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Nick Cave — padre, figlio e spirito

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"...because once you've got one scar on your face or your heart, its only a matter of time before someone gives you another—and another—until a day doesn't go by when you aren't being bashed senseless, nor a town that you haven't been run out of, and you get to be such a goddamn mess that finally it doesn't feel right unless you're getting the Christ beaten out of you" ― Nick Cave, And the Ass Saw the Angel 

Ricordo molto bene dove mi trovassi e cosa stessi facendo quando venni a conoscenza della morte di Arthur Cave, il figlio di Nick, il 14 Luglio dello scorso anno. Ero in un discount nella suburbia di Sassari, passeggiavo per il lungo reparto attorniato da migliaia di prodotti alimentari dalle etichette deprimenti. Avevo in mano... Non ricordo, forse una bottiglia di qualche vino sottoprezzato, o forse una birra. Faceva caldo, indossavo un colorato costume da spiaggia e una camicia hawaiana. Nel momento in cui vieni colpito dalla bruttezza dell'esistenza è come se da qualche parte, nella tua testolina, spuntasse una polaroid pronta ad immortalarti per sempre.

La prima cosa che feci fu continuare a leggere le etichette, un po' inebetito.
Più tardi mi resi conto di come la mia tristezza fosse causata dalla consapevolezza di un percorso lunghissimo che aveva affrontato Nick Cave, da poeta dannato a padre di famiglia.
Ho ricevuto un paio di fucilate dritte dritte al cuore quando, quel giorno, un paio di amici se ne sono usciti con frasi tipo: “Chissà ora, se ne uscirà con un album della madonna.”

Ho passato gran parte della mia vita ad onorare il Nick Cave musicista e scrittore. Quel giorno mi resi conto che la mia adorazione, nel tempo, era mutata in una sorta di intimo affetto. E come ogni buon amico che si rispetti, ad un'affermazione come quella non potevo non incazzarmi—un'affermazione basata sul postulato secondo il quale la produzione di un artista è legata all'intensità degli avvenimenti drammatici che lo colpiscono. Certo, in alcuni casi è così, mi vengono in mente le Confessioni di Agostino, intrise di sofferenza nei confronti dell'amore divino. Stessa cosa vale per Leopardi con la sua Silvia. Ma è solamente nell'Ottocento che nasce, ufficialmente, la dicotomia dolore-creazione. Basti pensare alla pittura di Van Gogh; Edvard Munch è noto per essere stato un artista da sempre influenzato dai suoi traumi. A cinque anni assistette alla morte della madre, malata di tubercolosi. Nove anni dopo la sorella muore per la stessa malattia. Mettiamola sulla musica. Gustav Mahler nel 1907 è stravolto dal dolore per la morte della figlia ed è l'ultimo di una lunga serie di danze macabre iniziate con la morte della madre. Dal metabolizzato dolore, e dalla conversione dall'ebraismo al cristianesimo, uscirà una delle sue composizioni più note, Il Canto della Terra. Nel 1991 muore, dopo un terribile incidente, il figlio di Eric Clapton: Conor cade dal 53esimo piano di un grattacielo di New York. Si sa che da quel trauma nacque "Tears in Heaven", una delle ballate più note del decennio e della discografia Claptoniana. Per dirla con un noto giallista belga, “La scrittura è considerata una professione: ma io penso che non lo sia. È una vocazione all’infelicità. Perché se un uomo ha l’impulso di fare l’artista è per il bisogno di trovare se stesso. Attraverso i suoi personaggi, attraverso tutto ciò che scrive”. 

Nick Cave ha scritto per tanti anni canzoni e romanzi, e poesie, ettolitri di sangue, ferite divenute oro. Ma da circa dieci anni questo classico fil rouge si era interrotto. Volutamente. Il suo percorso multimediale—passato dalla scrittura di sceneggiature alla composizioni di colonne sonore—ad oggi aveva assunto le forme di un pellegrinaggio verso uno stadio finale, quello dell'artista capace di non tradire la musa, ma di potersi finalmente godere la vita da uomo di famiglia. Lontano dalle droghe e dagli eccessi, ma ancora fieramente attivo. 


Questo percorso è illustrato chiarissimamente nel documentario uscito un paio di anni fa, 20.000 Days on Earth. Ma facciamo un passo indietro spazio-temporale. Esattamente di più di trent'anni. Andiamo in Australia.
Nel 1978 Nicholas ha solamente diciotto anni, sta passando una piacevole serata nel Dipartimento di Polizia di St. Kilda a Melbourne. Mentre la madre è in stazione per pagargli la cauzione per furto di auto, il padre Colin muore in un grave incidente autostradale. La morte del padre, con il quale aveva un rapporto difficoltoso, è stata rivissuta più volte in accezione biblica, addirittura mitopoietica.

Nel 1996 Nick Cave scrive per la BBC un testo sull'intenso, perturbante rapporto con la religione cristiana, The Flesh Made Word. In esso il rapporto paterno è assunto in senso edipico, “And so, like Jesus, there is the blood of my father in me, and it was from him that I inherited, among other things, a love of literature, of words. And just as Christ was to his father, I am a generation further on, and – if you'll forgive me, Dad – in evolutionary terms, an advanced version. What my father always wanted to do was to write a book.” (Cultural Seeds: Essays on the Work of Nick Cave).

Un paio di anni dopo afferma che “the loss of my father created in my existence a vacuum, a space in which my words began to float and collect and find his purpose” (The Secret Life of The Love Song, 1998). Colin Cave era un ottimo insegnante di letteratura inglese, ed al figlio era riuscito a tramandare l'amore per i classici. In 20.000 Days on Earth Nick descrive simbolicamente l'eredità culturale paterna, raccontando l'aneddoto che più lo lega al padre: quando Colin si metteva a leggere Lolita di Nabokov. Cave parla di una vera e propria trasformazione del Colin uomo nel Colin artista. È il primo contatto con la più grande ossessione archetipica di Nick: la Musa. L'opera Lolita è tornata più e più volte nella vita di Cave. Nel video qui sotto si ha come la sensazione che Cave avesse deciso di superare il dolore sostituendosi, in un certo senso, alla figura paterna. 

“Nabakov wrote on index cards, at a lectem, in his socks” 

Più che nelle carriera musicale, il rapporto dicotomico sofferenza-arte derivante dall'evento paterno è da rivedersi piuttosto nella sua carriera letteraria. The Death of Bunny Munro (2009) prima di essere un romanzo aveva le forme di una sceneggiatura che sarebbe dovuta diventare un film di J. Hillcoat, amico e noto regista australiano, con il quale Cave aveva già collaborato per la scrittura di The Proposition.

Il romanzo, in breve, tratta del rapporto on the road tra un timidissimo ragazzino e suo padre, Bunny Munro appunto, un alcolizzato, misantropo, commesso viaggiatore ossessionato dalle donne. Una storia nella quale Nick Cave ha voluto pastichizzare ogni istinto misogino del maschio, nel quale ogni uomo potesse rivedersi. Ma non solo, il romanzo apriva al pubblico femminile le possibilità di entrare nella testa del maschio (The Exchange: Nick Cave, The New Yorker). Uno squisito gioco letterario, in cui i legami con Colin Cave sono periferici, ma reali. Il padre di Nick sognava di diventare uno scrittore, forse un erede di uno dei suoi autori preferiti, Vladimir Nabokov. In quel disegno edipico che vede Nick Cave sostituire la figura paterna, qui addirittura si potrebbe parlare di prosecuzione di questa. The Death of Bunny Munro viene paragonato a Bret Easton Ellis, a Cormac McCarthy per l'inossidabile esigenza di un destino manifesto, tragico (inevitabili richiami alle sue scorpacciate religiose, in particolar modo al Vangelo di San Marco), eppure non si può non rivedere in quegli stream of counsciosness gli stessi elementi che caratterizzavano quelli di Humbert Humbert.

