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Quanto è deludente Vasco Brondi quando hai trent'anni

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Confessioni è la rubrica di Noisey in cui scriviamo perché ad alcuni di noi piacciono le cose che non vi piacciono. 

Sono poche le soddisfazioni dell'avere trent'anni nel 2017: il diritto di rimanere a casa nei weekend, l'orgoglio di avere ancora abbastanza capelli nonostante la stempiatura e passare le domeniche a ricordarsi di com'era il mondo prima dell'incertezza, della post-verità, di Trump, della Le Pen, di Grillo. Ecco, Grillo: nel 2008 era passato appena un anno dal V-Day, una giornata particolare alla quale avevo partecipato. Tempi lontanissimi, giorni in cui il blog del futuro capo dei Cinque Stelle era un luogo diverso. Avevo iniziato a frequentarlo, e a conoscere il Beppe politico, con il caso Aldrovandi.

Federico, un ragazzo di Ferrara, ha passato la nottata al Link—locale piuttosto famoso a Bologna. Si fa lasciare dagli amici vicino casa, abita dalle parti dell'Ippodromo. Dei poliziotti in volante vedono sto ragazzetto in stato di alterazione psicofisica e decidono di abbatterlo a manganellate. Lo uccidono, e l'odore di sterco di cavallo si mischia a quello del suo sangue. L'opinione del paese si spacca. Grillo difende con forza le parole della madre di Federico, e la storia diventa un caso politico. In quegli stessi giorni, sempre a Ferrara, un altro ragazzo, Vasco Brondi, sta scrivendo i testi delle sue prime canzoni. In uno dice: "Proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili e proteggi le sopracciglia dai manganelli".

In quegli anni a Bologna c'era un fermento musicale DIY che non ve lo sto manco a dire. I Verme e i Laghetto non si erano ancora sciolti, per dire. Sarei un coglione e un bugiardo se vi dicessi di essere stato un ascoltatore di quel tipo di musica a vent'anni: ero un tizio molto più medio. I miei gusti musicali andavano di pari passo con le magliette rock taroccate che si vendevano alle bancarelle dei mercati del fine settimana.

Nel 2007, Brondi si autoproduce una manciata di canzoni. La demo comincia a girare tra le mani degli adolescenti da Verona a Bologna, passando soprattutto per Ferrara. I testimoni di quel periodo raccontano di 'sto tizio emozionarsi e non credere ai propri occhi a ogni cd venduto. Qualcuno, anni più tardi, considererà quel demo e quei concerti come il suo punto artistico più alto. È abbastanza da far sì che il suo esordio esca per La Tempesta, all'epoca considerata la nuova grande speranza per la musica indipendente italiana. Insomma, erano gli anni in cui Manuel Agnelli faceva Il paese è reale. Vasco faceva, invece, Canzoni da spiaggia deturpata

È la mano di Gipi a rendere fin da subito riconoscibile l'estetica dell'album: un acquarello di un ammasso di verde soffocato da luci al neon, pioggia e palazzi di provincia. I movimenti della chitarra sono affidati alle mani di Giorgio Canali, padre adottivo di Brondi. Le musiche sono devastanti nella loro semplicità: arpeggi composti da quattro accordi in croce che diventano presto plettrati, e sopra una voce sgraziata. I testi erano ambigui e confusi, a tal punto che potevano essere ugualmente percepiti come un ammasso di parole alla cazzo di cane o come qualcosa di attraente e ispirato. Per me, e per buona parte della critica italiana, era la seconda. 

Nel 2008 una generazione di ventenni doveva fare i conti con la digitalizzazione delle relazioni sociali e la fine di ogni rimasuglio di rivoluzione socialista ("I CCCP non ci sono più"), e Brondi venne percepito come il cantastorie di quel preciso spaccato sociale—di cui facevo indubbiamente parte. Nel farlo, romanticizzava l'arte involontaria di un paese invecchiato male: rendeva bizzarre attrazioni le luci delle centrali elettriche, le zone industriali abbandonate, i neon dei segnali. Parlava di politica universitaria e istinto, fisicità e morale. Viene incapsulato nell'angoscia di quella che è diventata la sua dichiarazione più celebre: "E cosa racconteremo ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero."

Brondi sale subito su un palco importante, quello dello Sherwood Festival. Intervistato per l'occasione, confessa la totale casualità del suo successo e parla di come il demo presentato ai tempi a Enrico Molteni fosse, secondo lui, troppo grezzo. La cosa più interessante è la sua affezione nei confronti di Canali, al punto da dire di sentirne la mancanza quando non l'accompagna sul palco durante i grossi concerti. Come facevo a non volergli bene? C'erano, però, segnali di quello che sarebbe diventato, dato che nella stessa intervista dice: "Nella prossima vita farò musica per sculettare, per tirare su le tipe da portarmi in albergo a fine serata. Nella prossima vita. Ecco, questa ormai l'ho gestita così."

Il periodo che va dal 2008 al 2011 è quello d'oro, per Le Luci. Brondi apre concerti a chiunque, tutti ne parlano con una certa emozione o ansia da prestazione, ha un pubblico che quasi fa la ola. Vince il Tenco e, intervistato da Morgan, tira fuori la frase più bella del decennio: "Non si può più fare De Andrè con la chitarra acustica." Tra le divisioni partitiche che affliggono il mondo dei giovani italiani musicofili ce n'è una che è ormai un classico: c'è chi passa le serate delle feste Erasmus a suonare un greatest hits italiano con una Eko a tracolla e una San Miguel in mano, e chi invece all'ennesimo "Gianna Gianna Gianna sosteneva!" scoppia un'ulcera. Una rottura che ha creato equivoci dolorosi, se dici che ti piace Luca Carboni a un fan dei Negazione rischi la decapitazione—a soffrirne sono quelli, come me, che apprezzano entrambi. L'unicità di Vasco Brondi, credo, stava nella sua ambiguità: nel suo essere chitarrista da spiaggia e ugualmente possessore di una certa irrequietezza propria del punk.

Nel 2009, Baldini Castoldi raccoglie i post del blog di Brondi, un cult tra i ragazzi dell'epoca, e ne tira fuori un libro. Vasco è subito storicizzato, messo in prima fila in un supposto risorgimento della musica italiana. Sono tanti a sfondare in quegli anni: i Ministri, gli Zen Circus, i Julie's Haircut, i Fine Before You Came. Ma Vasco sfonda un po' di più—sarà poi per quella sua esigenza di voler essere scrittore più che cantante. C'è chi lo idolatra e chi proprio non lo manda giù, al punto tale da divenire in tempi brevi anche oggetto di critiche nazional-popolar-digitali, vedi il generatore automatico di frammenti vascobrondiani. Ma, andando oltre la correttezza sintattica e certi aspetti ballerini del suo scrivere, si potevano intravedere in lui le influenze della via Emilia di Tondelli e dell'odore dei suoi cessi, dei vagabondi di Cavazzoni, delle lente passeggiate sulle foci del Po di Celati.

Poi, arriva Per ora noi la chiameremo felicità. È un album che abbraccia la struttura del fratello maggiore, un grosso rischio se il precedente è già un monolite. Parte della critica non apprezza l'ostentata somiglianza delle canzoni alle precedenti: Brondi che imita Brondi. Una critica da far cadere le palle, credo, ma è pur vero che l'album era meno potente del precedente. "Cara Catastrofe", che apre l'album, finisce ovunque. Anche su RockTv , a una parolaccia di distanza da Pino Scotto. "Licenzieranno altra gente dai call center", diceva Brondi, e nel 2010 tutti avevamo parenti o amici nei call center, un po' come ai tempi della Fiat e l'Olivetti del boom economico—con l'unica umiliante differenza sul piano sociale e di qualche diritto andato in malora. Per me, Brondi riusciva a rendere romantiche le brutture del tempo.

Il suo EP successivo, uscito come allegato di Repubblica XL, è un mezzo flop. L'impressione fu quella di trovarsi di fronte a una semplice operazione commerciale, organizzata seguendo l'onda del successo per spremere l'arancia finché succo ce n'è. Lo stesso anno, una nuovo eroe del giorno si affaccia sulla scena, coloratissimo per nascondere il suo nichilismo, e, in un certo senso, sancisce la fine del Brondi-simbolo-di-una-generazione. È Niccolò Contessa, o I Cani, che canta "Nichilisti col cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco Brondi, che appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno." Ed era davvero così.

Personalmente, non ho mai capito certe accuse a Brondi basate su un suo supposto fare musica per scopare o divertirsi. Perché in fondo l'immaginario che Brondi cantava era il mio. In quegli anni vivevo Bologna tra spritz da un euro, bottiglie spaccate in piazza Verdi, notti in centri sociali con il giubbone riempito di vino e sudore. La mia storia può valere a Bologna come a Milano, Roma o Torino: basta cambiare il nome delle vie e dei luoghi. Passavo sul ponte di Stalingrado, ubriaco e zoppicante, e vedevo in lontananza i palazzi del Fiera District di Kenzo Tange; sotto di me, i vagoni arrugginiti della stazione centrale. Sapevo da dove Brondi aveva attinto per la sua scrittura, e mi è sempre bastato questo. 

Il passo successivo, nel 2014, fu la realizzazione di quella cosa sulla musica per sculettare che Vasco aveva detto nel 2008, sotto forma di Costellazioni. Quando ascoltai "Macbeth nel Deserto" e "I Destini Generali" ci rimasi così male da saltare il resto dell'album. Che fine aveva fatto quella roba istintiva, imperfetta e sgraziata—almeno fatemelo credere—che era stata? Costellazioni era un album pop, con tanto di coretti e ammiccamenti a un pubblico del quale non facevo più parte. 

Nell'Italia musicale capita che ogni musicista affermato, dopo un primo periodo di eterogeneità dei tipi di ascoltatori, alla fine riesce a trovarsi un insieme più o meno grande di affezionati. Non so come scriverlo senza sembrare un po' coglione, ma il dente me lo voglio togliere lo stesso: il pubblico del Vasco dopo il successo è una cosa che non posso sopportare; penso sia, antropologicamente parlando, affine a quello che commenta le foto di Tommaso Paradiso su Facebook. Questa cosa di un Brondi felice, che viaggia per il mondo e vive a New York, che scrive le hit estive per Jovanotti stava succedendo davvero?

L'aneddoto su Tenco e la sua scrittura la sanno tutti. Durante un'intervista qualcuno gli chiese, "Perché scrivi solo cose tristi?" E lui, "Perché quando sono felice esco di casa." E non ascolti Tenco per festeggiare una promozione a lavoro, o per esserti appena pomiciato la tizia a cui è da un po' che fai il filo. Tenco è una di quelle cose viscerali che ti ascolti solo quando sei blu tutto dentro e attorno a te o, nel migliore dei casi, ti senti particolarmente meditativo. Ecco: questo piccolo e intimo gioco valeva, per me e per un po' di gente, con Le Luci della Centrale Elettrica. 

Oggi esce Terra, un album in cui Brondi ha promesso di cantare di cose come gli attentati di Parigi, gli immigrati, su ritmi africani e musica elettronica. Ho ascoltato qualcosa e niente, non fa per me. Lo so, non dovrebbe essere una roba così personale scrivere di musica, ma quello che sto cercando di dirvi non può essere oggettivo: ai tempi, ho vissuto Brondi come qualcosa di un po' intimo, quasi privato, mio. Sono così diverso, oggi, dal giorno in cui uscì la sua demo. E diverso è anche il mondo che cantava, dato che ormai neanche i lavori al call center ci son più. Ma a trent'anni ci siamo arrivati lo stesso.

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Forse non ve ne siete accorti, ma Lorde è cresciuta

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Parte del successo di Pure Heroine, l'album di debutto di Lorde, stava nel fatto che suonava davvero diverso da qualsiasi altra cosa stesse riempiendo la pop-sfera dell'epoca. Un breve riassunto: Miley si presentava come figura di ribellione e rottura, tutta MD e capezzoli al vento. Gaga usciva con Artpop, inizio del suo declino artistico. Timberlake aveva buttato fuori The 20/20 Experience, un doppio album goffo e prolisso. Britney era rinata con Britney Jean, puntando sulla tamarraggine più che sul messaggio: "You gotta work bitch", se ricordate. Assieme a lei, la grande esordiente era Ariana Grande; ma Lorde era decisamente più minimale, originale e sgamata di qualsiasi altra sua collega.

Il pezzo più adatto per capire la formula-Lorde è "Royals", il suo pezzo più famoso e identificativo. "Non saremo mai re e regine," cantava, prendendo per il culo l'ostentazione tipica dei suoi colleghi del pop e dell'hip-hop: "Non sono orgogliosa della mia città," "Ogni canzone parla di denti d'oro, Grey Goose, di trip al cesso" e così via. 

Ieri Lorde ha pubblicato "Green Light", il primo video e singolo tratto dal suo nuovo album Melodrama, che non ha ancora una data d'uscita. E che dire, è una mazzata di sentimenti. Lorde si presenta struccata, incazzata con il tipo che l'ha mollata, potente e orgogliosa di sé. "La tua tipa crede che ti piaccia andare in spiaggia, e io so che sei un cazzo di bugiardo," dice, per poi uscirsene con un bellissimo "Quegli squali bianchi hanno dei denti molto grandi, spero che ti mordano." 

Certo, il pezzo contiene anche dei momenti più riflessivi: "Verrò a prendere le mie cose, ma non riesco a lasciarti perdere," ad esempio. In un'intervista con Zane Lowe, Lorde ha decostruito chiaramente la canzone: "Non è una cosa di cui scrivo solitamente, mi ci è voluto un po' per capire come riuscirci. È stata la mia prima grande delusione amorosa," ha detto. "Il pezzo parla di quei momenti appena dopo che la tua vita è cambiata e inizi a gravitare verso pensieri idioti. Tipo quella cosa della spiaggia: è stupida, ma ci pensi. Poi mi sono chiesta come mai il pezzo suonava così gioioso, e allora mi sono resa conto che è come se fosse cantato da una ragazza ubriaca, tutta presa durante una serata, disperata per il suo ex e che tutti pensano sia un disastro. E oggi è così, ma da domani inizierà a ricostruirsi e ricostruire."

