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I compositori sono i nuovi re dei festival

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Di solito quando un festival annuncia la propria line-up il "fattore ohmmerda" può essere ricondotto a una di queste tre categorie. Innanzitutto: quella balena bianca che è la reunion, e alcuni esempi recenti sono gli Outkast, gli LCD Soundsystem e i Guns N' Roses—tutti tornati assieme negli ultimi anni per un po' di soldi e gloria. Poi: l'album suonato dal vivo per intero, vedi i Television che fanno Marquee Moon al Primavera, Brian Wilson che fa Pet Sounds in giro per il mondo, Roger Waters che fa The Wall un po' dove gli capita da quattro anni a questa parte. E infine ci sono i vecchiardi che non hanno mai smesso di suonare dal vivo—gente tipo Elton John, Lionel Richie, Billie Joel e tutta la line-up dell'Oldchella. 

Ma, nonostante quello che i Mötley Crüe vorrebbero farvi credere, non si può riciclare il passato indefinitamente. Dato che il mercato è sempre più saturo, chi organizza i festival è spinto a innovare costantemente le proprie formule: e chiamare compositori a suonare è, a quanto pare, il metodo che tutti stanno provando ad adottare per offrire ai fan un'esperienza diversa dal solito. L'internet è impazzito quando ha visto che Hans Zimmer avrebbe suonato al Coachella di quest'anno—con il suo nome ad apparire, sul cartellone, tra DJ Khaled e i Future Islands.

Oltre a Zimmer, che ha scritto la colonna sonora di più di 120 film tra cui Il Gladiatore, Il Cavaliere Oscuro, Inception, Pirati dei Caraibi, Interstellar, e Il Re Leone, anche altre icone del settore come John Carpenter, Giorgio Moroder e Philip Glass sono apparse negli ultimi tempi nelle line-up di festival americani e europei come il Primavera Sound, il Wireless, il Pitchfork e il Day for Night.

La scelta di chiamarli, però, non nasce solo dalla ricerca di "qualcosa di nuovo". I festival li stanno usando per evolvere e ampliare la portata della loro offerta musicale, adattandosi ai gusti sempre più acuti del loro pubblico e alla tendenza all'inclusività dei trend culturali contemporanei.

"I festival diventano sempre più formulaici, ed è sempre più comune vedere tante versioni leggermente diverse della stessa line-up; credo, quindi, che chiamare compositori non sia tanto un'innovazione quanto una correzione," dice Omar Afra, produttore del Day for Night Festival di Houston, che ha chiamato a suonare recentemente sia Glass che Carpenter. "Zimmer, Glass e qualsiasi artista che spinga i limiti di ciò che è possibile proporre a un festival si merita di apparire tanto quanto qualsiasi altro. Le loro cose fanno parte del DNA della musica che ascoltiamo ogni giorno."

Molte delle colonne sonore di Carpenter, Glass e Zimmer si sono incastonate nella coscienza collettiva—sono filtrate nel DNA emotivo di chiunque si sia mai cagato sotto a guardare Halloween o abbia mai pianto disperatamente quando Mufasa è morto nel Re Leone. E la loro influenza si sente nella musica tutta: M83 potrebbe non essere mai esistito senza Vangelis, o i Muse senza Morricone. C'è poi chi si è dato alle colonne sonore in prima persona, come i Daft Punk o, appunto, M83. I film danno inoltre alle composizioni una lunga vita di conservazione, e quindi un potenziale pubblico multigenerazionale—un altro argomento di vendita per chi organizza i festival, e cerca quindi di soddisfare il maggior numero di persone possibile.

"Mio figlio ha 19 anni," dice Afra, "E ovviamente sa chi è John Carpenter, perché i suoi film sono classici della cultura americana, forse anche più di quanto lo siano molte cose uscite in quest'ultima generazione."

Quando Carpenter si è esibito al Day for Night a Houston, in Texas, il mese scorso, ha portato con sé una band di cinque elementi con dentro suo figlio, il suo figlioccio e la sezione ritmica dei Tenacious D, e un visual show con delle clip da Halloween, Fuga da New York e molti altri film a cui ha lavorato nei suoi quarant'anni di carriera. A quanto dice Afra, le luci preparate da Carpenter per il suo concerto erano della stessa qualità di quelle dei vari DJ e producer che avevano suonato al festival, e avevano quindi avuto un ottimo riscontro anche tra i più giovani, che ormai si aspettano una componente visuale sofisticata quando vanno a un evento simile. Assieme a Carpenter suonavano, su altri palchi, Aphex Twin e i Run the Jewels, ma nonostante questo aveva un pubblico decisamente fitto. Lo scorso giugno, Carpenter ha portato lo stesso spettacolo al Primavera, a Barcellona, che ha circa centomila presenze annuali. E Carpenter stesso non aveva idea di quanto sarebbe stato grande il suo concerto finché non è salito sul palco.

"Il Primavera è stato incredibile," ha detto Carpenter, che recentemente si è tenuto impegnato demolendo nazisti. "Ho guardato le migliaia di persone che avevo di fronte e ho pensato, 'Oh mio Dio, che ho fatto?' Era la prima volta che suonavo a un festival così, e ci sono rimasto. Sono un vecchio ormai, ma devo fare cose come questa. Ho adorato ogni secondo."

I compositori suonano sempre di più le loro colonne sonore dal vivo. John Williams ha suonato regolarmente all'Hollywood Bowl di Los Angeles, proponendo estratti dal suo lavoro per Indiana Jones, Guerre Stellari, Lo Squalo e molti altri. Persino Skrillex ha anticipato la moda mettendosi a sparare "Il cerchio della vita" nei suoi DJ set. E non sono solo i film a godere di queste nuove attenzioni. La TV ha tratto grandi benefici dall'era-Netflix a livello qualitativo, e lo stesso è successo per le colonne sonore delle serie e dei programmi più famosi di questa generazione. E allora David Lynch ha organizzato un festival, sempre a Los Angeles, in cui sono state suonate dal vivo delle musiche da Twin Peaks, mentre il Sundance NextFest proietta film indipendenti e ospita concerti di artisti emergenti. I compositori delle musiche di Stranger Things, Kyle Dixon e Michael Stein dei S U R V I V E, suoneranno dal vivo a diversi festival quest'estate, e si sono già esibiti in un concerto dedicato alla serie a Cracovia, in Polonia, l'anno scorso.

"Se al pubblico piacciamo e i promoter continuano a chiamarci, che problema c'è? Stiamo tutti facendo due soldi!" dice Carpenter, anche se ammette che non tutti i compositori possono trovarsi a proprio agio a suonare in contesti simili.

"Dipende dalla persona, da quello che ha fatto, e da quanto il pubblico può sentirsi coinvolto," dice. "Penso che Hans Zimmer sia una scelta incredibile per il Coachella. Ha un sacco di temi che la gente riconoscerà senza problemi."


Artisti come Zimmer possono richiedere un investimento maggiore da chi produce i festival—prove, palchi da montare e strumenti per orchestre e ensemble richiedono più tempo, soldi e forza lavoro di quanti ne richiedano due chitarre o un setup da DJ. Ma presentare musica classica in un contesto non tradizionale significa creare esperienze uniche (Insomma, provate a pensare alle possibilità: chi potrebbe cantare i pezzi di Zimmer?). Chiamare dei maestri simili, inoltre, permette ai fan di trovarsi di fronte a un'abilità musicale non così comune sotto ai tendoni dei festival contemporanei.

"La maggior parte della musica da festival è scritta da artisti che dipingono con tre o quattro colori," dice Afra. "Hans Zimmer ne usa a migliaia. È una vita che compone. All'arte serve semplicità ma anche abilità, e il pendolo oscilla tra i due estremi. E in base a dove il pendolo è ora, credo che abbiamo davvero bisogno di maestri come loro, che sembrano quasi alieni quando si esibiscono."

E poi va detto che non sono solo i fan e gli organizzatori, a trarre vantaggio da tutto questo: per i compositori, è un'occasione per sentirsi delle vere rockstar. "Insomma, solitamente i compositori non sono considerati qualcosa di figo, ed è come se le nostre cose non valessero la pena di essere suonate dal vivo," dice Carpenter. "Quindi è tutto favoloso."

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Trans-Global Express: cinema e world music per una cultura più fluida

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La terza edizione di Seeyousound Festival è cominciata venerdi 27 gennaio e andrà avanti fino a sabato 4 febbraio, al Cinema Massimo di Torino. Fiore all'occhiello del festival di cinema musicale, quest'anno è la rassegna Trans-Global Express, costituita da sei lungometraggi ad opera di registi indipendenti, ciascuno con una diversa storia da raccontare, relativa a una diversa parte del mondo. Protagonista di queste narrazioni è l'ibridazione tra vecchio, in musica, tra vecchio e nuovo, folklorico ed elettronico, indigeno e urbano, in un contesto in cui i confini e le definizioni tendono a perdere di significato. Alcune storie sono vere e proprie mappature sonore di paesi o interi continenti, altre vedono la musica come veicolo politico di lotta, tramite il quale trasmettere messaggi ben precisi, altre sono poesie molto intime fatte film. La rassegna è insomma una celebrazione della world music—proveniente letteralmente da più parti del mondo—come elemento chiave di un'epoca storica in cui la vera salvezza risiede nella diversità.

Qualche tempo fa mi è arrivato l'invito di Juanita Apraez Murillo, curatrice e co-fondatrice del festival, a presentare il panel ufficiale della rassegna, con ospiti i registi di quattro dei sei film coinvolti. Sono rimasta abbastanza stupita perché prima di allora non avevo mai avuto un'occasione simile, e dato che il tema mi sta molto a cuore, ho accettato di buon grado.

I film-documentari, come dicevo, in totale sono sei, e al panel sono stati invitati i registi di 4 di questi: Yallah! Underground di Farid Aslam, in cui si esplora un ricco sottobosco di artisti underground fiorito durante gli anni della primavera araba; Fonko di Lars Loven, sulla rivoluzione pop nell'Africa nera, narrato attraverso vecchie interviste di Fela Kuti; Sonido Mestizo di Pablo Mensi, sulla fusione tra tradizione folklorica e innovazione elettronica in Ecuador; Shu-De! di Micheal R. Faulkner, ovvero l'avventura di Shodekeh, beatboxer di Baltimora in trasferta nella Tuva russa/siberiana, a contatto con gli storici maestri di canto gutturale.

Sonido Mestizo

Diretto dall'argentino Pablo Mensi e prodotto da Grant C. Dull, co-fondatore di ZZK Records e Zizek Club con sede a Buenos Aires, Sonido Mestizo è stato girato interamente in Ecuador, tra costa, selva e Ande, a contatto con la musica popolare tradizionale e l'elettronica di oggi. In ogni parte del mondo, a geografie diverse corrispondono sempre fioriture di culture e tradizioni diverse. Il film vuole ripercorre le tre nature dell'Ecuador, usando come filo conduttore la musica e la sua differenziazione a seconda del territorio di appartenenza. La serie a cui appartiene si chiama "The New LatAm Sound", progetto audiovisivo di Mensi e Dull, che documenta le scene musicali regionali di determinati paesi sudamericani, quali Argentina, Ecuador, Colombia, Perù. Tutti questi paesi godono di una geografia simile a quella dell'Ecuador, e la visione del film non fa che portare alla mente le infinite esperienze comuni di un popolo diviso da confini solo sulla carta, ma che in realtà ha molto da raccontarsi.

È uno dei film con più interesse per la sperimentazione e ricerca musicale; questa eredità qui è vista come chiave per la riappropriazione di un'identità, tutt'ora compromessa da anni di reflussi postcoloniali, e conseguente razzismo interno allo stesso paese. La musica è il testimone che il passato dell'Ecuador consegna alle nuove generazioni del presente, con le dovute tutele dai rischi del mercato globalizzato e della cosiddetta "appropriazione culturale."

A mappare gli stili musicali ecuadoriani sono gli stessi artisti, in una dicotomia vecchio/nuovo che si riflette anche nella narrazione: prima si approfondisce ciò che è tradizionale, con interviste agli storici musicisti del posto, poi l'arrangiamento in chiave moderna, quindi i giovani producer. È interessante anche l'analisi del termine "mestizo", qui relativo alla fusione tra passato e presente della musica ecuadoriana, ma anche alla condizione del popolo latino americano: non solo indigeno, ma anche nero, caucasico e meticcio. C'è una corrispondenza tra i musicisti "nativi", quindi relativi alla tradizione folklorica, dai tratti somatici più marcatamente indigeni, e i loro eredi del presente—Quixosis, Nicola Cruz, EVHA—dalle fattezze più mestizas, meticce per l'appunto. A un'ibridazione di suoni corrisponde un rimescolamento di etnie, in grado di creare nuova "materia prima" in cui in futuro re-identificarsi. "È vero", mi spiega infatti Pablo, "questa corrispondenza esiste, ma è anche più versatile di quello che si crede. Ricordo che quando abbiamo girato la parte con Enrique Males, musicista folklorico dalle fattezze da vero indio, il mio socio, decisamente chiaro di pelle, parlando con lui ha scoperto di avere parenti con lo stesso cognome di quelli di Males… e da fuori non si sarebbe mai detto!"

Yallah! Underground

Yallah! è stato girato da Farid Eslam, tedesco di origini afghane, nell'arco di cinque anni, tra il 2009 e il 2013, in piena primavera araba—parallelamente al sempre vivo conflitto israelo-palestinese—nei paesi che ne sono stati protagonisti, quindi Egitto, Libano, Palestina, Giordania. Gli artisti coinvolti, sono tutti parte della scena indie underground di questi paesi; alcuni ci vivono ancora, altri si sono spostati più a nord, nel fantomatico "Occidente". A differenza degli altri film, Yallah! dà maggior peso alla dimensione politica del fare musica, quindi ai messaggi di paura, speranza, liberazione di cui sono intrisi i lavori di ogni singolo musicista intervistato.