“Rebecca Beresford ha smesso di parlare a Bunny da anni, dopo un incidente a un barbecue sulla spiaggia di Rootingdean che aveva visto coinvolte una mezza bottiglia di Smirnoff etichetta blu, una salsicetta cruda, la sua figlia di quindici anni e un clamoroso malinteso. La cosa aveva scatenato una collera che un anno di pentimento e servilismi non era riuscito a disinnescare. Bunny sospettava che, da un certo punto di vista, Rebecca Beresford fosse morbosamente gelosa di sua figlia. Questa superava a tal punto la madre in bellezza che, quando sfilava giovane e provocante sulla spiaggia acciottolata di Rottingdean con il suo bikini striminzito, l’effetto su ogni maschio presente era talmente poderoso che sembrava quasi di sentire gli occhi che saltavano fuori dalle orbite e il sangue che si ridistribuiva fragorosamente nei corpi. Rebecca Beresford poteva solo farsi da parte, perplessa e piena di vergogna, mentre gli ultimi residui della sua bellezza l’abbandonavano per sempre come inquilini terrorizzati in fuga da una casa stregata.” (The Death of Bunny Munro)

Nel 1976 nascono i Birthday Party, la protoleggenda di Cave, prima del Big Bang che furono i Bad Seeds. Ma già TBP furono percorsi da una serie di catastrofici eventi. Leggendo la formazione storica, si riconoscono i nomi di Mick Harvey e Rowland Howard, un po' più in sordina quello di Tracy Pew, se non si è dei fan della band almeno. Harvey e Cave sono stati compagni di liceo e d'arme per quasi venticinque anni, un matrimonio, dicono alcuni, crollato a causa del solito clichè, quello dell'amante (Warren Ellis). Ma questa è un'altra storia. Una cosa che mi ha sempre affascinato è stata la forte contrapposizione attitudinale dei due musicisti, perché Harvey fin dagli esordi si è rivelato un personaggio distante dalle attrazioni della droga e dell'esagerazione (anche se predisponeva una certa passione per l'alcool), una figura perennemente concentrata sul lavoro e la composizione, preciso al rasoio, qualcosa riscontrabile nei suoi concerti da solista.

Tracy Pew segue e sorpassa Cave e Howard nella gara di scorpacciate drogate. Difficili da contestualizzare in un solo genere i maledetti TBS: dark e post-punk su album, in live erano una bomba iconoclasta capace di farsi la nomea di una delle band più casiniste d'Australia.
Dopo un tour europeo devastante si torna negli studi di registrazione, con un Nick Cave sempre più distante con la testa. Ossessionato dai testi biblici, il Vecchio Testamento lo porta ad una ricerca altra, verso la Musa. Tracy Pew degenera in uno stato confusionale. Dopo un concerto Pew viene incarcerato per falsa identità e guida in stato di ebrezza, ubriaco e strafatto fradicio. Otto mesi di carcere, ed in mezzo la prima collaborazione con Barry Adamson, futuro bassista dei The Bad Seeds, e la registrazione del live che spostò la lancetta della band un passo verso l'inferno: Drunk on the Pope's Blood, in collaborazione con Lydia Lunch. Pew torna, con addirittura tra le mani un piano di disintossicazione.  Album memorabile, nel quale Pew suona con il suo stile, come in She's hit, fa gracchiare le corde del suo basso, dando l'impressione che stia abbassando l'accordatura nel momento stesso in cui suona il riff. 

Difficile resistere alla tentazione. Qualche tempo dopo Pew si allontanò dal mondo della musica. Si iscrisse all'università di Melbourne dove studiò Filosofia e Letteratura. Il tempo di resistere un anno, poi di nuovo a suonare il basso per Nick Cave. Quando morì nel 1986 a causa di un'emorragia cerebrale dovuta ad un attacco epilettico, Cave era già al terzo album con i TBS, ma aveva solo 29 anni.
Non stiamo qui a raccontare tutta la vita di del Re Inchiostro. Prendiamo la macchina del tempo ed attraversiamo la vita di Nick per fotogrammi: guardiamolo mentre fugge dall'eroina berlinese e si rifugia in Brasile. Le immagini della della redenzione, il primo figlio Luke, avuto dalla cantante Viviane Carneiro. 



Il ritorno a Londra, l'uscita di Let Love In ed il successo commerciale di Murder Ballads amplificato da MTV che a ruota trasmette il duetto con Kylie Minogue. 
E poi la lunga parentesi dei Grinderman, l'entrata di Warren Ellis e l'inevitabile addio del fraterno Mick Harvey, fino ad arrivare al 2013, con Push The Sky Away e la sua emblematica cover: la moglie nuda di Cave si stringe il corpo mentre il marito tiene aperta una tenda che fa entrare una bianchissima luce. Scriveva bene Gianni Sibilla a definirlo “Forza Tranquilla” questo album, da una parte l'oscuro muro di suono impersonificato da Ellis, dall'altra le liriche ed una voce che facevano dedurre il tempo del riposo e la fine dell'epica.

E invece la vita sa essere uno scherzetto del cazzo. A rileggersi Bunny Munro capisci quanto le cose a volte siano l'esatto opposto anche nella tragedia che tu, artista, ti stai scrivendo. Il finale di Bunny Munro, “la pioggia batte con forza e nubi nere tuonano e lanciano fulmini crepitanti nel cielo. La folla piange e grida sotto gli ombrelli gocciolanti [...]” è quello della tragedia e della morte. Ma è un padre che deve morire ed è un figlio che deve battere le mani nervose sul corpo esanime, mai il contrario. Ad Ovingdean Gap succede che muore uno dei tre figli di Nick Cave, e chi ha visto 20,000 Days on Earth si ricorderà bene questa scena del padre che sale le scale di casa, entra in una stanza leggermente illuminata dai colori di un televisore acceso. E di un padre infilarsi trai due figli e mangiare un pezzo di pizza con il sorriso stampato sulla faccia. Questo era diventato Nick Cave: un papà.

D'altronde Sick Bag Song, uscito in Italia per Bompiani, è una raccolta di appunti e pensieri scritti sui sacchetti degli aerei presi nel lungo tour del 2014, nei quali Cave si descrive come “un piccolo dio di terracotta che trema su un piedistallo”. E nelle quali si scrive di muse ispiratrici. I démoni addormentati che si leggono in SBS si sono svegliati e con un po' di sensi di colpa sono emozionato e curioso per il nuovo album in uscita, Skeleton Tree. "Jesus Alone" è il primo singolo, con tanto di video, ed il cambio di tono rispetto a Push The Sky Away è inevitabile.