Insomma, resta che è bello sentire popstar parlare di sentimenti in termini relativamente complessi, per quanto in Italia il messaggio e il testo di un pezzo pop americano restino—per problemi linguistici e culturali, principalmente—l'ultimo dei pensieri della maggior parte dei suoi fruitori. Ma in fondo che gliene frega, a Randy Marsh, se non capiamo quello che canta? Sempre meglio farsi venire i mal di cuore scrivendo di storie finite che fare il suo lavoro di geologo. 

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DJ Paris Hilton continua la sua carriera musicale anche nel 2017

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Undici anni fa, Paris Hilton sganciò quello che oggi, con il senno di poi, possiamo tranquillamente definire come il miglior singolo pop di debutto di tutti i tempi: "Stars are Blind". Sfortunatamente, nonostante i suoi sforzi, non fu mai seguito da opere di simile qualità, e il sogno da musicista di Paris rimase tale: un sogno. RIP. 

Tuttavia, nel 2012, rientrò nel mondo della musica in veste di DJ, e da quel momento si esibisce sporadicamente. Ma ora Paris sta entrando in una fase nuova, più seria. Paris la Producer. In una sua recente storia su Snapchat la si vede armeggiare con un nuovo giocattolo, un sintetizzatore donatole dall'azienda ROLI. Nel video la si vede prendere a botte l'aggeggio con la finezza di un neonato che terrorizza un mini-piano, o forse è super esperta e sono io che non capisco il suo genio, producendo alcuni strani suoni prima di rivolgere lo sguardo all'obiettivo e mormorare: "Figata". Perché questi beat sono una vera figata. 

Guarda qua sotto e preparati per della vera merda d'avanguardia:

(Foto via YouTube)

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Come ha fatto l'EDM a diventare così lagnosa?

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Ho sognato / Che stavamo bevendo whisky / All'ultimo piano della Bowery / Ma non possiamo mai essere abbastanza in alto / Da qualche parte, lungo la via / Abbiamo smesso di guardarci negli occhi / Tu stavi fuori tutta notte / E io ne ho avuto abbastanza.


Questa che avete appena letto non è una strofa di William Carlos Williams recentemente scoperta e pubblicata per la prima volta. E non è neanche una citazione dall'ultimo album di Sun Kil Moon. Questo, amici miei, è un testo di Kygo e Selena Gomez. Prego, ascoltate con le vostre orecchie.

Il narratore di questo pezzo sta chiaramente soffrendo di una sorta di condizione di isolamento esistenziale, ma non è certo il solo: oltre a Kygo, ci sono un botto di produttori che tentano la carta introspezione. Uno è Zedd, che nel suo nuovo singolo "Stay" medita sul lato distruttivo dell'impulsività: "Sono benzina sul fuoco / Vieni, versati su di me / Lasceremo questo posto bruciare / Ancora una volta, solo una volta."

Ne volete ancora? C'è Martin Garrix, che sulla sua "Scared to Be Lonely" lascia spazio alle meditazioni di Dua Lipa: "Dov'era la sincerità? / Non l'abbiamo mai definita, ci allontaniamo come presi da una spirale / Mi ero dimenticata come ci si sente". "Seduta in salotto / Mi guardi, io ti fisso / Vedo dubbio, vedo amore." Un nuovo stralcio tradotto di Prèvert? No, ragazzi, è MØ sul nuovo pezzo degli Snakehips

Insomma, il trend è chiaro. L'elettronica mainstream sta provando a prendere le cose sul serio. Forse è un tentativo di prendere le distanze dalle torte in faccia e dalla leggerezza ostentata di Steve Aoki, dalle maschere da topo di deadmau5, ma il punto è che i produttori EDM americani hanno iniziato a buttare fuori canzoni con testi che potrebbero benissimo essere citazioni dei The Used. La formula di questa Emo-DM per ragazzi palestrati un po' tristi presenta con sincerità emozioni ampollose e senza sfumature, l'inizio e la fine di relazioni d'amore tortuose e viaggi internazionali. Insomma, cerca di costruire uno spessore emotivo usando con parole da poesie del liceo. Oppure, come dimostra il nuovo singolo dei Clean Bandit con Sean Paul, cercando di intrecciare pathos cinematografico e tropical house. 

Sono canzoni che vogliono farvi pensare tanto quanto vogliono farvi alzare le cazzo di mani. I produttori vogliono farvi capire quanto sono sinceri, cazzo, pronti a sputare il loro dolore come sangue (a patto che il suddetto sangue non sporchi le loro giacche giapponesi importate, che costano un botto). 

Il pop, ovviamente, procede per mode. Ma queste normalmente si manifestano attraverso uno stile di produzione, una qualità estetica, un dress code. Questo è, invece, un fenomeno narrativo. Come se l'elettronica da ballare avesse voltato le spalle al far festa per impegnarsi in tetre—sebbene completamente vacue—riflessioni sulla condizione umana. 

:'-(

I tòpoi sono quasi sempre gli stessi. C'è una ragazza, e c'è un ragazzo—entrambi abbronzati, e con una struttura ossea così perfetta che per averne una simile ti faresti tranquillamente aprire la faccia e spostare le ossa da un chirurgo slavo—e il loro mondo sta cadendo a pezzi. Ci sono ricordi nebbiosi della sera prima, e le narici vengono punte dalla puzza di una qualche cazzata ormai fatta. Magari hanno "preso una pillola a Ibiza" e si sentono come se avessero perso dieci anni di vita. O magari hanno passato troppo tempo a bere e fumare perché si sentivano troppo tristi, come capita a Justin Bieber in "Cold Water." Noralmente la tragedia trova le sue origini in una presa di coscienza, naturale o causata da una qualche sostanza. Oh, e ci sono un sacco di balconi. Balconi e terrazzi. 

Parliamoci chiaro: queste sono storie che raccontano problemi di gente privilegiata. Nel suo tentativo di essere presa più seriamente, l'EDM è diventata ossessionata dal suo desiderio di documentare gli strazi amorosi dell'1%. L'Emotional Dance Music parla dei problemi e delle paranoie tipiche di chi si sveglia in un attico a Manhattan con la testa pesante dalla sera prima, e si rende conto all'improvviso che la persona con cui si sta mandando foto di nudo su Snapchat da due settimane sta iniziando a comportarsi diversamente. Sono persone che hanno bisogno del vostro supporto emozionale tanto quanto hanno bisogno del vostro supporto finanziario. 

I Chainsmokers vi salutano.

Il che ci porta ai Chainsmokers, due ragazzi che—nonostante sembrino quel tipo di fighetti stronzi che vengono sconfitti alla fine di una commedia stupida dopo che hanno bullizzato il protagonista per un'ora e mezza facendogli trovare buste infiammate con dentro stronzi di cane sulla porta di casa—sono diventati i due producer più famosi e chiacchierati del panorama pop mondiale. 

I Chainsmokers hanno creato l'esempio Emotional Dance Music Definitivo: "Paris." È un pezzo che è arrivato in top ten nel Regno Unito, e si basa su molti dei tòpoi che abbiamo delineato prima: il senso di abbandono, l'ubriacarsi, una destinazione lontana e un terrazzo. È una canzone che prova così duramente a sembrare profonda che sembra quasi surreale. Per esempio, guardate come inizia il suo lyric videoParis \ pa-rəs \ n 1: un desiderio sentimentale di una realtà non genuina 2: una condizione irrecuperabile, una fantasia che evoca nostalgia o sogni a occhi aperti. Non si può neanche parlare di copia-incolla. I Chainsmokers coprono parole che gli sembrano profonde e la Torre Eiffel di colla, le lanciano contro a un muro e si fanno andare bene quelle che restano appiccicate.

C'è però qualcosa di più profondo, in tutto questo. I Chainsmokers rappresentano anche la contraddizione, o anche la schifosa ipocrisia, al centro di queste nuove emozioni che animano l'EDM. Perché non dobbiamo dimenticarci che, anche se cantano cose tipo "Se cadremo, cadremo assieme," nella vita vera sono persone che dichiarano, "Anche prima del successo, la figa è sempre stata il nostro primo obiettivo." Ovviamente sentire gente parlare di quanto gli piaccia la figa è disagiante di per sé, ma se la stessa gente produce musica così bigotta e autocommiserante è molto peggio. Almeno Mick Jagger era una persona coerente. 

Il che, in un certo senso, fa venire fuori il motivo per cui le paure esistenziali dell'EDM sono così fastidiose. I cuori spezzati e le storie prese male al centro di questi pezzi non sono altro che fantasie di maschi bianchi. Le ragazze sono solo angeli caduti che hanno bevuto troppo e non hanno voluto che il loro uomo le supportasse, e ora devono pagarne le conseguenze. Gli uomini, invece, recitano la parte dell'artista torturato. Come personaggi di Danielle Steel in versione millennial, sono disillusi e disperati per essersi resi conto di quanto ci si senta soli, in cima. Come Drake, ma senza un briciolo del suo fascino o delle sue capacità di scrittura. 

Mike Posner ha paura. Voi no?

I testi delle hit EDM di oggi si basano sul mito che la sofferenza sia interessante, che i produttori privilegiati che le hanno create siano degni protagonisti, e quindi sottendono che l'ansia e la depressione possano essere scorciatoie per raggiungere una maturità artistica. D'altro canto, che cos'è "I Took a Pill in Ibiza" se non un tentativo apatico di introspezione a cura di un tizio che ha ascoltato 808s & Heartbreak e ha pensato, "bé, forse bere e ballare, tipo, mi può far stare male?"

L'EDM era infantile e liberatoria, un tempo. Tutti si vestivano a caso, si mettevano costumi come a carnevale ed era una grande fiera di torte in faccia. Ora sta entrando nella sua adolescenza: ha quindi iniziato a piangersi addosso, ad abbandonarsi ai problemi triviali che solo un ragazzino può porsi. Il prossimo passo sarà la crisi di mezza età. 

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Com'è fare il discografico a Milano?

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Ho conosciuto Riccardo un annetto fa tramite un amico in comune. Non ricordo quando ho scoperto che faceva l'editore musicale, ma penso che abbia a che fare con il suo Instagram e una foto di un viaggio a Malta per fare da giudice a "un concorso canoro" che nella mia immaginazione ha subito preso le sembianze di un carnaio di lolite e uomini di mezz'età con le maniche di camicia e l'acufene (mi ha detto che non era così :( ). Riccardo lavora per la BMG, a Milano, che se condividi l'ufficio con dei cagacazzi ("puristi") come sono alcuni redattori di Noisey è uguale a dire che tiene in scacco Gotham per conto di Pinguino. Ecco, ho pensato che fosse il momento di fare breccia con un po' di senso di realtà su questo sito web, e capire come si lavora davvero in una grande casa discografica ed editoriale, e cosa ne pensa di panorama italiano, critica musicale e nuova scuola rap. Questo è quello che mi ha raccontato mentre cucinava la cena a cui mi ero autoinvitata.

Alla domanda come hai cominciato a lavorare nel mondo della discografia, di solito rispondo che ho avuto culo; c'è anche una versione lunga di questa risposta, che passa da Cheope (l'autore), il mio curriculum che si sposta di scrivania in scrivania, e un posto di lavoro temporaneo. Il risultato comunque è che da cinque anni lavoro nella sede italiana della BMG e faccio l'A&R Manager, ovvero per lavoro trovo talenti, li cresco, li indirizzo e curo la parte editoriale e artistica dei loro pezzi.

Per quanto sia banale dirlo, ho sempre voluto lavorare nel music business—essendo oltretutto ben consapevole dei miei limiti sul lato artistico—e se proprio mi tocca fare una cosa che non sopporto e citare la mia fonte di ispirazione non posso che dire Rick Rubin, per il suo lavoro trasversale con i Black Sabbath, i Beastie Boys, ecc, fino a fondare la Def Jam.

Ecco, trasversale è una delle parole chiave del mio lavoro: durante la giornata ascolto musica di ogni tipo , anche quella che non ascolterei mai, che si situa sicuramente anni luce oltre quella che la maggior parte di voi ammetterebbe anche solo di non spegnere se passa alla radio. Sarò onesto, la maggior parte delle proposte che mi arrivano sono una merda; il mio lavoro è pieno di stalker o, come si dice in gergo, cassettari. Da uno di questi proprio l'altro giorno ci è arrivata una canzone tremenda per Zucchero—cantata malissimo, stonatissima, solo che adesso non riesco più a levarmela dalla testa. Di solito dai cassettari arrivano anche richieste assurde, tipo conoscere artisti che magari sono morti da 20 anni. La musica è anche piena di matti.

Oltre alle candidature spontanee, ogni mattina ascolto le proposte degli autori del mio roster, italiani e stranieri. Il processo che seguo funziona in entrambi i sensi: se un pezzo non è stato scritto per nessuno in particolare sono io a cercare di immaginare per chi potrebbe funzionare; in altri casi un artista sta cercando nuovi brani, che noi creiamo ad hoc sulla base delle indicazioni dell'artista e delle nostre ricerche. Sì, ci sono miliardi di cose che produco che non ascolterei mai e non rientrano nei miei gusti, ma so che sono giuste e funzioneranno. È lavoro.

Ci sono però anche casi fortunati in cui gli artisti con cui lavoro sono quelli che ascolto nel tempo libero per prendermi bene o caricarmi—per esempio i 2nd Roof, che stanno benissimo nelle mie selecte di musica hip hop. Sono molto affezionato a questa "nuova scuola" di rap italiano che mescola a tendenze internazionali elementi esclusivamente italici, dalle squadre di calcio minori in avanti. Il motivo per cui non canto vittoria per il rap italiano però è che so che i cicli nella musica si avvicendano a velocità sostenuta, che per il rap tocca vette quasi schizofreniche. Oggi è così, domani chissà.

Anzi, dovendo fare un pronostico, io già da ieri (sono già grossi e voglio dare l'idea di non essere indietro) punterei sui cosiddetti gruppi indie pop: quelli grossi sono pochi—The Giornalisti, Lo Stato Sociale—e fanno grandi numeri; e le deviazioni soliste non sono da meno—a partire da Francesco Gabbani, Calcutta, Cosmo, Hugolini. Alcuni fanno quello che faceva Luca Carboni a inizio anni Novanta, solo che poi quella corrente è scemata, è tornata "underground" e finché lo è stata è stato figo dire che ci piaceva. Dato che credo di conoscere il mondo della musica italiana, aspetto che faccia di nuovo il botto per sentire qualcuno dire che "comunque a me Cosmo piaceva cinque anni fa".

