo sul mercato, hanno venduto di più: Hybrid Theory dei Linkin Park, Ooops!... I Did It Again di Britney Spears, il Marshall Mathers LP di Eminem e Black & Blue dei Backstreet Boys. È difficile stabilire quanto ognuno di questi album sia stato effettivamente ascoltato—considerando le radio e i passaggi video, il loro impatto è da considerarsi oltre ai meri dati di vendita. Ma Kid A dei Radiohead, pubblicato sempre nel 2000 e considerato un album seminale, ha venduto ad oggi circa un milione e mezzo di copie—un decimo di quelle dei Sims. Possiamo quindi dire quasi con ceterezza che il minimal jazz di Martin è stato più ascoltato degli urletti di Thom Yorke su "Everything In Its Right Place".

Nonostante la Maxis avesse appena avuto un grande successo con SimCity, quasi nessuno si aspettava che The Sims sarebbe piaciuto così tanto. Jeff Braun, co-fondatore dello studio, ha dichiarato che l'idea di Wright venne accolta con sdegno dal consiglio d'amministrazione. "Che è 'sta roba? Vuole fare una casa per bambole interattiva? È fuori di testa", Braun ricorda di aver sentito dire in un'intervista rilasciata nel 2006 al New Yorker. Martin ricorda invece la cosa in modo un po' diverso: mi racconta che l'atmosfera era in grande parte positiva alla Maxis e più dubbiosa alla EA, che non sapeva bene cosa fare con un simulatore di vita essendo così abituata a pubblicare giochi di sport e di azione.

Ad ogni modo, il progetto venne approvato e Martin poté procedere a comporre la musica che più gli gradiva. Wright contribuiva con qualche suggerimento, ma principalmente sulle stazioni radio che i giocatori potevano ascoltare quando i loro Sim erano a casa e volevano farli ballare o rilassare un po'. La modalità Costruisci (e la modalità Compra, la cui colonna sonora era decisamente più pepata) fu lasciata interamente all'immaginazione di Martin.


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Dato che il gioco conteneva stazioni radio dedicate a generi come country, bossa nova e classica, Martin decise di lavorare a una sorta di jazz volubile senza alcun riferimento di genere. Chiese a Russo—che, in una situazione che non sarebbe sembrata particolarmente fuori luogo nei Sims, viveva direttamente dall'altra parte della strada—di contribuire a un paio di canzoni per il progetto.

Russo mi dice che il processo creativo fu "rigoroso". Martin gli dava qualche istruzione—umori e atmosfere più che punti di riferimenti musicali veri e propri—e Russo andava da lui con dei pezzi per pianoforte arrangiati con tutti i crismi. Attraversava la strada ed entrava nello studio del suo vicino, registrava i brani al pianoforte, e ci rimaneva male quando si rendeva conto che Martin era iper-critico nei confronti di quello che aveva ascoltava. "Ricordo che mi sono strappato i capelli più di una volta. Avevo scritto brani che mi sembravano fantastici e magari a lui piacevano solo quattro misure prese dalla metà del pezzo", ricorda. "Alla fine, però, la cosa funzionò molto bene. Mi fece cominciare a pensare, e a provare a suonare cose che non avrei mai suonato altrimenti".

La più grande sfida stava nel concetto principale che doveva accompagnare la musica. Essendo membro di una rock band rispettata come i Doobie Brothers e avendo vinto un grammy con la band jazz in cui suonava, gli Yellowjackets, Russo trovava difficile fare musica intenzionalmente discreta e poco appariscente. "Provavo a far sì che ogni brano fosse abbastanza interessante, ma non così interessante da distogliere l'attenzione da quello che succedeva nel gioco", dice. "Nel mio mondo suonare il sassofono e fare jazz o R&B o qualsiasi altra cosa significa cercare di lasciare un impatto, di spaccare".

A differenza di Martin, che aveva potuto osservare alcune parti del gioco in via di sviluppo e aveva giocato con alcune demo piene di glitch, Russo non aveva idea di quello che sarebbe successo sullo schermo mentre la sua musica riempiva l'etere. "Stavo creando una tavolozza sonora senza poterla realmente vedere", dice. "Stavo solo prendendo un'emozione o un umore che mi veniva dato e improvvisavo usandolo come punto di partenza". Ed erano difficili da inquadrare, quelle emozioni e quegli umori: stando a quello che gli diceva Martin, Russo doveva comporre qualcosa di "felice, innocente e speranzoso".

Quando Russo e Martin si resero conto che non stavano riuscendo a creare quel senso di dolce malinconia, chiamarono Burr che, essendo un pianista jazz di successo e un turnista altamente rispettato, non aveva problemi a lavorare seguendo le idee di Martin. Inoltre il piano era lo strumento che preferiva suonare, mentre Russo nasceva come sassofonista. Burr dice di aver adorato lo stile taglia-e-incolla di Martin. Si trattava solo, dice, di "suonare, guardare Jerry e dirgli, 'Ok, è così che lo vuoi?" Mentre Russo lavorava ai suoi pezzi autonomamente e li dava poi in mano a Martin, Burr era felice di improvvisare sul momento. Anche se non è menzionato nei nomi che hanno preso parte alla colonna sonora dei Sims nell'edizione pubblicata da EA nel 2007, il pianoforte di Burr compare su quasi tutte le canzoni della modalità Costruisci.

Stranamente, Burr è anche l'unico dei tre musicisti a ricordarsi da dove prese ispirazione per comporre quei brani. Burr è infatti un grande ammiratore del pianista jazz Keith Jarrett, i cui lavori per solo piano condividono con la musica dei Sims un senso di disperata graziosità. Un altro nome che aleggiava nella testa di Burr era quello di George Winston, il cui lavoro spazia dal folk a un delicato impressionismo sonoro. "In assenza di termini migliori, si trattava di quella sensibilità new age alla Windam Hill Records", mi dice.

È una fortuna che Burr si ricordi di tutto questo, dato che Martin continua a non sapere cosa rispondere ai fan che gli chiedono come fare a trovare musica che suoni come quella della modalità Costruisci. "C'è un sacco di gente che mi chiede che cosa può ascoltare di simile a quei brani, ma io non ne ho idea! Era il nostro stile, e ci piaceva quel modo di suonare. Ma fu solo una buona combinazione tra la mia scrittura e l'improvvisazione di Burr".

Tutti e tre i musicisti dicono di avere idea di quanto quelle canzoni, nate per essere discrete, abbiano fatto strada rispetto alle aspettative che avevano attorno. Burr dice di non essersene accorto immediatamente, ma solo quando andò a trovare suo nipote poco dopo la pubblicazione del gioco e gli disse che aveva suonato per la colonna sonora. "Pensavo che la Maxis fosse un bizzarro studio locale, quindi credetti che fosse una bella coincidenza. Poi mio nipote mi disse che The Sims era il gioco più famoso del mondo. E io non ne avevo la minima idea", ricorda.

Russo lavorò per la Maxis per un anno intero prima di tornare a suonare con i Doobie Brothers, ma non ha mai trovato un momento per giocare ai Sims. Ad oggi, Martin rimane l'unico dei tre che ci ha davvero passato del tempo, e persino lui dice di non averlo approfondito troppo. Però, dice, chiacchierando con Burr ha avuto l'idea di scrivere altra musica simile a quella della modalità Costruisci—in maniera completamente indipendente dai Sims, dalla Maxis e dalla EA—e sta cercando il modo migliore per organizzare una campagna di crowdfunding per il suo progetto. Per ora, ha caricato le tracce originali sul suo sito e le ha messe in free download.

Per i milioni di persone che sono cresciute assorbendo semi-consapevolmente questi pezzi, è impossibile distaccarli dal senso di nostalgia che generano. I Sims sono diventati, come ha scritto Lauren Larson di GQ, una migliore pratica di meditazione della meditazione stessa—un mondo di minuzie e soddisfazione di piccoli bisogni e desideri in cui è impossibile perdere o fallire. Ma nei primi anni zero, quando i primi giocatori dei Sims non erano ancora così grandi da sapere cosa fosse il cinismo, vedevano un futuro che non gli sembrava necessariamente impossibile. Forse potevi davvero diventare un pompiere, una rockstar o una supermodella; forse potevi davvero inserire un codice e avere un milione di dollari in un batter d'occhio; forse costruire una villa a tre piani con una piscina coperta, un po' di vasche per idromassaggio e tre TV grandi come pareti non era poi così difficile; forse siamo tristi perché abbiamo fame, e possiamo smettere di avere fame mangiando una bella tazza di cereali, e i cereali sono sempre in cucina e non è molto più difficile di così.

Anche se non ci avevano giocato, i musicisti che scrissero la musica che accompagna il mondo dei Sims stavano provando a ricreare quell'incantevole senso di innocenza. Russo dice di provare ancora un senso di meraviglia quando riascolta una delle canzoni per la modalità Costruisci—la quarta, quella che sarebbe stata intitolata "If You Really See Eurydice" (anche se dice di non avere niente a che fare con il riferimento alla mitologia greca del titolo). "Quella mi fa sentire incredulo ogni volta che la riascolto. Tipo, 'Oh mio dio, l'ho fatta io! È splendida!".

Russo ci lavorò da solo dopo aver buttato giù qualche idea assieme a Martin. "Ricordo che quel pezzo doveva rappresentare un senso di speranza, l'idea di un mondo migliore nel futuro", dice, e poi si mette a fantasticare su concetti meglio esprimibili con la tastiera di un piano: "Buttavamo lì delle parole e delle frasi. Speranza. Sogno. Con un po' di tristezza, perché stai crescendo e ti stai lasciando dietro qualcosa che ti piace un sacco. Ma stai anche guardando davanti a te, un luogo dove, si spera, ti sentirai pieno di gioia e meraviglia".