È forse il film più complesso e politicizzato, appunto, di tutti, vista la psicosi sempre più dilagante nei confronti del mondo arabo e delle relative culture. La ricerca musicale passa in secondo piano, e i generi approfonditi—indie pop, rap, rock, dancehall/reggae—sono affiancati da testi e messaggi potenti, aiutando gli artisti a esprimere con creatività pensieri e idee che altrimenti sarebbe stato difficile diffondere. Ho adorato la scelta registica di puntare proprio sulla parola e sulla lingua araba, soprattutto considerando il momento politico in cui ci troviamo. La lotta alla sempre più normalizzata discriminazione verso l'Islam e, stando anche alle recenti scelte di Trump, verso l'intera popolazione araba deve avvenire quotidianamente mediante qualsiasi mezzo, e Yallah! è un bel ceffone in faccia all'islamofobia. "In realtà la religione qui gioca un ruolo secondario", spiega Farid, "gli artisti come quelli che ho coinvolto nel film, che si muovono quindi nel territorio dell'underground, si esprimono attraverso la musica nonostante parte della comunità non approvi. Questo accade in tutto il mondo, credo".

La frase di Karim Adel Eissa, artista hip-hop egiziano, sulla caduta del governo Mubarak nel 2011, è emblematica e trasmette un sentore di irrequietezza: "Credi che non ti accadrà niente fino a quando non vieni colpito per la prima volta". Con le loro storie, gli artisti parlano di com'è fare musica politicamente nel cosiddetto Medio Oriente, restituendogli una dimensione umana che fa molta fatica a trasparire dai media occidentali.

Fonko

I registi di Fonko sono tre e sono svedesi: Lars Lovén (presente al festival, con cui ho avuto il piacere di parlare), Lamin Daniel Jadama e Göran Hugo Olsson. Il film si riavvicina allo stile di Sonido Mestizo e percorre alcuni paesi dell'Africa centrale, documentando il processo di riscoperta della propria eredità musicale da parte di quei giovani musicisti che oggi scuotono il continente di nuova vitalità creativa. Come in Yallah!, però, anche qui la musica ha una forte componente di rivalsa sociale, mossa dalla volontà di decolonizzazione del territorio, autodeterminazione e sradicamento dell'ipocrisia "democratica", che in realtà favorisce solo una minima parte dei suoi abitanti. In un continente come l'Africa—ma anche nei paesi della sua diaspora—è essenziale che l'arte rivesta questo ruolo, specie alla luce delle derive nazionaliste sempre più razziste e xenofobe di molti paesi europei e, vabbè, degli ormai irrecuperabili Stati Uniti.

Dal punto di vista musicale ho trovato in questo film una serie di suggestioni dovute all'incontro tra ritmi tipici e dimensione del clubbing, quali l'azonto Ghanese, la house sudafricana—la gqom non viene approfondita, ma insomma, è come se ci fosse—il kuduro Angolano. Gli stessi hip-hop e pop vengono riassemblati e liberati dai costrutti che il mercato occidentale ha sempre imposto dall'alto, con risultati incredibili e unici nel loro genere (vedi il rapper ghanese-romeno Wanlov The Kubolor).

"Un genere di cui non abbiamo parlato in Fonko per questioni di tempo", racconta Lars, "ma che merita una nota è l'hiplife. Si tratta della fusione tra l'highlife ghanese e l'hip-hop. L'highlife è stato un genere musicale in voga negli anni '20/'30 in Ghana, che si rifaceva al jazz e agli arpeggi melodici di chitarre ritmati da percussioni molto groovy, che oltreoceano, a Cuba, ha portato alla nascita del guajeo e della salsa. L'hiplife ricorda molto la dancehall e il reggae, pur essendo molto più melodico, e nasce a inizio anni '90. È molto diffuso ancora oggi, è stato un peccato non poterne parlare".

In Fonko l'elemento del ballo, nella sua accezione più pop/popolare, riveste un ruolo molto importante: è a tutti gli effetti un linguaggio tramite cui affermarsi, unirsi e resistere. E l'Africa unita è un tema ricorrente all'interno della narrazione del film. La voce narrante di Fela Kuti fa da filo conduttore per le scene musicali approfondite paese per paese, e si dirama in aneddoti e pensieri di natura politica—tra cui il Panafricanesimo—tratti da interviste d'archivio inedite, dalla forte suggestività.

Mi ha colpito molto la digressione sulla religione, in cui si afferma che nell'Africa centrale, Islam e cristianesimo sono Credo-alibi, forzature imposte da altri popoli come ennesima sostituzione culturale di ciò che vi esisteva da prima del loro arrivo. "È paradossale perché gran parte degli artisti che abbiamo intervistato in Fonko sono cristiani, anche se sanno benissimo che non era quella la loro vera religione, inizialmente. Vivono questo paradosso in pace però, e comunque ce ne sono pochissimi che rimangono sensibili agli spiriti ancestrali".

Shu-De!

"Shu-De" significa "andiamo" in lingua tuvana, ed è anche il nome del primo documentario dello statunitense Micheal R. Faulkner sull'avventura nella regione siberiana della Tuva dell'amico beatboxer di Baltimora Shodekeh. Quest'ultimo deve il suo nome, datogli dalla madre, a un antico guerriero nigeriano—di dov'è originaria la sua famiglia—ed è peculiare l'assonanza tra il titolo del film e il nome del suo protagonista.

La sua avventura comincia nel 2011, quando viene a contatto per la prima volta con gli Alash Ensemble, storici maestri di canto armonico tuvano—anche detto xöömij, a prevalenza maschile—capitati a Baltimora durante il loro tour dell'epoca negli Stati Uniti. In quell'occasione Shodekeh e i membri della band hanno avuto modo di conoscersi e unire le loro arti vocali, con risultati strabilianti per entrambe le parti. Di lì a poco Shodekeh riceve l'invito ufficiale per la partecipazione all'International Xöömij Festival, a Kyzyl, nella Tuva. Invito che estende anche all'amico Faulkner, che intuisce la grande portata artistica di un'esperienza del genere.

Il film è uno dei dipinto più cristallini del connubio tra tradizione e innovazione, tra Oriente e Occidente (ultima volta che ricorro a questi termini, giuro). L'esperienza di Shodekeh fa da struttura portante per la scoperta della geografia e della tradizione tuvana, e la stessa musica, nella sua accezione più corporale e fisica, mette in evidenza la poesia di questa simbiosi. I beat che Shodekeh incorpora nei canti gutturali, sono veloci, serrati, quasi drum 'n' bass, o a volte più genuinamente hip-hop; l'intento è apportare una voluta scarica di adrenalina alle vocalità tuvane, di natura molto più ipnotica e magnetica.

Shu-De! viene definito un "artefatto culturale", più che un film, e il regista concorda con questa interpretazione. "Sono molto felice di come sono proseguite le cose, dopo l'ultimazione del film", specifica Faulkner. "Shodekeh e Alash Ensemble stanno lavorando a un album insieme, e sono in lavorazione altri progetti sempre di scambio di artisti tra Stati Uniti e Tuva. Se ne stanno occupando le municipalità del posto, perché hanno visto che i risultati sono ineccepibili. Non sono sicuro se può essere definito un vero e proprio genere musicale, ma sono convinto sia questa 'l'oasi di unità attraverso la collaborazione musicale' di cui parla Shodekeh nel film. E negli ultimi anni molte donne tuvane stanno iniziando a praticare il Xöömij, proprio come gli uomini, perciò si prospetta che non ci saranno più disparità, in questo senso".

Gli strumenti dell'arte e della cultura che agiscono concretamente per il miglioramento di una data società sono più efficaci quando sfaccettati, meticci. La rassegna Trans-Global Express dell'edizione di quest'anno di Seeyousound è un po' quella "oasi di unità" molteplice nominata da Shodekeh, e perseguita un po' da chiunque veda la diversità come una forza motrice, e non come un ostacolo. In questo tetro 2017, ne avremo sempre più bisogno.

Il festival Seeyousound prosegue fino al 4 febbraio. Acquista i biglietti qui.

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Bandcamp devolverà tutti i profitti di venerdì all'ACLU

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Ieri, scrollando la mia bacheca di Facebook, ho trovato un post di Nicole dei The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die—una band americana che mi piace un sacco e vi consiglio caldamente—che diceva: "Ogni mattina mi sveglio impanicata per la raffica di notizie su tutte le cose terribili che sono iniziate a capitare dopo l'inaugurazione. Per favore, prendetevi cura gli uni degli altri." Se avete amici americani, forse, anche voi avrete visto messaggi simili. Personalmente, anche se sono a un oceano di distanza da lei e dagli Stati Uniti, mi sento anch'io un po' come lei—preoccupato, con la mente che continua a tenersi impegnata immaginando scenari apocalittici e il cuore che spera che, in qualche modo, tutto si risolverà per il meglio. 

E niente, dato che stare qua a preoccuparsi non serve a un cacchio sono felice di comunicarvi che Bandcamp—cioè la piattaforma di streaming e vendita musicale migliore del mondo, a mio modesto parere—ha deciso di devolvere interamente i profitti di venerdì 3 febbraio alla American Civil Liberties Union, cioè l'organizzazione recentemente venuta alle luci della ribalta per il suo ruolo nel supportare (e rendere efficaci) i ricorsi di chi ha subito gli effetti del Muslim Ban di Trump (qua la sua storia, ben raccontata dal Post). 

In un post sul sito ufficiale di Bandcamp, la società ha scritto che si "oppone con tutto il cuore al ban, ed estende il suo supporto a tutte le persone che si sono viste capovolgere la vita", aggiungendo che l'ordine esecutivo di Trump "non è solo immorale ma viola lo spirito e le fondamenta su cui è stata costruita l'America." Il post contiene anche una playlist di artisti provenienti dai paesi coinvolti nel ban di Trump, con l'aggiunta del Messico. 

Che dire, gente—anche cinque, dieci euro fanno la differenza. Avere della musica in cambio di un supporto concreto alla bellezza del multiculturalismo e all'apertura mentale secondo me è un ottimo affare. Caricate la prepgata. Qua sotto trovate i link ai profili Bandcamp di un po' di etichette che ci piacciono particolarmente, in ordine alfabetico. Ma ci sono anche una miriade di profili personali di artisti da esplorare. 

Italiane: Bad Panda RecordsBoring Machines / Dio Drone / Flying Kids / Haunter Records / Maple Death / My Own Private Records / NO=FI / Sangue DiskenTo Lose La TrackV4V RecordsWallace RecordsWhite Forest

Internazionali: Asthmatic KittyBig Scary Monsters / Burger Records / Captured TracksCount Your Lucky Stars / DischordErased Tapes / Ghostly International / Gqom Oh! / HyperdubIron Lung / Jagjaguwar / La Vida Es Un Mus / Matador / Metal BladeNON Records / Orchid Tapes / PAN / PolyvinylProfound Lore / RelapseRun for Cover / Sacred BonesSouthern LordStatic Shock / Sub Pop / Sublime Frequencies / Teenage MenopauseTopshelf

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Recensioni

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Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

MIGOS
Culture
(Quality Control/300/Atlantic)

Recenti studi del Massachusetts Institute of Technology hanno confermato che lo stadio evolutivo di una società è direttamente proporzionale alla sua comprensione e al suo apprezzamento dei Migos. "Il fatto che Donald Glover abbia dovuto ringraziare in televisione Quavo, Offset e Takeoff per 'Bad and Boujee' dimostra incontrovertibilmente che la strada da percorrere è ancora lunga", ha dichiarato Melissa Nobles, capo-dipartimento della School of Humanities dell'MIT: "Una società avanzata avrebbe immediatamente riconosciuto l'enorme apporto culturale dei Migos, che sono inoltre stati così gentili da abbassarsi al nostro livello intitolando Culture il loro album. Ma, a quanto pare, viviamo ancora nel medioevo". DJ Khaled, che ha co-firmato il paper, ha aggiunto: "Hanno provato a farci fallire. Hanno provato a rubarci la dab. Ma noi siamo i migliori. Abbiamo la chiave per salvare il mondo, e non abbiamo paura di continuare a usarla".
LA REDAZIONE

DIODATO
Cosa Siamo Diventati
(Carosello)

Lo confesso, all'inizio pensavo di dover recensire non Diodato bensì… Deodato. Mi sono detto: urca, il grande vecchio ha fatto un disco nuovo! E invece si trattava del cantautore italiano con il suo nuovo album per la Carosello. Ciò non vuol dire che non si senta comunque il piglio di un settantenne, e questo inquieta: perché Deodato suonerebbe sicuramente più fresco e giovane. Tutta questa melodia, 'sti ghirigori… e che cazzo è? Possibile che la musica italiana di oggi non riesca ad emanciparsi dal modello Al Bano? Stiamo tornando indietro per quale motivo? Perché l'Italia è un paese per vecchi? Chiariamoci: non che Diodato sia una pippa, è bravissimo in quello che fa. A volte rischia di diventare anche il nuovo Baglioni (ascoltate la title track, con quegli archi avvolgenti) il che non guasterebbe tutto sommato, a questo Paese manca un degno erede del Claudione nazionale. Ma io non ce la faccio davvero a ingoiare tutto questo zucchero, il dietologo me l'ha vietato. Ciò non vuol dire che non piacerà alla gente, per cui io torno ad ascoltare Deodato e bona lì.
ZOLLETTA DI ZZOCA

RANK/XEROX
M.Y.T.H. EP
(Adagio830)

Siete un gruppo figo e volete definitivamente conquistare il mio cuore? Fate pochissimi dischi e restate il più possibile nell'ombra facendo sì che meno gente possibile parli di voi se non per dire: "Ma ti ricordi quel gruppo? Chissà se esiste ancora". Dei Rank/Xerox non avevamo notizie dal 2013, quando scomparvero dalle scene dopo qualche EP, un LP e un tour, con il frontman David West che finì per formare altre band-bomba come Total Control, Rat Columns e Liberation. I Rank/Xerox sono uno dei più fulgidi esempi di quello che a me piace chiamare robopunk: post punk dall'incedere marziale e dalle sonorità stridenti, ma che non dimentica che la gente preferisce ballare mentre pensa alla futilità della propria vita. Su questo EP appena uscito per la tedesca Adagio830 i californiani continuano per la stessa strada luccicante: sonorità secche e taglienti, qualche synth che funziona da led colorato nel buio del deserto alieno in cui ti trasportano, mentre chitarra-basso-batteria e voce funzionano da vettore organico per paranoie retrofuturistiche che, personalmente, sono il mio tipo di paranoia preferito.
TRANK/XANAX

NOT WAVING
Populist EP
(Ecstatic)

Il nostro uomo a Londra torna con un EP di quattro pezzi molto potenti, molto vari, molto belli. Lo fa sulla sua etichetta, la Ecstatic, ed è roba per prendersi un po' di schiaffi in faccia e svegliarsi. Roba studiata per la pista, ma che, messa a sonorizzare una catena di montaggio, aumenterebbe la produzione del 10%; roba che dovrebbero dare al posto degli energy drink, roba che probabilmente il vostro datore di lavoro potrebbe rimborsarvi alla voce "spese". E soprattutto roba fatta per far divertire, e fatta davvero bene. Non sappiamo cosa ne pensiate voi, ma qui a Noisey pensiamo che di cose così non ce ne siano mai abbastanza, e non vediamo l'ora di sentirle in qualche posto strapieno di gente, tutti sudati a saltare in mezzo alla pista. Bravo Alessio, ora vai nel mondo a portare gli schiaffoni di Vasto.
ANTÒ LU PURK

DOMINOWE
SiyaThakatha EP
(Gqom Oh!)