Questo snobismo tipico dell'utente medio non è però solamente un carattere culturale del nostro paese: un po' dipende da quelle che io chiamo cordate prodotte dalle major. Per esempio c'è un filone classico-femminile-pop che dal 1994 ad oggi ha fatto staffetta dalla Pausini a Giorgia a Elisa a Emma Marrone e Alessandra Amoroso. Se da un lato mi pare ovvio che la gente dopo un po' non ne voglia più sapere, dall'altro c'è un motivo anche a queste scelte, ed è che nel panorama discografico attuale pochi possono rischiare. Quando avevi la Pausini di turno che vendeva vagonate di CD potevi permetterti di investire i soldi in piccoli progetti che poi a loro volta sarebbero scoppiati, vedi i Lunapop, ecc. Adesso è difficile rischiare, perché gli introiti sono minimi e vengono solo da live, management, e in percentuali ancora piccole dallo streaming.

All'esigenza di sapere già in partenza che il cavallo su cui investi è vincente fino ad oggi sono serviti i talent, che tra l'altro fanno la parte di promozione iniziale—che è un sacco di lavoro sulla costruzione di un artista. A parte questo, sui talent sospendo il giudizio: è vero che ci hanno aiutato in un momento molto difficile, ma è anche vero che per un mondo in cui tutto passa in fretta come quello musicale, anche loro sono sulla china discendente. E infatti Fedez è uscito dalla rete, Francesco Gabbani si è fatto tutta la gavetta.

Al di là del pandemonio intellettualoide scatenato dalla vittoria di Gabbani a Sanremo, comunque, so che sto citando artisti che chi ha una visione "critica" della musica in Italia non spingerebbe mai; cosa che mi ha sempre lasciato perplesso, perché invece con le produzioni straniere, da Kendrick Lamar a Frank Ocean, non abbiamo problemi ad ammettere che la qualità e il successo possano andare a braccetto. 

Con i tempi brevi del consumo e la diffusione istantanea, il punto oggi è essere più lesti degli altri a capire quando un artista può diventare grosso. Fortunatamente, dato che lavoro in un'etichetta che ha finanze solide, ho la libertà di seguire gli artisti e aiutarli a crescere fino a che non arriva il loro momento. Nei mesi e anni—un contratto editoriale dura solitamente tre anni—prima del debutto cerchiamo di costruire il mercato giusto intorno all'artista o all'autore, a seconda delle sue caratteristiche e punti di forza. L'idea è quella di creare un bisogno nel pubblico per quello che sa fare. L'esempio che in questo momento esatto (parlando del 2017 eh) è più palesemente riuscito è Francesco [Gabbani]. Lui si era presentato da noi come autore, non voleva più cantare, dopo un bel po' di tempo a convincerlo ha scritto "Amen" con Fabio Ilacqua. Abbiamo cercato di piazzarla a vari artisti, e nessuno la voleva. Ma dato che credevamo nel pezzo, l'abbiamo convinto ad andare a Sanremo giovani. E poi è successo quello che è successo.

Ogni tanto, dato che non solo vedo il mondo cambiare intorno a me come magari i colleghi più avanti con gli anni, ma faccio parte della generazione che dà YouTube e Spotify per scontati, mi chiedo se la discografia è destinata a scomparire. E mi rispondo che, se sarà in grado di cambiare, no. Ora come ora un ragazzo in camera sua può fare tutto da solo, dal demo alla masterizzazione alla pubblicazione alla distribuzione. Quello a cui serve un'etichetta, oggi, è gestire tutto questo in senso professionale: le uscite, i tour, le pubbliche relazioni. Diverso è per l'editore.

Perché poi come dicevo all'inizio questo è anche un mondo pieno di matti e devi proprio avere voglia, per non mandarli affanculo: stamattina alle nove ho alzato il telefono ed era uno che mi urlava che si era già accordato per fare le date di uno dei nostri artisti in Sicilia, che però noi non gli rispondevamo e lui non sapeva come fare. Insomma, era solo un mitomane e alla fine ci ha promesso una recensione di merda al disco e all'azienda sul web magazine siciliano per cui lavora, ci ha detto che dovevamo andare a fare in culo e ha messo giù. È pieno di gente così.

Comunque al di là di quello che posso dire sulla discografia e sul fatto che sia fondamentale, poi il mio cuore sta con la DPG perché sono indie e fanno musica fighissima.

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Samuel Heron mi ha insegnato a ballare

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Il nome di Samuel Heron probabilmente lo conosci già per almeno due motivi. Il primo è perché forse l'hai letto tra i messaggi di Tinder che la tua tipa prova a nasconderti, il secondo è perché faceva parte dei Bushwaka, un gruppo rap di La Spezia, di stanza a Milano. Samuel Heron con i Bushwaka ha raggiunto una certa popolarità ed è arrivato a firmare un contratto con Newtopia (l'etichetta di J-Ax e Fedez), ma poi qualcosa non ha funzionato e il gruppo si è sciolto, ad aprile dello scorso anno. In ogni caso, Samuel Heron (sì, Heron come Gil Scott-Heron) ha deciso di non buttarsi giù, proprio come nel libro di Nick Hornby, e la sua popolarità sembra essere nuovamente in ascesa: ad oggi, il nostro ha pubblicato nove singoli di brevissima durata, sulla scia di una formula già sperimentata dal suo amico Ghali, e i numeri parlano chiaro. "Illegale", addirittura, ha sfondato il tetto del milione e mezzo di visualizzazioni. 

Una particolarità di Samuel che salta immediatamente all'occhio guardando i video è il suo dimenarsi come un airone; ho allora pensato che, se l'avessi contattato, probabilmente avrei potuto apprendere qualche mossetta delle sue per rimorchiare ai concerti di Gazzelle. Ci incontriamo a Roma, in un hotel in centro, e inizialmente parliamo seduti sul letto della sua stanza, ma poi decidiamo di comune accordo di trasferirci nella sala da pranzo perché il tutto aveva assunto tonalità decisamente ambigue.

Tutte le fotografie sono di Melania Andronic

Noisey: Partiamo dall'inizio. Mi dici qualche parola sui Bushwaka? Qualche mese fa ero fissato con "Capetto Kinghetto". Capetto kinghetto capetto kinghetto capetto kinghetto... 
Samuel Heron: Che cosa hai tirato fuori... (Ride). Allora, io e Mike24 ci siamo trasferiti quattro anni fa da La Spezia a Milano per una necessità condivisa: fare la musica che ci piaceva, musica parecchio distante da tutto quello che girava allora in Italia.
Adesso c'è un sacco di roba, ma all'epoca (sembra di parlare del medioevo e invece parliamo di pochissimo tempo fa) non c'era davvero nulla. Ci siamo guardati e abbiamo detto: cosa facciamo? Abbiamo studiato il progetto Bushwaka a tavolino, ci siamo persino presi una mascotte, un panda vero, perché volevamo una roba colorata e che si facesse notare. Poi è arrivata la proposta di Fedez che stava per fondare Newtopia.

Com'è stata l'esperienza di lavoro con Fedez e J-Ax? 
Non è andata proprio come speravamo, nonostante avessimo a disposizione un budget da major pur non essendo in major. Semplicemente eravamo incompatibili con quella struttura organizzativa. Adesso riesco a capire che quell'ambiente non faceva per noi, però all'epoca, siccome eravamo dei pazzi senza esperienza e senza un soldo, ci siamo buttati. 
Adesso sono pieno di proposte da parte delle major, ma so che non è ancora il momento di firmare. All'epoca non la pensavo così perché l'unica cosa che mi interessava era lavorare sulla musica che mi piaceva con un mio amico e un bel po' di soldi... Non potevo proprio dire di no.

Quando avete iniziato a fare musica, nel 2013, in Italia c'erano praticamente solo nomi già affermati: Club Dogo, Fabri Fibra. L'unico un po' diverso era Salmo, che però stava nel suo.
All'epoca era tutto diverso. Facevi 200.000 visualizzazioni e ti sentivi arrivato. Noi Bushwaka siamo stati i primi a fare delle cose diverse da quelle che andavano allora, probabilmente.

Per quanto riguarda la diffusione della tua musica, stai adottando la stessa strategia di Ghali: un singolo nuovo ogni paio di mesi per tenere alta l'attenzione dei fan e sfruttare i video che danno una visibilità maggiore ai pezzi. Stai pensando di raccogliere i singoli usciti finora?
Sì, c'è un EP in programma con qualche remix di pezzi già usciti e pezzi nuovi che usciranno tra poco e su cui ho lavorato in questi ultimi tre mesi. La gente smania come se non uscisse nulla da tre anni e invece sono solo tre mesi (ride). In questo periodo sono stato un po' scombussolato perché si sono affacciate tante robe nuove e avevo bisogno di organizzarmi. Ho anche avuto un sacco di concerti.

Come funzionano i tuoi live, a proposito? Li fai ancora i pezzi dei Bushwaka?
No, quel capitolo è chiuso, sia a livello lavorativo sia anche a livello personale, cioè ho tagliato i ponti con molta gente: per dirti, anche con la mia ex (ride). Questo periodo artistico è di rottura in tutti i sensi rispetto a quello precedente. 
Per quanto riguarda il live vero e proprio, il mio DJ Matteo, degli STEREOLiEZ, fa un'apertura di venti minuti, una selecta che sbombarda e poi parto io con un set di tutti i miei singoli.
A livello di suoni, in generale, noi portiamo sonorità un po' più club della solita trap. Fare trap è più facile in questo periodo perché ti passi anche il pubblico degli altri artisti che la fanno, invece se come me stai a metà è già un po' più complicato. 
Magari fai l'indie (ride), tipo Calcutta, Thegiornalisti... Io invece mi sto costruendo piano piano, e lo vedo anche dal vivo perché c'è una bella risposta ai concerti.

Toglimi una curiosità. A donne come sei messo? È vero che i rapper non hanno un attimo di respiro?
Le donne mi si lanciano addosso, hai presente i pesci che si buttano nella rete da soli? No, scherzo. Non è così facile come uno può credere. Ovviamente essere un rapper aiuta, però... Ti spiego. Io ho una personalità divisa in due. Da una parte abbiamo Sandra e Raimondo, dall'altra Kurt Cobain. Ogni tanto Kurt Cobain prevale, anche perché è il lato più appariscente, quello che si vede dall'esterno. Ma la parte più vera è quella di Sandra e Raimondo, che comunque fa parte della mia indole e quindi rimarrà per sempre nonostante Kurt sia spesso più forte.

Sempre per farmi un po' i cazzi tuoi: tua madre e tuo padre supportano quello che fai, nonostante i tatuaggi in faccia? 
I miei sono separati da quando ho cinque anni e sono due persone totalmente diverse. Mia madre mi ha supportato da sempre, nonostante i tatuaggi, fin da quando ballavo e nonostante i pochi soldi che avevamo, facendo anche tantissimi sacrifici economici: vederla fiera mi rende fiero, mi sembra di ripagarla. Anche mio padre mi ha supportato, anche se un po' coi piedi di piombo. Da parte sua ho anche un fratello di nove anni che adoro; pensa che i suoi compagni di classe ascoltano la mia musica, anche se non so perché. A nove anni!

Melania, la fotografa, interviene e ci racconta un aneddoto. Suo fratello piccolo di sei anni, dice, è fissato con Marracash, Guè Pequeno ed i rigatoni, e una domenica  a pranzo chiedendo i suoi rigatoni fa: "Vroom vroom rigatoni! Dove sono i miei rigatoni?".

Samuel: Che mito (ride). Ovviamente mio fratello è il più popolare della classe adesso.

Il rap ormai è endemico. Secondo me noi non abbiamo idea di quanto sia diffusa davvero tra i più piccoli questa musica, se ancora ci sorprendiamo ascoltando aneddoti del genere. Ma torniamo al discorso tatuaggi.
Mia madre sa che nonostante i tatuaggi sono un ragazzo equilibrato. Questa cosa dei tatuaggi è stata graduale comunque, non è che mi sono presentato a casa con una tigre sul collo... prima ho fatto le braccia, poi un giorno sono tornato a casa e ho detto: mamma, domani mi tatuo in faccia. Se sei un ragazzo con dei principi comunque ti puoi fare anche... Oddio, non dico un cazzo in fronte, ma quasi. 

Adesso è il mio manager che mi proibisce altri tatuaggi in faccia, anche se per adesso sono a posto così, sono già abbastanza strong. Però certo che un tatuaggio qua... (Si tocca sotto l'occhio destro, ridendo). Questi tatuaggi li porterò nella tomba con me, e siccome sono metà Cobain metà Sandra e Raimondo è probabile che morirò a ventisette anni, sbattendo i piedi sotto le coperte come Sandra, però fatto di eroina come Cobain.

Tornando un attimo su Calcutta, anche lui in una canzone dice "vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo". Adesso l'indie e il rap sono più vicini che mai, penso a Franco126 e Carl Brave che hanno recentemente  firmato per Bomba Dischi: hai mai pensato a qualche collaborazione simile? Samuel Heron e Calcutta, come la vedi?
Minchia, ma scherzi? Bellissimo. Pensa che uno degli ultimi concerti che ho visto è stato di Calcutta, a Milano quest'estate. Ovviamente mi ero appena lasciato quindi ho pianto molto. Ero lì in mezzo alla gente che mi nascondevo con la mano per non farmi vedere.

Questo posso metterlo nell'intervista?
Sì, vai tranquillo. Io sono una persona super empatica, soprattutto con la musica, anche se magari non si direbbe dall'esterno. Piango spesso, pure con Chet Baker per dirti. Se questo è il tabellone di dove andare a prendere il cuore, lui fa sempre centro. (Mima con le mani il gesto di lanciare una freccetta: "zac!")

Però fai tutti banger zarri, dai, come fa a capirlo un osservatore esterno?
Infatti non lo capisce, perché non è facile mettere quel lato lì nei pezzi e poi non è detto che venga bene. Sono cose super personali, è molto più facile essere frivoli. Comunque questo lato rimane a me e alle persone che ho vicino. Magari lo faccio intravedere a quelli attenti, però finisce lì.

Ma questa cosa dei balletti? 
Per adesso sono mossette, ovviamente non è quello il fulcro del pezzo, cioè nella mia mentalità sono cavolate. Io sono Samuel Mars! Sono il nuovo Bruno Mars, a parte che sono bianco. Non sono bello come lui, però vabbè. Piano piano ci arrivo. È difficile, anche perché Bruno Mars è un nome enorme. Però si può fare qualcosa in più secondo me. Piano piano.