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Pop X si è messo a comporre musica per organo

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Se conosci Pop X, sai che da Pop X puoi aspettarti di tutto. Chessò, una danza sguaiata su un tram in Finlandia. O una cover strappalacrime di De André, o una rilavorazione turbomatta degli Eiffel 65. Oppure, perché no, una bordata trance distortissima a cassa quasi dritta, o un roccheroll sintetico omicida-perverso.

Bene. Sappi che ora da Pop X aka Davide Panizza puoi aspettarti anche delle composizioni per organo. Qua sopra ce n'è una, la prima che pubblica. Si intitola "Cantata" ed è eseguita dall'organista di fama internazionale Simone Vebber, che di Davide è amico dai tempi in cui frequentarono il conservatorio assieme. È tutta sospesa e incalzante, e ascoltarla è come avere sul collo il fiato di un inseguitore che però quando ti raggiunge non ti infila un coltello tra le rotule ma ti prende per mano e ti fa fare la vuelta e roteare tutta la notte.

Qua sopra potete guardare il video di "Cantata", registrato in Germania. Qua sotto, invece, potete leggere quello che Pop X e Simone ci hanno detto di questo loro nuovo progetto.

Noisey: Ok Simone, com'è che è successa questa cosa tra te e Pop X?
Simone Vebber:
Lo scambio di idee, opinioni ed interessi fra me e Davide è un processo che ha avuto inizio a partire dal nostro primo incontro ai tempi del conservatorio e sta continuando da anni senza soluzione di continuità. I nostri rispettivi ambiti di studio (la musica elettronica per Davide e la musica per organo nel mio caso), nonostante possano sembrare apparentemente lontani, trovano svariati punti di contatto che posso dare luogo a riflessioni inedite ed estremamente interessanti. L’organo è lo strumento classico che più si avvicina ai moderni sintetizzatori, poiché permette all’organista di costruire il suono inserendo i registri (serie di canne con un determinato timbro). L’organista dunque ha un ampio margine di variabili nella creazione del suono, più o meno come un compositore di musica elettronica seduto davanti alla postazione digitale.

Davide, ci racconti un po' com'è nata questa "Cantata"?
Pop X:
Da un po’ nella mia mente mi è venuta voglia di riavvicinarmi alle note sul pentagramma e dopo un confronto con Simone mi sono messo a esplorare un territorio che in me è rimasto per molto tempo sommerso. Ho scritto così un pezzo per organo nello stile che più piace a me immaginando una musica che fosse in qualche modo spirituale, portatrice di uno spirito, di un futuro recente, esotica e trance.

Simone Vebber.

È la prima volta che lavorate assieme?
Simone Vebber: Il primo lavoro condiviso con Davide fu un brano composto a 4 mani su un testo biblico, "Il bacio di Giuda", per voce recitante, organo e sintetizzatore (alla consolle elettronica davide, io all’organo) eseguito nel 2005 in un festival organistico. Fu un esperimento di grande successo, il pubblico era entusiasta ma allo stesso tempo sconcertato dal risultato della sovrapposizione di effetti sonori così particolari. Successivamente le occasioni di lavorare insieme sono state piuttosto rare poiché le nostre attività musicali si sono intensificate nei rispettivi settori in cui operiamo (lui in ambito performativo e pop, io nell’ambito concertistico classico).

Che cosa volete che questo progetto diventi?
Pop X: Spero che in un futuro nn troppo lontano potremo realizzare un concerto di musiche per organo scritte da Pop X ed eseguite da Simone Vebber.
Simone Vebber: Sentiamo il bisogno di fare qualcosa insieme, questo volta con l’intento di accostare non solo due generi musicali diversi ma due categorie di pubblico che talvolta le regole di mercato preferisco tenere a distanza di sicurezza, poiché risulta molto più semplice ed efficace vendere un prodotto ben determinato e dai contorni definiti. Io e Davide crediamo che i tempi siano maturi per far conoscere al vasto publico della musica pop Le suggestioni sofisticate e secolari della musica classica e del suono dell’organo.

Se volete, potete anche imparare "Sonata". Davide ci ha infatti mandato lo spartito della melodia, che comincia alla battuta 49. Lo trovate qua sotto, mentre potete studiare gli accordi del brano cliccando su questo link.

Elia è su Instagram: @lvslei

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Che cosa cazzo è l'indietronica?

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Avete presente quella fanatica moda scoppiata di recente che ha visto comparire sul web una dozzina di veri e propri motori di ricerca per generi musicali? Una fucina continua di Wikipedia per nerdoni d’alto livello, con l’obiettivo di dare un nome ed una faccia ad un genere. Ma ci riescono sul serio?

Uno dei più longevi e attendibili, ad oggi, pare essere Every Noise At Once: configurazione minimal, quasi come navigare su un Game Boy, ma una miniera di dati e di file catalogati in maniera minuziosa. Il gioco può facilmente diventare una droga in meno di quanto ci si aspetti, perché una volta cliccato su un genere ci si presenta una clip dimostrativa, scelta casualmente tra le centinaia del database, che contraddistingue la nostra selezione. Tra le infinite scelte che è possibile selezionare, possiamo imbatterci in funkabbestia, bubblegum pop e bulgarian rock, roba che nemmeno sapevo esistesse, e che—sono abbastanza sicuro—neanche la maggior parte degli artisti presenti in quelle clip sappia possano essere riferite alle loro caratteristiche musicali.

C’è da dire che, nonostante tutto questo possa facilmente suscitare una reazione a metà esatta tra un onesto stupore e una sonora risata, in effetti il metodo con cui gli algoritmi dei servizi streaming più gettonati vengono orchestrati passa in larga parte da questo continuo processo di contaminazione ed etichettatura. Spesso, infatti, abbiamo difficoltà a catalogare un artista o una band perché abbraccia più tipi di composizione o di scrittura, facendo diminuire il confine tra il nostro gusto e quello di una selezione robotica. D’altronde, nei posti dove ascoltiamo la musica in questo preciso momento storico, la percezione reale di genere è veramente labile, quasi ininfluente, ed è spesso il motivo per cui tutti ci sentiamo esperti di post-rock o di industrial. Ma siamo sicuri che è davvero quello che abbiamo ascoltato giusto perché quel file è stato catalogato sotto quel termine?

Alla fine del 2017, ho fatto come tutti gli ascoltatori di musica di questo pianeta il mio “recap d’ascolto” su Spotify, una funzione che cerca di massimizzare una statistica degli ascolti del singolo utente in base a ciò che ha selezionato durante l’arco del precedente anno. Da lì, potevo farmi una vaga idea di che tipo di artisti ho scelto più spesso, su quali brani ho cliccato a ripetizione, che genere e stile ho preferito durante i miei shuffle, senza che me ne rendessi conto. Ebbene, ho scoperto quindi di essere un accanito appassionato di Indietronica. Davvero? “E che diavolo di roba è?”, mi sono chiesto.


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Ho provato a informarmi cercando su Google, ma stavolta nemmeno mamma Wikipedia riesce a convincermi facendo un sunto di uno stile formato in parti uguali da rock, pop, indie ed elettronica. Cioè, tutto? Non capisco, mi crolla ogni certezza. Allora ho proseguito le mie ricerche, scoprendo che il genere viene fatto risalire alla seconda metà degli anni Novanta, con Stereolab e Broadcast come band pionieristiche della faccenda. La questione sul nome, manco a dirlo, rimane un mistero, ma pare si possa riferire all’utilizzo del sintetizzatore in un’impostazione pop e cantautoriale di tipo indipendente. Accanto, una tendina mi fa scoprire che appartengono alla suddetta “categoria” i Notwist, gli LCD Soundsystem e gli MGMT.

Se torniamo per un attimo alla mappa di Every Noise At Once, noteremo che l’Indietronica è rappresentata da una immensa fucina di artisti, pressapoco tutti contemporanei, che a primo acchito hanno tutti un’impronta electro-pop, d’ascolto, tendente ad avere quell’alone sognante, con la giusta miscela di impatto alternativo ma mai troppo sperimentale, perfetto per vendere biglietti ai grandi eventi. Mi sa che sto unendo i punti giusti, allora.

Tutta roba che suonerebbe facilmente al Primavera, per intenderci, o al Field Day. Dunque sì: è quella roba post-2008 che ha spopolato sulle timeline dei social network, e che con ogni probabilità era qualcosa più aderente ad una branchia molto di nicchia che faceva il verso al rock elettronico, ma oggi è fiera di aver sbarcato il lunario.

Phoenix, Two Door Cinema Club, Grimes, Vampire Weekend, passando per roba più pettinata e orientata al club come Ben Khan e Jai Paul, continuo il mio viaggio per capire cos’è l’Indietronica, dato che io ci tengo a sapere perché l’ho ascoltata così tanto lo scorso anno. Certo, ci sono delle dovute eccezioni (gli LCD Soundsystem non sono un nome proprio nuovo), ma in larga parte sembra che questo sommario dimostri come questa parola così obsoleta sia in fondo il sunto delle più probabili combinazioni di genere che si possano ottenere in rete, in epoca moderna.

E questo succede sia perché chi ascolta—e per mestiere giudica—non le riesce a inquadrare in uno specifico settore (al punto da doversi inventare un vocabolo che non sembra avere granché senso), sia perché si adotta globalmente, inconsciamente, un termine che renda accattivante la combinazione di tutti quegli ossimori musicali attraverso cui molte band cercando una strada, durante la loro evoluzione. Prima, a conti fatti, si può dire si trattasse di uno stile che viaggiava nel sottobosco perenne delle uscite indipendenti, tra UK e Stati Uniti, poi ha trovato sulle pagine glitterate di MySpace la sua larga diffusione. Lo streaming ha fatto il resto (ma prima, ricordo bene, giravano le mega-playlist shuffle di YouTube, che avevano nomi anche ben peggiori).