Lo smile qui sopra è arrivato solo dopo un'attenta riflessione su quanto io sia incapace di sopportare un trend per più di cinque minuti. Partiamo dal presupposto che Dominowe è un fottuto mostro e che da quando è uscita la sua "Africa's Cry" su The Sound Of Durban Vol. 1 siamo tutti giustamente saltati per aria di fronte alla novità e alla genuinità di quei suoni lì. Era la fine del 2015 e in generale il gqom era un "genere" non conosciuto nelle lande dell'internet. A poco più di un anno di distanza la situazione è cambiata ed il mio unico problema con questo EP è che ci ha messo troppo per arrivarmi. Quindi ho cancellato tutta la mia prima riflessione e ho fatto finta di non essere un nevrotico (di quelli poco carismatici su cui nessuno ha mai fatto un film) e ho stabilito che Dominowe ha fatto un EP con i poteri magici. La magia nera funziona e questo disco è capace di farvi anche nelle circostanze più orribili come una lunga fila alle poste, un ingorgo in tangenziale o un DJ set di Big Fish al Tunnel.
VROOM VROOM GENTILONI

SAMPHA
Process
(Young Turks)

La voce di Sampha è calda e tranquillizzante come una camomilla con due cucchiaini di zucchero muscovado bevuta con l'amore della vostra vita una sera di gennaio mentre il vostro cane Spot vi si adagia sulle gambe e chiude i suoi occhioni lucidi con una sorta di sorriso sul viso. Il che è notevole, dato che quello che Sampha canta è in realtà un ricettacolo di tristezza più nero del vantablack di Anish Kapoor. Insomma, mentre scriveva Process gli è venuto una sorta di nodulo in gola terrificante, sua madre è morta di cancro e intanto doveva gestire la leggera pressione mentale che può darti collaborare con Kanye, Drake, Solange e Frank Ocean. E quello che è uscito ha invece un'aura di liberazione che non ci si crede, e suona da Dio sia che faccia le acrobazie e i volteggi sonori, tipo in "Kora Sings", sia che si metta lì tranquillino al pianoforte a pensare e buttar giù due cose autobiografiche, tipo in (No One Knows Me) Like the Piano".
DJ FERNANDO LOPEZ

PRIESTS
Nothing Feels Natural
(Sister Polygon)

Le Priests un primo album ce lo avevano già, registrato a Portland in uno studio, concepito per catturare l'energia delle loro performance live—ma non ne erano contente. Così, tornate a casa a Washington DC, hanno buttato tutto nel cesso e ricominciato da capo. Chiaro che un disco nato da un gesto tanto radicale e rischioso non poteva essere meno di perfetto. In completa opposizione agli stereotipi che vogliono i Priests un gruppo di ragazze punk arrabbiate (non che non lo siano, sono inviperite) loro hanno creato un disco di una tridimensionalità paralizzante, che passa da atmosfere festaiole a momenti intimisti a esplosioni di rabbia senza nascondersi dietro la patina lo-fi che sembra il requisito fondamentale per sembrare "veri" in ambienti come quello da cui vengono. È chiaro che non hanno bisogno di dimostrare nulla a nessuno, lo si percepisce dalla libertà che esibiscono passando dagli angoli bui di pezzi come "Leila 20" e "Nothing Feels Natural" alla spiaggia assolata di "JJ" al dancefloor di "Suck", senza dimenticare le loro radici nel pogo di "Pink White House" e "Puff". C'è spazio anche per un'interludio di archi e per esplorazioni free noise ed elettroniche nella coda di "Appropriate" e in "No Big Bang". Un debutto sorprendentemente maturo e coraggioso, la cui libertà e sincerità rischia di essere scambiata per mancanza di direzione o, peggio, paraculaggine. Ma noi certi errori non li facciamo.
PRONOMI A CASO

DUMOULIN/VERBRUGGEN/HAINO
The Miracles Of Only One Thing EP
(Sub Rosa)

Metti insieme uno specialista del Fender Rhodes come Jozef Dumoulin, un batterista smagnato ma con il groove nel sangue come Teun Verbruggen e uno che ti fa sanguinare le orecchie a furia di noise come il grande maestro Keiji Haino, e ti ritrovi di fronte al Bitches Brew del 2017. Davvero una tempesta di jazz decomposto, che arriva sottile, che attacca sottopelle come una tenia, che risulta estremo ma nello stesso tempo emana un'armonia senza tempo che appunto ricorda gli esperimenti di Davis—che se fosse stato vivo forse avrebbe partecipato a questa formazione smanettando e saltellando fra i campioni come fanno questi qua. Senza dubbio incredibili gli inserimenti di (suppongo) flauto tradizionale giapponese e quelle chitarra allucinate stile Frisell che si spappolano dietro, sembra di sentire Fabbriciani che si perde in una fabbrica di fibbie per cinture. Che altro dire? Ah sì, che Haino canta come un vecchio saggio allucinato. Questo basta per l'acquisto a scatola chiusa.
NEOFITA DEL PANE

TY SEGALL
S/T
(Drag City)

Non so se non capisco più un cazzo io, ma a me 'sto disco ricorda un sacco i Beatles - ovviamente quelli più caciaroni e chitarrosi, a parte qualche eccezione. E tutto quello che c'è da dire potremmo averlo già detto. Il discorso è quello: ha senso fare ancora questo tipo di musica? Per molti no, e capisco benissimo il loro punto di vista, a tratti è anche il mio. Ma alla fine, per quanto mi riguarda, con tutta la monnezza che c'è in giro, ben venga comunque questa roba qua. E poi Segall la fa davvero bene, con buon gusto e una certa vena di follia che quando smolla il freno a mano dà belle soddisfazioni. Oltre a saper scrivere. Forse non lo riascolterò mai più, però la faccina allegra se la becca a buon diritto.
JOHN LEMONS

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Il vangelo del party: una giornata con i Rae Sremmurd

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Tutte le foto di Jake Lewis

Slim Jxmmi si tuffa di faccia sul divano della sua stanza d'albergo. Swae Lee, con l'aria un po' confusa, fa roteare in aria una bottiglia d'acqua di vetro, con le palpebre a mezz'asta. I Rae Sremmurd, le menti dietro a "Black Beatles", la colonna sonora del meme supremo del 2016, il Mannequin Challenge, si comportano come se si fossero appena svegliati in un appartamento sconosciuto alle due del pomeriggio dopo giorni di festa ininterrotta. 

Sono arrivati a Londra da Parigi la sera prima e non si sentono al top della forma. "Leggermente hungover", dice Jxmmi. Ci chiediamo come sia un hangover pesante per loro. "Vomitiamo dappertutto, chiediamo aiuto in lacrime... vomitiamo sulle ragazze, anche". Per un attimo sembra che i due stiano per addormentarsi, finché non chiedo com'è andata la sera prima a Parigi. "È stato fantastico", esclama Jxmmi. "Fantastico, cazzo! Ho visto la Eiffel Tower accendersi!" E improvvisamente tornano a essere i Rae Sremmurd che conosciamo. 

I fratelli multi-platino di Tupelo, Mississippi, hanno ottimi motivi per festeggiare dopo un anno come questo. Ma anche senza una ragione specifica per lasciarsi andare, probabilmente sarebbero comunque su un treno espresso per il nirvana dell'edonismo. Le loro costanti celebrazioni in stile Spring Break è ciò che li rende quello che sono, ciò che conferisce loro una positività senza limiti che sembra essere l'ingrediente principale delle loro hit. Fa tutto parte del codice "Sremmlife".

"Noi predichiamo lo Sremmlifestyle", dice Swae, che rimane in piedi per tutta l'intervista, con i suoi dread biondi che penzolano mentre abbassa lo sguardo sullo schermo del suo telefono. "La felicità, uno stile di vita da rockstar. Noi stiamo facendo i pazzi, facciamo quello che ci pare ma continuiamo ad avere successo allo stesso tempo a modo nostro. Non importa se lavori in ufficio, se fai 800 euro al mese, l'importante è che ti prenda cura di te stesso e faccia quello che devi fare. Sremmlife".

È la solita attitudine positiva a dispetto di ogni cosa, "segui i tuoi sogni" che hanno molti rapper (cioè molti americani), ma ogni frase è punteggiata dall'amen "Sremmlife" quindi sembra di parlare con una coppia di testimoni di Geova in fattanza. Nel 2016, però, la gente non aveva molta voglia di positività e divertimento. Il secondo album del duo—Sremmlife 2, naturalmente—contiene due delle tracce più famose e migliori dell'anno, "Black Beatles" e "Look Alive", ma manca da praticamente tutte le classifiche di fine anno (anche da quella di Noisey USA). Pare che le top ten abbiano preferito la contemplazione riflessiva di Solange, Beyoncé e Frank Ocean alla gioia incontrollata e le hit da dancefloor dei Rae Sremmurd.

Quindi, anche loro pensano di unirsi a questo gruppetto di specialisti dell'introspezione? "Assolutamente no", dice Jxmmi. "Non mi interessa quella roba. Non voglio parlare di merda triste. La gente ci critica dicendo che siamo sempre felici, ma che cazzo dobbiamo fare, rappare solo del fatto che 'la mamma non arrivava a fine mese' e stronzate del genere? Alcuni addirittura mentono e non vogliono ammettere che apprezzano la nostra musica. Non voglio nemmeno piacere a gente che si comporta così, fa schifo. Dicono 'mi spiace ammetterlo', ma se è musica bella... perché devi avercela con la musica bella?"

Non aiuta il fatto che il loro maggior successo abbia dato vita a un meme, forse l'unico modo perché il contingente delle mamme americane si accorga di due adolescenti selvaggi dal profondo Sud. Ma questo non significa che "Black Beatles" non fosse destinata a fare il botto anche prima del Mannequin Challenge. È istantaneamente riconoscibile come hit spaccatutto e fonde l'abilità sovrannaturale di Swae Lee di produrre una linea vocale pazzesca con il beat tempestoso di Mike Will Made It – ogni parte della canzone converge nel pezzo più convincente del duo. La stessa cosa è successa con l'Harlem Shake di Baauer: nel 2013 questo bangerone trap ha sconvolto i dancefloor di tutta l'America, e oggi è ricordato semplicemente come il ritornello su cui gli impiegati annoiati ballano in mutande su YouTube. Non è il modo migliore per ricordare queste canzoni. 

Ma forse "Black Beatles" non subirà lo stesso destino. "C'è stato un gruppo di persone che ci hanno detto la stessa cosa, ma dopo aver smesso di fare il challenge hanno continuato ad ascoltare la canzone", dice Swae, "quindi mi sembra che le persone che dicono queste cose non vogliano accettare che certe persone che vogliono solo fare musica tranquilla da festa raggiungano il numero uno. Hanno bisogno di qualcosa da incolpare".

Uno dei loro detrattori più accaniti è stato il DJ radiofonico di Hot 97 e Apple Beats 1 Ebro, famoso per averli chiamati "rapper da liceo" perché non sarebbero abbastanza concious o tecnicamente preparati (se l'è presa anche con Lil Yachty). Ebro attribuisce il successo di "Black Beatles" al meme che ha creato, un giudizio miope per una persona della sua età ed esperienza. Ma i Rae Sremmurd, come tutte le grandi band rock del passato, rappresentano il picco di un gap generazionale. 

"È davvero strano che neghino la forza della nuova musica, come se non spaccasse. Dicono tipo: 'Deve esserci un messaggio dietro'. È soltanto grande musica, accettatelo. È una nuova onda", dice Swae. "È la stessa cosa che è successa ai tempi degli artisti che ascoltava mia madre. I loro genitori dicevano 'Spegni quella merda!', capisci cosa voglio dire? 'Non fanno altro che urlare e sbraitare'. È quello che sta succedendo ora. L'hip-hop sta cambiando. La generazione prima di noi potrebbe non apprezzare questa evoluzione, ma la musica è in mano ai giovani".