A questo punto Samuel prova a insegnarmi alcune delle mosse che fa nei suoi video perché voglio imparare ad avere successo con le donne:

Vi risparmio il resto.

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Dio è morto, ma sta tornando

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Questa cosa per cui i cantanti morti possono tornare a esibirsi grazie al potere della tecnologia mi manda fuori di testa per la sua assurda inutilità. Più che altro, mi chiedo chi possa essere così fissato con un artista deceduto da essere ben contento di pagare paccate di soldi per guardare un ologramma. E già andare a vedere gli AC/DC e trovarsi di fronte quel paracarro roscio dalla gamba rotta che è ormai Axl Rose mi mette la tristezza nel cuore, quindi pensate voi quanto possa farmi male vedere Dio in CGI. 

Perché ragazzi, dopo 2Pac, Biggie, Michael Jackson e Billie Holiday, anche Dio—Ronnie James Dio, proprio lui—ritornerà in vita nel nome della nostalgia deleteria e dello sfruttamento delle leggende. E andrà in tour in giro per il mondo, con il beneplacito della signora Wendy Dio. Lo riporta il Guardian

Qua sotto c'è un video esemplificativo che mostra quanto tutto questo sia terribile. Di fronte a un pubblico immobile, un coso luminoso terrificantemente a metà tra artificiale e reale si muove sullo sfondo del palco, facendo corna immaginarie a cui nessuno risponde. E non riesco a non pensare che questo possa essere il futuro distopico in cui cadrà il metal, che non è mai riuscito a superare i complessi di inferiorità nei confronti dei Grandi Vecchi degli anni Ottanta—un panorama in cui gli headliner dei festival saranno sempre gli stessi, per sempre. Iron Maiden, Judas Priest, Black Sabbath, Dio, tutti in digitale. Scusate, vado a cercare la mail dei produttori di Black Mirror per proporgli un episodio.

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Future non fa più rap, fa ambient e R&B

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Quando Future pubblicò Dirty Sprite, a gennaio 2011, era impossibile prevedere quanto il suo modo di rappare avrebbe permeato l'hip-hop tutto. Certo, Nayvadius DeMun Wilburn sapeva di non essere il primo a parlare ampiamente di purple drank nei suoi testi e a tingere la propria figura di viola—lo diceva chiaramente nel ritornello della titletrack, identificando la lean con le tre persone che l'avevano portata, culturalmente parlando, alle masse: Pimp C, DJ Screw, Big Hawk. Ma la sua non era una glorificazione: "La mia troia me lo ricorda sempre, 'Quella roba ti ucciderà'", cantava appena dopo. Fin dai suoi inizi, Future cantava un edonismo nero—la stessa tematica che lo avrebbe portato alla fama qualche anno dopo. 

Future sembrava essere predestinato al successo. Gucci Mane, cioè colui che tiene le redini del rap di Atlanta e il cui giudizio è fondamentale nel permettere a qualsiasi suo concittadino si avvicini a un microfono di potersi chiamare "rapper famoso", se lo era messo accanto per un intero mixtape. Dopo i suoi primi tape aveva firmato immediatamente un contratto con A1 Recordings, etichetta di Rocko—un altro rapper di Atlanta che aveva avuto un medio successo mainstream un paio d'anni prima con "Umma Do Me", ed era quindi in ottimi rapporti con il mondo delle major. Il lancio definitivo di Future verso la stratosfera fu "Tony Montana", inizialmente inserita nel suo tape True Story e diventata poi singolone di lancio del suo esordio su Epic, Pluto, arrivato nel 2012. 

"Tony Montana" era una sorta di libretto delle istruzioni per una hit trap contemporanea. Fascinazione per un personaggio famoso (vedi alle voci "Salvador Dalì", "Black Beatles"), ripetizione ossessiva di una parola nel ritornello ("CoCo", "Panda" e compagnia bella), costruzione di un ponte verso il pop tramite un uso esasperato dell'autotune tale da rendere il rappato qualcosa di simile a un cantato. Le stesse caratteristiche erano riscontrabili, in chiave ballata romantica, in "Turn On The Lights": "Voglio parlare di te al mondo solo per farli ingelosire / Se la vedete prima di me, ditele che mi sarebbe piaciuto incontrarla," cantava Future, con una voce strozzata resa gloriosa da strati e strati di sintetizzatori luccicanti. 

Il rap di Future aderiva a due approcci complementari alla materia-rap. Uno prendeva i luoghi comuni tematici del G-Rap e li pucciava in una melassa di autotune, facendo suonare parole come "dope" e "bitch" tanto piacevoli all'orecchio come "love" e "baby"; l'altro rovesciava la cazzimma espressiva del trapper spaccino rendendola funzionale a un'espressione da menestrello urbano, innamorato della donna di turno e pronto a farle vivere una vita da sogno. La sua era una classica maschera della commedia del rap, quella del criminale dal cuore tenero: spaccio un sacco, scopo ancor di più, ogni tanto mi innamoro e uso i miei soldoni della droga per prendere jet privati per la stripper per cui sono uscito di testa. 

Morale: Future non si era inventato niente—le ballate trap, i pezzoni da strip club, le sfuriate grezze da mixtape, il bragging portato all'esasperazione—ma tutto quello che faceva riverberava con successo a livello mainstream grazie alle spinte dei suoi mentori, alla qualità dei suoi produttori (Mike Will Made-It e Zaytoven su tutti) e alla piacevolezza della sua voce. L'unico problema è che queste qualità non bastano a salvarsi da un'eventuale anonimato. Infatti, dopo Pluto, Future se ne uscì con Honest: un album ancora più mainstream e ambizioso (featuring di Drake, Kanye, André 3000, Pharrell, Pusha T) che però fallì nel suo intento fondamentale, cioè quello di vendere più copie del suo predecessore (217,000 nel 2012 per Pluto, 117,000 nel 2014 per Honest) e aumentare le quotazioni di Future come MC e figura culturalmente rilevante. Per quanto quell'album suonasse indubbiamente bene, il personaggio-Future non aveva nulla di nuovo da dire se non che era—appunto—onesto, che la fama non lo aveva cambiato e che voleva diventare ancora più famoso. Senza l'emotività passivo-aggressiva di Drake, il senso per la controversia di Kanye, la stramberia acida di Lil Wayne, Nayvadius poteva solo cominciare a cadere.

È grazie alla sua caduta rovinosa se Future, oggi, è diventato il primo artista della storia ad avere due primi posti consecutivi negli Stati Uniti con due album diversi in due settimane diverse. Al fallimento commerciale di Honest si unì la disgregazione del suo fidanzamento con Ciara—con cui aveva avuto un figlio, il suo terzo, solo tre mesi prima. Future aveva tentato di presentarsi come un normale rapper famoso, con album a cinque stelle e una famiglia perfetta, ma aveva fallito. Non so quanto sia stata la stampa a creare l'opinione che sto per scrivere, ma il Future post-Honest aveva improvvisamente davvero qualcosa da dire. Fottendosene delle logiche commerciali che aveva cominciato ad adottare, Future produsse tre mixtape nel giro di qualche mese—Monster, Beast Mode e 56 Nights—tutti e tre crudi, violenti e disillusi. 

Senza aspettative di vendita da rispettare, Future era tornato alla disillusione dei suoi esordi: l'alcool, gli antidepressivi, il sesso e i soldi non erano più fonte di boria quanto di autocommiserazione. Sembrava, a leggere i suoi testi, di essere di fronte a una persona nell'atto di autodistruggersi, di annullare la propria personalità e la propria arte in un nero vortice di dipendenze. La sua voce era incrostata di fango, ipnotica nel suo essere monocorde e ripetitiva, sola come un cane. "Sto annegando nell'Actavis, è un suicidio," diceva in "Codeine Crazy": "Ordiniamo altre bottiglie, scopiamo altre modelle e ce le passiamo", continuava, per poi paragonare le sue lacrime per Ciara a un rubinetto. Cedendo alle debolezze che solo una paccata di soldi e il fallimento di un amore sanno regalarti, Future era diventato più onesto, e quindi interessante, di quanto avesse mai sostenuto di essere.

Il resto è storia recente. La pubblicazione di DS2, uno dei migliori album trap di sempre, cristallizzazione definitiva del Future-tormentato come leggenda ed enorme successo di vendite; l'alleanza con Drake e l'arrivo di What a Time to Be Alive; infine, una nuova relativa flessione a livello di ispirazione artistica. Purple Reign, EVOL e Project E.T. (Esco Terrestrial), i suoi tre progetti più recenti, continuavano a mungere dalla tetta di DS2 senza però fare niente per raccontare i cambiamenti interni del loro autore. In altre parole: dopo un disco di platino e un successo più clamoroso di quanto chiunque avrebbe potuto prevedere dato il fallimento di Honest, Future aveva di nuovo perso il fascino di artista tormentato. Era diventato quello che aveva sempre voluto essere, cioè un rapper famoso che nessuno poteva mettere più in discussione, ma una volta raggiunto l'obiettivo non poteva continuare a cantare di quanto fosse bello rischiare di uccidersi nel tentativo di arrivarci. 

La copertina di FUTURE.

FUTURE e HNDRXX sono due album lenti da digerire—almeno, lo sono stati per me. Inizialmente volevo intitolare questo articolo "La normalizzazione di Future" e parlare di come, raggiunta la vetta, Future aveva deciso di strafare pubblicando quaranta canzoni senza infamia e senza lode in due settimane, e di come avrebbe goduto nel vedere il suo status cementificarsi nonostante l'assenza di una vera ricerca artistica. Almeno, questo mi era sembrato inizialmente. Invece, ascoltando i suoi due nuovi LP, mi sono reso conto che Future, ormai, fa ambient. 

Ok, Future non fa davvero ambient—non ha cominciato a usare le strategie oblique, non ha mandato Metro Boomin a lezione da Basinski, non si è convinto che il suo auto-proclamarsi "Nuovo Hendrix" significhi che debba lanciarsi in una ricerca sonora chitarristica alla Fennesz. Ma è ormai così padrone del suo stile che fa sembrare i suoi pezzi la cosa più semplice del mondo, e questa spontaneità si riflette—unita a scelte musicali particolari, poi ci arriviamo—in un'aura pacifica perfetta per stimolare il cervello senza però necessariamente distrarlo. "La musica ambient deve essere tanto ignorabile quanto interessante," scrisse Brian Eno nelle note di accompagnamento a Music for Airports. E la forza di FUTURE e HNDRXX sta proprio in quell'anfratto tra attenzione e distrazione, tra nervi tesi e rilassati. 

Questa qualità non è immediatamente chiara, al primo ascolto di FUTURE: "Rent Money" è un classico banger d'apertura, non strabordante e pieno di punchline epiche come "Thought It Was a Drought" ("I just fucked your bitch in some Gucci flip-flops" è tuttora il verso d'apertura più cazzuto ever, credo) ma resta una più che onesta dimostrazione delle competenze di Future in campo trap. "Zoom", "Super Trapper", "POA", "Poppin' Tags" seguono questa falsariga, qualificandosi come punti di stimolo dell'attenzione all'interno del continuum sonoro che è l'album. Ma mantengono tutte comunque una certa delicatezza finora assente nell'opera di Future, una sorta di ovatta sonora che avvolge il suo flow. La magniloquenza di Pluto, l'ambizione ostantata di Honest, la genuina urgenza di DS2 e la noia di EVOL sono tutte scomparse in favore di una completa padronanza dello spettro sonoro, una medietà espressiva adatta sia come sottofondo di attività neurali creative come a fare i tamarri coi finestrini abbassati in centro città. 

"Mask Off" è uno dei pezzi che meglio esemplificano di quello che sto cercando di dire. Ha una base eterea e minimale, composta da un paio di melodie di flauto di Pan e una linea vocale nebbiosa tratte da "Prison Song" di Tommy Butler; e niente più, se non una classica figura ritmica trap. Sopra, Future non grida né sbraita ma parla, sussurra. Entra nel tessuto sonoro in punta di piedi creando piccoli loop vocali che si infiltrano quietamente nell'orecchio e nel cervello ("Percocets, molly, Percocets / Chase a check, never chase a bitch"). E lo fanno senza però cambiare il vocabolario del loro autore: Future, ormai, può rappare di droga e puttane come se fosse la cosa più normale del mondo—e allora che bisogno c'è di gridare, di fare brutto, di far paura? 

Future non è un rapper che cambia flow a ogni occasione, anzi. Uno dei suoi pezzi più celebri, "Where Ya At", con Drake, va avanti dall'inizio alla fine con la stessa identica figura ritmica. Su FUTURE il suo modus operandi resta identico, ma su produzioni così sottili e ariose il suo flow acquista una qualità quasi ancestrale, mantrica—come, ad esempio, nei costanti "mmm hmm" che costellano le parole di "I'm So Groovy." Il tessuto sonoro è completamente distaccato dalla crudezza delle parole che sorregge, a tal punto che gli skit ironici inseriti tra un pezzo e l'altro sembrano quasi fuori luogo—quando la polizia entra e si mette a sparare sulla base di "Feds Did a Sweep" sembra quasi che sia partito in contemporanea al brano, per sbaglio, un pezzo di YG.

La copertina di HNDRXX.

HNDRXX è qualcosa di diverso—se vogliamo, è il primo album Trap'n'B di Future, una versione matura e relativamente ragionata del criminale dal cuore d'oro di "Turn On the Lights". La sua qualità cullante rimanda ancora ai discorsi fatti per FUTURE, seppure con maggiore attenzione all'espressività vocale, e con un approccio alla produzione più simile a quello delle parti più quiete e accorate di Honest ("I Won", "I Be U"). La differenza principale sta nel fatto che, per quanto sia comunque vocalmente maldestro (come fa notare Anthony Fantano nella sua rece lol), Nayvadius sembra avere qualcosa di diverso dal solito da dire. Esce un attimo dal personaggio che si è creato negli ultimi anni e inizia a sembrare relativamente umano, senza comunque dimenticare di menzionare la codeina almeno cinque volte ogni strofa.