“You fell from the sky  
Crash landed in a field near the River Adur 
Flowers spring from the ground 
Lambs burst from the wombs of their mother
In a hole beneath the bridge
She convalesce, she fashioned masks of clay and twigs
You cried beneath the dripping trees Ghost song lodged in the throat of a mermaid
With my voice I am calling you”

Non credo ci sia bisogno di fare la parafrasi del testo. Torna la visione più dolorosa e biblica del poeta australiano, per nulla distante dai testi scritti nel 1989, E l'Asina vide l'Angelo. Il video desaturato risalta rughe nuove sul viso di Cave. Uno statico piano nei quali dominano accordi minori, il violino alla fine è un lamento.
È successo quello che dicevano i miei amici: tutta questa tristezza gli farà tirare fuori qualcosa di buono. Forse non mi sarei dovuto prendere male un anno fa, è una frase che ha umanità e suona di empatia, se vista in questo modo. E cioè che, al di là del bene e del male, tutti facciamo qualcosa per buttare fuori il nero che vive dentro di noi: c'è chi lo fa scopando, chi riempiendosi lo stomaco di zuccheri, chi dipingendo, qualcuno semplicemente non ci pensa, e poi c'è chi scrive.
 

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Gucci Mane ha praticamente rivelato al mondo un nuovo album degli Outkast

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Gli Outkast sono tra i migliori rapper di sempre, e se non siete d'accordo probabilmente Noisey non è il sito che fa per voi. André 3000 e Big Boi sono tornati nel 2014 per un tour mondiale di reunion, senza però far trapelare la minima informazione riguardo a eventuali nuovi pezzi assieme. Questo fino ad ora: e dobbiamo ringraziare proprio il nostro adorato Gucci Mane, loro concittadino ad Atlanta.

Gucci ha infatti pubblicato un breve video su Snapchat in cui fa una bella lista di tutti gli artisti con cui ha lavorato recentemente, e inizia con le bombe a mano: "Ho appena scritto un pezzo per gli Outkast. Ho appena scritto un pezzo per Lil Wayne. Ho appena scritto un pezzo per Lil Boosie. Ho appena scritto un pezzo per Project Pat. Ho appena scritto un pezzo per E-40", dice LaFlame, palesemente esaltato e sudato che neanche dopo una sauna. 

Ora: nella peggiore delle ipotesi, Gucci ha scritto un verso per un pezzo del nuovo album solista di Big Boi, e magari sullo stesso brano c'è una parte di André. Il che già sarebbe una cosa piuttosto ok, ma nel migliore scenario siamo appena venuti a conoscenza del ritorno degli OutKast. E finalmente, magari, André e Big Boi avranno la possibilità di mettere fine alla loro discografia con un disco migliore di "Idlewild." Vi terremo aggiornati. Siete contenti? Noi sì.

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Recensioni

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Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

 

Alborosie - The Rockers - Saifam

 In questo disco compaiono (in ordine di apparizione) Elisa, Jovanotti, Giuliano Sangiorgi, Fedez, Caparezza, Nina Zilli, Boom Da Bash, Africa Unite, Sud Sound System, Vacca, 99 Posse e Apres La Classe. È per questo che possiamo affermare con certezza che si tratta del disco più brutto nell’intera storia della musica e quindi non possiamo che raccomandarvene l’acquisto.

BASTA RASTA

 

Bon Iver - 22, A Million - Jagjaguwar

 Sì okay il disco esce tra un mese, ma è così facile da reperire grazie agli internet mondiali che è come se fosse uscito. Comunque, anche se non fosse uscito, avremmo potuto farne una recensione a partire dai nomi delle tracce. Anzi, anche se non fosse uscita la tracklist avremmo potuto recensirlo a partire dal fatto che è un disco di Bon Iver. Quindi ci sono le vocine e i suoni della natura e ti senti così sensibile che tutte le ragazze che hai incontrato dall’asilo nido in poi ti cercheranno su Facebook per parlarti dei loro problemi, ora che si avvicinano ai trenta. L’unico modo di fruire correttamente di questa lagna è farlo senza sentirsi speciali, ma in quel caso diventerebbe un’esperienza davvero respingente per ogni essere umano. Comunque faccio così solo perché una volta dovevo andare a un concerto di Bon Iver con la mia fidanzata, ma lei mi ha lasciato e allora ci sono dovuto andare con il suo coinquilino, che non ha nemmeno smezzato i soldi della benzina. Due limoni glieli avrei dati.

COVER DI BIRDY

 

THE DIVINE COMEDY - Foreverland - PIAS

 Chiamare il proprio progetto “La Divina Commedia” grida “pretenziosità” da tutti i pori. Se poi lo usi per fare pop orchestrale ti stai proprio prendendo a martellate sugli stinchi da solo. Ora: Neil Hannon lo fa da vent’anni, ed è riuscito pure ad avere un discreto successo scrivendo concept album ariosi che parlano d’amore e di letteratura e di storia e di qualsiasi cosa intellettuale riuscisse a concepire. Ma ad ascoltare Foreverland scatta, inesorabile, l’effetto cringe. Questo, a meno che vi piacciano pezzi che usano Napoleone e la Legione Straniera come metafora di un amore perfetto, le cascate d’arpa e i ritmi zum-pa-pa che neanche Bublé. Insomma, siamo di fronte alla conferma che l’unico musicista del Ventunesimo secolo capace di scrivere album narrativi che vorrebbero essere musical ma non lo sono senza risultare odioso è Colin Meloy. E se proprio volete questa-cosa-qua, andate a riascoltarvi Days of Future Passed e torniamo tutti a casa felici.

JOHANN GAMBOLPUTTY DE VON AUSFERN SCHPLENDEN SCHLITTER CRASSENCRENBON FRIED DIGGER DINGLE DANGLE DONGLE DUNGLE BURSTEIN VON KNACKER THRASHER APPLE BANGER HOROWITZ TICOLENSIC GRANDER KNOTTY SPELLTINKLE GRANDLICH GRUMBLEMEYER SPELTERWASSER KURSTLICH HIMBLEEISEN BAHNWAGEN GUTENABEN BITTE EIN NÜRNBURGER BRATWURSTLE GESPURTEN MITZ WEIMACHE LUBER HUNDSFUT GUMBERABER SCHÖNEDANKER KALBSFLEISCH MITTLER AUCHER VON HAUTKOPFT OF ULM

 

CARLY RAE JEPSEN - Emotion Side B - Interscope

 Succede una cosa stranissima con questa ragazza: per qualche assurdo motivo, pur essendo lei un'artista a tutti gli effetti pop, commerciale, dalla critica viene trattata come fosse underground. Onestamente non ne avevo mai capito il motivo fino al momento in cui sono incappata in questo articolo su The Atlantic, che si chiude con la frase "Despite two and a half wonderful albums, she’s nowhere near shrugging off the 'one hit wonder'". Ok, ora mi è più chiaro: si tratta di tenerezza. Nonostante l'esplosione di Internet, o forse proprio per questo, si è decisamente accentuato lo iato tra i giganti del pop e tutto il resto. Nel momento in cui fai parte di quel "tutto il resto", cadi automaticamente tra le braccia dell'underground, indipendentemente dalla pseudo-nicchia musicale cui fai capo. Ed è abbastanza chiaro che Carly Rae Jepsen non abbia ancora in nessun modo un'identità così forte da farle bucare quella barriera e permetterle di passare dall'altro lato del pop, tanto che se ne rimane lì, nella sfiga. Sempre in quell'articolo, si dice che la sua musica è la colonna sonora perfetta per "going to the store", roba che io definirei pop da Urban Outfitters, che non è sicuramente un male di per sé, ma non basterà certo questo—e non basterà un album di B-side—per convincermi che la sua musica vada trattata come un figlio speciale dell'underground che, poverino, è uscito così un po' storto, un po' pop. No, cara Carly Rae Jepsen, per me stai nel bidone della plastica con PC Music e, come tutti i prodotti PC Music, sei usa e getta, trovare un senso e una giustificazione ulteriori alla tua musica è pura masturbazione mentale e io non ci casco. 