I Rae Sremmurd non sono proprio giovani-giovani. Swae e Jxmmi hanno rispettivamente 23 e 25 anni, ma non sembrano colpiti dalla crisi del quarto di vita. Il concerto di quella sera, un'ora dopo la nostra intervista, è una valanga di esuberanza giovanile: maglie costosissime strappate; ananas spiaccicati sul palco senza motivo; schermi che proiettano pixel art e riferimenti a videogiochi supercolorati; bottiglie di champagne scartate dopo un sorso. I rompipalle che vorrebbero bandire i telefoni ai concerti avrebbero un coccolone alla vista di Slim Jxmmi fermo sul ciglio del palco che aggiorna Snapchat e Instagram nel mezzo di una canzone. I due arrivano in ritardo, ma il pubblico li perdona immediatamente—come si fa a prendersela con tanto carisma?

C'è un nonsoché di rinfrescante nel rifiuto dei Rae Sremmurd di emanare energie che non siano basiche, positive, da festa. Bere, fumare erba, scopare, ascoltare la musica—viene da chiedersi se c'è davvero bisogno di tutto il resto. Non si preoccupano di dimostrare coscienza politica esplicitamente. Molti artisti si attaccano al fatto di avere Qualcosa Di Importante Da Dire, e condividono la loro opinione in tweet di varia qualità. Il duo non si lascia coinvolgere. Questo non significa che non abbiano una certa responsabilità, visto che hanno l'attenzione di così tante giovani orecchie. Se non altro sono a favore degli anticontraccettivi. "Non fate figli e non beccatevi malattie. Sremmlife", dice Jxmmi. E i loro testi ultrasessuali? Sono preoccupati del significato che potrebbero estrarne i ragazzini, in particolare le loro giovani fan femmine? Non tanto.

"Non ci penso", dice Jxmmi. "Quando ero piccolo guardavo BET: Uncut [un programma di inizio Duemila che mandava i video musicali più spinti, tipo la programmazione notturna di MTV], e so che anche le ragazze lo guardavano". 

"Noi abbiamo il massimo rispetto per le donne. Bad bitches. Lo intendiamo in modo positivo... È solo un modo dire", aggiunge Swae. A livello personale, però, dicono di mantenere un atteggiamento rispettoso. "Penso che le nostre fan più giovani si divertano ad ascoltare la nostra musica. Non sono loro che chiamiamo sluts e bitches", dice Jxmmi. 

"Io piaccio alle mie ragazze", Sway dice, "perché le tratto bene. Alla fine non facciamo nient'altro che divertirci e vivercela bene".

Quello che forse non riusciamo a comunicare per iscritto è quanto siano vivaci Swae e Jxmmi. Non stanno mai fermi, sempre a fare suoni tipo armi e laser con la bocca mentre gesticolano come pazzi. Sarebbe ingiusto paragonarli a bambini, ma senza dubbio si comportano come i monelli della classe; quelli che finiscono per farti prendere qualche debito in più, ma non te ne importa niente perché fanno troppo ridere. 

Ed è questa, essenzialmente, la funzione dei Rae Sremmurd: intrattenere e nulla più. Non sono qui per farti pensare, sono qui per fare festa con te, almeno per il tempo in cui riesci a catturare la loro attenzione. Ma la loro magia è che non sono così senza testa da essere inverosimili. Non sono i LMFAO o i New Boyz, o tutti gli altri inutili rapper da party. Queste sono grandi canzoni fatte da due che sono quello che cantano. I Rae Sremmurd esistono su un piano in cui il pop e il rap si incontrano, ben al di sopra dei loro colleghi, perché riescono a farlo senza sforzo. Non pensano troppo a come fare le cose, ma vengono fuori benissimo comunque.

"Noi sganciamo bombe", dice Swae, tenendo in alto la sua bottiglia d'acqua anti-hangover. "Bombe Sremmlife. Vanno avanti da sole e fanno casino da sole. Arrivano anche in cima da sole". 

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Dai Daft Punk a Skrillex, ecco i progetti dei 7 palchi più sorprendenti di sempre

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Tutte le illustrazioni sono di Ethan Tennier-Stuart

Negli ultimi dieci anni, fare elettronica dal vivo è diventato una sorta di gara. I motivi sono molti e complessi, ma principalmente le questioni sono due: specialmente in Nord America, i festival sono diventati sempre più grossi e mainstream; e l'EDM ha avuto un vero e proprio boom, soprattutto a livello di budget. Arrivare sul palco e fare un po' di pezzi non è più abbastanza: i fan hanno voglia di laser, coriandoli, macchine del fumo colossali e torte in faccia.

Gli artisti top di gamma hanno quindi cominciato a lavorare con compagnie di produzione sempre più ambiziose, inserendo nei loro setup le tecnologie più avanzate per quanto riguarda il suono e le luci—inserendo ologrammi, elmetti ricoperti di LED, touchscreen e chi più ne ha più ne metta. E, anche se a volte ci rimettono—Nel 2013 Eric Prydz ha rivelato in un'intervista a Billboard che EPIC, il suo tour più ambizioso, gli è costato migliaia di dollari—in generale si crede che valga la pena dare ai propri fan degli spettacoli con tutti i crismi e delle esperienze uniche. 

Abbiamo quindi deciso, per rendere tributo a questo processo, di approfondire sei dei palchi più fighi degli ultimi anni e di raccontare le loro storie, dalla piramide dei Daft Punk al cubo di deadmau5.

1. La piramide dei Daft Punk

Debutto: Coachella 2006

Creato da: Bionic League

Caratteristiche:Una piramide alta sette metri coperta di schermi e LED vari

Come ne hanno parlato: "Al Coachella possiamo anche essere stati cinque anni avanti rispetto a tutti gli altri, ma la connessione che si è creata in quel momento e in quel contesto è stata la più forte che abbiamo mai sentito. Come se fossimo in sincrono con il pubblico." - Thomas Bangalter (su Pitchfork, 2013)

Perché è una figata: Non si può parlare di palchi fighi ed elaborati senza citare la piramide dei Daft Punk, che in un colpo solo ha fatto uscire di testa il pubblico del Coachella del 2006 e ha alzato l'asticella degli impianti live di chiunque faccia elettronica. Nel 2016 LA Weekly ha definito quel concerto la migliore esibizione al Coachella di sempre, spiegando come ha ispirato un'intera generazione di artisti (tra cui Skrillex). Anche se è dall'anno scorso che si parla di un loro nuovo tour tra scherzoni vari, ancora non c'è niente di concreto—ma i Daft Punk hanno appena annunciato che si esibiranno assieme a The Weeknd ai prossimi Grammy, e speriamo se ne escano con qualcosa di altrettanto epico. 

2. Il cubo di deadmau5

Debutto: Coachella 2010

Creato da: Martin Phillips (Bionic League)/TAIT

Caratteristiche: Il cubo originale era composto da 75 pannelli a LED RGB con una risoluzione da 1600 x 1200 pixel. Il cubo 2.1 è alto quattro metri e mezzo e largo cinque, e ha dentro dei robot che spingono i suoi lati dall'interno—lati composti da pannelli a LED all'avanguardia—muovendoli in varie direzioni mentre su questi vengono proiettate grafiche originali. 

Come ne ha parlato: Ne ha parlato un sacco su Twitter e su Twitch.

Perché è una figata: DJ meno famosi hanno provato e fallito a copiare il setup di deadmau5, che è ormai riconoscibilissimo nonostante sia in costante evoluzione. A differenza di molti artisti che scelgono di mantenere il segreto sul design della loro attrezzatura, Joel Zimmerman condivide spesso foto e video dietro le quinte del processo di creazione del suo cubo sui social. A dicembre, ha condiviso un video per "Let Go" con dentro un'anteprima di quello che ci possiamo aspettare dal suo prossimo tour. 

3. La gabbia di Plastikman

Debutto: 2010

Creata da: Derivative

Caratteristiche:
TouchDesigner-Live Bridge, un visual composer per le luci del suo palco.

Come ne ha parlato: "Abbiamo costruito il palco pensandolo come se fosse uno studio, un luogo chiuso. Per me era molto importante fare un concerto circolare, e quindi alla fine del set uscivo e facevo un passo indietro, tornando agli inizi—solo io che gioco con una drum machine, cercando di tirare fuori qualcosa di magico." (Derivative, 2010)

Perché è una figata: Richie Hawtin ha introdotto il suo alter-ego Plastikman nel 1993, e da allora lo ha usato per pubblicare progetti più introversi e sperimentali. Il palco-gabbia, che ha usato in un tour mondiale del 2010, era una sorta di velo circolare che serviva come un muro che lo separava dal pubblico. Quell'anno, Resident Advisor lo ha nominato il miglior live dell'anno

4. L'EPIC di Eric Prydz

Debutto: 2011. A novembre 2016 è stata annunciata una sua nuova versione,, EPIC 5.0.

Creata da: Realtime Environment Systems Ltd. (RES)

Caratteristiche: Un cubo ricoperto da enormi pannelli a LED e schermi digitali "più grandi di un Boeing 747" che serve da coreografia per accompagnare la musica. Nelle edizioni passate ci sono stati ologrammi e video art, e l'EPIC 5.0 sarà parte di una "superstruttura", lo Steel Yard, con l'ologramma più grande mai creato per una performance dal vivo.

Come ne ha parlato: "Potrei sbilanciarmi e dire che, parlando di musica dance, è il miglior live di sempre. Sempre, sempre, sempre." ( Billboard , 2016)

Perché è una figata: Sono ormai dieci anni che Prydz fa sold out in giro per il mondo, e il suo palco è sempre stato una parte fondamentale della sua proposta musicale—ed è cresciuto assieme a lui. Il suo EPIC è stato sviluppato da RES, una compagnia londinese che ha lavorato anche alle cerimonie di apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012 e delle Olimpiadi Invernali di Sochi del 2014. Ogni suo tour è sempre stato più ambizioso ed elaborato: la nuova edizione debutterà a maggio 2017, e qua potete guardarne una video-anteprima

5. Le navicelle degli Infected Mushroom

Debutto: 2012

Create da: V Squared Labs/Vita Motus

Caratterstiche: Due navicelle sospese, 3D mapping e un touchscreen per controllare la musica e i visual. 

Come ne ha parlato: "Il 3D mapping è incredibile, a vederlo dal vivo capisci quanto può essere forte a livello visivo. Si può anche guardare un video su YouTube, ma dal vivo è davvero tutta un'altra cosa." - Amit Duvdevani, Infected Mushroom (Your EDM, 2013)

Perché è una figata: Gli Infected Mushroom, duo trance israeliano, fanno musica che a tratti ti fa sentire come se stessi raggiungendo un nuovo stadio evolutivo della tua coscienza. Il fatto che abbiano un palco coerente con le sensazioni che trasmettono è piuttosto bello. Ognuno di loro due si mette in una navicella sospesa di fronte a uno schermo enorme su cui vengono proiettate immagini tutte psichedeliche di foreste di funghi e meduse. 

6. Il Vortex Lumen di Datsik

Debutto: 2012

Creato da: V Squared Labs

Caratteristiche: Animazioni 3D e video mapping.

Come ne ha parlato: "A renderlo figo non è necessariamente la forma a cono, è più quello che viene proiettato su una forma simile. Ogni volta che ne facciamo uscire una nuova versione proviamo ad aggiungerci qualcosa, renderlo più intricato, diverso, proviamo a renderlo ancora più malato." (EDMtunes, 2015)

Perché è una figata: Il Vortex Lumen è un'idea di Datsik stesso e ha bassi da 150,000 watt. Usando una tecnologia 3D impressionante, le luci ruotano attorno a un enorme cerchio con Datsik al centro, e l'effetto è una sorta di wormhole a forma di imbuto. 

7. L'astronave di Skrillex

Debutto: Coachella 2014

Creata da: Production Club

Caratteristiche: Luci, video, effetti speciali e fuochi d'artificio. È così grande che ci vogliono circa otto camion lunghi sedici metri per trasportarla. 

Come ne ha parlato: "Hai presente quando sei alla festa più figa della tua vita e ti viene da dire, 'C'è un'atmosfera incredibile?' Ecco, voglio che sia così."(dal documentario  Let's Make a Spaceship, 2014)

Perché è una figata: Skrillex ha un passato in cui faceva post-hardcore con i From First to Last, ha suonato spessissimo al Vans Warped Tour e sa quindi bene come premere i tasti giusti (sia a livelo figurativo che letterale). Ha fatto incazzare un sacco di puristi della dance negli anni, ma non si può dire che la sua astronave ispirata a Blade Runner (mossa e operata da sei persone) non sia una di quelle cose che ti restano impresse in qualche modo.

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Leonardo e l'adamantio

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"Ho composto questo singolo di ritorno da Berlino, e mentre lo componevo mi sentivo di nuovo in bicicletta tra le vie del quartiere Kreuzberg", mi racconta Leonardo, il cui album Adamantio esce oggi per Avantguardia (lo potete ascoltare qui sotto) in riferimento al singolo "Kreuzberg" (che invece potete guardare qui sopra). 

"Mi sono innamorato di quella città e credo che il progetto non vada in un'unica direzione, ma racconti più che altro quanto è bello scoprire che c'è dell'altro oltre i propri orizzonti. Sono già un po' di anni che faccio e produco roba hip-hop: all'inizio ero partito lavorando con i campionamenti... Ma a un certo punto mi sono reso conto che mi stava stretto. C'era della musica che iniziavo a scoprire e che facevo fatica ad inquadrare nei miei riferimenti, quindi ho deciso di stravolgere quello che stavo facendo per ricercare cose nuove, cercando di dimenticare i miei riferimenti".

Il video è incentrato attorno al progetto "I Nuovi Elementi", frutto della collaborazione di Davide Olivastri, Fabio Bertini e Giovanni Cozzolino (in arte LeSaboteur™). Utilizzando un semplice preparato di plastica per bottiglie, il P.E.T, il videomaker fiorentino Davide Olivastri ha dato vita a un concept clip che attraverso la fusione del materiale plastico esplora la psiche umana. "Le immagini, messe in risalto grazie alle luci al neon, mostrano in maniera poetica la trasformazione e la trasfigurazione della massa plastica a contatto col calore. È un esperimento di visual astratto, in cui il movimento viene condensato e la logica del racconto perde di significato in favore di un'impressione del tutto emotiva", racconta proprio Davide, commentando a margine il suo progetto".