Cos’è allora l'indietronica se non lo specchio della musica dei nostri tempi? Ok, forse non proprio tutta, ma a giudicare dalla sintesi tra quello che mi dice il mio riassuntone e da quanto recita la mappa degli artisti, sì. Beach House e Tame Impala, devo ammettere, li ho ascoltati tanto, Future Islands e Soulwax li avrò sicuramente beccati decine di volte nelle mie rotazioni, eppure non sapevo facessero indietronica. Me lo dovrò ricordare da ora in poi. Mi servirà da ispirazione per creare un genere tutto nuovo quando ascolterò roba che non riesco a capire come si possa definire, mentre chiacchiero con un birrozzo nel bicchiere di plastica ad un concerto dei Radiohead, ad un festival. Saranno mica indietronica anche loro?

Ascolta su Spotify una playlist con tutto quello che secondo gli algoritmi è indietronica:

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Recensione: Monofonic Orchestra - Post_Human Folk Music

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Finalmente il grande momento è arrivato: la Monofonic Orchestra è tornata. Maurizio Marsico, dopo essere rientrato in pista alla grande con un paio di mine antiuomo come la raccolta The Sunny Side of the Dark Side e Nature Spontanee con il prode Sinigaglia, stavolta riprende la ragione sociale del periodo Italian Records: ma non si tratta di nostalgia new wave o no wave o prevedibili post cazzate simili, affatto. La Monofonic è quello che deve essere ora e qui, in questa era di follia sottocutanea, di allucinazioni direttamente ficcate nel reale, in cui la droga è legata alla visione e in cui l’orecchio rappresenta un modo per entrare e uscire da questa visione senza rimanerne uccisi.

E in effetti la musica contenuta in questo disco rappresenta una pre-musica, un rigurgito di una società che ha fatto dell’analogico e del digitale due miti insensati che Marsico frantuma, riassembla, spala, monta e smonta con l’ironia studelinquenziale che era propria dei suoi ex compagni di avventure Tamburini e Mattioli.

Immaginate una specie di skip fra le ere storiche della sperimentazione sintetica colta italiana degli anni Sessanta/Settanta che precipita negli Ottanta del funk e dell’electro; poi si abbatte contro il muro di gomma dei Duemila in cui forse la superficialità acquista un nuovo valore colto, in cui la voce umana diventa il vocoder stesso, come se alla fine la macchina fosse più, ecco, divertente e viva e soprattutto più attenta dell’uomo, addirittura tanto disincantata da essere lei stessa il futuro della specie, una specie, quella umana, che è vicina alla resa per stanchezza secolare.

La rivoluzione passa quindi attraverso il mostro di Frankenstein, come se Castiglioni improvvisamente si mettesse una tuta per fare trap a modo suo: Marsico da grande maestro qual è non perde tempo a farci vedere quanto è fico e quanto la sa lunga, ma lavora su una cosa che pochi oggidì hanno capito: l’importanza del vuoto, NON SENTIRE PER SENTIRE. Ce n’è a bizzeffe in questo disco, un vuoto frutto di una continua improvvisazione punktronica ed è una forza che ci permette di respirare e di ripensare la stessa musica in esso contenuta come una cosa necessaria quanto l’acqua di una fogna che viaggia verso il fiume.

Pensata all'inizio come sonorizzazione di un’installazione a cura di Silvia Massa Studio, ha preso vita propria come anche la cover-non-cover di "A Rainbow in Curved Air" di Terry Riley trasformata in “An Eyebrow in Cursed Fair”. Diciamolo, Marsico si smaterializza piano piano in questi suoni come in un teletrasporto di Star Trek, o come nella foto interna in cui viene ritratto durante un concerto in streaming per il BABA Fest, dove anche non essendo presente in loco era più reale del reale, quasi a grandezza naturale pur essendo fuori scala.

La ricerca è questo, inglobare e sputare, dimenticarsi chi si è e farselo ricordare da quello che esce fuori con la curiosità di vedere che cazzo succede. Da una fotocopiatrice, d’altronde, può uscire un robot: Ranxerox insegna. Znort.

Post_Human Folk Music esce il 30 marzo per Spittle New e Goodfellas.

Ascolta "An Eyebrow in Cursed Fair" su YouTube:

TRACKLIST:
1. Sticky Metal Tiles
2. An Eyebrow In Cursed Fair
3. Another Eyebrow In Cursed Fair

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Tutto quello che non sapevi sulla colonna sonora di Shining

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I film di Stanley Kubrick, a partire da 2001: Odissea nello spazio del 1968, sono sempre stati caratterizzati da un approccio innovativo nell’uso della musica. Dotando di nuovi valori e significati le pagine musicali preesistenti, Kubrick le decontestualizza dal loro fine originario e se ne appropria. I suoi testi sonori sono quindi risultato di esperimenti e innovazioni sonore in cui convivono cultura pop e musica colta. Tuttavia, nonostante gli standard già raggiunti nel 1975 con Barry Lyndon, Shining è un esempio raramente eguagliato nella sua produzione sia di sofisticata interazione di musica e immagini che di musica come mezzo per ottenere fini contestuali, di caratterizzazione e narrativi.

L’uso quasi esclusivo di musica preesistente non solo lo distingue da molti altri lavori contemporanei e successivi nel genere horror ma solleva anche questioni importanti riguardanti l'estetica concettuale e costruttiva di Kubrick e la sua cruciale collaborazione con il music editor Gordon Stainforth, nelle vesti di un primitivo sound designer.

Alla fine degli anni Settanta Kubrick, dopo i deludenti risultati di Barry Lyndon (dovuti in parte all’enorme successo de L'esorcista, film per cui era stato inizialmente selezionato per la regia) decide di affrontare l'horror, un genere popolare che per tradizione non si voleva appropriato all’espressione d’autore. L’horror, più di altri modelli cinematografici, si alimenta di convenzioni e luoghi comuni e la musica con cui viene accompagnato non fa eccezione, identificandosi con formule sinfoniche fragorose ed apocalittiche che si rifanno ad una tradizione letteraria gotica, potenziale unico nella produzione e amplificazione delle paure.

In questo periodo storico sono principalmente tre gli stili musicali più utilizzati per le colonne sonore horror. L'elettronica, di cui è profeta John Carpenter; la musica di matrice colta contemporanea, già utilizzata con grandissimi risultati ne L'esorcista; e la manipolazione di cori liturgici rivisitati in chiave sperimentale novecentesca, che nel 1976 valse al compositore Jerry Goldsmith il premio oscar per Il presagio. Kubrick, alla luce della sua già rodata poetica sonora, decide di usufruire di tutte e tre le formule.

Assoldate la navigata manipolatrice elettronica Wendy Carlos e la musicista classica Rachel Elkind per la realizzazione della colonna sonora, Kubrick inizia a selezionare una raccolta di brani contemporanei di linguaggio avanzato: il lugubre e angosciante "Musica per archi, percussioni e celesta" del compositore ungherese Béla Bartòk ed alcuni ballabili degli anni Venti e Trenta, per esempio. L'intento è quello di demonizzare il novecento musicale, estraendone i succhi più intossicati. Non a caso la stessa Wendy Carlos dichiarerà di essersi musicalmente ispirata per la stesura dei titoli di testa ("The Shining") al quinto movimento della "Sinfonia Fantastica" del compositore romantico francese Hector Berlioz, fondato su una parodia del Dies Irae, inno gregoriano legato alla celebrazione dei defunti. Oltre che in "The Shining", anche in "Rocky Mountains" si manifestano gli angosciosi vocalizzi manipolati della Elkind, seguiti da interminabili gruppi di note adiacenti (i cosiddetti cluster) e glissati elettronici discendenti che accompagnano la famiglia Torrance verso l'Overlook Hotel, prefigurandone la caduta verso l’abisso.

Ad integrazione di queste, il regista seleziona tre ballabili di epoca fitzgeraldiana come portavoce impassibili ed incolpevoli di ciò che dimora all’interno dell'Overlook Hotel. Nella loro distratta ed innocente spensieratezza, questi ballabili two-step si caricano di un senso d’orrore ancora più palpabile rispetto alle realtà sintetiche di Wendy Carlos, collegandosi indissolubilmente ad alcuni momenti topici del film, tra cui il dialogo nella toilette rossa tra Jack Torrance e Grady, ed evocando con lugubre immediatezza il popolo sepolcrale dell'Overlook. "Midnight, the Stars and You" di Ray Noble, invece, si collegherà per sempre al carrello conclusivo sulla fotografia del veglione del 4 luglio del 1921.

Anche i titoli stessi manifestano elementi allusivi alla sceneggiatura: basti pensare a "It's All Forgotten Now" e al modo in cui contrappunta lo scambio verbale tra Jack Torrance e Grady che gli ricorda di essere lui, da sempre, il custode dell’Hotel; e subito, quasi a voler confermare la raggelante rivelazione, echeggia "Home", accogliendo di nuovo Jack all’interno della sua vera casa, l'Hotel, dal quale malgrado le apparenze non si è mai allontanato.

Così come la forma narrativa del film riprende l’essenza fisica e simbolica del labirinto, suo elemento cardine all'interno del film, anche la musica riproduce la struttura vertiginosa ed irrisolvibile dell'Overlook Hotel mediante amputazioni, manipolazioni e ricombinazioni.


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Kubrick sapeva fin dagli inizi della stesura della colonna sonora che avrebbe utilizzato musiche di compositori come Penderecki, Bartók e Ligeti. Per questo, appena sei settimane prima dall’uscita di Shining, diede a Gordon Stainforth, music editor del film, una grande quantità di registrazioni da poter iniziare a manipolare. Il tutto ammontava a circa cinquanta ore totali. L’elemento che più affascinava Kubrick di queste composizioni era il modello espressivo potentemente emotivo, l'impressione dell’ignoto, del metafisico e del trascendentale.