VIRGINIA RAGGI GAMMA

 

JOVANOTTI - L'ESTATE ADDOSSO OST - UNIVERSAL

 A volte il detto "Dio li fa e poi l'accoppia" non e' poi cosi` campato in aria. È il caso di Jovanotti e Muccino, due casi clinici nella corsia "giovanilismo e smielismo", che hanno pensato bene di collaborare insieme per il nuovo film del regista, L'Estate Addosso. Ebbene, la prima colonna sonora di Jova uscira'in pompa magna in mille formati, anche in vinile 500 copie, sembra un evento epocale. Solo che il singolo che doveva trainare il tutto Lorenzo se l'e'sparato un anno fa, pubblicando il singolo "L'Estate Addosso" prima che il film fosse finito, e tutto il disco è quasi una specie di raccolta di quel pezzo in tutte le salse, tanto che cazzo gli frega a lui. Ovviamente la OST ha vinto a Venezia e noi pensiamo che vincerà anche l'ennesimo David di Donatello.

GABRIELE BUCCHINO

 

 

NOTS - COSMETIC - GONER/HEAVENLY

 Se anche voi come me non eravate rimasti particolarmente colpiti dal primo album delle Nots, che parevano una specie di versione laureata degli Spits, rimarrete a bocca aperta ascoltando Cosmetic. Mi sa che le ragazze di Memphis hanno ricevuto qualche calcio negli stinchi perché il livello di incazzatura è salito di parecchie tacche: alcune chitarre sembrano rubate agli Spray Paint, i synth sono sempre più disturbanti e meno accomodanti, la voce è un ringhio furioso. La parte migliore, in netto contrasto con i loro esordi, risiede nei pezzi più lunghi, “Cosmetic” e “Entertain Me”, gonfi di veleno, sarcasmo e acida fanghiglia dai fondali del Mississippi. Alla faccia dello stereotipo per cui nel punk è sempre meglio l’esordio, non vedo già l’ora di ascoltare i prossimi album delle Nots.

NELL’OCCHIO TI SPUTO

 

N-PROLENTA - A Love Story 4 @deezius, neo, chuk, E, milkleaves, angel, ISIS, + every1else.... and most of all MY DAMN SELF - PURPLE TAPE PEDIGREE

 Nel disordinato mondo della discografia underground di oggi capita spesso che i dischi abbiano ritardi o contrattempi dovuti alle presse del vinile o semplicemente perché il gestore dell’etichetta si è incasinato, quindi capita pure che due dischi di un unico artista escano a ridosso uno dell’altro su due label diverse. Infatti riguardo N-Prolenta non sapevo se recensire questo A Love Story... o l’altro appena uscito su Halcyon Veil, che tecnicamente sarebbe il suo debutto. Ho optato per questo giusto perché di Halcyon Veil ultimamente abbiamo recensito tutto. Qualitativamente sono entrambi roba grossa, ed entrambi mi fanno salutare Brandon Covington Sam-Sumana come grandissimo artista. Questo disco in particolare contiene una narrazione molto astratta, da ricostruire tramite simboli e indizi disseminati in giro per i cinque movimenti che lo compongono, tra corpi e identità trasformati in paesaggi digitali. Le voci dei cangianti spettri coinvolti (spettri dal futuro, agenti di una rivoluzione immaginata che si prova a trasformare in realtà) fanno da sigilli iperstizionali, tra i lunghi droni di sintesi modulare che a loro volta suonano come una riconversione del reale in linguaggio e viceversa. In tutto questo casino, l’urgenza esistenziale che sta alla base esplode ripetutamente sotto forma di momenti di aggressività ritmica e momenti soul-gospel-r&b devastanti, che sembrano voler infettare di empatia il complesso militar-industriale. Personalmente l’ho trovato davvero commovente.

ROSA AEONFLUXEMBURG

 

SERPENTWITHFEET - Blisters  - Tri Angle 

Sai che stai facendo una figata quando il tuo progetto artistico riesce a ospitare in sé gli opposti. Per farlo, se non sei uno scemo, dalla tua sfera poké tiri fuori The Haxan Cloak, quell'essere che, con un rapido colpo di mano, riesce a coniugare il midollo lirico di artisti come Björk—o in questo caso Josiah Wise—con fibre nervose più crude e glaciali. Sarebbe stupido dare a Bobby Krlic tutto il merito dell'identità sonora di Serpentwithfeet, comunque, perché, come il nome del progetto lascia presentire, il nucleo portante sta esattamente al centro tra lui e Josiah Wise. E questo perché chi ci ha lavorato si è aperto completamente all'altro, trovando un punto d'incontro tra le due identità che permetta loro di gettar luce l'una sull'altra. Si sente l'influenza di Tri Angle, che nel roster conta artisti che, in un modo o nell'altro, hanno sparato frecce appuntite verso il grande ventre molle della musica popolare, aprendo una serie di spiragli in cui i più abili riescono a costruire un ecosistema ibrido fatto di scontri e contaminazioni. Non è un caso che gli esperimenti meglio riusciti in questo senso vengano da artisti queer. 

LUCA FILOBUS 

 

YANN TIERSEN - EUSA - Mute

 Gli album per pianoforte solista sono, mediamente, belli. Chi è che non ha bisogno, ogni tanto, di mettere su un album d’ambiente? Quando leggi un libro, o stai a letto con il moroso/la morosa, o prepari una torta allo yogurt, d’altro canto, mica vuoi sotto Tony che ripete ossessivamente “DARK GANG DPG TRIPLO SETTE.” Vuoi un po’ di scale semplici, dei piccoli crescendo se proprio, piccoli motivi che vanno e vengono. Musica che scorra sotto, insomma. Rovescio della medaglia di questa struttura è l’intercambiabilità del sottofondo in questione: spesso, a meno che ci sia dietro un qualche concept clamoroso (ciao, Max Richter!) o un’inventiva fuori dal comune (hey, Nils Frahm!), un disco di pezzi di due, tre minuti tutti melodici e rilassanti vale l’altro. E insomma, è piacevole un album di Yann Tiersen in cui ogni canzone è legata a un’isola di fronte alle coste della Bretagna con l’idea autodichiarata di “disegnare una mappa dell’isola e, per estensione, della persona che sono”? Sì. Posso dire che mi fa vomitare? No. Ma ne avevamo bisogno? No, non particolarmente. 

TERENCE DRILL

 

TWIN ATLANTIC - GLA - RED BULL MUSIC

 La prossima settimana, durante la mia abituale seduta con lo psicologo, devo ricordarmi di parlare di come, con l’illusione di combattere la mia insicurezza, ogni tanto mi sobbarco un compito relativamente facile da portare a termine ma che ha conseguenze orribili sul mio umore o sulla mia forma fisica, così mi sembra di aver portato a termine una missione difficile, mentre invece ho fatto soltanto qualcosa di inutile, stupido e vessante.