Leonardo è entrato in contatto con Avantguardia dopo aver contattato Mace, l'altra metà della direzione artistica del progetto, e da lì in poi si è svolta tutto in maniera molto naturale: "Dopo aver ascoltato le prime uscite del collettivo ero rimasto molto affascinato dal quel tipo di lavoro, perché forse rappresentava proprio la direzione che volevo dare alla mia ricerca. Gli ho inviato del materiale e da lì a poco ci siamo incontrati per definire una tabella di marcio, il cui passaggio più importante è l'uscita di Adamantio

Confrontarmi con tutti gli artisti che ruotano intorno a questo progetto è entusiasmante e per me è come essere entrato in un circolo di giganti che mi hanno portato in alto per vedere un orizzonte più ampio. Io stesso lavoro come grafico e ci sono certe cose che ho visto fare a loro e che mi lasciano senza parole per le capacità che riescono a mettere in pratica. Soprattutto è bello sapere che c'è una libertà di parola, anche dal punto di vista finanziario, che ti permette di fare musica senza stare lì a pensare devo vendere questo beat a tutti i costi

Penso che sia il massimo per un artista entrare in un ambiente dove tutto ti è concesso... O almeno: per me è il massimo".

L'artwork in copertina è stato realizzato da Ok Rocco.

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Guarda il video di "HD_TRAILER" dei DATASHOCK

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I DATASHOCK sono un collettivo di polistrumentisti tedeschi a cui piacciono parole tipo "psichedelia" ed "esperimenti", ed escono per una delle nostre etichette italiane preferite—cioè i ragazzi di Gang of Ducks. Siamo quindi piuttosto felici di condividere in anteprima il loro nuovo video ufficiale per "HD_TRAILER", che hanno realizzato loro stessi e trovate embeddato qua sotto. C'è un uomo nudo come protagonista, quindi se la cosa vi fa impressione potete consultare una di queste pratiche risorse per chetare la vostra indignazione.

"I primi giorni di novembre 2016 mi sono svegliato e ho mandato una mail piuttosto strana al nostro amico Frédéric Ehlers in cui gli parlavo di un sogno ancor più strano che avevo appena fatto," ci ha spiegato il loro membro Pascal Hector via mail. "Stava ballando un pezzo dei Datashock come spesso fa nelle sue performance di ricerca motoria, ma stavolta era nudo. La sua pelle era cromata e il suo corpo era completamente immerso nel buio. Pensate a un misto tra i film omoerotici di Kenneth Anger e un futurismo HD. I suoi arti iniziavano a sciogliersi e a un certo punto sembrava di stare di fronte alla scena dello stargate in 2001: Odissea nello Spazio. Quindi gli ho chiesto se gli andava di ricreare la cosa per un video... e qualche giorno dopo l'abbiamo fatto davvero. Alcune parti del sogno sono diventate realtà, altre no."

Pronti a fare un bel viaggione naturista e liberatorio? Schiacciate play qua sotto. E date un occhiata al Bandcamp dei DATASHOCK

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Un eroe ha hackerato delle stazioni radio americane per trasmettere "Fuck Donald Trump" di YG

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Per affrontare la stupidità e gli ultimi respiri della supremazia bianca, ci vuole anche un po' di sana ostruzione. Mettere in chiaro che l'amministrazione Trump non parla per nessuno e che tutti cercheranno di fare il possibile per dargli meno opportunità di rendere il mondo la pila di merda che credono sia. Inizia tutto dal basso, e quale metodo migliore per farlo se non infiltrarsi nelle onde radio della nazione per trasmettere la più grande canzone di protesta di questa generazione, cioè "Fuck Donald Trump" di YG e Nipsey Hussle? 

Stando a diverse fonti, è da qualche giorno che alcune stazioni radio in South Carolina, Kentucky a Seattle e in Texas (oltre che un canale TV di Mooresvile, in North Carolina) si vedono interrompere la programmazione da "FDT". Le notizie riportano che il pezzo non viene mandato per intero: c'è solo il ritornello, mandato in loop per venti, trenta minuti—il che è incredibile, a essere sinceri. Sembra che tutte le stazioni radio colpite usano Barix Extstreamer, un servizio di streaming audio non protetto, ed è così che l'hacker è probabilmente entrato nei loro sistemi. Anche se sono stati identificati diversi indirizzi IP, le interferenze continuano.

Come i nostri colleghi di Noisey US hanno già spiegato, la più grande debolezza di Trump è il suo fragile ego infantile. Forse un "fanculo" dalle piccole cittadine americane per cui crede di parlare può servire, in qualche modo, come una piccola lezione. Un giorno alla volta, gente.

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C'è un account di Twitter, @BeyonceFan666, che predice il futuro

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Diciamolo: il fatto che Beyoncé sia incinta di due gemelli nel momento più brutto da un sacco di tempo a questa parte per gli Stati Uniti e per tutti noi è un piccolo farettino di speranza in una notte piuttosto buia. Insomma, ci vuole coraggio per affrontare il presente, e mettere al mondo due anime in più in un contesto come questo allegando l'annuncio a un servizio fotografico coi controcoglioni è un'ottima iniezione di fiducia per tutti noialtri miseri mortali. 

La notizia ha preso un po' il mondo di sorpresa, e l'effetto dell'euforia generale è palese se si pensa che la foto con cui Bey ha annunciato la cosa è diventata in zero due l'immagine con più like della storia di Instagram. Ma se fossimo stati tutti un attimo più attenti a quello che succedeva su Twitter saremmo stati perfettamente preparati all'arrivo dei fratellini di Blue Ivy. E ai disastri politici che ci fanno prendere tanto male ultimamente. 

Come riporta il Guardian, c'è un account su Twitter—@BeyonceFan666—che, da qualche tempo a questa parte, sta predicendo il futuro con una precisione allarmante. Il tweet qua sotto risale al 28 gennaio.

E uno dice, ok. Magari è davvero un'amica di Beyoncé, o qualcosa di simile. Ma poi c'è quest'altro tweet, che risale al 22 luglio 2016.

Quindi: a luglio 2016, @beyoncefan666 aveva beccato perfettamente mese e anno dell'annuncio. Bene. E uno dice, è culo? È un caso? Chissà, ma intanto la nostra amica/il nostro amico ha predetto anche il risultato del referendum su Brexit beccando anche l'esatta percentuale di chi avrebbe votato leave, oltre che la vittoria di Trump. Insomma, sui risultati era cinquanta e cinquanta, ma la percentuale esatta era un po' più dura. 

A questo punto non so bene se definire @BeyonceFan666 il nuovo Nostradamus, ma il fatto che ha un bel 666 nel nome non mi fa sperare bene per il futuro del mondo. Pronti a salutare Satana come nostro signore onnipotente? Io rispolvero le mie magliette degli Slayer, per sicurezza.

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Come rubare quattro milioni di dollari ad Alanis Morissette senza farsi beccare

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Bisogna sempre guardarsi le spalle. È un consiglio utile, soprattutto col senno di poi, ogni volta che si ha per le mani qualcosa di davvero prezioso. Tipo, diciamo, milioni di euro. Prendiamo il caso di Greg Counsell, un uomo inglese che, nel 1983, lavorava come security di un magazzino pieno di soldi a Londra est. Un mattino, poco dopo l'inizio del suo turno di notte, gli fece visita un gruppo di rapinatori armati che stava studiando da un po' il complesso in cui si trovava il magazzino e il suo sistema di controllo. Era il lunedì di Pasqua, quindi a quell'ora non c'era assolutamente nessuno in giro a cui chiedere aiuto. A fine mattinata, i rapinatori erano fuggiti con circa 7 milioni di euro (che, con l'inflazione, oggi sarebbero circa 32 milioni e mezzo). Per riuscirci avevano dovuto assalire e tenere in ostaggio altre quattro guardie, che si aspettavano solamente i soliti turni calmi tipici dei ponti. 

Tutto era iniziato da una semplice disattenzione che aveva fatto scattare un effetto domino: Counsell aveva abbassato la guardia e si era allontanato dalla sala di controllo per prendere il latte che, ogni mattino, veniva consegnato al magazzino. Voleva solo farsi un caffè ma, mentre apriva e chiudeva la porta che lo divideva dai suoi latticini, i ladri—tra cui, stranamente, c'erano il fratello del marito di Barbara Windsor e uno degli uomini che nel 2015 avrebbe partecipato al furto alla gioielleria Hatton Garden a Londra—erano entrati dalla porta principale del complesso. Dopo un breve scontro, i soldi erano andati.

Tutto questo ci porta ad Alanis Morissette, che—proprio come il nostro caro amico Greg—si è girata dall'altra parte per un secondo e si è vista soffiare milioni di euro da sotto il naso. Nel suo caso tutto risale a metà gennaio, quando è venuto fuori che il suo manager aveva ammesso di aver rubato circa 4 milioni e 300.000 euro dal suo conto in banca tra gennaio 2010 e gennaio 2014. A quanto riporta Associated Press, il manager è stato accusato di frode informatica e di aver consegnato una falsa dichiarazione dei redditi per nascondere i fondi che aveva sottratto. Le accuse sono state formulate da un giudice mercoledì 18 gennaio. Questa settimana, Schwartz è stato convocato in tribunale per rispondere delle sue accuse, per le quali si è dichiarato colpevole dopo aver patteggiato la pena—ma ci arriviamo tra poco.

Prima di tutto, va detto che i soldi scompaiono continuamente. Probabilmente vi è capitato di guardare il vostro estratto conto e di pensare, "Hmm, credevo di avere qualcosa in più, ma in effetti l'altra sera ho pagato io quelle tre bottiglie di Gin", cose così. Magari siete quel tipo di persona che stampa delle tabelle per tenere in ordine il suo budget—tutte quelle caselle vuote pronte a venire riempite dalle minuzie di tutte le vostre spese—per poi lasciarle mezze accartocciate in un cassetto assieme a un po' di accendini scarichi e tre multe non pagate. E forse, cari lettori, avete anche voi sperimentato che cosa significa non voler vedere lo scontrino quando ritirate al Bancomat perché avete paura del numero che potrebbe venir fuori.

Alanis Morissette non ha mai avuto questi problemi. Non spendeva più di quello che poteva permettersi senza pensare alle conseguenze. La persona di cui Alanis avrebbe dovuto fidarsi più di chiunque altra, quella che aveva la responsabilità di gestire il suo conto in banca, di scegliere dove investire i suoi soldi e di pagare le sue tasse, la faceva invece apparire responsabile di qualsiasi scelta questionabile—una truffa così ben costruita che è quasi lodevole. Sul Guardian c'è già pieno di commenti che fanno delle gag su quanto tutto questo sia "Ironico" (l'avete capita? Eh? EH?), ma lasciamo perdere le battute per un attimo. Vi basti sapere che Sundry classificava i soldi che si prndeva come "varie/spese personali", a quanto risulta dalla causa civile ora risolta intentata dalla Morissette a maggio 2016 per cercare di spiegare i furti che stava subendo.

La causa civile della Morissette.

La causa della cantante—rivolta sia a Schwartz che alla compagnia di management per cui lavorava, la GSO—non le manda a dire. La cattiva condotta di entrambi, diceva la causa, "non si limita ai suoi furti." GSO e Schwartz hanno infatti persino cercato di nascondere il furto. Per esempio: quando la Morissette assunse Schwartz, gli spiegò il suo 'Piano', che era piuttosto semplice: non voleva spendere i soldi che aveva investito ma vivere semplicemente di interessi, e delle sue entrate. Stando alla causa, Schwartz fece l'equivalente di gridare 'ODDIO RILASSATI!' invece di avvisarla quando stava andando a pescare dai suoi risparmi. "Quando gli chiedeva se aveva sorpassato il budget, Schwartz insisteva che 'era tutto ok', che Morissette 'non aveva niente di cui preoccuparsi' e che lei e i suoi nipoti erano 'a posto per una vita'." Peccato che LOL, non era vero. 

La Morissette ha assunto un nuovo manager, Howard Grossman, a maggio 2016, un mese dopo aver licenziato Schwartz. E ha quindi scoperto che aveva perso circa 8 milioni di dollari dai suoi risparmi, e nessuna delle transazioni con le quali erano stati sottratti erano state autorizzate da lei. Grossman ha quindi chiamato Schwartz ad aprile 2016, chiedendogli tranquillamente delle 26 scatole piene di documenti che aveva trovato, i quali riportavano ben 116 trasferimenti di denaro sul conto del nostro amico Schwartz. Senza ricevute, o qualsiasi spiegazione ragionevole per i pagamenti, Grossman si aspettava un'ammissione di colpa.

Invece, a quanto riporta la causa, Schwartz ha cercato di giustificarsi. Prima disse che era da un po' che Alanis stava spendendo soldi, e lui aveva scelto di ritirarli poco a poco per poterli tenere nella sua cassaforte, "così che quando [Alanis] ne avrebbe avuto bisogno non sarebbe dovuta andare in banca ogni volta." Schwartz sostenne anche che Alanis aveva approvato le transazioni, che aveva da qualche parte le prove e che, a dirla tutta, aveva usato i soldi per investire in una o più attività dedite a coltivare marijuana. La causa è stata risolta con un accordo stragiudiziale, e alla fine la GSO ha preso le distanze da Schwartz facendogli causa a sua volta.

"L'investigazione ha rivelato che il Sig. Schwartz stava bruciando soldi per mantenere uno stile di vita sfarzoso," dice la causa intentata da GSO conto Schwartz, "tra cui una vacanza a Bora Bora costata 50,000 dollari e 75,000 dollari di debiti nei confronti di un casinò alle Bahamas." Schwartz ha patteggiato una condanna che lo terrà al gabbio tra i quattro e i sei anni, salvandolo dalla pena massima di 23 anni. 