In accordo con l’estetica dell’eccesso, con cui Kubrick desiderava raccontare il lungometraggio, Stainforth riconobbe ed intuì che la musica doveva essere per forza sopra le righe. Qualcosa di meno non sarebbe stata fedele alla qualità maniacale che sottosta al film. Per questo lavorò giorno e notte per creare un unico spartito sovrapponendo non solo più brani ad unica scena ma anche sincronizzando i determinati accenti musicali con rumori ambientali—ad esempio i colpi d’ascia che Jack impartisce alla porta del bagno dov’è nascosta Wendy o le ruote del triciclo di Danny sui tappeti della Colorado Lounge.

Nel procedimento musicale di Stainforth sono sotto-insiemi, suoni ambientali o parole che vengono ricombinati liberamente in nuove frasi di senso compiuto, così da alternarne sensibilmente il lato orrifico. Questo procedimento è riscontrabile nelle tre scene che racchiudono l’epilogo del film.

La scorribanda di Danny sul triciclo nella Colorado Lounge, che alterna il rumore sordo delle ruote sui tappeti a quello più secco del parquet, mette in risalto l’alternarsi dei due stati di coscienza che convivono all’interno del film. Da un lato lo shining, elemento soprannaturale che mostra gli avvenimenti più occulti ed irriconoscibili, e dall’altro una realtà percettiva ovattata.

Dal momento in cui Wendy impugna la mazza da baseball e si precipita alla ricerca di Jack, ormai impazzito, ogni suo movimento viene scandito dalla musica diegetica che arriva dal cartoon Wile E. Coyote e Beep Beep, fino ad esplodere in un unico supertesto musicale composto da alcune sezioni di composizioni del polacco Krzysztof Penderecki: "Polymorphia", "Utrenja", "The Dream Of Jacob", "De natura sonoris n.1" e "De natura sonoris n. 2". Ed infine la scena conclusiva del labirinto, dove ogni elemento musicale si ricongiunge al suo stato embrionale, fondendosi con le urla di dolore e pazzia di Jack.

Il lavoro rumoristico e sintetico di Wendy Carlos merita sicuramente una nota di riguardo. Come non ricordare l'inquietante, assordante ticchettio della macchina da scrivere di Jack, chiaro segnale di isolamento e pazzia? O lo stesso shining di Danny, rappresentato da un sibilo penetrante, dimostrazione di un elemento soprannaturale avvertibile da pochi? I suoni, dapprima vaghi, diventano protagonisti simbolici di quell’universo maligno che Kubrick costruisce a sua immagine e somiglianza.

Parte del significato storico, estetico e tecnico di questo film, compresa la sua colonna sonora, risiede nelle numerose chiavi interpretative e misteriose che ha generato. È proprio la natura degli impulsi creativi di Kubrick, che incoraggia lo spettatore all’auto esame e al ri-orientamento percettivo tramite trame temporali che coesistono. Nel caso di Shining ci si interroga sui lati nascosti del terrore umano e ci si spinge verso qualcosa di sconosciuto, qualcosa che non osiamo guardare: il terrore di se e degli inquietanti percorsi dell'animo umano.

Al centro del labirinto non giace il minotauro, ma stiamo noi stessi. Da questa prospettiva, il mondo sonoro agisce e si muove in modi molto differenti, dimostrando quanto il potere dell'identità umana sia perennemente conteso tra il sublime ed il mostruoso.

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"In Too Deep" dei Sum 41 sarebbe potuta essere una canzone reggae

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I Sum 41 hanno annunciato tre concerti in Italia in luoghi non solitamente molto battuti dai grandi circuiti della musica dal vivo: suoneranno giovedì 30 agosto al Beat Festival di Serravalle, in provincia di Empoli, venerdì 31 agosto alla fiera di Rimini e sabato 1 settembre all'Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro. I biglietti sono disponibili su Ticketone e costano circa 30 euro.

Tra i classici che suoneranno, per la gioia di tutti i nostalgici del pop punk, ci sarà anche "In Too Deep". I nostri colleghi americani hanno raccontato in un articolo, che vi abbiamo tradotto qua sotto, una storia particolare che non tutti conoscono proprio su quel pezzo.

La state già ripensando, vero? L'accento potrebbe benissimo essere in levare nei versi della canzone, e gli accordi della seconda chitarra sono belli alti e staccati. Anzi, le prime due misure della canzone—le note in palm muting che si sentono mentre la telecamera mostra una piscina da qualche parte in un anonimo sobborgo degli Stati Uniti—sembrano quasi ska. Pensare a "In Too Deep" come a un pezzo reggae non è poi così assurdo.

E potrebbe benissimo esserlo stato, almeno a quanto ha dichiarato il chitarrista dei Fucked Up, Ben Cook.

Cook—che ha anche cantato nella hardcore band No Warning e fa pop anni Ottanta a nome Young Guy—è stato ospitato da un podcast a tema pop punk, Blink-155, e ha concluso la trasmissione parlando proprio dei Sum 41, gli eterni giovani appassionati di chitarrine e scoregge con le ascelle più amati che il Canada abbia mai partorito. Cook ha detto che Greig Nori—cantante dei Treble Charger, manager e produttore dei Sum 41 e suo compagno di band nei No Warning—è stato l'autore di un sacco delle loro prime canzoni. "In Too Deep" era originariamente un suo brano, e ne esiste una versione registrata assieme all'artista reggae canadese Snow.

"L'ho ascoltata ed è splendida", ha dichiarato Cook. "Una delle prime idee di Nori fu mischiare il pop-punk e il reggae". Dovete ascoltare la fine del podcast per poter sentire Cook ricreare i versi di Snow e i ritornelli di Nori. Fatelo e rendetevi conto che sì, "In Too Deep" poteva benissimo essere stato un pezzo reggae, e che se esiste una versione registrata in quel modo il mondo si merita davvero di poterla ascoltare. Intanto riascoltate l'originale qua sotto.

[h/t Exclaim!]

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La crew tedesca 1UP ha ridefinito il concetto di writing

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La 1UP è una delle crew di writer più conosciute di Berlino, ma la loro fama si è spinta oltre i confini della loro città. Probabilmente buona parte del motivo sta nei loro video, che propongono una serie di imprese spettacolari girate in maniera professionale: forse vi è capitato di vedere quello in cui taggavano un intero vagone di metropolitana in qualche minuto per poi scappare lungo i binari. Al momento, ha più di un milione di visualizzazioni. La loro nuova opera, "Graffiti Olympics", al momento ne ha circa 200.000 ma avrebbe senso se ne avesse molte di più: è un video girato con un drone ad Atene che segue i membri della crew mentre taggano i muri della capitale greca in pieno giorno.

Il video è simbolo di una volontà di alzare l'asticella del loro lavoro, sia per quanto riguarda la qualità della loro arte che l'audacia dei loro gesti. Che vi piacciano o no, è innegabile che le azioni dei ragazzi e delle ragazze di 1UP siano perfetti per far parlare di sé. Ma dietro al loro successo c'è in realtà qualcosa di molto più genuino, e soprattutto un grande senso di solidarietà. È grazie a uno stretto rapporto con la loro partner crew Berlin Kidz, alla regista Selina Miles e a quell'opera d'arte vivente che è il writer Good Guy Boris che nascono la maggior parte delle azioni e dei video del gruppo.

Dato che le loro azioni sono comunque illegali, i membri di 1UP hanno deciso di continuare a lavorare dietro a un velo di anonimità—il che rende piuttosto difficile provare a parlargli. Ma i nostri colleghi di Noisey Germania sono riusciti a incontrarsi con loro e con la regista, Selina, per parlare del loro lavoro e del loro ruolo nella scena della street art internazionale.

Noisey: Come è nato il progetto "Graffiti Olympics"?
1UP: È da quando abbiamo scoperto che i droni erano i nostri nuovi giocattoli preferiti che volevamo spiccare il volo per filmare opere in diversi luoghi. Selina aveva la nostra stessa idea, quindi l'abbiamo invitata a venire con noi ad Atene per capodanno. Il titolo è un richiamo alle Olimpiadi Invernali che ci è venuto naturale.
Selina: Li ho conosciuti un anno fa a Berlino e gli ho parlato di un video che ho girato in Australia con un drone. Mi hanno chiesto di fare ancora meglio, se avessi voluto lavorare con loro. E lì ho capito che volevo farlo.

Quale può essere il motto della vostra crew?
1UP: Vogliamo sempre alzare l'asticella di ciò che facciamo—ribaltare le cose in giro per il mondo, idealmente. È come se stessimo tutti vivendo una seconda vita da writer dato che abbiamo tutti anche lavori e vite normali. Solo alcuni di noi hanno capi e conoscenti che sanno ciò che facciamo veramente, dei tunnel sporchi in cui strisciamo di notte, dei cespugli in cui ci nascondiamo. Il mattino dopo, tanto, dobbiamo andare a lavorare come se nulla fosse, come se avessimo dormito bene.

Foto via 1UP.

I ragazzi della crew, foto via 1UP.

Ci sono state persone che hanno messo in dubbio l'autenticità del video? Come avete pianificato gli spostamenti del drone?
1UP: Non ci eravamo mai impegnati in modo così intenso prima d'ora. Abbiamo passato giorni in cerca di location, a organizzarci e a preparare il lavoro di diversi team, mentre Selina si allenava ripetendo il percorso ideale del volo. Quando poi si è trattato di cominciare a fare sul serio, tutto il quartiere che avevamo scelto sembrava quasi nel mezzo di un'operazione delle forze speciali—c'erano gruppi a ogni angolo di strada con auricolari e borsoni, roba del genere.