IL MIO NOME È MAI PIÙ

 

ZOMBY - ULTRA - HYPERDUB

 Qua di ultra c’è solo la mia rottura di coglioni. Ecco l’ho detto. Già mi immagino gli anatemi: Zomby pioniere, Zomby maestro, Zomby personaggio incontenibile che ti mena perché gli hai copiato i calzini. Sì, OK, ma già stavate mentendo a voi stessi, non ammettendo che quei due Let’s Jam su XL erano delle cagate pazzesche... Evitate di perseverare. Ultra, mi duole dirlo, suona completamente privo di ispirazione, ripiegato su quei due trucchetti grime/garage che il nostro conosce fin dalla preadolescenza, per non parlare dei marchi di fabbrica personali tipo l’arpeggio sfilacciato 8 bit che vanno pure bene ma magari non pensare che ci svolti la traccia. Tendenzialmente ogni pezzo è costruito su un pattern unico (moscio) e minimissime variazioni, talvolta ripiegando sull’ambient post-scesa, ma finendo per scodellare una melodia banale dopo l’altra, tanto che un paio di pezzi sconfinano dal trito all’insopportabile. Di bella c’è la collabo con Burial, che quando è uscita sull’internet avete tutti storto il naso e invece io mi stavo gasando, solo per beccarmi poi sto sputazzo in faccia di di album. Pure quella coi Rezzett spacca, anche se esce poco dal seminato hardcore/jungle. Non che ce ne fosse bisogno, tutto sommato, perché al disco basterebbe quel minimo di mordente dato dal fatto che stai producendo perché c’hai voglia di farlo. Un velo pietoso sulla comparsata dei Darkstar, che provano a fare gli arpeggi alla Shackleton con risultati davvero irritanti.

IL MATTIA COSTIOLI DELLA JUNGLE

 

 

Hanno chiuso il Fabric, a Londra :(

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Un mini-documentario sul Fabric, uscito nel 2013.

"Non si dovrebbero punire i locali. Se chiudono il Fabric dovrebbero chiudere praticamente tutti i club del paese." Ha perfettamente ragione: punire il Fabric non vuol dire risolvere i problemi che hanno causato queste due tragiche morti, ed è proprio per questo che salvarlo è invece una priorità. Chiuderlo significherebbe cancellare il clubbing, e per esteso la cultura giovanile, dalla vita della capitale." Così Angus Harrison di THUMP UK, in un suo articolo di settimana scorsa sulla possibilità che il Fabric—storicissimo club londinese aperto nel 1999—chiudesse effettivamente i battenti dopo che la revoca della licenza da parte del consiglio di Islington, a Londra, lo scorso 12 agosto. Il motivo, la morte di due ragazzi di diciotto anni per complicazioni legate a droghe che avevano preso. 

Bé, gente: non abbiamo vinto. Ieri sera il consiglio comunale di Islington si è riunito assieme a rappresentanti del Fabric, della polizia metropolitana e della sanità britannica per discutere la cosa. La seduta è durata sei ore, ma all'una di notte è arrivato il verdetto negativo sul rinnovo della licenza: "Nel club esiste una cultura della droga che il management e la security attuale sembrano incapaci di controllare", ha concluso Flora Williamson, presidente del comitato atto a risolvere la questione. "Abbiamo considerato l'aggiunta di ulteriori condizioni, ma siamo arrivati alla conclusione che un gesto simile non toccherebbe i seri problemi esistenti riguardo al management del locale."

Una petizione su change.org in supporto del Fabric è arrivata a circa 150.000 firme, e diversi personaggi pubblici britannici—tra cui il sindaco di Londra, Sadiq Khan, e la parlamentare eletta per Islington South e Finsbury, Emily Thornberry. I gestori del club avevano rilasciato diverse dichiarazioni speranzose negli ultimi giorni, promettendo che avrebbero rivisto le loro procedure di sicurezza e prevenzione; Cameron Leslie, co-fondatore del Fabric, aveva giurato che il locale avrebbe stabilito un nuovo "standard dorato" per il clubbing sicuro. Vi terremo aggiornati su qualsiasi sviluppo.

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Ovviamente il video di "Pride in Prejudice" degli Slayer è pieno di nazisti ammazzati

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La trilogia di video ufficiali legata a Repentless, l'ultimo album degli Slayer, sta raccontando una storia di morte e vendetta che neanche Grindhouse—il che ha perfettamente senso dato che uno dei protagonisti è Danny Trejo aka Machete aka Spezzacuori. Nel nuovo episodio, "Pride in Prejudice", il nostro è stato rapito dai nazisti assieme all'altro tizio che sarebbe l'effettivo protagonista ma in fondo chissene, e assieme cercando di fuggire nel modo più violento possibile. Nel frattempo, gli Slayer suonano il brano in un bosco innevato mentre i loro ampli sanguinano.

Tutto a posto, no? Certo che sì. Il video è decisamente NSFW, ma guardatelo fino in fondo e godetevi la scena dedicata interamente a Trejo. E un po' di nazisti morti. Yay! Trovate il tutto qua sotto.

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Tutte le strade portano al punk

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Andy Warhol. Foto di Mario De Biasi/Mondadori Portfolio/Getty Images.

Ogni semestre faccio fare ai miei studenti un esercizio di libera associazione della parola "punk"—citano nomi di artisti (Green Day, The Clash, M.I.A.), sottogeneri (emo, hardcore), accessori (piercing, giacche di pelle) e aggettivi assortiti a cui pensano appena sentono quella parola. È un modo per dimostrare come i generi siano strumenti imprecisi con cui descrivere la musica, ma mette anche in evidenza le contraddizioni implicite di questo termine e quanto eccessivamente sia stato usato dai tempi dei Dolls e dei Pistols. 

Tuttavia, per quanto questa parola sia stata spremuta, non è stata prosciugata. Nel corso degli ultimi quarant'anni, il punk si è inserito così tanto nella cultura globale da portarlo a venire associato con quasi ogni altra parola, dall'aerobica alla genitorialità. Esiste anche il Punk Rock Marketing, una forma di imbroglio da SEO che farebbe inorgoglire Malcolm McLaren.

"Arte punk", quindi, è un'espressione che presenta un certo grado di contraddizione. I due significati principali dell'aggettivo—un'estetica superficiale passata di generazione in generazione vs. un principio fondante di provocazione a partire dalle ideologie base della società—sembrano contraddirsi a vicenda, con il risultato che la convivenza tra i due nel mondo moderno risulta problematica. Da una parte c'è un codice di comportamento e apparenza che comprende spille da balia usate come piercing, scritte in caratteri da lettera di riscatto e voci roche che urlano banalità passate per rivoluzionarie. Dall'altra, c'è un'ideologia che opera il più possibile al di fuori del sistema e gioca secondo le regole del mondo reale soltanto il minimo indispensabile per continuare ad esistere parallelamente a esso—inclusa, verrebbe da pensare, la moda e i suoi dettami su come bisogna apparire. 

Una bella fetta dell'arte considerata "punk rock" si conforma alla prima di queste idee; è codificata in modo simile alle mode di quarant'anni fa oppure coinvolge direttamente persone che hanno vissuto quel periodo, come il protagonista di "Losing My Edge" degli LCD Soundsystem. A volte, però, la parte superficiale e quella essenziale vengono violentemente modificate e ribaltate, ed è a quel punto che il punk diventa sublime e lancia la sua sfida al capitalismo di massa con stile e ironia. La poetessa Eileen Myles, che frequentava il giro CBGB a fine anni Settanta e inizio Ottanta e più avanti ricevette l'onore di una retrospettiva sul Times, ha un approccio alla versificazione che sovverte stilisticamente la forma mentre allo stesso tempo recita verità più potenti di qualunque frecciata di John Lydon. Come ha scritto in "American Poem":

I thought
Well I’ll be a poet.
What could be more
foolish and obscure.
I became a lesbian.
Every woman in my
family looks like
a dyke but it’s really
stepping off the flag
when you become one.