La cosa più strana di questo caso è che sembra risalire a un'era dell'industria musicale praticamente finita. Sì, i manager si prendono come standard dal 15 al 20 per cento di tutto quello che l'artista per cui lavorano guadagna. È una cifra che può farsi pericolosamente grande—vedi il caso del Colonnello Tom Parker, il manager di Elvis Presley, che prendeva la metà della torta—se non si fa attenzione prima di firmare un contratto. Ma un tempo, quando erano le etichette a dettare legge, prima che la cultura DIY convincesse gli artisti che potevano pubblicarsi tranquillamente da soli, era molto probabile venire fregati anche solo a livello contrattuale. In alcuni casi, ad esempio, parti del contratto rimangono valide anche dopo che il rapporto tra artista ed etichetta si è interrotto; e in generale c'erano molte opportunità per fregare artisti giovani e ingenui fregandogli bei pezzi del loro budget e dei loro profitti. 

Ma questo caso è diverso. Nonostante sia una truffa del ventunesimo secolo, ha un tocco vintage—un po' come  quando Billy Joel fece causa al suo ex-manager per 90 milioni di dollari; o quando gli Stones portarono in tribunale Allen Klein perché non voleva mollare i loro diritti di pubblicazione; o quando Lou Pearlman rubò soldi ai Backstreet Boys per investirli nello schema Ponzi che gli avrebbe poi fatto passare otto anni in carcere; o quando il manager di Leonard Cohen gli rubò milioni di dollari, venne arrestato e poi si mise a minacciarlo. I musicisti hanno imparato che la musica che registrano, e l'industria che l'ha sempre gestita, non devono essere necessariamente la pietra su cui costruiscono le loro carriere: e allora storie come questa potrebbero farsi sempre più rare. I manager cercano quindi sempre di più di fare il lavoro che un tempo facevano le etichette, e spesso lavorano a stretto contatto con gli artisti—che, a loro volta, possono controllarli per far sì che tutto proceda tranquillamente. Se il trend continuerà a essere questo, forse questi casi di alto profilo potrebbero scomparire del tutto. Ma fino a quel momento, guardatevi le spalle. 

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Eccovi due nuovi pezzi di Notorious B.I.G. assieme a sua moglie

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The Notorious B.I.G., cioè uno dei rapper più influenti della storia, è morto il 9 marzo del 1997, e il 5 maggio 2017—a poco più di vent'anni dalla sua scomparsa—uscirà un suo nuovo album postumo assieme a Faith Evans, sua moglie. Sono almeno tre anni che la Evans ne parla: la prima volta lo aveva fatto nel 2014, in un'intervista con Hip Hollywood. Allora lo aveva paragonato a Unforgettable, l'album postumo di duetti tra Nat King Cole e Natalie Cole. A marzo 2016 ne aveva parlato di nuovo in un'intervista radiofonica, dicendo che era quasi finito e che sarebbe arrivato a breve.

E niente, eccoci qua: l'album si intitolerà The King & I e ne potete ascoltare qua sotto due estratti. Il primo, "NYC", è una collaborazione con Jadakiss; il secondo, "When We Party", ha un featuring di Snoop Dogg. E che dire, sembra un po' di essere tornati agli anni Novanta, con un sacco di voci calde, riferimenti alle coste degli Stati Uniti e serietà che esce da ogni nota. Buon ascolto.

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Cosmo e Fiat ci hanno dimostrato che il viral marketing a volte esagera

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Nell'ultimo periodo combatto una futile battaglia personale — vorrei fosse una sola, ma l'elenco è così lungo che per ora è meglio limitarsi a un solo caso specifico — contro il viral marketing, contro la pubblicità "simpatica" da social network. In poche parole: penso di non aver mai più preso in mano una birra industriale da quando ho visto gente condividere le loro pubblicità come fossero effettivamente meme.

Ora, essendo una battaglia futile (o almeno lo è per come la conduco io), non ho mai trovato un vero motivo per cui questa cosa mi sta sul cazzo — e anzi è successo che io stesso abbia creato con disgusto qualcosa del genere in uno dei miei miseri tentativi di sbarcare il lunario (espressione usata solo perché nel titolo c'è scritto Cosmo, lol). Sì, posso dirti che mi spaventa e mi disgusta il fatto che il brand cerchi "di essere mio amico", che non me ne frega un cazzo se una marca di birra — o chi per essa — diventi Labadessa, però se alla fine funziona la pubblicità non è arte, hanno ragione loro.

Succede, però, che tra ieri e oggi, mi sia capitato sott'occhio l'ennesimo tentativo di un brand di fare i simpaticoni, che questo tentativo avesse un legame forte con un personaggio concreto, reale e che quindi mi permetta di dire una volta per tutta che sì, ammettiamolo: il viral marketing ha rotto il cazzo. Basta fare i simpatici, basta rispolverare personaggi televisivi trash anni '90 per farti vendere un prodotto, basta scambiare battute divertenti con l'ultimo degli stronzi degli utenti di Twitter.

Ieri, in un'intervista a non so quale radio — radio che sono sicuro mi perdonerà per questa mia mancanza — è successo che Cosmo, che Wikipedia definisce "musicista e cantante", abbia per caso citato il suo furgone. Ora, non so se Cosmo abbia espressamente detto "il mio Ducato blu" — ne dubito — oppure abbia solo detto "sì, mi diverte andare in tour, stare con gli altri, sul furgone", fatto sta che Fiat Professional non ha perso tempo e ci ha regalato un divertentissimo meme, per dimostrare di essere i capi dell'instant marketing.

Ora, il povero Cosmo in tutto è questo è vittima, un mero strumento, ma ovviamente ha cercato di usare questa cosa a suo favore e, come avremmo fatto tutti, ha cercato di grattare un Ducato.

Mentre Cosmo digitava invio dal suo furgone scrostato, qualcosa nel microCosmo (lol) di Fiat Professional cambiava. In pratica Cosmo è una docile vecchiettina seduta al parco, con un sacchetto di pane. Vedendo un povero piccione decrepito — Fiat — decide di sacrificare un tozzo di quel pane, attirando così altri piccioni decrepiti del parco. Così, dopo un tentativo da parte di Fiat di utilizzare in qualche modo quel comunicato stampa scritto da chissachi e nel cassetto da anni, interviene subito Molinari per dimostrare di essere smart e sempre attenta ai trucchi dell'internet, con un commento come questo:

Vorrei in qualche modo commentare questo screen, ma è così cringe che mi ricorda mio padre quando prova a fare dei giochi di parole, per cui andrei semplicemente oltre.Apprendo, dalla pagina di Emiliano Colasanti (che per chi non lo sapesse fa parte dell'entourage di Cosmo) che anche Smartbox ci ha dato dentro, con un altro simpaticissimo commento:

Ora allontanandosi un attimo dallo schermo e contemplando da lontano il comportamento di questi tre brand, mi viene davvero da piangere e me li immagino come quel tizio con il cane in stazione che da 15 anni mi chiede venti centesimi per arrivare a Bologna solo che invece di avere il cane e dei vestiti improbabili, questi tre elemosinanti si presentano con un sorriso Vivident e in giacca e cravatta e mentre ti chiedono venti centesimi ti fanno l'occhiolino e ti danno delle gomitate in cerca di approvazione, di modo che tu possa pensare che siano davvero i più fichi dell'universo.

Quindi, ora oltre che implorarvi di non condividere mai più questa versione dei meme atti a vendervi qualcosa, ci terrei che qualcuno regalasse questo cazzo di Fiorino a Cosmo e liberasse questo poverino dall'assalto di brand di tutto il mondo.

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Il video di invito al compleanno di Franchino è ipnotico

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Il compleanno del vocalist della Metempsicosi e vera bestia sacra della scena progressive cade il 16 febbraio e anche quest'anno la celebrazione del 64esimo compleanno, l'11 febbraio, promette di essere uno degli eventi maximi per nostalgici e nuovi adepti. L'evento è talmente importante da avere una menzione su Wikipedia: "Ogni anno Franchino festeggia al Matrix (quando le serate si svolgono nella discoteca Bolgia di Osio Sopra) il suo compleanno e tale evento è considerato da molti giovani un cult della musica elettronica".



Ovviamente anche quest'anno Franchino ci ha tenuto a invitare tutti i suoi fan e aficionados con la sobrietà e la consequenzialità di pensiero che lo contraddistinguono, pubblicando sulla sua pagina Facebook il video qui sopra, in cui impersona Edward Mani di Forbice e invita tutti a farsi tagliare i capelli da lui durante la serata. Comunque, non è il primo compleanno che nasce o finisce nel segno delle performance epiche—la sequenza "Ah fratè, ce l'hai la macchina? Ce l'hai il flash? Perché se non c'è il flash non si immortalizza la noche" del compleanno al Pacha del 2006 ha fatto la storia. Auguri Franchino, cento di questi compleanni.

Magia, favole e progressive: leggi la nostra retrospettiva sulla storia di Metempsicosi.

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Allora, com'è l'album d'esordio di Sampha?

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C'è qualcosa di poetico nel vivere al capolinea di una metropolitana o una linea ferroviaria. È nelle enclavi alla fine dei binari che i sobborghi sono più dolorosamente periferici, dove le vite si sviluppano inosservate e le infanzie sembrano come rallentare. Forse allora ha senso che Sampha—un artista che è riuscito a costruire una carriera presentandosi come una figura emotiva e meditativa—sia cresciuto a Morden, il capolinea della Northern Line di Londra, a due passi dalla città, nella casa di sua madre. 

L'ambiente in cui Sampha è cresciuto ha lasciato un segno spaziotemporale sulla sua musica. Il suo strumento preferito, quello su cui compone, è il pianoforte. Forse perché, come la sua voce, riesce a esprimere significati opposti—suona sia intimo che distante, sia caldo che gelido, sia pesante che grazioso. Molte delle sue migliori composizioni sono il risultato di lunghe sessioni di scrittura passate a spellarsi le dita su figure di note ben definite, ad armeggiare con l'armonia e a improvvisare melodie. "No One Knows Me (Like The Piano)", uno dei singoli migliori del suo album d'esordio, Process, è un tributo a quei momenti e al pianoforte in casa di sua madre, dove ha iniziato a suonare quando aveva tre anni. È un capolavoro di intimità ed emotività che dipinge una scena piuttosto semplice: Sampha torna a casa di sua madre, si siede sullo sgabello di fronte al piano, circondato da ricordi di, lei morta nel 2015. Ascoltarla è quasi come fargli compagnia, ma può essere valido anche il contrario.

Sampha riesce a creare in modo naturale questi collegamenti tra suoni e luoghi, toni e sentimenti. I suoi primi ricordi che hanno a che fare con la musica sono legati al ricordo di suo padre Joe Sisay, morto di cancro ai polmoni quando Sampha aveva nove anni. Joe faceva sentire, a lui e ai suoi fratelli, un nuovo CD ogni settimana senza continuità di genere, dal pop a Pavarotti passando per il cantante maliano Oumou Sangaré. 

Questi ascolti incuriosirono Sampha così tanto che fu normale, per lui, provare a imparare a suonare il pianoforte, sperimentando con accordi jazz, e iniziare a giocherellare con i primi software di produzione musicale. Nel giro di poco era un adolescente che produceva beat su Cubase e Reason; ancora qualche anno ed era diventato un ragazzo che si stava cercando di fare un nome su Myspace assieme ad artisti come Kwes ed Elan Tamara. Nel 2011 qualcuno si rese conto di lui, collaborò prima con Jessie Ware e poi con SBTRKT, e con lui iniziò ad andare in tour. Nel 2013, Sampha stava esplodendo a livello globale. Il momento in cui la sua carriera ha attraversato il Rubicone è stata la decisione di Drake e Noah "40" Shebib di utilizzare la sua "Too Much" in Nothing Was the Same. Gli anni successivi sono stati una montagna russa, e lo hanno portato a collaborare con Kanye, Frank Ocean e Solange: Sampha era la persona che volevi sul tuo album, anche se non ne aveva ancora pubblicato uno a suo nome.

Dual, il suo EP del 2013, ha aperto il sentiero al suono che possiamo ora ascoltare in Process ed è stato un momento importante in tutto il caos che ha avvolto gli ultimi anni di Sampha. Era la sua prima pubblicazione solista dal 2010, quando aveva fatto uscire una breve collezione di produzioni mezze glitchate. Dual rappresentava i suoi primi, cauti passi nel mondo dell'espressività cantautoriale: procedeva a tentoni per capire come auto-rappresentarsi secondo i suoi termini. Ma a questa qualità esplorativa si accompagnava una certa difficoltà di decifrazione: era un'opera opaca, confusa. In un'intervista con Pitchfork, Sampha spiegò che il titolo dell'EP rappresentava quell'ambivalenza insita in chi dice di stare bene anche se dentro sta morendo di dolore. Le tematiche di Dual—l'amore, la morte, il dolore, il desiderio—erano le stesse di Process, ma Sampha era più cauto e meno collaborativo nel trattarle.

L'ultimo pezzo di quell'EP, "Can't Get Close", è quanto di più vicino ci fosse al suo nuovo album, un segno di quanto Sampha possa essere potente quando decide di far uscire quello che ha dentro senza imporsi alcun filtro. Inizia con le parole, "Padre, spero che tu mi stia ascoltando," è una sua lotta personale contro la sua assenza—cori ripetono "Vedi... non riesco a... sentirti vicino" e allontanano lentamente Sampha dall'oggetto del suo amore. Su Process, questo senso di desiderio si è sviluppato fino a diventare qualcosa di spirituale. "Sei stata con me fin da quando ero in culla / Sei stata sempre con me, sei il mio angelo / Ti prego, non scomparire," canta apertamente sul nuovo album sul suono arpeggiante e paradisiaco della kora, uno strumento africano usato dagli stessi musicisti che suo padre gli faceva ascoltare da piccolo. 