Sentire "Fresh Air" come esempio. Ha una base gloriosa che potrebbe tranquillamente evolversi in un pezzo EDM tutto mani al cielo alla Calvin Harris, e invece esplode in una trappata d'autore su cui Future fa la sua migliore imitazione di un vero cantante. Il tutto, tenendo sott'occhio sia il modo in cui batte il suo coràzon che i demoni che ha dentro, creando un messaggio straniante e ambiguo: si passa da "La sabbia ti tocca le dita dei piedi mentre prepari la colazione / Vediamo l'oceano Pacifico dalla finestra del cortile, sei troppo sexy" a "Farò tutto per farti mia" a "Se ho bisogno di respirare / Dimmi, perché devo soffocare?" nel giro di qualche riga, insomma. 

Certo, Future non è diventato un menestrello del cuore né si è intenerito. Recita sempre la parte del tizio glaciale per cui le tipe sono solo tacche sulla canna del suo fucile, ma almeno si ferma ogni tanto a riconoscere il loro valore. Ci sono i momenti in cui se ne esce con frasi che fanno storcere il naso, come quando in "My Collection" dice che la sua dipendenza dalla codeina non significa che non possa avere l'affidamento di suo figlio (falso) e conclude il ritornello dicendo tre volte "Se ti scopo anche solo una volta fai parte della mia collezione." Il risultato è che HNDRXX si qualifica come un album con più luci che ombre, ma comunque altalenante—tra qualche traccia non fondamentale e qualche momento misogino/ignorante di troppo.

Ma ci sono brani che fanno sperare bene per il prossimo Future, canzoni ben scritte e pensate senza traccia di pretenziosità che fanno trasparire un autore felice e ispirato, capace di trovare stimoli artistici anche nella relativa normalità di una vita baciata dal successo—la tripletta finale, nello specifico. "Sorry", con i suoi sette (sette!) minuti confessionali che fanno pensare ai lunghi flow dei brani conclusivi degli album di Drake; "Solo", con le sue suppliche di comprensione ("Non voglio deluderti / Vedi come viviamo? / Cercherò di far sì che sia il più semplice possibile") ma, soprattutto, "Selfish"—la sua collaborazione con Rihanna.

Nonostante il suo titolo, "Selfish" è un brano in cui l'ego è condiviso, e due anime si incontrano in una reciproca ricerca di comprensione e collettiva felicità dopo troppi errori condivisi. "Smettiamola di sentirci soli / Diventiamo una cosa sola," cantano assieme; "Pensieri vuoti riempiono la stanza", dice Future, "Respira per me e io respirerò per te", risponde Riri. Sotto, un pianoforte eccitato decora le loro parole con un flusso di note a metà tra frenesia e controllo; un beat minimale tiene il tempo, regolare come il battito di un cuore rilassato. Viene quasi da paragonarla a "Too Good", in cui Rihanna era ospite di Drake: lì c'erano tensione, dichiarazioni infantili, boria e chiusura, quanto di più lontano immaginabile dalla tenera connessione che avevano dimostrato di saper creare in "Take Care." Contro ogni previsione, Future è riuscito a sembrare più umano del suo amico canadese, un tempo re del normie rap

FUTURE e HNDRXX non sono album perfetti, e men che meno capolavori. Ma presentano due nuovi lati di Future che, probabilmente, gli garantiranno un'ulteriore permanenza nell'Olimpo dell'hip-hop contemporaneo. Dimostrano quanto l'hip-hop possa essere sottile e maldestramente accorato e aumentano la complessità della narrazione personale di Nayvadius Wilburn—un uomo che ama sé stesso e la codeina più di ogni altra cosa, probabilmente, ma ogni tanto è bravo a farcelo dimenticare.

Elia ha Twitter: @elia_alovisi

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Steve Aoki ha rovinato il tema di Ghost in the Shell

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Prendiamo una posizione: Ghost in the Shell è uno degli anime più belli di sempre, e ha una delle colonne sonore più belle di sempre. Non doveste averlo visto, sappiate che è un film toccante e trascendentale, uscito nel 1995, che si interrogava sulla realtà anticipando di qualche anno le elucubrazioni dei fratelli Wachowski in Matrix, rovesciandone però il senso—la digitalizzazione dell'essere umano non era qualcosa da cui fuggire, in una logica di ritorno alla fisicità, ma "una possibilità gnostica di libertà oltre i limiti dell'individuo". 

Insomma, Ghost in the Shell è un classico assoluto del cinema d'animazione tutto, e un grande esempio di quanto il Giappone sia stato capace di produrre opere culturalmente impegnative, ragionate e visionarie. Era quindi solo questione di tempo prima che quella bestia maldestra che è Hollywood arrivasse a prenderlo, reimpacchettarlo e rivenderlo nei cinema di tutto il mondo sotto forma di un big budget remake con Scarlett Johansson, Takeshi Kitano e Michael Pitt. 

E ovviamente, dato che la colonna sonora originale era toccante nella sua malinconia e nel suo lirismo, i produttori del film hanno ben pensato di fare remixare il tema dell'anime a Steve Aoki. Sì, Steve Aoki, eroe di innumerevoli tizi palestrati che non vedono l'ora di farsi buttare una torta in faccia mentre provano a limonare tipe strusciandogli addosso i loro addominali scolpiti. Quello Steve Aoki che vuole farsi criogenizzare e risvegliarsi tra mille anni per continuare a regalarci anche nel futuro più lontano i suoi orribili, orribili dropponi brostep.

Trovate il remix di Aoki qua sotto, se davvero volete smettere di credere in ciò che è bello è giusto. 

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Joey Bada$$ fa lezione nel suo ultimo video "Land of the Free"

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Venerdì Joey Bada$$ ha annunciato che il suo secondo album, All-Amerikkkan Bada$$, arriverà il 7 aprile. Oggi Joey ha pubblicato il video del primo singolo, "Land of the Free". Il video ci mostra Joey che fa lezione a un gruppo di bambini neri e che guida un gruppo di adulti attraverso un terreno montuoso. Il loro viaggio termina in uno scontro con delle figure autoritarie bianche come uomini in giacca e cravatta, politici e poliziotti. Il video, co-diretto da Joey e Nathan R. Smith, come molti negli ultimi sei mesi, rappresenta un attacco contro il clima politico e sociale che si respira nell'America di oggi. Guarda "Land of the Free" qua sotto. 

Foto: Screengrab via YouTube.

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L'influenza del nu metal sulla musica dance contemporanea

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Illustrazione di Ben Ruby.

Questo gennaio mi sono trovato a Toronto, nel mezzo di un dancefloor pieno fino all'orlo, ad ascoltare un set di Bambii—una DJ locale che stava aprendo per Princess Nokia, new sensation del rap ispano-newyorkese. Fino a quel momento, Bambii aveva dedicato il suo set a Sean Paul e soca, con l'obbligatoria dose di Drake. A un certo punto, però, ha messo un pezzo che mi ha fatto sobbalzare. Ho sentito un sussurro familiare uscire dalle casse: "Let the bodies hit the floor. Let the bodies hit the floor..."

Naturalmente si trattava dei primi secondi di "Bodies" dei Drowning Pool, vera hit nu metal, e mi sono trovato immediatamente catapultato nei primi anni Duemila. Come capita spesso nei DJ set di qualità, è stato un momento di shock dato dal sentire qualcosa di familiare in un contesto completamente insolito. Ma questa scelta in particolare aveva qualcosa di diverso—mi ha fatto tornare un sedicenne brufoloso fissato con  MAD Magazine. L'utilizzo di "Bodies" da parte di Bambii—traccia che, ricordiamo, a pochi anni dalla sua uscita veniva usata come strumento di tortura a Guantanamo Bay—è soltanto l'ultimo esempio di un DJ che si rivolge a questo genere di alt-rock e nu-metal macho-emotivo dei primi anni Zero per dare una svolta ai propri set. Ora più che mai, però, sembra che questo fenomeno stia raggiungendo la massa critica.

Durante un evento Boiler Room a tema nostalgia all'interno del Museo di Arte Moderna di New York, il rapper e producer Le1f ha usato "In the End" dei Linkin Park—un altro pilastro della mia adolescenza travagliata—in mezzo al suo DJ set. E allo showcase di PC Music al SXSW 2015, la DJ e producer londinese Spinee ha velocizzato e pitchato l'abusato inno di tutti i bimbi goth, "Bring Me to Life" degli Evanescence, trasformandolo in una scheggia di bubblegum rave-pop. Parlando della reazione positiva del pubblico alla traccia, Spencer Kornhaber dell'Atlantic ha scritto: "Ci trovavamo a un festival che si supponeva dedicato alla musica più alla moda del momento, all'interno di una serata gestita da uno dei collettivi musicali più chiacchierati del web, e la canzone più da sfigati del mondo era appena stata trasformata in un punto di riferimento". 

Queste re-immaginazioni non sono solo capricci da dancefloor. A dicembre 2015 Total Freedom (aka Ashland Mines), DJ e produttore di Miami, ha caricato un pezzo su SoundCloud intitolato "DOWN ACTIONS, LOW KEY CHILDISH THOUGH TF". Era un edit frenetico che combinava "All the Way Down" di Kelela con baile funk brasiliano e la strumentale di pianoforte di "In the End" dei Linkin Park. Risultato? Migliaia di ascolti. E Mines non è solo nel suo amore per Chester Bennington e compagni: Asmara, sua compagna d'etichetta e metà degli Nguzunguzu, ha messo "In the End" in un mix per Dazed pubblicato l'anno scorso, nel quale comparivano anche pezzi di Korn, P.O.D. e System of a Down. Un altro singolo dei Linkin Park, "Crawling", è comparso in un mix per FACT di Endgame, DJ e produttore di Londra Sud, sotto forma del suo edit di Age Reform. C'è poi Skyshaker, che ha prodotto un bootleg tutto fangoso e buio di "Bring Me to Life" degli Evanescence. 

Su carta, queste produzioni dovrebbero essere terribili, dei mashup fatti tanto per ridere il cui valore dovrebbe essere inferiore della somma delle loro parti. E invece suonano come un ponte che collega passato e presente, prendono possesso della vulnerabilità emotiva di quei pezzi regalandole una nuova spina dorsale. Sono edit che i produttori si scambiano come fossero carte dei Pokemon, pezzi che hanno trovato un loro pubblico giocando su un sempiterno senso di nostalgia. 

Dieci anni fa ero solo un normale adolescente che viveva in un paesino sperduto in Nuova Scozia, nel nulla più totale che solo il Canada rurale sa regalarti. Ovviamente, ascoltavo un sacco di alt-rock e nu metal più che discutibile. Certo, studiavo la collezione di dischi di mio padre, ma ci aggiungevo i miei CD dei Three Days Grace, dei Puddle of Mudd e quello con la colonna sonora di DareDevil (che aveva dentro "Bring Me to Life" e una collaborazione tra Drowning Pool e Rob Zombie, insomma). Ma i due album che più avevo a cuore erano i primi due dei Linkin Park, Hybrid Theory—di cui possedevo una copia taroccata, con la tracklist scritta a pennarello—e Meteora.

Non sentivo particolarmente "miei" i testi di Chester Bennington, dato che i suoi argomenti preferiti erano le droghe e il divorzio dei suoi. Ma ero uno di quei ragazzi che fanno fatica a fare amici e socializzare, e quindi mi rivedevo abbastanza nelle relazioni distrutte e nella solitudine che i Linkin Park cantavano. Anche se pezzi come "Faint" e "Somewhere I Belong" erano presenze fisse nelle playlist che mi sparavo in cuffia quando andavo a correre, non le sentivo mai sulla mia radio locale, né a nessuno veniva in mente di metterle alle feste a cui andavo. "In the End" mi è sempre sembrata un pezzo fatto per essere ascoltato in solitudine, nella propria camera da letto, e forse mi sarebbe sembrato disorientante ascoltarla in una situazione di gruppo. Non avevo la minima idea che quei gruppi, i miei idoli di un tempo, stavano in realtà proprio cercando di cambiare il concetto di "genere musicale".

"Sono cresciuto ascoltando hip-hop, ma poi abbiamo iniziato a prenderci bene con artisti come i Prodigy, Aphex Twin, Squarepusher, DJ Shadow, tutta la roba jungle e drum and bass che andava in quegli anni," mi dice Mike Shinoda, co-cantante, chitarrista e tastierista dei Linkin Park. "Adoravo anche i Depeche Mode, i Ministry, i Nine Inch Nails, i Deftones e l'industrial. Parte del nostro obiettivo primario, fin dai nostri esordi, era mischiare tutta questa roba. Da cui il titolo, Hybrid Theory."

I Linkin Park sarebbero riusciti a collaborare con artisti provenienti dai mondi che li affascinavano—tra cui Jay Z, che apparve sul loro EP di mashup del 2004 con un ibrido tra "In the End" e la sua "Izzo (H.O.V.A.)", e Steve Aoki, su "A Light That Never Comes", uscita nel 2013. Ma non sono mai riusciti a diventare un gruppo figo. Rolling Stone recensì il loro primo album con parole al vetriolo: "Bennington e Shinoda finiscono spesso a usare parole stucchevoli, fintamente aggressive." William Ruhlmann di AllMusic disse che "erano arrivati troppo tardi a uno stile musicale già strausato." Ma c'erano migliaia di ragazzini in tutto il mondo che non erano d'accordo.

Quindi, come siamo arrivati fino a oggi? Come ha fatto il nu metal, uno dei generi meno "fighi" della storia, è diventato una fissazione per molti producer all'avanguardia? Alcuni si sono approcciati alla questione tramite il filtro dell'ironia. Prendiamo per esempio il mix di Maxo per LOGO Magazine, pubblicato del 2014, che mischiava otto pezzi dei Limp Bizkit in venti minuti iperattivi. Nelle sue mani, i testi maschilisti e spesso misogini di Fred Durst venivano resi innocui da sonorità 16-bit e parti di pianoforte jazz. Tutte le tracce, inoltre, avevano dei nomi-gag a tema cibo: "Bake Stuff", "Rollin' Pin," "I Did It for the Cookie" e così via. Lo stesso approccio a cuor leggero può essere riscontrato in "Hell On Planet Earth, We Are The Masters" Says Ministry Of Souls,", un mix collettivo di Spinee, Lil Data e DJ Warlord che prende una ballata strappalacrime come "Call Me When You're Sober" degli Evanescence e la gonfia con un paio di bombole d'elio. 