"…I am not/ alone tonight because/ we are all Kennedys./ And I am your President", conclude la poesia, una proclamazione che non si può che definire "punk" per la sua pura sfrontatezza—anche se Myles è troppo discreta per calcare apertamente la mano.

Anche le opere più recenti della visual artist Kelsey Henderson sono protese in questa direzione. Dopo una lunga carriera come pittrice di soggetti al margine, il suo quadro del 2015 "Pleasure in Excitement" contrappone la copertina di una rivista porno tedesca anni Settanta con un ritratto violento che sembra essere di un mosh pit; "Aggressive Girls" mette insieme il titolo di un periodico erotico di Los Angeles con una donna dal tipico aspetto duro, con piercing e trucco appariscente in stile punk. 

"Ho spulciato una montagna di vecchi giornali porno alla ricerca di frammenti di testo e copertine che non fossero esplicitamente sessuali per associarli a immagini di altro tipo", ha detto a Sang Bleu in ottobre. "Inserisco immagini di sottoculture degli anni Settanta e Ottanta, a volte Novanta, collegandole all'affascinante mondo dei font porno (ride), giocando con la loro parte erotica e con la connessione perlopiù immaginaria che la gente ha con il punk e la gioventù e le sottoculture". Mettendo in dubbio sia il sistema della pornografia che quello del consumo sottoculturale e al contempo usando il loro fascino, con i suoi dipinti—la cui caratteristica più evidente è il modo in cui ritrae giovani che si comportano pericolosamente usando una pennellata soffice e delicata—riporta alla mente lo spirito di "Typical Girls" e di "Mind Your Own Business", un modo di sovvertire la sessualità utilizzandola come mezzo per attirare l'attenzione. 

Forse le migliori manifestazioni future di "arte punk rock"—a dire arte che ribalta i canoni e offre resistenza alle strutture passate—assomiglieranno al metodo messo in pratica dall'artista Fritz Haeg nel suo progetto Edible Estates. Haeg ha preso l'odio dei punk per i suburban lawns (i giardini delle villette in periferia) e gli ha dato uno scopo. Li ha trasformati in orti, permettendo alle famiglie residenti di imparare a coltivare il proprio cibo e reinventando il concetto di "giardino" nel contesto suburbano:

"Questi semplici orti low-cost e le loro storie sono stati concepiti per ispirare le persone e per dimostrare che cosa si può ottenere con un po' di volontà e un piccolo pezzo di terra tra la casa e la strada. Invece di quelle utopistiche immagini di perfezione che si vedono nelle riviste di design e giardinaggio, chiunque può guardare questi orti e pensare di fare la stessa cosa a casa propria."

Il progetto di Haeg coniuga lo spirito fai-da-te e uno sguardo al futuro con il motto rip it up and start again—creando arte che non sia solo espressione di un desiderio di un mondo migliore, ma un sentiero che conduce a un futuro libero da alcuni tratti dello stile di vita odierno, costoso e superficiale. La spinta motivante del punk veniva (e viene) in gran parte dall'idea che là fuori c'era altro; per quanto il coltivare verdura in periferia sembri distante dalla violenza del pogo in un seminterrato affollato, entrambe le cose offrono una visione di resistenza alla cultura mainstream.

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Un'ode a Frequency, il videogioco dimenticato dei creatori di Guitar Hero

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Quando comprai Frequency non avevo una chiara idea di quello che mi sarei trovato di fronte una volta infilato il DVD nella mia Playstation 2. I ricordi che ho di quel periodo non sono proprio limpidi, ma ne sono abbastanza sicuro. Era l’inizio del 2002, avevo undici anni e solo sei mesi dopo Grand Theft Auto: Vice City avrebbe cambiato profondamente la mia vita musicale esponendo le mie giovani orecchie alle note di “Raining Blood” degli Slayer. La mia esperienza di rhythm gaming, fino a quel punto, si era limitata a due incredibili demo: quella di PaRappa the Rapper e quella di Vib Ribbon. La prima ce l'avevo da quando avevo comprato la PS1, e ricordo di aver ripetuto l'incredibile livello di apertura nel dojo almeno due volte al giorno per un numero imprecisato di settimane. La seconda l'avevo trovata in allegato a qualche rivista che avevo comprato, e l'idea di poter giocare con la musica dei miei CD mi mandava fuori di testa—tra l'altro aprendo il coperchio della console mentre andava, la trasgressione definitiva per il ragazzino undicenne medio. 


Vib Ribbon o, quando la grafica è l'ultimo dei tuoi problemi.

Morale, nonostante schiacciare tasti a ritmo di fronte a uno schermo fosse una delle mie attività preferite non avevo mai potuto giocare veramente a un rhythm game. PaRappa era troppo vecchio perché ne riuscissi a trovare facilmente una copia, e Vib Ribbon non era certo mai stato in alto nella lista dei giochi che l'unico negozio della mia città aveva intenzione di vendere a noi pischelli. Frequency, invece, era una novità facilmente accessibile. Non ricordo quanto costavano i giochi allora ma credo di averci investito almeno 50.000 lire. All'epoca non ne avevo la minima idea, ma era la prima opera ufficiale di Harmonix—lo stesso studio che qualche anno dopo avrebbe fatto i soldi con Guitar Hero

Quello che mi trovai di fronte, quando ci giocai per la prima volta, mi colpì immediatamente. Innanzitutto, il video di introduzione non era fatto in un CGI pixellato come solo i peggiori videogiochi dell'epoca sapevano proporre ma era un filmato a tutti gli effetti. Quello che oggi riesco a riconoscere come una sorta di pezzo psytrance suonava dalle casse del mio televisore mentre i miei occhi venivano esposti a una sorta di serata cyberpunk uscita direttamente da un sogno bagnato congiunto dei fratelli Wachowski. Insomma, come la scena della festa in Matrix: Reloaded ma con un budget decisamente minore. 

Il clip proseguiva poi entrando letteralmente nella testa di uno dei DJ, penetrando una delle due lenti verde mela dei suoi occhiali oversize e presentandomi di fronte una galleria ottagonale attraversata da onde colorate, su cui la telecamera viaggiava a velocità che neanche quelle a cui mi aveva abituato Wip3out (altro gioco con una colonna sonora della madonna, ma questa è un'altra storia). Ero esaltato come non lo sarei stato neanche qualche anno dopo, pochi secondi di far partire il tappo del mio primo Bacardi Breezer. 

Ora, veniamo al gioco in sé. Nonostante il gameplay possa apparire caotico, l'idea di base era in realtà piuttosto intuitiva e intelligente. L'ottagono era una visualizzazione semi-fisica della canzone di turno, sospesa in una sorta di iperuranio animato da entità geometriche fluorescenti. Ognuno dei suoi lati era una traccia: il beat, il sintetizzatore, la voce, i sample, la linea di basso, l'eventuale chitarra e così via. Il giocatore, premendo tre tasti da schiacciare a ritmo, "animava" ogni traccia andando effettivamente a comporre la canzone. Ma questo video qua sotto vi spiega meglio il funzionamento del gioco di quanto io possa fare in un paragrafo.