Abbiamo fatto otto tag, alla fine. Il drone è stato fatto volare in maniera coordinata allo svolgimento delle nostre opere, in tempo reale. E abbiamo fatto tutto alla luce del giorno! In una location alcuni membri della crew si sono calati con delle corde mentre, all'angolo di strada successivo, altri stavano dipingendo su un muro. Nel frattempo un altro di noi stava facendo un enorme tag usando un estintore, mentre dall'altro lato della strada un gruppo ha scavalcato un muro e taggato un intero vagone di un treno di fronte agli sguardi delle persone sedute al bar lì davanti. All'entrata della metro abbiamo fatto dei tag super-larghi e un massiccio street bombing [hanno cioè dipinto tante superfici in un'area limitata, ndt]. Alla fine, su un tetto, abbiamo acceso la nostra fiamma olimpica. I passanti non credevano ai loro occhi.

Ma qualcosa deve essere andato storto, no?
1UP: Ovviamente non è andato tutto perfettamente liscio. A un certo punto il drone non voleva proprio volare dove sarebbe dovuto andare. Poi alcuni di noi hanno visto dei poliziotti in borghese per le strade. Nel momento in cui avremmo dovuto cominciare a girare, uno dei nostri stava dormendo nel letto di un senzatetto per farsi passare la sbronza della sera prima. L'abbiamo risolta in modo semplice, dandogli un bello scossone e dicendogli che stavamo cominciando.
Selina: La cosa che più mi ha colpito dei 1UP che è sono molto più organizzati rispetto alle solite crew. Sono qualcosa di diverso. Sono estremamente professionali e mettono il cuore in tutto quello che fanno. Trovo sia molto motivante lavorare in un'atmosfera simile.

Foto via 1UP.
Foto via 1UP.

Quindi che cosa distingue i 1UP dalle altre crew, a parte questo senso di organizzazione?
Selina: Tradizionalmente, il lavoro del writer è molto individualista. Si tratta di far vedere il tuo nome al numero maggiore di persone possibili e nel trovare i luoghi migliori perché questo accada. La crew a cui appartieni è qualcosa di secondario. Nei 1UP invece l'individualità si perde. Tutti mettono da parte i propri ego. Hanno ottenuto grandi risultati perché sono un'unità che lavora per un obiettivo comune, e un modello simile ha molti benefici. Inoltre, mi piace come lavorano: hanno tanto da fare ma lo fanno velocemente e in ogni location possibile. Si fanno venire in mente idee che non vengono a nessuno. Non mi stanco mai quando giro con loro; anzi, vanno così difficile che è veloce filmare tutto quello che succede.

Perché girare ad Atene? Certo, c'è il discorso delle Olimpiadi, ma ci sono stati altri motivi?
Selina: È la città perfetta per un progetto simile—ci sono un sacco di location fantastiche, e la gente ha una mentalità piuttosto aperta. La Grecia sta passando un periodo difficile e quindi la popolazione ha un'idea più chiara di quelli che sono i veri problemi che le società devono affrontare.
1UP: Esatto. Essere beccati in Grecia non è così tragico. Detto questo, ci sono poliziotti quasi ovunque—tranne che ad Exarchia, il quartiere di Atene in cui i poliziotti vanno solo se vogliono prendersi una Molotov addosso. Anche in altre parti della città la street art è trattata in maniera piuttosto rilassata, però. La gente del luogo ha un atteggiamento positivo nei confronti dei graffiti, mentre vedono la polizia in maniera negativa. La notte prima delle riprese siamo stati beccati mentre preparavamo un tag e ci hanno portati in una cella, dove hanno finto di avere una pistola per minacciarci. Per un momento non ci è sembrato poi così divertente. Ma alla fine tutto si è risolto.

Foto via 1UP.
Foto via 1UP.

Nel video compare un'altra crew di writer, i Berlin Kidz. Proprio come voi, lavorano prendendosi grossi rischi. Camminando sui vagoni, si calano dai tetti per raggiungere muri. Ma agendo in maniera più visibile si è anche maggiormente a rischio di essere sotto l'occhio delle autorità. Voi avete paura di dover rispondere legalmente di ciò che fate?
1UP: La paura è qualcosa di molto soggettivo e casuale. Ci sono persone che taggano super rilassate, mentre altri si devono fare uno shot per calmarsi. E di solito è chi beve di più a taggare su superfici su cui è meno ragionevole lavorare. Un po' di paura c'è sempre. Almeno nei luoghi in cui sai che la pagherai a caro prezzo se verrai beccato—che si tratti di farti male fisicamente o di dover pagare una multa e un'eventuale pulizia. Ma ci sono modi per difenderti, in base alla location e alle circostanze. Devi stare attento a quanto tempo passi a taggare e dove, devi prepararti una via di fuga, devi indossare guanti, devi nascondere il viso in modo appropriato, e così via.

I graffiti hanno ormai un'influenza enorme sulla pubblicità e sulla cultura pop. Voi che cosa ne pensate? Qual è, secondo voi, lo stato dei graffiti come forme d'arte contemporanea?
1UP: Le mode vanno e vengono, ma i graffiti ci saranno sempre. Almeno per il prossimo futuro. Esistono paesi in cui i graffiti sono stati eliminati completamente dagli spazi pubblici attraverso l'applicazione di leggi severe, punizioni draconiane e un approccio generale alla sorveglianza. Ma molti altri hanno ancora molta strada da fare per arrivare a quel punto, e non ci sembra che molto possa cambiare a breve. E anche se dovesse succedere, la gente troverà sempre buchi nel sistema. I graffiti sono un gesto sovversivo che porta un po' di caos e creatività in un mondo altrimenti sterile e grigio.

La 1UP è quasi diventata un brand con il passare del tempo. Avete pubblicato libri, DVD e collaborato con Comme des Garçons. More and more adults outside of the scene are familiar with the name 1UP. Why are everyday people taking notice of 1UP as opposed to other graffiti artists?
1UP: Ci sono diversi motivi. Fin dall'inizio ci siamo prefissati di fare bombing leggibili in luoghi centrali e inusuali, così che la gente non potesse non vedere il nostro logo. Tutto questo, a Berlino—una delle città più importanti a livello mondiale per i graffiti. Inoltre abbiamo documentato il nostro lavoro in maniera professionale sin dall'inizio, e grazie ai nostri video siamo arrivati anche a persone esterne alla scena. Infine, continuiamo sempre a viaggiare per il mondo. È quasi impossibile non vedere il nostro nome in giro. State attenti a dove andremo per la prossima opera, potrebbe essere nella vostra città.

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Recensione: arottenbit - Demo '94

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La prima volta che ho visto arottenbit dal vivo fu in un capannone nella zona industriale di Brescia per una serata per universitari nella fase finale dell'era d'oro dell'indie, quella marcata dalla sbandata per l'elettronica poi risoltasi in un grande sbuffo. Dopo di lui suonava Shigeto, uno di quei producer mezzi malinconici tutti suadenti che avevano fatto aumentare le palpitazioni a chi era cresciuto a pane e chitarrine britanniche e newyorkesi. Ricordo che entrai alla festa, andai nella sala principale e lui stava facendo—in un contesto simile—una cover di "Master of Puppets" dei Metallica con i suoi Game Boy.

Come ci aveva spiegato anni fa quando gli avevamo parlato la prima volta, arottenbit non viene dal mondo dei videogiochi ma si è preso bene per i Game Boy tramite gli HORSE the band, che facevano essenzialmente metalcore. Quindi è perfettamente normale che per parlare di questo suo (anzi, loro dato che ora suona assieme a un'altra persona) esordio abbia più senso usare termini legati al campo semantico della parola "violenza" rispetto ad altre più comunemente associate alla musica-da-videogiochi. Per darvi un'idea "Night Apnea", con cui l'EP si apre, è praticamente un pezzo thrash metal pachidermico che scoppia all'improvviso da un'introduzione nera e distorta che non sarebbe stata male, se rallentata e più definita, su una produzione di The Haxan Cloak.

"Sleep Paralysis" ha invece una cassa accompagnata da ruttoni digitali più simili a quelli che, per un breve periodo, sono stati associati alle derive più caciarone della dubstep, mentre "Rapid-Eye Behavior" potrebbe davvero essere la colonna sonora di un indie game mezzo apocalittico e frenetico (qualcuno ha detto Canabalt? Io l'ho detto), e ha persino una parte abbastanza accessibile che potrebbe fare dire agli indie kid da cui avevamo cominciato questa recensione, "Hey, i Crystal Castles!". "Non-24", invece, con un leggero levare che si tira via la maschera e mostra il suo vero viso di bestia HC sembra una versione marcita della grande musica da festa europea degli ultimi due decenni.

Morale, se parlate di chiptune, 8-bit e musica da Game Boy con qualcuno e quest* vi risponde "lol Super Mario", fategli sentire arottenbit e poi vedete come reagisce. Se comincia a fare headbanging va tutto bene, altrimenti è un caso perso.

Ascolta Demo '94 su Bandcamp e, se sei a Milano, vai a vedere arottenbit dal vivo a Casa Gorizia venerdì 16 marzo assieme a Warm Bodies e Council of Rats che c'è il suo release party:

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Abbiamo fatto ascoltare il rap italiano della vecchia scuola a un dodicenne

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La trap (anche in Italia) ha la fanbase più giovane tra tutti i generi musicali e, per i protagonisti dell'industria discografica è sempre più difficile adattarsi. Ma come si fa a sopravvivere quando il tuo pubblico di riferimento conosce tutte le canzoni di Lil Pump, ma non ha mai sentito parlare dei Club Dogo? Per fortuna non è questo il punto dell'intervista di oggi.

Siccome ci è stato spiegato che la trap è un genere per orecchie molto giovani, abbiamo provato a fare un gioco: far ascoltare a Mattia, un dodicenne fan di Lil Pump, Sfera, Dark Polo Gang, Gionny Scandal e via discorrendo, alcuni dei pezzi rap italiani più rappresentativi del percorso compiuto dal genere negli ultimi vent'anni. L'abbiamo bombardato con Joe Cassano, Sottotono, Fabri Fibra e tutti gli altri che potrete trovare qua sotto se avete la pazienza di far scorrere il ditino.

Cosa abbiamo imparato alla fine dell'esperimento? Che il ricambio generazionale ci spazzerà via tutti.