"Questo fascino sa più di scherzo tra gli addetti ai lavori che una riscoperta cosciente del genere," mi spiega Maxo. "La maggior parte dei producer di questa generazione ascoltava nu metal, crescendo, e anche se non è musica particolarmente rilevante continuiamo tutti ad apprezzarla come facevamo un tempo."

Che sia tutta un'operazione ironica o no, quando senti un pezzo simile durante un DJ set non puoi non avere una reazione. Gabriel Szatan, membro di Boiler Room, dice di non aver sentito tanto alternative rock e nu metal ai concerti che organizza, ma riconosce la loro adozione da parte di una certa scena. "Non è un fenomeno così prominente," dice, "Ma esiste un trend fatto di ritornelli abrasivi, sonorità impegnative—specialmente se parliamo dell'avanguardia, di Staycore, NON, Total Freedom e simili. E quindi ogni tanto capita di sentire ibridazioni simili. Ma probabilmente è più facile che la cosa funzioni in un mix piuttosto che durante un set, a meno che il pubblico non sia davvero quello giusto."

In fondo si tratta solo di sentire quella botta di dopamina che ti dà ascoltare un pezzo familiare in un nuovo contesto—vedi la "Bring Me to Life" in versione baile funk di LSDXOXO, la "Call Me When You're Sober" adattata al footwork di DJ Nate, o la velocizzazione iperreale di "Let the Bodies Hit the Floor" di DJ Sega. "Il tuo cervello si dice 'Ah, ma questa la so!' e viene sovrastato dai ricordi," continua Szatan, "E intanto hai iniziato a ballare, e non puoi farci niente."

Secondo Endgame, che ha ripreso la chitarra di "Falling Away From Me" dei Korn nella sua "NXN", elettronica e nu metal hanno molti punti in comune. "In fondo hanno la stessa funzione, cioè quella di permettere all'ascoltatore di perdersi, raggiungere una sorta di trascendenza. Credo che una qualità fondamentale del nu metal sia l'equilibrio tra luce e buio, tra l'intensità delle sue parti soliste e la pesantezza dei suoi bassi."

Szatan concorda, e identifica un potenziale motivo di questa nuova popolarità del genere in un pubblico particolarmente assetato di teatralità. "Forse il revival di un certo modo di fare house e tech più violento e diretto significa che la gente ha di nuovo voglia di drammi e tragedie?," si chiede "Le cicatrici lasciate dalla tearout sono ancora fresche e allora fanculo, perché non il nu metal?"

Endgame aggiunge che "l'estetica e l'energia emotiva e brutale" di Jonathan Davis e compagni—oltre che l'artwork di Todd McFarlane per il loro terzo album Follow the Leader—è stata una grande influenza sui membri di Bala Club, il suo collettivo. E ok che non si sono fatti crescere dei pizzetti improbabili e non hanno cominciato a scrivere i loro nomi con qualche lettera al contrario in mezzo, ma è innegabile quanto usino le band più sputtanate di quel periodo come ispirazione. Il mix di Kamixlo per Dazed inizia con la cover di "Always" dei Saliva di Uli K e Malibu, una rilavorazione che rende ancor più vibrante il senso di dolore e pena dell'originale, mentre Toxe è riuscita a ricreare"Psychosocial" degli Slipknot senza togliere la minima pesantezza all'originale. 

Crescendo, sono diventato una persona diversa dall'adolescente tutto preso male che ero, sempre pronto a tirar fuori il suo enorme porta CD per tirarsi su con una bella dose di alt-rock. Ma sentire l'emotività brutale di Toxe e Total Freedom, per dirne due, mi ha riportato a quegli anni in un certo senso. La loro teatralità pessimista, le loro semplici ricreazioni di emozioni complesse vengono dallo stesso luogo emotivo da ci provenivano i Korn e i loro colleghi, in fondo, e non c'è da stupirsi se hanno trovato un modo per ricontestualizzare la loro musica grazie alle loro produzioni.

La maggior parte di quei gruppi erano americani, bianchi e maschi, ed è quindi ancora più eccitante sentirli reinterpretati da una nuova generazione molto più ibrida e attenta a questioni di genere. Riesco a ritrovarmi fino all'ultima parola nelle parole di Toxe che, in un'intervista a THE FADER, parla così del suo remix di "Psychosocial": "Questa è stata la mia canzone della maturità. Negli ultimi mesi, mentre preparavo i miei ultimi esami del liceo, ascoltare e remixare gli Slipknot mi ha aiutata a buttare fuori la frustrazione che avevo dentro."

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Pablo Nouvelle ci mostra le sue quattro mura

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Questo articolo fa parte della rubrica "Walls of Sound" ed è stato realizzato in collaborazione con Basilese Assicurazioni.

Anche gli autentici giramondo ogni tanto devono tornare a casa: quando Pablo Nouvelle non è in giro per il mondo impegnato in concerti, tournée o nella sua attività di produttore musicale, lo si può incontrare a Zurigo nel quartiere di Altstetten. Più precisamente nel suo studio di registrazione o nel suo appartamento in condivisione. È proprio qui che siamo andati a trovarlo. Pablo Nouvelle parla del suo quartiere e delle sue quattro mura e racconta storie legate al mondo della musica.


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Pablo Nouvelle ci svela i suoi cinque tesori

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Questo articolo fa parte della rubrica "Walls of Sound" ed è stato realizzato in collaborazione con Basilese Assicurazioni.

Oggi Pablo Nouvelle è noto alla maggior parte degli appassionati di musica anche qui da noi, ma non è sempre stato così: Pablo ha pubblicato il suo album di debutto già nel 2013. Prestigiose radio inglesi come BBC o XFM hanno trasmesso subito i suoi pezzi in heavy rotation, mentre dalle nostre parti ci è voluto più tempo perché venisse apprezzato. Ma dal suo ultimo album All I Need, a Pablo non manca certo la notorietà anche in patria. Ormai è soltanto una questione di tempo prima che alla sua voce di Wikipedia in inglese si aggiunga quella in tedesco. Pablo Nouvelle, al secolo Fabio Friedli, non è soltanto un musicista, ma anche un regista. Ha studiato animazione, mentre a suonare ha imparato da autodidatta. Sembra che questo trentenne sia dotato di molti talenti. Oltre alla sua musica, Fabio ha prodotto anche numerosi film, tra cui già il suo primo lavoro, Bon Voyage, ha suscitato grande interesse. La sua opera più recente è stata proiettata per la prima volta alla Berlinale, il Festival internazionale del cinema di Berlino.

Incontriamo Fabio nel suo appartamento di Zurigo durante le riprese del cortometraggio documentario di Noisey "Walls of Sound". Ci mostra casa sua e il suo studio, ci racconta l'esperienza della coabitazione, del suo quartiere Altstetten a Zurigo e di cosa si prova a ritornare a casa dopo essere stato in giro per il mondo. In una breve pausa ci mostra i suoi cinque tesori e ci spiega il loro valore, materiale, personale, emotivo e simbolico. Fabio ci dice subito: "in realtà, nessuno dei miei tesori ha un valore materiale. In generale non ho molte cose, e non mi interessa averle. Penso che possedere poco ci faccia sentire più liberi."

La noce: "In a Nutshell"

"La noce è un tesoro dal valore simbolico. Rappresenta il mio nuovo film In a Nutshell, che ho appena terminato, finora il mio quarto progetto più grande. 'In un guscio di noce' significa 'concentrato' e 'compatto', ed è così che perseguo la pazza idea di racchiudere un mondo animato nella breve pellicola sperimentale che ho realizzato. Anche la noce stessa è un elemento chiave del film: è un seme e quindi rappresenta la base da cui tutto ha origine, prospera e cresce. Personalmente la cosa che mi piace di più della noce è il rumore che fa quando si rompe, più che il suo sapore. Per questo ho inserito molte volte nel film lo scricchiolio della noce quando viene aperta. Per il merchandising pensiamo di svuotare la noce che dà il nome alla pellicola, riempirla di piombo e incidervi sopra il titolo del film, così questo piccolo oggetto mi accompagnerà ancora per molto."

Scheda per imparare il portoghese: "amargo = amaro"

"Anche la scheda per me ha un valore simbolico. Rappresenta il mio sforzo di imparare il portoghese. 'Amargo' è una parola particolarmente bella. Amaro, dolceamaro. Come studiare, o vivere. In primavera tornerò in Brasile per una festa di famiglia, e spero anche per un paio di session musicali. Ci sono già stato alcune volte, in qualche modo mi sono sempre fatto capire a gesti. Però mi piacerebbe molto imparare la lingua per essere indipendente, specialmente in quei momenti in cui mi trovo in viaggio da solo per comporre musica. Scrivere le schede, imparare a memoria e usare così la testa per me rappresenta anche un diversivo molto gradito. Per apprendere più velocemente mi faccio aiutare anche dell'app Duolingo. Però non mi ci voglio intestardire troppo, anzi mi piacerebbe anche imparare l'arabo, ma nonostante trovi la lingua molto bella, credo che il portoghese sarà comunque l'ultima lingua che imparerò, oltre al tedesco, al francese e all'inglese."

Mini Polaroid con una finta coppia: "la finzione nella realtà"

"Questa mini Polaroid è qualcosa di davvero speciale e pazzesco. Ritrae la coppia che ha recitato nel mio primo videoclip. Non conoscevo nessuno dei due, e neppure loro due si conoscevano fino a quel momento. È una foto studiata che raffigura una coppia che nella realtà non è mai esistita. Ma questa foto così realistica crea qualcosa di vero, soprattutto per me. La fusione tra realtà e finzione per me è qualcosa di straordinario, ed è per questo che la tengo da tempo nel portafoglio. La cosa divertente è che non molto tempo fa ho incrociato per strada la ragazza del videoclip, l'ho fissata e ho cercato di salutarla con dei gesti davvero ridicoli, perché stavo parlando al telefono e non potevo riattaccare. A quel punto lei, dopo avermi fissato più volte con aria interrogativa, si è allontanata scuotendo la testa. Chissà cosa avrà pensato! Pensa un po', stavo pure per tirare fuori la foto dal portafoglio!"

Akai MPC: "il primo Music Production Center"

"Questo apparecchio ha caratterizzato l'hip hop degli anni novanta e duemila. È un Akai MPC. Gang Starr e moltissimi altri artisti lo utilizzano. Ho capito subito che ne serviva uno anche a me, e ricordo bene quel periodo in cui mettevo da parte i soldi per comprarlo. Una volta acquistato ha funzionato perfettamente per ben dieci anni. Quindi direi che è stato un investimento che si è ammortizzato bene e che ha fatto il suo dovere. Ancora fino a poco tempo fa con la band abbiamo suonato alcuni campionamenti creati con questo gioiellino. In questo momento è "out of order", quando ancora funzionava abbiamo dovuto avvolgere il cavo con molto nastro adesivo per risolvere il problema di un contatto difettoso. Ora si merita un posto d'onore, magari lo appenderò al muro tra qualche corno di cervo. Ma no, sto scherzando! Ora per la mia musica sono passato al MIDI, perché dopo l'MPC, Akai non ha più prodotto buoni sistemi unici come quello. Al momento utilizzo una macchina Native Instruments."

Scaletta: "la prima scaletta con la band"

"L'ultima chicca è la prima scaletta della mia band, la sequenza delle canzoni che abbiamo suonato ai concerti. Tenevo questo foglio sempre vicino ai piedi e gli scarabocchi che ci sono sopra sono i preset del sintetizzatore; ovviamente li sapevo a memoria, ma ormai appuntarli a mano prima di ogni esibizione era diventato il mio mantra. Dal 2013 giriamo con questo pezzo di carta sgualcito. Questo foglietto però non riesce a esprimere il grande processo e l'enorme fatica necessaria per trasformare un album inciso in studio in una scaletta per concerti live come questa. Io produco la mia musica da solo, così come si sente nell'album, mentre con la band tutti i brani vengono interpretati insieme, e a volte anche parecchio modificati, con le influenze dei miei colleghi della band Mario (Rio) e Simon (Long Tall Jefferson). È certamente qualcosa di molto bello ed emozionante, ma che richiede anche molto tempo. Una canzone quindi può essere completamente diversa nell'esibizione dal vivo rispetto all'album."


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Foto dalla nuova scena rap italiana

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Non abbiamo più nemmeno una parola da spendere per raccontare la nuova scena rap italiana ed è per questo che abbiamo deciso di farvi vedere un po' di fotografie e quelle di oggi sono offerte da Francesco Cerutti, in arte Francis Delacroix (e su Instagram @younggoats). Francesco ha 21 anni, è originario di Torino, lavora come produttore, fotografo e (negli ultimi mesi) si è messo a scrivere la sceneggiatura di un film.

I suoi ritratti su pellicola hanno vestito di abiti nuovi i protagonisti della nuova scena rap italiana e per questo l'abbiamo intervistato e ci siamo fatti dare un po' di scatti in esclusiva.

Noisey: Come hai iniziato a scattare fotografie?
Francesco: È successo un anno e mezzo fa, un po' per gioco. All'inizio scattavo solo con un'istantanea Fuji, poi ho iniziato a lavorare su pellicola. Le mie prime fotografie erano tutte foto dei miei amici, che scattavo per allenarmi più che altro.

Hai iniziato a scattare le foto dei rapper e di altri componenti della scena per caso, o era già un genere che ti appassionava?
Ascoltavo tanto rap, soprattutto americano ed è da lì che mi ispiravo per i miei primi ritratti. Un giorno ho conosciuto degli amici che lavoravano con il grafico della Dark Polo Gang e, siccome gli serviva un fotografo per un'occasione in particolare ho avuto modo di lavorarci e conoscerli.

E da lì ti è venuta l'idea di portare avanti un progetto di ritratti della "nuova scuola"?
Sì, considera che è successo pochissimo tempo fa, saranno tre mesi che ho cominciato a stare dietro alla scena rap italiana con l'idea in testa di raccontarla attraverso questi ritratti.

Prima hai fatto altre cose affini?
Sono stato tre mesi a Los Angeles e, anche se non avevo contatti, sono riuscito a intrufolarmi nel giro di Tyler the Creator. Lui e i suoi amici sono molto tranquilli e si ritrovano sempre in uno skate spot a Babylon. Non si fanno nessuna paranoia da "divi". Le altre foto che ho fatto sono tutte scattate dal punto migliore che sono riuscito a raggiungere durante i concerti a cui sono stato, non è che avessi chissà quali agganci.