In pratica il giocatore "suona" ogni traccia per un determinato tempo: se non sbaglia nessuna nota, questa si attiva e prosegue automaticamente. Il giocatore è quindi libero di potersi dedicare a un'altra, andando letteralmente comporre il brano mano a mano. Ci sono poi dei divisori intermedi all'interno della canzone che resettano tutte le tracce, così da obbligare il giocatore a continuare a suonare il brano fino alla fine—quando il pezzo si "attiva" per intero, lasciando il giocatore libero di cazzeggiare con i due lati più epici del triangolo, "Scratch" e "Axe", entrambi non legati a note specifiche ma semplicemente ricettacoli per la creatività e il senso del ritmo di chiunque tenesse in mano il joypad. Il fatto che i bottoni da premere fossero solo tre rendeva Frequency relativamente accessibile: non c'era bisogno della coordinazione tasti-plettro dietro a Guitar Hero, né dell'effettiva capacità di ballare dietro a esperienze da sala giochi come quella della serie Dance Dance Revolution e dei suoi emuli. Semplicemente, serviva un po' di puro senso del ritmo. 

C'è da dire che quello che in retrospettiva rendeva Frequency una vera figata era la sua colonna sonora. Dall'uscita di Guitar Hero in poi, infatti, il concetto di rhythm game su console è perlopiù rimasto legato a un paradigma prettamente rock—RUOCK, direbbero alcuni. D'altro canto, la cosa può essere anche comprensibile. Se per anni e anni l'idea di poter usare dei controller che non fossero dei normalissimi joypad era rimasta decisamente troppo ardita, la possibilità di avere a un prezzo relativamente accessibile una chitarra di plastica su cui credersi i nuovi Angus Young, Slash o Tom Morello era un grandissimo selling point, se consideriamo oltretutto che allora 1) nel 2005 il gaming non era ancora considerato qualcosa-di-serio e quindi sfumato e complesso come lo è oggi e 2) canzoni come "Back in Black", "Sleep Now in the Fire" o "Symphony of Destruction" erano e sono perfette per attirare le finanze a disposizione di semi-adolescenti nel pieno delle loro personali crescite musicali. Sicuramente più di un pezzo di Paul Oakenfold.

L'onda lunga del fenomeno Guitar Hero, però, sta nell'aver creato una generazione convinta che la cosa più bella che un rhythm game potesse offrire al videogiocatore fosse la possibilità di farsi esplodere i tendini per completare al 100% "Through the Fire and Flames" dei DragonForce in modalità esperto. Non c'è niente di male di per sé nel perpetuare il mito del chitarrista-eroe, e questioni di gusto a parte non è che possiamo andare da Steve Vai, Joe Satriani o Yngwie Malmsteen a lamentarci di come la loro carriera non abbia fatto che convincere migliaia di giovani chitarristi maschi a imparare i loro brani a memoria piuttosto che cercare di trovare vie più innovative e inclusive basate sulle chitarre: a ognuno il suo, sia a livello musicale che videoludico. Il successo di Guitar Hero ha però, almeno su console, limitato enormemente il potenziale del genere limitandone la sperimentazione ad una ricerca di ammenicoli da far usare al videogiocatore, come dimostra il video qua sotto, tratto da DJ Hero, in cui un tizio fa avanti e indietro con una levetta e "scratcha" premendo tre pulsanti.

Frequency non tenta di emulare uno strumento reale—non è un simulatore ma un gioco, e lo riconosce. Riproduce la musica elettronica che lo anima come un processo cerebrale, palesando la sua struttura ordinata in una suddivisione in tracce interamente suonabili e assemblabili. In due parole: Guitar Hero dice "dai, prendi questa strada dritta e arriva fino in fondo!" Frequency, invece, ti metteva di fronte a otto vie parallele lasciandoti libero di percorrerle come ti pareva. Ma anche di rilavorarle: era infatti presente una funzione remix, in cui il giocatore poteva prendere le singole tracce di ogni brano e riaggiustarle a piacere, per poi giocare le sue versioni dei brani, o semplicemente ascoltarle scegliendo i visual da accompagnarci (come dimostra questo video). L'obbiettivo non era quindi ricreare pedissequamente una figura irraggiungibile come quella del musicista professionista ma semplicemente quello di esplorare le frequenze del titolo e, semplicemente, sbizzarrirsi un po' senza dover imparare a usare un software di produzione. Un po' come Music 2000, ma in chiave spiccatamente più ludica.

Non essendo all'epoca ancora iniziato il processo di commercializzazione del clubbing in una progressiva logica di ammorbidimento dei suoi valori, oltretutto, la colonna sonora di Frequency era piena di brani strambi mezzi dimenticati e sconosciuti che, riascoltati oggi, sono una finestra aperta sulle stranezze dell'elettronica e del crossover di fine anni Novanta. Iniziamo dai nomi più grossi: il big beat era rappresentato dai Crystal Method con "The Winner", un pezzone la cui linea di chitarra mi fa tornare in mente il periodo in cui le parole "nu" e "metal" mi facevano ancora esaltare, ma con un tiro e un approccio decisamente più danzereccio di quanto il genere di per sé sia mai riuscito a sembrare. C'erano gli Orbital, con una canzone che aveva la carica scritta in fronte: "Funny Break (One Is Enough) (Weekend Raver's Mix)". Paul Oakenfold, uno dei progenitori della trance, è presente con un inedito scritto apposta per il gioco, "See It", tirata avanti da un sample così arioso che sembra una piccola fessura nel un muro nero madido di sudore che è la strumentale.

Tutti gli angoli più brutti, sporchi, sudati, cerebrali e underground dell'elettronica hanno il loro posto. C'è la drum and bass di Roni Size e dei sui Reprazent con "Railing Pt. 2", il classico brano che potete immaginare mandare fuori di testa il dancefloor del Ministry of Sound alle tre del mattino un triste mercoledì sera londinese. C'è la proto-IDM dei Meat Beat Manifesto, che appaiono con gli arpeggi dissonanti di "Dynamite Fresh". C'è la psytrance nuda e cruda di "Higher Ground" dei Juno Reactor, cioè il collettivo che ha scritto la colonna sonora di Matrix—per restare coerenti all'immaginario distopico-cyberpunk di cui sopra.