La sua fama e la sua onestà espressiva sono cresciute in contemporanea, ma Sampha ha ancora un rapporto complicato con le luci della ribalta. Quando nel 2014 Boiler Room caricò su YouTube un suo set, nei commenti molti si lamentarono di come una ragazza che gli ballava accanto gli aveva rubato le attenzioni della telecamera. Lei è apparsa nei commenti per difendersi, e un utente le ha risposto, "La telecamera era puntata su di te, non su Sampha. Lui era leggermente sfocato, e tu invece eri perfettamente a fuoco—è naturale che lo sguardo di tutti sia caduto su di te." E bisogna dire che una delle abilità principali di Sampha è proprio quella di essere al centro dell'inquadratura ma, al contempo, apparire leggermente fuori fuoco—così concentrato sulla musica da lasciare i riflettori a qualcun altro. Ad esempio, non sapeva che la sua voce distorta sarebbe apparsa su "Mine" di Beyoncé (senza alcun riferimento al suo nome nei crediti dell'album, tra l'altro). Sampha ha addirittura dichiarato che per lui è ok non essere citato nelle note ai pezzi a cui ha lavorato agli inizi della sua carriera, quando suonava le tastiere, semplicemente perché si è divertito a farlo e quello gli basta. Insomma, è improbabile che quella ragazza che ballava accanto a lui gli abbia dato fastidio: lui si stava solo divertendo. 

Dopo aver pubblicato un disco pesante come Process, accompagnato da un film dallo stesso titolo diretto da Kahlil Joseph, probabilmente Sampha metterà la modestia da parte e si prenderà il posto che si merita al centro del palco. O almeno, così speriamo. Nonostante questo, l'ultima cosa che dice sull'album è "Non sono io il centro di tutto." Ironicamente, il disco che finalmente lo farà tuffare di testa nella piscina della fama parla, in parte, del suo desiderio di evitarla. Se si ascoltano attentamente le sue parole, è palese che non è questione di timidezza; Sampha vuole solo abbandonare completamente ogni controllo per potersi sentire collegato a qualcosa di più grande di lui.

In un certo senso, Process è un'esperienza extracorporea. A livello narrativo è qualcosa di simile a Enter the Void di Gaspar Noé, un film psichedelico girato dalla prospettiva sospesa del fantasma di un ragazzo morente. Sampha ha letto Il libro tibetano del vivere e del morire, una rilavorazione contemporanea del Libro tibetano dei morti dell'ottavo secolo che legge il protagonista del film di Noé. L'insegnamento al centro del libro è che la morte libera la coscienza dal corpo, portando la mente a creare una sua realtà fatta di visioni ugualmente pacifiche e psicotiche. E lo stesso concetto sembra trasparire da Process, la cui narrazione ha luogo da qualche parte tra l'insonnia, la morte e il sogno. "Mi sveglio, e il cielo è rosso come il sangue," canta Sampha in "Blood on Me." "Il mio respiro è ancora pesante, sembrava molto di più di un sogno. Mi alzo, sono ai piedi del letto. Come hanno fatto a trovarmi? Scappiamo... E ora sono in strada, sono tutto solo, perdo il controllo e distruggo la macchina." Una visione simile, sempre con la sua morte come protagonista, compare in "Reverse Faults": "Ho tolto i freni dalla macchina e ho volato, ho schiantato il parabrezza nel mio cuore." Spesso, Sampha si immagina come una sorta di fantasma capace di guardare le persone che ama ma che non riesce a toccarle. "Volo in alto su tutti i tuoi ricordi, il mio sguardo è quello di un uccello", canta in "Incomplete Kisses."

I testi passano dall'essere epici all'essere sottili attraverso narrazioni non-lineari, e il risultato fa girare la testa. Tra le mani di un cantautore meno abile, un progetto così ambizioso sembrerebbe incoerente e incasinato, ma in qualche modo Sampha riesce a trovare un senso nel caos. A tenere unito tutto è un tema ricorrente: la sublimazione del suo stesso ego verso le forze che lo circondano. In "Under" è sommerso dalle onde delmare,in "Plastic 100°" si scioglie sotto un sole furente, in "Take Me Inside" ricorda una tempesta imminente", in "Timmy's Prayer" si sente sovrastato dal buio dei suoi stessi occhi chiusi. L'album è permeato da un senso del sublime quasi romantico, quello di Turner o Friedrich, da una natura onnipotente che ingoia l'essere umano. Nei testi di Sampha, però, la natura è una forza salvifica che lo protegge dalle sue stesse emozioni; il suo desiderio di essere sovrastato dalla natura nasce dal suo bisogno di dimenticare quanto sia frustrante rimanere soli con sé stessi, avendo perso le persone con cui più vorresti essere per sentirti meglio. Come se l'unico modo per fuggire dalla prigione del suo dolore fosse sparire completamente. 

Alla fine dell'album, Sampha torna sulla Terra: "Mi risveglio nella mia palle," canta, mentre un synth arpeggiato evoca una sorta di paradiso. È un momento severo, ma pieno di speranza. Process non regala soluzioni alla tristezza da cui nasce, ma offre conforto e solidarietà. Ascoltare musica è un atto intrinsecamente sociale—anche se l'unico collegamento è tra l'ascoltatore e l'artista—e con il suo primo album Sampha ha creato qualcosa di altamente condivisibile. E ci è riuscito evocando la magia dei suoi ricordi nel salotto di suo padre, e a quel pianoforte, in quella villetta di Morden al capolinea della metro. Allo stesso tempo, però, il valore di Process lo rende anche un punto d'inizio di un viaggio che sarà interessante seguire.

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Ascolta il primo estratto dal nuovo album di quei matti dei Rainbow Island

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Crystal Smerluvio Riddims. Crystal. Smerluvio. Riddims. Non è già il vostro nome di album preferito del 2017? Non so cosa sia uno smerluvio, ne ora cercherò su Google che cosa significa, ma sono sicuro che se fosse qualcosa di sonoro assomiglierebbe molto alla musica che deve rappresentare.

Insomma: i Rainbow Island, che ho definito "matti" del titolo di questa premiere perché fanno musica strumentale un po' elettronica un po' psichedelica un po' kraut un po' dub di quello strambo tutto libero e liberatorio, stanno per consegnare al mondo il seguito di RNBW, il loro esordio uscito nel 2012. La loro è psichedelia futuristica di quelle che ti fanno sentire come se fossi in un wormhole, esattamente a metà tra il passato più primordiale e il futuro più lontano immaginable. E "Phase Spider", primo estratto dall'album che vi facciamo ascoltare qua sotto in anteprima, è un perfetto esempio di quello che potete aspettarvi ascoltandoli. 

In un comunicato stampa, il gruppo ha descritto "Phase Spider" come "un meraviglioso aracnide multicolore in UltraHD che vive passando di dimensione in dimensione." Bene. Qua sotto avete tutti e nove i minuti del pezzo in anteprima. L'album conterrà sei canzoni, tutte piene di cose simpatiche tipo oceani di cristalli liquidi e gare di go-kart. Lo potete pre-ordinare qua.

Crystal Smerluvio Riddims uscirà il 7 marzo per Flying Kids Records e NO=FI Recordings
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Portare la corona ogni giorno ha il suo peso, ma non per Parris Goebel

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Parris Goebel ha solo venticinque anni e, a oggi, ha già collezionato una serie di esperienze da far girare la testa. Le sue origini sono samoane e vive con la sua grande famiglia a Auckland, in Nuova Zelanda. È ancora giovanissima, ma le sue ambizioni sono sempre state molto chiare. "Tutto è iniziato quando avevo solo dodici anni e capii che nella vita volevo ballare hip hop. I miei genitori mi hanno sempre supportato, così a quindici anni ho mollato gli studi scolastici per concentrarmi e costruirmi una vera carriera", mi spiega, quando le chiedo di raccontarmi come è cominciata la sua avventura.

Piccola parentesi: io a quindici anni, se non ricordo male, sapevo ancora di latte, portavo i codini alti e tiratissimi, una tuta comoda, e il massimo della gioia era farmi un giro in centro al sabato pomeriggio con le compagne di scuola per comprarmi qualche CD alle Messaggerie Musicali. Se avessi detto ai miei: "ue zii, mollo la scuola voglio ballare nella vita"—cosa che in realtà avrei davvero voluto fare—sono sicura che avrebbero chiamato l'esorcista, mi avrebbero fatto rinchiudere in qualche monastero campano con mia nonna che mi buttava addosso l'acqua benedetta della Madonna dell'Arco cui era devotissima.

Tutto questo per dire che, così giovani, fare questo tipo di scelte e portarle avanti, o sei Dio o sei Parris Goebel.

Sembrerà banale come appiglio ma la musica, oltre che a riconoscersi in una gerarchia di suoni, correnti sociali e territoriali, si identifica sempre anche come movimento. Fare esperienza della musica attraverso il proprio corpo è come sentirsi parte dell'impalcatura originale delle note: ci si trasforma in dervisci roteanti e atemporali che danzano a ritmo di rullanti sui battiti pari e di piatti in controtempo. Danzare è cosa seria.

In Italia il superamento della musica attraverso la danza/movimento è ancora un territorio poco esplorato, o perlomeno è ancora un luogo che vive di cliché e poca sostanza. La comunità di ballerini hip hop, e io ne conosco parecchi da ex danzatrice, è decisamente folta. Conosco gente che vive di questo, che vive per questo. È una sorta di sodalizio invisibile che richiede tanta forza, studio e dedizione perché in Italia, come capita per molti altri settori, non è tutto come all'estero. Da noi, purtroppo, esclusa la grande fetta di chi dell'hip hop ne conosce e studia le radici, ballare è muovere il culo in discoteca o mettersi lo snapback più figo che c'è e sentirsi qualcuno.

Quando vidi Parris per la prima volta ero in camera mia. Davvero volevo ballare nella vita; in parte l'ho fatto, e per uscire dagli stereotipi e crescere tecnicamente, come tanti altri, giravo l'Europa in cerca di masterclass. Quando non potevo mi attaccavo a YouTube guardandomi tutti i video possibili e immaginabili. Quasi tutti del Millennium Dance Complex di Los Angeles: un vero covo di ballerini che studiano sodo per costruirsi una carriera; perché se hai la fortuna di incontrare il ballo, e ti ci approcci convinto di poterlo fare con professionalità, ti accorgi anche di non poterne più fare a meno. Parecchi italiani nel periodo estivo volano a Los Angeles o New York per studiare, sacrificando tempo ed energie.

Parliamoci chiaro: chiunque, non solo nell'arte o nella danza, cerca di uscire fuori dal coro. Parris, forse ha cercato di farlo fin da subito. Quando le chiedo da dove provenisse la sua determinazione, mi risponde: "La mia cultura samoana ha influenzato parecchio il mio percorso. Delle mie radici adoro la sinuosità e la bellezza dei movimenti femminili, così come la forza e la potenza di quelli maschili. E se sono la donna che sono ora è grazie a questa eredità che mi scorre nelle vene."

A quindici anni Parris ha mollato gli studi, e non dovrebbe quindi stupire il fatto che a diciassette abbia aperto la sua scuola, The Palace, fondato la sua crew, le ReQuest—un plotone di donne combattenti—e cominciato a partecipare e a vincere parecchi World Hip Hop Dance Championships. Determinazione, talento, costanza, genio creativo e una mente fertile le hanno permesso in breve tempo di raggiungere importanti risultati.

Non so esattamente come descrivere quello strano subbuglio che arriva al mio stomaco ogni volta che guardo una sua creazione. Puoi non capire un cazzo di musica, di danza e movimento, ma se capiti su un suo video non puoi che rimanerne intrappolato. Ogni singolo dettaglio è carico di una potenza senza uguali. Sotto il suo comando le sue ragazze, la Royal Family, sembrano possedere poteri soprannaturali. Parris definisce il suo stile "polyswagg", cioè combining sassy woman fire with aggressive inner strength, e aggiunge, "Se vuoi ballare in una delle mie crew devi per forza essere una donna sicura di te e piena di carattere. Le ReQuest hanno ribaltato l'idea di crew al femminile nel mondo della danza, che è ancora totalmente dominato dal sesso maschile".

Le donne, in definitiva, sottolinea Parris: "si riappropriano di una forza mai vista". Nessuna utopia, nessun falso moralismo. Parris vive e professa un pieno ribaltamento dei ruoli: "Ogni donna dovrebbe indossare la sua corona. Ogni donna può essere forte tanto quanto un uomo, nella danza come nella vita". Se avete ancora qualche dubbio, guardate il video qua sotto.

Parris di fatto ha coreografato per Rihanna, Jennifer Lopez, Nicki Minaj, il sudcoreano Taeyang e ha curato il World Tour di Janet Jackson, solo per citare alcuni dei progetti che ha portato a termine. A giudicare dai risultati già ottenuti, la carriera di Parris potrebbe anche chiudersi tranquillamente qua. Ma così non è. Oltre ad averne in cantiere sempre una, mi confessa: "Forse all'appello manca una persona per la quale vorrei tanto lavorare, e il suo nome è Missy Elliot". Inoltre: avete presente inoltre il video di "Sorry" di Justin Bieber? Ecco, lo ha diretto e coreografato lei.

Quest'ultimo probabilmente è stato un trampolino di lancio definitivo: tra i tanti, hanno parlato di lei Rolling Stone, i-D ed Elle. E, come ogni fenomeno esplosivo, Parris ha subito richiamato l'attenzione di brand che volevano rappresentarla.

La Parri$, col dollaro, sta cavalcando il successo e non accenna a fermarsi. Anzi, quasi per gioco ha cominciato a incidere i suoi pezzi. Affacciarsi alla produzione musicale per Parris, con tutte le precauzioni del caso, non è di certo un azzardo manieristico, quanto piuttosto una naturale evoluzione del suo io più fantasioso, fecondo e unico. Fare musica, mi spiega, "Non rappresenta altro che un ulteriore mondo da saggiare per esprimere me stessa. Un giorno sono arrivata in studio per mixare della musica e così ho pensato di buttare giù qualche testo da registrare".