Quali altri progetti hai portato avanti con il moniker  younggoats?
Sul mio sito c'è una rivista che ho stampato quando ero a Los Angeles per far girare un po' il mio nome nell'ambiente. In quel momento lì ho capito che c'era un riscontro da parte del pubblico e poi la cosa è proseguita su Instagram, dove si è creato un bel dialogo tra me che carico le foto e gli utenti che le guardano. Sempre sul mio sito ci sono anche altre cose legate alle mie passioni, come alcune tracce che ho registrato come produttore, a breve dovrebbe anche uscire un mio album.

Da quando hai iniziato a fare le foto ai rapper come è cambiato il pubblico che guarda le tue fotografie?
Cose da pazzi. Per un po' ho avuto il mio numero di telefono su Instagram e la gente mi telefonava per chiedermi com'era Tony o dove potevano incontrarlo.

Su cosa ti stai concentrando per il futuro?
Vorrei che i miei ritratti riuscissero in qualche modo a raccontare la storia di tutta la scena italiana. Magari li raccolgo in un libro di duecento pagine... No?

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La techno morbida e glaciale di Carsten Jost

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Il critico Simon Reynolds dedicò un testo succoso, all'interno della rivista d'arte Frieze, alla spettacolare tetralogia techno che il produttore Wolfgang Voigt pubblicò a fine anni Novanta con il nome GAS (su Mille Plateaux, gli LP original; raccolti nel box set Nah und Fern dalla Kompakt, di cui Wolfgang è co-fondatore). Trattando del desiderio del produttore di "portare la foresta tedesca nella discoteca", Reynolds si lancia nella descrizione dell'affaire tra tedeschi e foreste che corre da Mann a Goethe; da Wagner a Strauss; da Nietzsche a Fanck; e così via, indietro fino al Romanticismo e ai fratelli Grimm. 

Qui ci fermiamo: sia per ricordare che la Kompakt è il vero centro operativo della Dial – etichetta di David Lieske, a.k.a. Carsten Jost che, come vedrete, delega volentieri burocrazia ed operatività a terzi – sia per suggerire che la foresta migliore per il nuovo Perishable Tactics è quella che avrebbe ospitato la casa di marzapane degli sfortunati Hänsel e Gretel: per il senso di pacificazione da zuccheri, per lo spaesamento stregonesco che serpeggia tra gli arrangiamenti, per il gusto di non finito che, in fin dei conti, invoglia ripetuti ritorni. 

Perishable Tactics esce più di quindici anni dopo l'esordio di Jost e almeno dieci dopo che il mix di minimal e deep del catalogo Dial (rimandando a volte alla primissima Warp, altre alla sognante 4AD) divenissero, per breve tempo, sinonimo di "techno tedesca". Soprattutto per merito dei notissimi Pantha du Prince e Efdemin, più che i per i pur ottimi fondatori Jost e Lawrence. Ok, lo riveliamo: forse la foresta più adatta non è nemmeno quella di Hänsel e Gretel, ma una specie di versione casereccia e inquietantissima del villaggio replica del telefilm Westworld. Leggete un po'.

Noisey: Amburgo, Berlino, New York. Cos'hanno significato queste città per te?
David Lieske: Amburgo è il luogo dove sono nato. Un luogo sicuro, quieto e grazioso per crescere, ma se mi permettete, citerò un noto ex-amburghese, Karl Lagerfeld: "Amburgo è il cancello del mondo, ma appunto è appena un cancello". Ho incontrato lì i migliori amici Pete [Lawrence] con cui ho creato la Dial Records e, più tardi, la galleria Mathew, oltre che molti dei sodali Dial: Efdemin, Pantha du Prince, Nike.bordom, Pawel. Impensabile che succedesse altrove. 

Berlino è il luogo in cui ho passato la maggior parte dei miei vent'anni. La città mi ha dato soprattutto un bel po' di tempo per bighellonare, esattamente ciò di cui avevo bisogno all'epoca. Raccomando calorosamente Berlino a chiunque abbia bisogno di tempo per sperimentare o sviluppare qualcosa senza bisogno di perseguire uno scopo certo. È una delle ultime città al mondo in cui lo si può fare senza soldi in tasca e con tanti stimoli attorno. 

A New York ci vivo. Mi insegna qualcosa di nuovo quasi ogni giorno ed è il posto che mi ha cambiato di più (dopo Tel-Aviv, dove ho vissuto tra il 2008 e il 2010). Sto mettendo ancora insieme i pezzi, cercando la natura politica e sociale del posto. La recente ascesa del neoliberalismo estremista fa abbastanza paura. Non sarei nemmeno riuscito a immaginarlo solo qualche mese fa.

Mi piace il modo in cui il suono di Perishable Tactics stona con la copertina.
L'immagine viene da un editoriale che ho fatto nella località Joshua Tree in California per la rivista 229 792 458 m/s che ho fondato l'estate scorsa con Robert Kulisek. Quella foto in particolare è vagamente ispirata al film giapponese Battle Royale ed è stata nata nelle vicinanze di Pioneer Town, un vecchio set cinematografico, abitato però da spaventosi repubblicani che vanno conciati come nel vecchio West. Abbiamo trovato questo luogo completamente pieno di lattine arrugginite colme di proiettili. Ottimo sfondo per il personaggio distopico, a malapena vestito, che si tiene su un fucile mentre il resto del mondo è in stato di declino. Sembrava illustrare quasi perfettamente i sogni di battaglie epiche che faccio la notte. 

Il titolo Perishable Tactics si oppone, e allo stesso tempo supporta, il senso di kitsch che permea l'immagine. La techno, per come la intendo è una strana costante, una specie di matrice che si comporta in modo prevedibile: può essere arricchita in qualsiasi modo con emozioni, messaggi, riferimenti, texture. La cornice iniziale non cambia e sembra sempre essere un po' fuori tempo massimo, onestamente. Forse l'ho chiamato Perishable Tactics perché le basi suonano un po' secche e questo porta una speciale tensione, una bellezza che mi ha reso gradevole il lavorarci.  

Come mai sei tornato al formato LP dopo una vacanza così lunga?
Il mio ultimo album è del 2001. Ho continuato a fare musica regolarmente, ma con una certa lentezza. La maggior parte degli anni, non riuscivo a finire nemmeno una traccia sfortunatamente. Ciò che mi ha ispirato a realizzare un secondo Carsten Jost è stato Deathbridge, il disco che ho fatto nel 2015 con la band black metal [Misanthrope, CA] che ho messo su con il mio compagno. L'anno scorso abbiamo affittato una casa semi diroccata nell'East Hampton e ci siamo presi un mese. È stata un'esperienza intensa. La prima dopo un lunghissimo tempo in cui ho pensato esclusivamente al suono in tempi così ristretti. Quando i miei amici che lavorano a Eckhaus Latta hanno costruito il loro showroom ho deciso di usarlo per finire tracce che avevo, da anni, negli hard disk.

Il disco è molto coeso, le tracce sono una serie di variazioni su strutture e forme con mood leggermente diversi, quasi una colonna sonora. Quale sarebbe l'accoppiata ideale su Netflix?
Non so molto di Netflix, ma sono sempre stato ossessionato dai film di guerra. Uno dei miei preferiti è Black Hawk Down di Ridley Scott con la nota colonna sonora di Hans Zimmer o i classici Platoon, La sottile linea rossa, Full Metal Jacket e Apocalypse Now. 

Purtroppo non ho suggerimenti da esperti, ma sono film che mi hanno attratto magicamente fin dalla più tenera infanzia, credo sia a causa del fatto che i mei genitori erano pacifisti e la mia aspirazione era quella di, un giorno, diventare un soldato. 

Vite vendute di Henri-Georges Clouzot, con il suo bianco e nero estremo, sarebbe in ottimo contrasto con la mia musica. Amo le albe dei primi film di Malick e il modo in cui mescolano immagini in movimento, soundtrack e voice-over. È qualcosa che provo a riprodurre con la mia musica. Se mai girassi un film, eliminerei i dialoghi.

Tecnicamente, come hai lavorato alle tracce?
Nell'arco di dieci anni circa in diverse location: è, quindi, impossibile ricondurle a una metodologia unica. Lavoro con un set-up base, di conseguenza faccio tutto con un computer. Non uso alcun tipo di hardware, nemmeno tastiera midi. Alcune tracce in Logic, altre con vecchissime versioni di Cubase. Colleziono suoni nel tempo. Ho usato campioni e registrazioni. Seguo un processo assolutamente intuitivo ed emotivo.

Lavori come musicista, hai una label (Dial), sei un artista visivo e hai una galleria Mathew (Berlino, New York). Come vivi questi mondi?
Tutte le mie attività arrivano dallo stesso interesse, avere la massima libertà. Dirigere due gallerie significa, per forza di cose, seguire il classico ritmo di vita che va dalle nove della mattina alle cinque della sera. Bisogna essere aperti e flessibili a ogni scenario. La musica e l'arte sono onde che si compensano, normalmente realizzo musica quando la galleria è chiusa in estate (tra luglio e agosto) e a dicembre. È una bella distrazione dagli orari imposti e dalle routine di galleria. A dir la verità, vorrei fare solo le cose che mi piacciono e delegare il più possibile il resto.

In che modo credi che lo stile Dial abbia aperto le porte a scene elettroniche che arrivano dal club?
Mi hanno spesso fatto questa domanda e rispondo sempre allo stesso modo. Posso parlare solo per me perché, quando ho iniziato, ho copiato il suono degli artisti che più amavo e forse le varie atmosfere e attitudini non si legavano completamente bene, come ad esempio il gelo del black metal norvegese con le produzioni di Detroit. In generale non mi sono mai pensato artista innovativo, ma come uno che si avvicina alla musica da fan. Soprattutto, sono invidioso della musica di altri e irritato dalla mia scarsa capacità di perseverare e sviluppare qualcosa di veramente nuovo. Mi piace fare musica per me, non m'interessa molto cosa succede poi.

Ci sono due canzoni chiamate "Atlantis" (contenute originariamente in un 12" del 2007), parola che avevi usato anche come artista visivo. In particolare, riferendoti al fatto che Platone usò il continente sommerso per formulare l'idea di un governo perfetto che, nonostante tutto, era scomparso, fallito per forze naturali.
Mi sono interessato all'uso che Platone fece di Atlantide come cornice per idee molto sofisticate. Ho tentato di fare analogie con i giudizi che si formulano sulle opere d'arte. Spesso sono prodotti attraverso prese di posizione di gusto, piuttosto arbitrarie, da parte di individui di potere che usano sistemi di ragionamento—a volte foschi, altri completamente finti—al fine di renderle credibili o dar loro carattere di premonizione.

Che artisti segui? Intendo, in qualsiasi campo.
Credo sia importante variare la nostra cultura generale, la nostra visione della storia dell'arte e della politica. E lo dico pensando, in primis, a me, perché mi rendo conto di quanto siano generici i miei gusti. Mi piacerebbe cambiarli, ma è difficile allontanarsi dalla socializzazione e dai punti di riferimento che ho ricevuto, perlopiù europei o nordamericani. Credo che i bianchi che, come me, hanno il potere di dare esposizione (o meno) ad altri artisti dovrebbero discutere più di razzismo. Non attendere sempre di essere invitati a farlo da artisti di colore. Metto sempre in pericolo la mia salute mentale quando cerco di capire da dove arriva questo disgustoso desiderio di tutelare i privilegi.

Francesco Tenaglia è su Twitter: @francescoten.

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Il festival Manifesto celebra la nuova elettronica ibrida

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Il prossimo weekend a Roma si svolgerà la seconda edizione del festival Manifesto, l'iniziativa del club Monk rivolta alla musica elettronica. Quest'anno la lineup è una perfetta sintesi di quello che sta succedendo nelle aree più estreme dell'elettronica internazionale, dove i ritmi della tradizione incontrano i suoni sintetici, dove il calore dei tropici incontra il freddo del dancefloor. 

Nel corso delle due serate, venerdì 10 e sabato 11 marzo, si alterneranno sul palco: le imponenti architetture synthwave di Com Truise, l'afrobeat digitalizzato di Clap! Clap con la sua band, la psichedelia andina dei peruviani Dengue Dengue Dengue, i microsuoni cosmici di Ash Koosha, le narrazioni elettro-veterocomuniste del duo Spartiti, il futurismo precolombiano di Barrio Lindo, l'R&B pan-europeo di Cleo T. e il sampling selvaggio di Filoq

Potete acquistare l'abbonamento per l'intero weekend a questo link o quelli per le singole serate a quest'altro link. Inoltre, qua sotto abbiamo una playlist creata dagli organizzatori del festival apposta per alleviare la sofferenza dell'attesa in questi giorni. 

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Sali sulla sopraelevata di "MELANCHOLYA 3000" di Polezsky

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Io ho un fascino esagerato per le soprelevate. La mia preferita è la DLR di Londra, che parte da Bank, dal cuore della City, ed esce dal terreno per serpeggiare tra le docklands, i palazzi irraggiungibili delle multinazionali di Canary Wharf, i tentativi bucolici di Island Gardens e l'aria d'altri tempi che permea Greenwich. Ti metti lì, nel vagone di fronte con le cuffie nelle orecchie, e ti sembra di stare su una sorta di Bruco Mela della mente. Ed è per questo che il video di "MELANCHOLYA 3000" di Polezsky mi prende bene.

È da qualche tempo che seguiamo Polezsky, un produttore di Monza che pubblica le sue cose per quel gioiellino di etichetta che è l'Avantguardia di DJ Shablo—solo qualche mese fa è uscito con il suo album d'esordio About Nightmares and U. Le sue produzioni stanno idealmente bene in un contesto hip-hop come in un dancefloor ovattato—immaginate un incrocio tra Nosaj Thing e lo Skrillex tutto cuoricioni e vocine pitchate di "With You, Friends (Long Drive)" trapiantato in Brianza. Oggi vi presentiamo in anteprima il video ufficiale della sua "MELAMCHOLYA 3000", collaborazione con il milanese HOOVR. Lo trovate qua sotto.

Le immagini sono di Pepsy Romanoff e sono state girate su una sopraelevata a Seattle, Washington, durante quello che sembra essere un tramonto adorabile. A visione completata, vi consigliamo di cliccare qua e guardarvi pure il live di tutta la crew Avantguardia a Santeria Social Club, registrato qualche settimana fa. 