Allora Mattia, cominciamo da "Lo Straniero" dei Sangue Misto.
Non mi sembra una roba vecchia. La base forse mi ricorda qualcosa... boh. Però mi sembra una cosa lenta. Ci sono canzoni più veloci. Ma secondo me si potrebbe sentire anche in radio. Però non mi piace, sinceramente. Nel caso, se mi piacesse, la ascolterei quando sono un po' incazzato. Non mi ascolterei un'altra cosa loro, mi annoia. Ripetono le stesse cose troppe volte.

E di cosa ti sembra parli il testo?
Dello stato? Ah no, di uno straniero... stan parlando degli stranieri. Ma è di uno scuro? Quello che canta?

Andiamo avanti, passiamo a "Cinque minuti di paura" di Lou X. A cosa ti fa pensare questa copertina?
Eh, alla morte. C'è il teschio, è un po' sfumata, c'è il nero.

E questa base come ti sembra?
È più "alta" rispetto a quello che ascolto. Si sente di più, secondo me. Comunque, anche questo brano è lento come quello di prima.

E che mi dici della voce?
Mi sembra quasi che sia stonato, che urli troppo. Sinceramente neanche questa mi piace. Non capisco il senso di quello che dice, ma le parole proprio... Sta parlando della morte?

No, della storia di un criminale!
E poi noto che nelle canzoni vecchie c'è sempre un'immagine fissa. Nel senso che non c'è un video.


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Considera che prima di avere le fotocamere digitali era molto costoso realizzare un video. Fino al 2005 era una cosa che facevano solo quelli con un contratto davvero ricco.
Ma tipo questo qui è uno come Sfera? Con tatuaggi, denti d'oro e quelle robe lì?

Lui è questo tipo... Tatuaggi ce li ha, ma diciamo che come look è molto lontano. Quindi anche questo non lo ascolteresti di nuovo?

No, è sempre lento e non mi fa venire voglia di ascoltarlo.

Hai presente Fedez e J-Ax? Prima J-Ax stava in un gruppo, gli Articolo 31.
Non lo sapevo.

Ecco, negli anni Novanta cantava con questo gruppo, un duo. Questa canzone ha un video vero, dato che ai tempi loro avevano un contratto con una casa discografica. E tra l'altro noterai anche che è una canzone molto più allegra e ballabile. Eccoti "Tranqui Funky".
Si vestivano diversi i rapper, allora. Però anche qua fanno un po' vedere i soldi e così. Non tanto. Però una cosa così non l'ho mai vista, con tutta 'sta gente che ti balla davanti. E poi Ax non ha il pizzetto!

Ce l'ha! Ma ne ha poco. Comunque, che ne pensi del pezzo?
Sono lente. Dopo che fanno una rima stanno uno, due secondi zitti. Ci sono un sacco di pause. Mentre i musicisti di adesso continuano, non si fermano mai in realtà.

Sai che cos'è quel rumore che si sente, quello scratch?
È il disco che fa... boh. E sarebbe tipo rifar partire la canzone? Ma poi cantano anche le femmine, o no?

Sì, ma non fanno parte del gruppo. Secondo te questa è una canzone che ai suoi tempi ha avuto successo?
Non so se era famoso J-Ax. Questa poteva andare in radio. Però anche questa non me la ascolterei in realtà.

Passiamo a "Solo Hardcore" dei Colle Der Fomento. Qualcosa di molto diverso da "Tranqui Funky". Questa qui non ha il video, però c'è il testo se vuoi seguirlo.
Mi sembra quasi una filastrocca... Perché va a pezzi. Cioè, c'è la frase e poi, come le altre, si ferma. Va a scatti. Fa vedere la rima, mentre adesso la noti dopo un po' e non la prima volta che la ascolti.

Secondo te qual è il tema di questa canzone?
L'hardcore, ma non so cosa sia.

Diciamo che loro vogliono far vedere che sono i più puri a fare rap. Hardcore è un modo di essere, un modo di fare rap. Ci sono pochi strumenti, c'è solo il beat molto preciso e il ritornello non è nemmeno un ritornello, nessuno canta. "Tranqui Funky" invece è una canzone da ballare e allegra.
Questa secondo me è come la prima dei Sangue Misto, non mi piace.

Passiamo a Joe Cassano e Inoki, ascoltiamo "Giorno e notte".
Questa è un po' incasinata, perché ci sono due che cantano uno sopra l'altro. Se mi concentro su uno, poi non capisco cosa dice l'altro. Le voci sono molto diverse, ho capito subito che erano due. E non ci sono momenti in cui si fermano, quando si ferma uno c'è l'altro sotto.

E di cosa stanno parlando?
È un po' più aggressiva, quella prima di J-Ax era molto più allegra e divertente mentre in questa sembrano quasi arrabbiati mentre la dicono. Mi piaceva di più quella di prima. Tra questi due che cantano mi piace meno quello con la voce più acuta, Joe. Mi dà fastidio e mi sembra stonata.

Questo è Kaos con il suo classico "Cose preziose". Cosa ne pensi?
Questo qua sembra un altro che non credo sia molto famoso, perché sta tipo parlando di amore, no? Il testo secondo me assomiglia a "Sei così bella" di Gionny Scandal. Mi sembra stia parlando di una persona. Sta parlando "Tu cammini con me", e quindi di una persona.

Personifica la musica, che gli ha salvato la vita. È come una metafora.
È un po' triste anche questa, non come quella prima di J-Ax.

Che voto gli daresti da 1 a 10, ora che hai ascoltato un po' di rapper vecchia scuola?
Uhm... Direi un 7.

Ma allora ti piace!
Secondo me questa non ha fatto molto successo, però.

Adesso ascoltiamo "Aspettando il sole" di Neffa. Questa andava su MTV, pensa.
Anche questa è lenta. Mi dà tristezza anche da come è fatta, tutta buia. Dal titolo, "Aspettando il sole" ed è buio, mi sembra che dica tipo "Aspettando la felicità". La cambiamo? 'sto qua che canta non mi piace proprio.

Parliamone prima! È triste ma è bella o brutta?
È triste e brutta.

Quindi è la più brutta per ora?
Sì. La più bella era J-Ax, fino ad ora.

Passiamo ai Sottotono, ti facciamo vedere il video di "Solo lei ha quel che voglio".
Anche qua ce n'è uno col vocione e uno con la voce stonata.

Loro sono due, uno è il produttore.
Cioè l'altro sta solo lì per far scena?

Nel video sì, ma è quello che ha composto la musica, mentre quello che canta il ritornello nel video non c'è.
Non mi piace, il ritornello. Lui che rappa mi dà sempre l'impressione di essere lento. E poi 'sta cosa che sono in due non mi piace, cambiano ogni secondo. Non mi piace il fatto che si incrocino continuamente.

Secondo te questa canzone ha avuto successo ai tempi?
Penso di sì. Perché ho visto le visualizzazioni! Però secondo me questa non si può ascoltare tanto in radio. Io non la ascolterei, comunque. Le darei un 5. Mi dà fastidio che ci sia il bianco e nero e come girano i video, si vede che è vecchio. Poi adesso alcune canzoni, tipo "Dexter" di Sfera, fuma sempre, "sto fumando piante carnivore". Questi invece non lo fanno molto vedere. Magari non fumavano proprio.

In realtà il cantante in particolare fuma davvero tanto!
Però almeno non lo fa vedere nei video.

È una cosa positiva o negativa questa?
Per me è positiva perché se fumi, bene. Non è che sei bravo: muori prima se fumi. Se fumi le sigarette ok, ma se cominci a fumare chissà che cosa sembri scemo.

Facciamo un saltone e passiamo a "Foto di gruppo" di Bassi Maestro.
Questa è un po' triste, anche la musica con i "din din" che sembrano un carillon.

Sì, è proprio il gioco che voleva fare lui.
Secondo me questa non ha fatto molto successo. Anche di ascolti non ne ha fatti molti. Le darei 3/10.

Poverino! E di cosa sta parlando? Cosa ti fa immaginare?
Degli amici, di quelli però vecchi, che non vedi da tanti anni.

Non è un po' simile ad alcuni pezzi di Sfera dove parla della sua crew, dei ragazzi che stavano con lui?
No, non ci noto nulla di simile. Quelli di Sfera mi mettono allegria, anche per i colori.

Tu di solito la musica la ascolti da YouTube?
Sì, da Spotify mi fa incazzare. Dovrei pagare per scegliere la canzone che voglio ascoltare, e con la modalità casuale io non becco mai quella che voglio e mi stufo. Poi non guardo sempre il video, se voglio rilassarmi non guardo il tablet o il telefono, mi sdraio e la ascolto. Ma la maggior parte delle volte la guardo, perché così mi rimangono anche in testa alcuni gesti che poi mi portano al pezzo.

Questa è un disastro quindi, non ti è piaciuta.
Mi spiace per lui.

Dalla prossima ti nascondo le views, così non ne hai idea! Passiamo ad "Applausi per Fibra" di Fabri Fibra.
Fabri Fibra lo conosco.

Ti faccio una domanda trabocchetto. L'hai visto il tizio là dietro? L'hai già visto nelle canzoni precedenti. Secondo te in quale?
Non me lo ricordo... forse in quello di J-Ax?

No, lui è quello che non faceva niente nel video in bianco e nero. Dieci anni dopo è ancora lì che non fa niente, ma in un altro video. Si chiama Big Fish e ha composto la musica di questa canzone.
Questa qua l'ho già sentita! L'ho ascoltata a caso un giorno.

Come hai fatto? Con la riproduzione automatica?
Fibra lo conoscevo, ho guardato le sue vecchie canzoni su YouTube. Ultimamente sto cominciando a guardare le tendenze. Ho scoperto Il Pagante, che mi piace abbastanza, e anche la sua ultima canzone.