Il suo primo EP è uscito in agosto e si intitola Run & Tell Your Friends. La sua è una ricerca a tutti gli effetti, sia nei movimenti che nella musica. "Non voglio assolutamente rimanere intrappolata in un unico genere musicale, anzi mi gasa sapere che continuerò a esplorarli tutti grazie alle persone con le quali collaboro". I suoi primi tre video nuotano in sonorità che si avvicinano alla trap, al k-pop, alla dancehall, per finire, poi, nel puro grime. Qua sotto vi metto quello che mi ha gasato di più, "FIYAH". 

Sarà che il binomio grime/Parris mi piace parecchio, sarà la location del video( una chiesa abbandonata), sarà il bomber arancione che trovo di gran gusto, non saprei. Ma il pezzo è effettivamente FUOCO. 

I lavori di Parris sembrano essere meticolosamente studiati a tavolino—"FIYAH" sembra il risultato di un progetto curato a priori nel dettaglio—ma così non è: "Arrivata a Londra ho organizzato le audizioni in un giorno,", mi dice, "ho fatto le prove coi ballerini il giorno successivo e registrato in meno di ventiquattro ore. Creo tutto sul posto, non preparo quasi mai niente prima, lascio che le cose avvengano da sé, senza pensare troppo. È avvenuto tutto a un ritmo spaventoso, ma l'atmosfera era pazzesca e il risultato mi ha più che soddisfatto". 

Ora Parris ha fatto uscire un nuovo EP—si chiama Vicious—e sta gestendo sia il successo che la sua stessa evoluzione. Pare addirittura che Elton John si sia accorto di lei e le abbia chiesto di essere in giuria per The Cut, un concorso su YouTube per ricercare nuovi talenti e registi di video musicali. Niente di sconvolgente visto che, parlando con me, non ha esitato a dire, "Tutti lì fuori mi conoscono per la danza, ma ho anche sempre adorato stare dietro la cinepresa e dirigere". Chiunque se la senta dovrà caricare sulla piattaforma il remake di un grande successo di Elton, "Bennie and the Jets", e sarà Parris a fare la scelta finale. 

Non so prevedere, adesso, quale sarà la sua prossima mossa. È difficile farlo quando di fronte ti ritrovi un personaggio colmo di risorse. Una donna così piena di stile e potenza ti disarma. In realtà neanche lei è riuscita a sbottonarsi sulla questione. "Per ora vorrei solamente continuare a creare cose che il mondo non ha ancora visto. Vorrei avere la possibilità di riuscire a esprimere me stessa sempre, che sia in sala prove o in sala di registrazione", mi spiega, quando le chiedo dove la vedremo tra qualche anno.

Il suo è un viaggio trasversale con poche pretese iniziali, ma che percorre senza ostacoli una traiettoria affollata di talento e acume. Il massimo comune denominatore di questa traversata in Nuova Zelanda è di certo la musica, che è sempre in grado di costruire e demolire tutto allo stesso tempo. Quando le chiedo cosa stia ascoltando recentemente, risponde: "Ari Lennox, Alex Islev, Kali Uchis, Joria Smith, Bryson Tiller, Nao e la A$AP Mob". Quando invece provo a farmi dire cosa di più bello le abbia mai regalato la musica, mi racconta: "La musica per me è una seconda forma di espressione. Do il massimo quando devo creare una coreografia per un una delle mie canzoni e sapere che adesso altri ballerini danzano sulla mia musica è sicuramente il dono più grande".

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La scena R&B di Atlanta sta portando il nuovo pop nella capitale della trap

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Potete chiedere a chiunque quale posto occupi Atlanta nel mondo della musica e la risposta sarà sempre la stessa: non più solo capitale della trap, Atlanta è l'epicentro di tutta la scena rap. Molti vi diranno che "The A" è la mecca della musica nera. Il nostro codice genetico ha sempre incluso il bounce della 808 e il soul. Ma dov'è finito il soul?

Negli anni Novanta e Duemila, i due mondi del rap e della R&B di Atlanta hanno sfondato contemporaneamente le porte dell'industria musicale, assicurando alla città della Georgia un posto fisso al tavolo dei luoghi di culto. Mentre la Dungeon Family solidificava il suo posto tra i grandi del rap, artisti della LaFace Records come TLC e Toni Braxton dominavano le classifiche R&B. L'epoca crunk ha dato luce ad alcune delle più grandi hit crossover della città—non solo per nomi come The Ying Yang Twins e Trillville, ma anche per Usher e Ciara. La R&B è sempre stata allo stesso livello del rap ad Atlanta, ma negli ultimi tempi sembra scomparsa dai riflettori. 

Eppure, per quanto possa essere difficile trovare nuove leve R&B provenienti da Atlanta nelle classifiche di Billboard, ce ne sono alcune che trovano il successo in modo alternativo nell'epoca digitale. Sta emergendo una nuova stringa di DNA R&B ad Atlanta. Questi artisti hanno smesso di seguire il manuale "Come diventare una star R&B" scritto dai magnati dell'industria. Sono ribelli DIY. Sono ragazzini skater punk con un'anima. Sono stelle ignorate dalle grandi etichette che hanno preso in mano il proprio futuro.

Di recente, il collettivo Love Renaissance si è fatto notare più di ogni altro per aver cambiato la percezione di chi osserva da fuori l'underground di Atlanta. Con il festival annuale Raurfest, capitanato da Raury, artisti progressive soul come 6lack—che ha avuto un improvviso successo nazionale l'anno scorso—JMSN, SZA e Kilo Kish si sono esibiti davanti a locali sold out. Questo suono ha anche trovato il proprio posto nella scena notturna. La WERC Crew, un collettivo creativo e gruppo di produzione eventi che io stesso ho contribuito a fondare, ora è in grado di far arrivare ad Atlanta stelle nascenti come Jesse Boykins III e Tiffany Gouche. Il nostro dance party R&B mensile, The Groove, co-prodotto insieme a Wally Sparks, va regolarmente tutto esaurito, e siamo stati anche in grado di mettere in piedi un'edizione "solo R&B da ATL", cinque ore di artisti R&B cresciuti sulla terra rossa della Georgia. 

Il sostegno di Atlanta per i suoi talenti di casa si può notare anche in eventi mensili di grande successo come Live on Edgewood, 3 Shades of Soul e R&B Untapped. L'affetto della città per la parte più calda dell'industria musicale ha un forte cuore locale. I seguenti artisti sono alcuni dei tedofori di questo suono nel 2017. 

The Pheels

La fusione perfetta tra mondo pop e R&B di Atlanta, creata con il nome di The Pheels da Curtis Fields e Phil Jones (HAUNTED). Il singolo tratto dall'EP likeWISE è comparso per la prima volta nella compilation di Kitty Cash Love the Free Vol.3. Il loro nuovo EP matterFact uscirà in primavera.

Kiya Lacey

Kiya mi ha passato il suo EP Fail In Love EP dopo il mio set al Raurfest. Non ricordo quand'è stata l'ultima volta che qualcuno mi ha fisicamente dato in mano un CD, ma sono contento che lei l'abbia fatto. È molto raro incontrare una cantante naturalmente dotata, quel tipo di cantante che fa restare tutti a bocca aperta quando sale sul palco. Kiya ha già fatto da spalla a Brandy e Goapele, e ha collaborato con tastemaker come il producer elettronico e DJ Tokimonsta. 

Thrice Groove

Fino all'uscita di questo EP, Quiet as Kept, le doti vocali di Thrice Groove erano sconosciute ai più. Come DJ ha spaccato a tutte le feste di Atlanta, aprendo per Esta, Kastle, Sweater Beats e Gravez. Il suo progetto di debutto dimostra il suo stile di scrittura melodico e ha ottenuto immediatamente il sostegno delle radio di tutto il mondo, tra cui il programma di Soulection su Beats 1.

All Cows Eat Grass

Gli All Cows Eat Grass vivono secondo il loro motto: Be Kool. Questo trio ha viaggiato in tutto il mondo per anni come parte del team di produzione live di Janelle Monae. Durante i loro viaggi hanno coltivato un suono che è l'incontro di funk ed electro-trap. For years this trio has traveled the world as part of Janelle Monae's live production team. Sono centinaia le persone che frequentano religiosamente il loro dance party bimensile a East Atlanta, dove la band dirige una serata di puro sudore. Il secondo album degli All Cows Eat Grass, Your Mom Thinks I'm Kool, dovrebbe uscire prima dell'estate 2017.

Awful Records

Awful Records ha già ottenuto il rispetto di tutti per aver pubblicato il DIY rap più ruvido, ma il collettivo ha lentamente costruito anche una considerevole lineup di crooners. Abra ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con la sua produzione synthwave anni Ottanta e le sue melodie sensuali. Danger Incorporated è l'ultima aggiunta alla squadra. Le loro canzoni R&B post-trap influenzate dalla psichedelia hanno già raggiunto le centinaia di migliaia di riproduzioni in streaming. Altri nomi di spicco sono Alexandria e Micah Freeman, entrambi con alle spalle un catalogo considerevole.

KONA

Kona è una cantautrice cresciuta ad Atlanta, emersa due anni fa. Con poche canzoni è riuscita a far parlare molto di sé online. Brani come "Sirens", prodotta da Matt Martians di The Internet e Steve Lacey, e "You", con featuring di Father e prodotta da Ethereal, sono diventati di culto. La sua voce si adatta perfettamente a produzioni mid-tempo, creando quella sensazione di R&B anni Novanta presa bene.

Nai Br.XX

Ho scoperto Nai da pochissimo. Si sta facendo notare con performance live notevoli nel giro live locale, e la sua canzone "Adventure Time", una decostruzione pop sfuggente, si è fatta spazio nelle mie playlist più ascoltate. 

St. Beauty

Alex e Isis dei St. Beauty sono tra i miei preferiti da un po' di tempo. Il loro sound morbido e misurato conferisce una patina lucida e moderna alle tonalità classiche del soul per un risultato impossibile da non apprezzare. Nel 2015 sono stati riconosciuti a livello nazionale finendo nell'Eephus Tour della Wondaland Records con allegato EP, mentre il singolo "Borders" è stato incluso nella serie HBO Insecure.

Yung Baby Tate

Sarà affascinante vedere fin dove arriverà Young Baby Tate. È già una presenza fissa nei locali underground e nelle feste indipendenti ad Atlanta, e la sua intera personalità sprizza divertimento. Ha creato uno stile trap-pop tutto suo. Che si dedichi a melodie più morbide e sensuali come nella sua canzone "Orange" o metta un testo assurdo su una produzione upbeat come nell'ultimo EP XMAS, è la nuova, fresca ed esaltante faccia della scena R&B di Atlanta.

Foto di Lourdes Sukari. Seguila su Instagram.

Xavier BLK è un DJ di Atlanta e co-fondatore dell'agenzia di produzione eventi WERC. Seguilo su Twitter.

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50 Cent è stato dissato da suo figlio

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Siamo nell'anno di nostro Signore 2017 e Curtis "50 Cent" Jackson, all'età di 41 anni, è ancora qua a farsi insultare dai suoi colleghi. L'unico problema è che l'ultimo dei suddetti colleghi non è, come avreste potuto aspettarvi, Soulja Boy con un altro pezzo registrato a cazzo che parla di armi e roba simile, ma suo figlio. Suo. Figlio.

Marquise Jackson ha vent'anni, vuole fare il rapper, è figlio di 50 e non vede suo padre da anni. Ieri ha pubblicato il suo singolo di debutto, che si intitola "Different" e sarà contenuto nel suo primo mixtape, Escape. Nel pezzo rappa candidamente su suo padre ("Ho perso mio padre, ma è ancora vivo"), e su Rap Up c'è un'intervista in cui si è aperto e ha parlato della loro relazione:

"Era come avere Superman come papà, più o meno. Ma poi, invecchiando, inizi a capire certe cose, inizi a vedere determinati schemi che si ripetono, e tutto influenza il modo in cui ti rapporti con gli altri. Ed è quello che è successo con me e mio padre."

Vorrei inoltre far notare che Marquise ha fatto uscire il pezzo l'esatto giorno in cui cade il quattordicesimo anniversario di Get Rich or Die Tryin', il classico dei classici di suo padre. Mettiamo un po' di sale sulla ferita, eh? 

Potete ascoltare "Different" qua sotto. 

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Kanye West non è più dalla parte di Trump, sembra

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Vi ricordate quando Kanye West è andato a New York a trovare il suo BFF Donald Trump poco dopo la sua elezione? Yeezy si era appena ripreso dalla crisi depressiva che lo aveva colpito durante il suo ultimo tour, le cose con Kim—dicevano i gossip—non andavano particolarmente bene, e sempre lei stava oltretutto gestendo la tensione che doveva averle lasciato subire una rapina in un hotel a Parigi. Insomma, la visita di Kanye a Trump era arrivata come ciliegina sulla torta di quello che sembrava essere un meltdown coi fiocchi.

"Siamo amici da un sacco di tempo," aveva dichiarato allora The Donald, mentre Kanye aveva twittato due parole di chiarimento: "Oggi volevo incontrarmi con Trump per parlare di questioni multiculturali," specificando che queste comprendevano "bullismo, aiuti ai docenti, la modernizzazione dei curriculum e la violenza a Chicago." E infine, "Credo sia importante avere una linea di comunicazione diretta con il nostro futuro presidente se vogliamo davvero cambiare qualcosa."

Bé, a quanto pare sembra tutto essere cambiato dato che, come riporta TMZ, Yeezy ha cancellato tutti i tweet su Trump. Ma tutti tutti. TMZ sostiene che la colpa sia del Muslim Ban, ma non c'è una fonte certa. A voi un giudizio sulla questione. Personalmente, credo che #Kanye2020 possa sempre più diventare una realtà. Una gloriosa, gloriosa realtà.

Eccovi qua sotto, intanto, lo sketch migliore che tutta questa faccenda ci ha regalato.

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