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In Giappone c'è un gatto gigante che fa il batterista death metal

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La storia per cui l'internet ama i gatti è vecchia come—appunto—l'internet, ma le tendenze più recenti sembrano indicare un cambiamento: i cani stanno diventando sempre più padroni dei meme e delle pagine Facebook, tra i vari doge e doggos e shoobs e puggers che vi riflettono negli occhi continuamente motivi per ricordarvi che il mondo in fondo non fa del tutto schifo. E lo dice il Guardian, mica lo diciamo noi. Ad ogni modo: i giorni in cui il keyboard cat dominava la rete sono lontani, ma qua a Noisey siamo sicuri che l'amico di cui vi vogliamo parlare oggi riporterà i nostri amici felini in un posto di primo piano nei vostri cuori spenti. Eccovi qua Nyango, la nostra nuova rockstar felina preferita.

Come riporta Austin Powell del Daily Dot, il tweet qua sopra è diventato virale in Giappone venerdì scorso. Il video che contiene riprende una mascotte-gatto che, fottendosene del suo costume ingombrante, suona la batteria sulla sigla di Soreike! Anpanman—un anime zuccheroso con protagonisti un supereroe e una tortina vivente—facendola sembrare più cattiva dei Cannibal Corpse. 

Nyango non solo suona la batteria meglio di Dave Lombardo e Gene Hoglan, ha anche un seguito enorme. Quarantamila follower su Twitter, innanzitutto, e un canale YouTube di grande successo pieno di cover di batteria al fulmicotone. Tra cui quella qua sotto, in cui se ne fotte di essere true per calarsi nei panni di Joey Jordison e suonare "Before I Forget" degli Slipknot.

Nyango ha anche una biografia decisamente interessante che vi riportiamo qua sotto, tradotta con quell'infallibile strumento che è Google Translate.

Gatto domestico bianco, laica 7 anni, è morto a causa di malattia. Dopo la cremazione del becchino, sepoltura alla mela boschetti.
Dopo pochi anni, conseguire un risveglio come mela reale. Crescita e che in realtà caduta a terra gradualmente.
Graffi avevano fatto ma cresce Sukusukuto.
Memoria comincia ad apparire anche parte del gatto come gradualmente tornare iniziato con ambiguo ma il tempo.
Anche se tutti Torna il richiamo ai proprietari degli originali, senza capire che è bianco dal suo aspetto, si parla di come una bestia di mela rossa.
Anche se è stato in grado sponger e di essere in qualche modo, è stata consultata per albero di mele del nonno è un creatore.
"Per accontentare tutti nel negozio il potere, andare alle colline di Hollywood. Lasciate Jaro tornare alla forma originale in caso affermativo," ha detto.
Anche se non sapevo bene nelle protesi sono stati ascoltati in qualche modo.
Ora pensiamo a un modo di andare in America e dopo il vecchio albero di ritardo, era se una rock star il proprietario del tamburo per le punte come si può andare avanti e indietro all'estero e lampo.
Pratica a guardare gli altri e il proprietario del tamburo, continuano a tormentare l'evento locale.
Da compagni di band, il gatto e la mela del batterista dal batterista della leggendaria è che esso deve avere un nome "Ringo Starr", chiamato "Nyangosuta".
Così inizia l'avventura per tornare al gatto bianco di Nyangosuta.

Benissimo. Vi lasciamo con un altro video dalla performance live di Nyango di cui sopra, in cui dimostra quanto è bravo a fare la rockstar. 

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Nell'hotel di Banksy suoneranno Massive Attack, Trent Reznor e Flea

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Il Walled Off Hotel di Banksy apre questo sabato a Betlemme, e tra le varie opere d'arte, mostre speciali e iniziative folli che l'artista mascherato ha organizzato, ce n'è una che ha attirato la nostra attenzione: il pianoforte. 

Nella sala da pranzo dell'hotel, si legge infatti sul sito ufficiale, è presente un pianoforte a muro controllato a distanza, per cui suonerà da solo e a ripetizione una serie di musiche composte e registrate appositamente per lui da artisti come 3D (che "suonerà le canzoni dei Massive Attack con tre mani"), Flea, Trent Reznor e Atticus Ross, Hans Zimmer. 

Per spiegare il funzionamento dell'operazione, Banksy ha inscenato una dimostrazione con Elton John che ha mandato il pubblico fuori di testa. Guarda il video qua sotto:

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Allora, com'è il nuovo album di Stormzy?

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Cercare di toccare il cielo partendo dall'underground può essere una missione pericolosa. Lungo il tragitto potrebbero venirti le vertigini, e potresti sentirti così confuso e disorientato da cominciare a cadere. Oppure le luci, sempre più vicine, potrebbero accecarti—bruciarti, addirittura. Potresti addirittura dimenticare il luogo da cui sei partito, il motivo per cui hai cominciato la tua ascesa. 

Nonostante il suo sorriso irrefrenabile e il suo spirito candido, persino Stormzy—persino Stormzy—non si è trovato di fronte una strada perfettamente liscia. Ci sono persone a cui il suo successo, arrivato così velocemente, non è andato giù; hater che volevano vederlo fallire, gente che ha sorriso quando ha sentito della cancellazione di diversi mesi di suoi concerti lo scorso settembre. Lo dice lui stesso nel pezzo d'apertura del suo nuovo album, "First Things First". All'epoca i motivi di una simile scelta non sembravano del tutto chiari, ma il pezzo—uno schiarirsi la gola, un promemoria di quanto la sua maturazione non sia stata semplice come potrebbe apparire—può darci qualche indizio. "Tu litigavi con la tua tipa, io con la mia depressione," rappa Stormzy. "Demoni assurdi nei miei pensieri, il giovane Stormz non era pronto alle luci dei riflettori / Mi sono preso una piccola pausa dal gioco, ho iniziato a pregare – cazzo, dovevo mettermi la testa a posto."

È facile capire da dove viene tutta quella pressione. Nel Regno Unito vige una situazione un po' strana in cui tutti parlano bene del grime, dal ministro della cultura (un tory, tra l'altro) agli annunciatori della BBC, mentre i BRIT Awards—i premi musicali inglesi  più popolari—non riescono a riconoscerne il valore culturale. Stormzy, in tutto questo, è rimasto fedele a sé stesso. "Big for Your Boots", il primo singolo tratto da Gang Signs & Prayer, ha dentro una barra che si ribella ai paradigmi street: "Ero alla O2 Arena a cantare svuotando i polmoni / Rudeboy, non puoi mai essere troppo famoso per Adele." La settimana in cui è uscito l'album, poi, è salito sul palco dei BRIT con Ed Sheeran. Insomma, nel giro di qualche giorno è riuscito a far sembrare figate sia Adele che Sheeran. Il suo è un tocco di Re Mida? 

Se c'è una barra che può contenere perfettamente le radici di ciò che rende grande Stormzy, può essere proprio questa su Adele. Stormzy è l'esempio perfetto del risveglio del grime, una figura perfettamente sicura di sé; ma al contempo è ben felice di mostrare che la vita non può ridursi ai purismi dell'underground, che i pezzi su cui canta non possono essere sempre e solo a 140 battiti al minuto. È una figura ambiziosa, e non ha paura a farlo vedere. In un'intervista con il Guardian, ha detto che per lui è "strano e spiacevole puntare a qualsiasi cosa che non sia il meglio," per poi aggiungere: "Non voglio essere il miglior rapper del Regno Unito. Voglio diventare il miglior artista del Regno Unito."

Ovviamente questo tipo di ambizione—questo desiderio di essere rispettati come qualsiasi altro musicista, non solo in quanto tizio che tiene in mano un microfono—esiste fin dagli inizi del grime. Nel 2004, Lethal Bizzle registrò un dissing contro Wiley in cui diceva, senza giri di parole: "Io sono un artista, tu solo un MC da rave." Allora, le due cose erano considerate due insiemi separati in un diagramma di Venn: potevi far parte solo di uno, non di entrambi. 

Oggi, gli MC underground di un tempo dominano le classifiche senza doversi dare al pop. Gang Signs & Prayer è stato prodotto da Fraser T Smith—il mastermind dietro ad album dalle ambizioni commerciali enomi come quelli dei The Wanted, di Adele e Leona Lewis. Insomma, non proprio un nome che assoceresti al concetto di "produttore grime." Ma Smith ha recentemente lavorato con Kano e Santan Dave—e soprattutto nel 2009 ha prodotto i due singoli di Tinchy Stryder arrivati al primo posto in Regno Unito, tanto a dimostrare quanto il successo mainstream del grime non sia piovuto ieri dal cielo. In un certo senso, la scelta di Smith come produttore del suo nuovo album dimostra quanto Stormzy stia restando in perfetto equilibrio tra i due estremi.

Quando è uscita "Big for Your Boots", ci sono state persone che l'hanno definita "stranamente mainstream... come se stesse perdendo un po' di stile". È un'opinione bizzarra: le barre sono dure come il ferro, la produzione è di Spyro, una leggenda del grime. È un pezzo veloce e pieno di bassi con una vocina pitchata e accordi affilati come pugnalate. Insomma... è grime. Il grime è sempre stato questo. 

Haters gonna hate, dicono oltreoceano, ma gli haters odiano ancor di più quando il successo del loro bersaglio sembra essersi palesato in un batter d'occhio. Fortunatamente, Stormzy ha così tanto spirito ed è così bravo a scrivere che riesce a far sembrare semplice anche sminuire chi gli dà contro. Anche solo "Shut Up" è piena di mosse di ju-jitsu liriche: sì, è rimasto senza parole ai MOBO Awards—e allora? Non ne aveva mai vinto uno. Volete dargli del ballerino per essere salito sul palco con Kanye durante i BRIT? Bene, la vostra è una crew di ballerini. Volete parlare del Lord of the Mic? Voi non siete nemmeno Lord del vostro cortile. 

Il più grande boost di credibilità underground per Stormzy non arriva da un pezzo dell'album ma da uno skit, stranamente. "Crazy Titch Interlude" è un'apparizione toccante del fantasma del grime passato—Crazy Titch, leggenda del microfono, attualmente in prigione da più di dieci anni dopo essere stato condannato a trenta per omicidio, per un paio di minuti dà una lezione di storia e difende Stormzy, che non ha mai nemmeno incontrato, direttamente dal carcere:"Abbiamo iniziato dalle radici e siamo arrivati din qua," dice Titch, personificazione del 'gangster grime'. Poi, paragona Stormzy a Neo e sé stesso a Morpheus: "Ma ora siamo andati oltre le nostre radici. Non abbiamo bisogno di intermediari. Possiamo fare tutto da soli, saltare le gerarchie... non voglio che nessuno dica di essere troppo un gangster per ascoltare Stormzy—state zitti! È una cazzata. Non siete gangster, siete solo hater."

Titch non sarà deluso da Gang Signs & Prayer—ma in fondo potevamo aspettarcelo. Stormzy è un MC che, dopo l'enorme e inaspettato successo di "Shut Up", ha scelto di pubblicare "Scary"—il pezzo meno pop e più anti-compromessi che poteva fare. GSAP è pieno di bombe: tra i nuovi pezzi, "Cold", "Return of the Rucksack" e "Mr Skeng" sono i pezzi più intensi e tirati, sia a livello sonoro che lirico. Ovviamente, il fatto che Stormzy abbassi ogni tanto i toni contribuisce alla qualità dell'album. Quando canta, Stormz riesce comunque a sembrare credibile—"Cigarettes and Cush", un pezzo d'amore drogato assieme a Kehlani, lo dimostra tranquillamente. E ricordiamoci che ilmassimalismo emozionale riscontrabile nelle produzioni dell'album, le influenze epiche quasi Hollywoodiane e i pezzi più lenti non sono niente di nuovo, se parliamo di grime. Basta riascoltare Treddin' on Thin Ice, il debutto di Wiley, le cui parti migliori erano narrazioni lente e riflessive supportate da produzioni che preferivano solleticare l'ascoltatore piuttosto che fargli tremare la terra sotto ai piedi. 

Allora, Stormzy ha davvero qualche chance di diventare una pop star a tutti gli effetti? La British Phonographic Industry, equivalente britannico della SIAE, a fine 2016 ha pubblicato un report di fine anno che riconosceva il grime come "una forza commerciale", dato anche "l'impatto culturale che ha avuto negli ultimi dieci anni", citando come prova le vendite di Konnichiwa di Skepta e l'ascesa alla fama di Stormzy. Questa parte più istituzionale dell'industria musicale può sembrare arida come un deserto, antitetica rispetto al grezzume dell'energia creativa alla base del grime, ma già solo l'esistenza di quel report dimostra che il grime-come-mainstream è il nuovo paradigma, che ci piaccia o meno.

Anche se Stormzy è ancora un artista indipendente, durante i BRIT Awards è stata trasmessa una pubblicità per Gang Sings & Prayer, in collaborazione con Spotify—ed è l'industria musicale che cerca di stare al passo con sé stessa mentre trova una nuova forma, confermando le parole di Titch. I grandi brand lo hanno capito molto prima degli addetti ai lavori. Negli ultimi diciotto mesi, Stormzy ha collaborato con Subway, Pepsi, il Manchester United e Adidas. Invece di fare come Bill Hicks e metterci a lamentarci della commercializzazione dell'arte, potrebbe essere più interessante chiederci qual è il significato di iniziative simili, e se possono avere un valore: lo scrittore Musa Okwonga ha fatto proprio questo, definendo la collaborazione tra Stormzy e lo United—il rapper ha annunciato il trasferimento di Pogba dalla Juventus al club inglese con un video su Twitter—come "il trasferimento di un calciatore più nero di sempre."

Ma dimentichiamoci dell'industria, dei brand. Era da tanto che aspettavamo di poter ascoltare Gang Sings & Prayer, e è valsa la pena di aspettare. Il punto è che alcuni artisti fanno fatica trovare un modo per camminare sulla riga che divide l'accessibilità del mainstream dalla credibilità dell'underground senza cadere da una parte o dall'altra; Stormzy ha tirato fuori una sedia pieghevole, si è messo sulla linea come se fosse la cosa più normale di sempre, e adesso si sta godendo la sua impresa. E la sensazione è che sia più che pronto a diventare enorme, tra l'altro meritandoselo.  

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