Abbiamo fatto un video con Il Pagante. Questa canzone che cosa ti fa venire in mente?
La base l'ho già sentita, in realtà. È da mezz'ora che dice "Applausi per Fibra"... Assomiglia un po' a "Ulisse" di LowLow. Che fa tipo "Salve direttore..." e fa una rapina in banca, e va dal presidente... la canzone in sé no, però.

Rispetto ai video che abbiamo visto finora questo come lo trovi?
Non poi così vecchio, è lo sfondo che mi fa strano. Questi video sono tipo in delle stanze, che quindi si muovono. In "Cono gelato" sono fuori, fanno girare le macchine... e anche in "Gucci Gang", e un po' più o meno in tutte. E questo video ha i tagli, da un soggetto passa a un altro. Mi sa di vecchio. Comunque non è male, le darei un 7.5. Forse perché lo conosco un po'. Secondo me è da ascoltare quando uno si sente escluso e vuole essere notato. Continua a dire "applausi", come se non lo cagasse nessuno.

Cerca di isolare la canzone dal video. Secondo te questo è un pezzo più moderno rispetto a quelli di prima o è più o meno la stessa roba?
Forse questo è un po' più moderno perché è più veloce, non si fermano molto dopo ogni frase e ogni rima. Anche i suoni sono più moderni, non c'è più lo scratch, che nelle canzoni di adesso non si usa più.

Ti sveliamo che questa è stata una canzone dal successo clamoroso. Il rap italiano ha avuto un momento di successo negli anni Novanta abbastanza limitato a pochi gruppi, non era mai stato il genere più ascoltato dai giovani. A seguito di quel momento ci fu una crisi abbastanza grossa e questa singola canzone è quella che ha sfondato tutto, è arrivata sulle radio e in televisione, hanno messo Fibra sulle copertine dei giornali e da lì in poi il rap non si è più fermato.
Però mi sembrava troppo ripetitiva. Questo "applausi per Fibra" era sempre lo stesso... la canzone dura quattro minuti, ma durerebbe due.

Questa cosa non la ritrovi molto anche adesso? Nella DPG, per esempio?
Sì, certo. Però è più veloce, e quindi la ripetizione non la senti allo stesso modo. Se dici "applausi" più veloce, come "Gucci Gang", è un'altra cosa. Sembra quasi una canzone e non tante parole ripetute.

Ok, eccoti i Club Dogo, da Milano, con "Una volta sola". Lui lo conosci, Guè Pequeno?
Poco. La città mi sembrava Londra. Anche questa mi sembra "Ulisse", è sempre uno un po' arrabbiato. È tipo una storia, ma messa come una canzone. È abbastanza bella ma mi dà fastidio 'sta cosa del bianco e nero, perché io li guardo molto i video.

Prova a non pensare al video.
In realtà è bella, questa potrebbe avere avuto abbastanza successo sia come vendite che come radio. Mi piace, ma non le darei più di un 7.

Ti facciamo vedere un altro loro video, "Spaccotutto".
Non è bello, come video. La qualità, dico, boh. Tutti 'sti colori, viene il rosso, viene il nero...

Ma non assomiglia ai video trap?
No, secondo me no.

Questa ti piace di più o di meno di quella di prima?
Questa un po' di più, però adesso stanno iniziando a mettersi le robe tipo gli orologi, la maglietta con la scritta... Ma non la riascolterei. Non capisco neanche bene le parole. Tipo, 'sto "501" non ho capito a cosa si stava riferendo.

Ti faccio sentire un altro pezzo, dimmi se assomiglia di più a quello che ascolti tu. Si chiama "Accalappianani" e il cantante è un rapper di nome Vacca.
Ma i capelli sono i suoi?

Sì!
Come look mi sembra più contemporaneo. Come musica mi sembra più vecchia per i termini. O io son piccolo e non li capisco o loro sono vecchi.

Marracash lo conosci?
No.

Ok, allora ti faccio sentire una sua canzone. Si chiama "Badabum Cha Cha". È il suo pezzo più famoso ed è di 8 anni fa. Avevano speso una marea di soldi per fare questo video, con gli elefanti e tutto.
Ma tipo, qua che ci son gli animali, tu lo sai se la tigre nel video di "Gucci Gang" è vera o finta?

Se hai il dubbio che sia vera, allora probabilmente è vera. La canzone di Marracash come ti sembra?
Non capisco di cosa sta parlando, 'sto "Badabum Cha Cha". Mi ricorda gli arabi... "Badabum Cha Cha" come le robe dei tamburi, tipo? E poi si vestono in un altro modo. Ora che ho visto questo, quelli là avevano solo la canottiera, il cappello e i pantaloni larghi. Mentre la DPG e Sfera hanno ottomila collane.

Marracash tra l'altro è stato il primo rapper "famoso" a dare una possibilità a Sfera, hanno anche cantato insieme in un pezzo. Ti faccio sentire una sua canzone più recente, "Rapper criminale".
Ecco, questa canzone mi sembra molto più attuale. Mi dava quasi fastidio che prima nelle canzoni si sentiva poco la voce, mentre qui è molto alto il volume. Questa mi piace, gli do 8. Perché è un po' più nuova. Penso che la riascolterei.

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La leggenda dei fratelli Gallagher

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" Liam non si presentò al nostro concerto al V Festival perché era sbronzo. Diceva di avere la laringite, o qualcosa di simile. Nei media parlarono molto male di noi, e lui era convinto che io fossi una sorta di burattinaio dei media inglesi. Arriviamo a Parigi e lui comincia a insultare giornalisti chiamandoli per nome, dicendomi di dire a persone che non ho mai conosciuto che lui li avrebbe ammazzati di botte. Io non avevo idea di quello che stesse dicendo".

Così Noel Gallagher ha raccontato l'inizio del litigio che ha portato alla fine di una delle ultime grandi rock band del secolo scorso. In un backstage di Parigi, tra chitarre brandite come mazze e dichiarazioni di resa cinque minuti prima dell'inizio di quello che sarebbe stato il penultimo concerto del tour di Dig Out Your Soul. Il giorno dopo gli Oasis avrebbero dovuto suonare in Italia, ma quello show non ci sarebbe mai stato. La fine di una delle grandi esperienze chitarristiche dell'ultimo decennio del Novecento era arrivata così, dal nulla - non con uno schianto, ma con un lamento.

È da tempi biblici che il rapporto tra fratelli viene raccontato attraverso la narrazione del conflitto, e lungo il corso della storia sono stati molte le reincarnazioni di Caino e Abele. In ambito musicale viene facile pensare ai fratelli Ray e Dave Davies, che condivisero lungo la loro vita privata e la loro esperienza nei Kinks gravidanze, tentativi di suicidio e innumerevoli scontri più o meno pubblici. Una delle più famose, ampliandoci ad altri ambiti, è quella dei fratelli Adi e Rudi Dassler. Nel 1924, fondarono assieme una fortunata fabbrica di scarpe. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, un aspro litigio li portò a separarsi e a fondare due brand che hanno fatto la storia dello sportswear: Adidas e Puma.

Ora, non che i Beady Eye di Liam o gli High Flying Birds di Noel abbiano avuto lo stesso impatto culturale sul mondo Occidentale di Adidas e Puma, ma è affascinante capire come due personalità estremamente forti tendono a reinventarsi una volta che il legame di sangue che li unisce diventa secondario rispetto al proprio benessere. È dallo scioglimento degli Oasis che il rapporto tra i due fratelli di Manchester, impegnati nei rispettivi progetti solisti, non ha fatto che continuare a incrinarsi tra frecciatine taglienti e finte riconciliazioni. Questo però, unito alla loro lunga storia di screzi, non ha fatto che aumentare il loro potenziale leggendario.

Già nel 1994 Noel abbandonò la band per ripicca dopo che Liam aveva sbagliato apposta il testo di "Live Forever" e gli aveva dato una tamburellata in testa. L'anno seguente, Noel restituì il favore al fratello colpendolo in testa con una mazza da cricket perché si sentiva disturbato da una sessione d'ascolto che Liam aveva organizzato nello studio dove stavano registrando (What's The Story) Morning Glory?. Nel 1996 Noel sostituì il fratello durante le registrazioni di una puntata di MTV Unplugged, e Liam pensò bene di gridargli contro durante l'esibizione prendendolo per il culo per la sua voce. Già solo il loro rimanere assieme negli anni, nonostante tutto questo e molto altro, è un piccolo, fantastico miracolo.

Liam Gallagher, fotografia promozionale. Credit: RANKIN.

Con la progressiva scomparsa della rockstar per come la intendiamo tradizionalmente - la persona che, con la forza di una chitarra e una canzone, fa cantare le folle con sé diventando una sorta di figura messianica combattendo al contempo contro la sua stessa natura guerresca - è ormai difficilissimo costruire attorno alla propria persona quell'aura fantastica propria del protagonista della favola e dell'epica. I fratelli Gallagher sono tra gli ultimi a esserci riusciti, sulla forza di una poetica universale ed edonista che nascondeva le numerose imperfezioni nel loro rapporto. "Mi troverai in una supernova di champagne nel cielo", cantava Liam, permettendo a chi lo ascoltava di toccare con mano il sogno di un eccesso; "Per strada si dice che il fuoco nel tuo cuore si sia spento", diceva in quella preghiera collettiva che è diventata "Wonderwall", parlando a un "tu" perfetto per essere reso simulacro degli affetti di chiunque fosse all'ascolto.

Quelle canzoni continuano a risuonare per i club, i palazzetti e i campi di mezzo mondo, ormai patrimonio della gente tanto quanto delle due anime infuocate che le avevano create. Sia Liam che Noel mettono nei loro set pezzi degli Oasis, decisi a non mollare la presa sull'ideale eredità della creatura musicale che hanno cresciuto assieme e di cui persero il controllo dopo il successo folgorante di (What's The Story) Morning Glory?, cadendo in un vortice droghereccio che li portò a creare il traballante Be Here Now. È come se, dopo album e album nati sotto un cattivo segno, i due avessero cominciato singoli percorsi di costruzione dell'identità che li hanno portati, lo volessero o no, a conclusioni piuttosto pacifiche in cui non è impossibile leggere la possibilità di una riconciliazione, anche solo come gioco narrativo.

Prendiamo uno dei pezzi più conosciuti dei Beady Eye di Liam, "The Roller": "Eccomi qua, a non odiare nessuno, arrivo, arrivo", cantava, dichiarandosi guarito dall'astio che aveva messo le radici tra le pieghe del suo cervello. In "Ballad of the Mighty I", Noel lasciava aperta la questione del destinatario del suo lamento di innamorato abbandonato: chi è che "ha seguito fino alla fine del mondo"? Una donna, forse - ma quando canta di "riunirci per un'ultima impresa" non sembra rivolgersi al fratello? Non è bello pensare che al posto del narratore e di Sally, in "Don't Look Back in Anger", ci possano un giorno essere proprio loro due, fratelli pronti a lasciarsi dietro tutto il male che si sono fatti?

Noel Gallagher, fotografia promozionale. Credit: Lawrence Watson

Fuori dalla forma-canzone, però, Liam e Noel sono stati ben attenti a dichiararsi sempre contrari a una vera reunion della band. In un continuo botta-e-risposta mediatico in cui è difficile distinguere gossip e realtà, i due hanno cercato di farsi impazzire insultandosi in vari modi. Ci fu quella volta ch Liam chiamò suo fratello "una patata" (e quelle altre in cui lo definì "un traditore della classe operaia", e "un cazzo di stalker", e "una ragazzina"). Ci fu quell'altra in cui Noel suonò delle forbici durante un'esibizione in TV per far arrabbiare Liam, riuscendoci. Ma a marzo 2015 Liam andò a vedere un concerto del fratello, e a dicembre 2017 pubblicò un tweet augurandogli un buon natale. I due, a quanto dichiarò, avevano "stabilito una tregua". Neanche un mese dopo, Liam twittò "Vaffanculo la tregua".

È difficile capire se Liam e Noel sono più simili a guerrieri vichinghi felici di passare l'eternità a guerreggiare nel Valhalla o ragazzini dispettosi che esprimono il loro affetto reciproco tirandosi coppini e facendosi pizzicotti. Da un lato continuano ad alzare l'asticella dello scontro scegliendo epiteti creativi per dirsi l'un l'altro quanto fanno schifo, dall'altro si ricordano ogni tanto della possibilità di smetterla di prendersi a (ormai metaforiche) bastonate. La fregatura è che entrambi giovano della leggenda che si è creata attorno alla loro rivalità. Che interesse hanno a seppellire l'ascia di guerra, i fratelli Gallagher, quando ogni loro dichiarazione che contiene il nome del fratello e/o la parola "Oasis" genera un ciclo di news attorno a cui si costruiscono gag, ipotesi e commenti?

Essendo prodotti dell'ingegno di due esseri umani assorti allo status di divinità del rock contemporaneo, gli album solisti di Liam e Noel farebbero parlare di sé anche se non venissero letti tramite il filtro del confronto. Quando Liam canta "Per quel che vale, mi spiace per il male che ho causato / Sarò il primo ad ammettere di avere sbagliato" nel terzo singolo tratto dal suo nuovo album solista, As You Were, è bello immaginare che nella sua testa ci possa essere anche il fratello tra i destinatari del pezzo. Ma fuori dalla cornice irreale della canzone, dobbiamo ricordarci che Noel è una persona che spostava i mobili di notte per convincere suo fratello che fosse tormentato dai fantasmi.


L'articolo continua dopo il link, torna su a leggere quest'altro quando hai finito:


Sono diventati simboli, i fratelli Gallagher, oltre la loro musica e la loro persona. Liam è un simbolo di spavalderia e spacconaggine. Nel nostro piccolo, ce ne siamo accorti quando anche uno degli esponenti più brillanti del nuovo rap italiano, Rkomi, gli ha dedicato una canzone: "Oggi mi sento così Gallagher, come Liam / Così Vasco, che se mi girasse il cazzo / Li rimando a casa propria". Noel, invece, è un simbolo di sapiente attendismo capace di trasformarsi, nel nulla, in fiera aggressione: felice di parlare di storie immaginarie nei suoi testi, ma anche di rispondere per le rime alle provocazioni del fratello e a non concedergli mai di dominare la conversazione sul loro rapporto.

La reunion degli Oasis è uno di quei frutti proibiti di cui gli Adamo ed Eva del rock non osano immaginare il sapore. Sarebbe una baraccata o una splendida riconciliazione? La leggenda dei fratelli Gallagher avrebbe lo stesso fascino su di noi se si concludesse con un lieto fine o ha bisogno di mantenere un aspetto tragicomico per continuare a tenerci incollati agli schermi ogni volta che sentiamo Liam e Noel riferirsi l'uno all'altro con termini squisitamente brit come "gobshite"? La risposta non c'è, per ora, ed è bello così. Come è bello, concludendo il nostro gioco interpretativo, di pensare alle parole di "The Masterplan" come se uscissero da quel pezzetto di coscienza che i fratelli Gallagher condividono: "Sta a noi rendere belle tutte le cose che ci succedono / Perché tutto quello che è stato e stato / E la risposta sta nello specchio".

Liam e Noel Gallagher suoneranno assieme al prossimo I-Days Festival, che si terrà tra giovedì 21 e domenica 24 giugno nell'area Expo di Rho, appena fuori Milano. Saranno in giorni diversi, uno il venerdì e uno il sabato, ma si sa mai che a uno dei due parta il ghiribizzo di restare un giorno in più, e magari di tendere una mano all'altro. Per ogni evenienza, ci saremo anche noi di Noisey con uno stand dedicato. Acquista i biglietti per il concerto e scopri il resto della line-up del festival.

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Recentemente abbiamo fatto intervistare Liam da una classe di bambini dell'asilo, questo è quello che è successo:

Meek Mill ha rilasciato un'intervista dal carcere

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Lo scorso novembre, Meek Mill è stato condannato da due a quattro anni per aver violato la libertà vigilata a cui era sottoposto dopo un arresto del 2008. Meek è stato fermato dalla polizia di New York lo scorso agosto: dopo aver registrato un'apparizione televisiva, aveva fatto una diretta su Instagram in cui diceva di essere uscito di notte a girare su moto da cross con alcuni fan.

Una volta tornato in prigione, Meek ha ricevuto supporto non solo dai suoi colleghi ma anche dal mondo dello sport. JAY-Z ha scritto un articolo per il New York Times condannando il comportamento predatore del sistema giudiziario statunitense nei confronti della comunità nera, Drake ha dichiarato vocalmente il suo supporto a Meek durante un concerto; lo snowboarder sloveno Tit Stante ha scritto #FreeMeekMill sulla sua tavola alle ultime Olimpiadi invernali, e il giocatore di basket James Harden ha fatto lo stesso sulle sue sneaker durante una partita di NBA.

Ora, Meek ha rilasciato un'intervista all'edizione statunitense di Rolling Stone in cui ha parlato di quello che gli sta succedendo. Ha cominciato rivelando che non ha ancora visto la sua famiglia da quando è in carcere perché non vuole essere visto nello stato in cui si trova:

"Non li lascio venire, se mi vedessero cosìcon la barba alla cazzo, i capelli tutti unti—sarebbe come se fossi davvero qua dentro. E non lo sono."


Ha poi parlato di un episodio del processo in cui la giudice Genece Brinkley gli ha chiesto di cantargli un pezzo dei Boyz II Men, "On Bended Knee":

"Nicki [Minaj] è scoppiata a ridere ma io le ho preso la gamba e le ho detto, 'Yo, c'è in ballo la mia vita'. Ho provato a dire al giudice, 'Con tutto il rispetto, ma non è roba mia. Sono un rapper di strada di Philadelphia, non un fighetto'. E lei mi risponde, in modo davvero sarcastico, 'Bè, ok. Faccia come meglio creda.'


Meek ha dichiarato che ha passato diverso tempo a pensare a quello che farà non appena verrà rilasciato. "Voglio parlare di questo sistema e di quello che fa alle persone di colore—da entrambi i cazzo di lati". Ma la cosa che gli preme di più è andarsene da Philadelphia: "Fidati di me, ne parlerò eccome. E poi mi trasferirò ad Atlanta".

La storia dell'incarceramento di Meek resta incredibilmente triste. Quando aveva 19 anni venne arrestato per possesso d'armi. Avrebbe dovuto passare 23 mesi in carcere, ma ci è dovuto rimanere quasi per il doppio del tempo. E adesso è di nuovo dentro per aver violato una libertà vigilata legata a un caso di dieci anni fa. Entrare nei dettagli dei problemi del sistema carcerario americano è un compito troppo importante per liquidarlo in questo paragrafo: sappiate che, come ha detto il procuratore generale degli Stati Uniti durante la presidenza Obama, James Holder, "Troppi americani vanno in troppe carceri per troppo tempo, e per nessuna buona ragione".

L'America ha bisogno di riempire le proprie prigioni, e questo impedisce alle persone che finiscono in mezzo al sistema di vivere delle vite normali. Meek viola la sua libertà vigilata ogni volta che attraversa il confine tra due stati, e quindi non può svolgere la sua professione; lui prova ad allontanarsi dalla vita che un tempo viveva, ma così facendo viene criminalizzato. Docu-film come 13th e libri come The New Jim Crow hanno sensibilizzato molte persone sulla questione delle incarcerazioni di massa, ma la storia di Meek dimostra che la celebrità non è sempre uno scudo contro il sistema. Che cosa può succedere a chi si trova in una situazione del genere ma non ha una piattaforma per far sentire la propria voce?

Questo articolo è comparso originariamente su Noisey US.

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