Mastermind musicale dietro al gioco era tale Kasson Crooker, un produttore americano parte dei Freezepop—a cui va la palma di mia canzone preferita del gioco, "Science Genius Girl", che potete sentire qua sotto. È una sorta di pezzo pop futuribile che anticipa di una decina d'anni tutte le suggestioni sull'artificialità alla saccarina portate avanti da PC Music, Kero Kero Bonito e compagnia bella. Alternativamente, può essere considerata una rilettura in chiave acida della fascinazione per il mondo della robotica di fine anni Ottanta, una sorta di The Age of Plastic rivisitato per la cultura rave. "Quando clonerò un essere umano / Diventerà un membro del mio gruppo" canta Liz Enthusiasm (aka la ragazza col nome più carico della storia), immaginandosi con un camice bianco addosso prima di lanciarsi in un intermezzo in cui recita i primi trentuno decimali della sezione aurea. Crooker, mica scemo, usò il gioco anche per sbizzarrirsi come produttore solista: tre brani della colonna sonora sono di suoi alias, cioè DJ HMXSymbion Project e Komputer Kontroller

Altri tre brani decisamente notevoli sono un remix di "Ex-Girlfriend" dei No Doubt, "Cosmic Assassins" di DJ Q-Bert e "End of Your World" di Robotkid e Inter:sect. Il primo è una versione bastarda, ballabile e infinitamente migliore dell'originale. Il secondo venne scritto apposta per il gioco da Q-Bert, un dio del turntablism, e il risultato è un mid-tempo monolitico tutto stortignaccolo che è un piacere cercare di mettere a posto nella propria mente mentre lo si ascolta. Il terzo era praticamente il boss finale del gioco: ricordo di aver bestemmiato non poco cercando di completarlo, e lo stesso deve avere fatto chiunque abbia caricato su YouTube il video di gameplay che potete vedere qua sotto. Caliamo invece il sipario sui pezzi di Powerman 5000 e Fear Factory, perché in fondo era sempre il 1999 e tutti credevano che il nu metal sarebbe andato a finire da qualche parte non imbarazzante.

Quando Harmonix propose Frequency a Microsoft, si vide rispondere che il gioco non sarebbe andato bene perché non era basato su una periferica. Sony fu invece più disposta all'ascolto e decise di dare allo studio i fondi necessari per lo sviluppo. La storia ci insegna due cose: innanzitutto, che Microsoft aveva ragione. Le vendite del gioco furono tutto tranne che alte, e fu proprio il consiglio ricevuto dalla compagnia di Gates a spingere Harmonix a dedicarsi allo sviluppo di Guitar Hero, e quindi alla creazione di quello che sarebbe diventato un franchise multimilionario. Ma al contempo, a ridere, è stata Sony—che si è comunque fidata di uno studio allora giovane e scalcagnato e del loro progetto altrettanto giovane e scalcagnato. Sebbene probabilmente Frequency sopravviva oggi solo in qualche video di YouTube e in qualche ROM usata da nostalgici su emulatori con PC particolamente potenti, chiunque abbia mai giocato a un rhythm game di Harmonix gli deve tutto; e chi ebbe la fortuna di giocarlo allora ha oggi un ricettacolo di brani strambi da riascoltare per riprendersi bene come allora, con tutta la gioia aggiunta del tempo passato e di una maggiore consapevolezza dell'unicità di quell'artefatto che si era trovato, probabilmente a caso, tra le mani.

Elia si è fatto prestare una PS2 per scrivere questo articolo dato che aveva regalato la sua a suo zio per farlo giocare a Gran Turismo 4. Seguilo su Twitter.

Raster-noton: vent'anni di suoni e non-suoni

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Il fatto che i festeggiamenti per il ventennale di Raster-Noton cadano quest’anno contiene una piccola bugia: a guardare bene le carte, non è del tutto vero che l’entità che oggi conosciamo come Raster-Noton abbia avuto i natali nel 1996. In quell’anno, semmai, sono nate due entità differenti, legate tra loro ma inizialmente ben distinte, che in breve tempo si sarebbero unite a formare il colosso oggi ventennale. La prima è Rastermusic, label fondata a Chemnitz (nella da poco riassorbita Germania Est) da Olaf Bender e Frank Bretschneider: inizialmente si preoccupava perlopiù di dare spazio a una generazione di musicisti impegnati a dare una risposta tedesca alle “complicazioni” elettroniche che oltremanica si definivano IDM, con un approccio sotto molti aspetti più austero e analitico, tra la chirurgia e il disegno industriale.

Uno di questi (ai tempi) giovani producer si faceva chiamare Noto, più tardi lo avrebbe esteso in Alva Noto, mentre all’anagrafe fa Carsten Nicolai. Carsten era già un artista visuale in crescita (di lì a poco avrebbe partecipato alla seminale decima edizione di Documenta) e, per l’appunto, gestisce una sua label: noton.archiv für ton und nichtton. Più che la musica, a Carsten interessa lavorare col suono: toni puri, field recordings, subarmonici, errori elettronici nonché tutto quanto sta fuori dal campo della percezione cosciente. Un’attitudine che si rifletteva anche nelle primissime uscite della sua label, oltre l’ambient e il minimalismo, e spesso anche oltre la percezione. Nel frattempo, sia lui che Frank che Olaf (meglio noto come Byetone) erano attivi musicalmente su label come Mille Plateaux e Staalplaat, le quali stavano segnando il passaggio dall’era IDM a quella del glitch. Una forma di sperimentazione elettronica che abusa della tecnologia al punto da iniziare a fare uso dei suoi stessi fallimenti, espandendo le possibilità espressive oltre il concetto di funzione. Un movimento a cui tutti e tre aderirono in maniera trasversale, conservando uno stile molto più personale che li portò a sopravvivere alla scena stessa.

Tutti e tre sono nati e cresciuti in Germania Est, e da quell’ambiente dalle prospettive sociali limitate hanno ereditato sia l’arte di arrangiarsi che la necessità di creare qualcosa che non sia funzionale a un sistema, che non voglia instillare informazioni nel cervello dell’ascoltatore ma esplori la “plastica” del suono. Non che questa posizione manchi di spirito socialista: è un po’ un ritorno al suprematismo di Malevic, per il quale le forme geometriche appartenevano a tutti, erano le basi di un’esperienza sensoriale, conoscitiva e creativa comune. Dall’altra parte c’è l’influenza costante e fondamentale dei Kraftwerk e del loro utopismo: tutta la scuola Raster-Noton si trova in qualche modo a che fare con il loro modo di portare a nuove idee di umano attraverso la meccanicità del beat, lezione a volte cannibalizzata e deformata, ma sempre tenuta a mente.

La fusione tra le due label è avvenuta uficialmente nel 1999, con l’abbandono (almeno dagli sbatti di gestione) di Bertschneider e la sintesi in Raster-Noton. Negli anni successivi la label ha affermato la sua particolarissima sintassi, e l’influenza generata è enorme: negli impervi anni duemila, mentre il minimalismo si impadroniva dei danceflooor, il loro stesso minimalismo gli permetteva di coniugare quella sensibilità con uno sguardo radicale. L’estetica stessa delle loro “edizioni”, basata su semplici assonanze, sulla ripetizione di forme, su una serialità e un’assenza completa di fronzoli contestuali, rispecchia quel lavoro di dissezione delle possibilità e quel muoversi ambiguamente tra funzione e disfuzione. 

Un po’ come i lavori di Nicolai come artista visuale, tutti i dischi Raster-Noton sono lavori di ricerca: vogliono scoprire di quali elementi è composta la nostra idea di realtà. Centinaia i producer coinvolti, da tutto il mondo, e decine i progetti speciali, le serie concettuali di uscite e le collaborazioni (Noto ha lavorato con gente come Blixa Bargeld e Ryuichi Sakamoto). Persino un festival: Electric Campfire, un evento gratuito che dal 2007 si tiene all’istituto tedesco di cultura a Roma, nella cornice di Villa Massimo, corredato occasionalmente da workshop tenuti dagli stessi artisti della scuderia. Quest’anno, dato che si festeggia il ventennale, la line-up è particolarmente ricca: Robert Lippok, Atom™, COH, Kyoka, Byetone e Alva Noto e Dorit Chrysler. La data è 9 settembre (cioè questo venerdì).

Le adesioni al festival sono già chiuse, e moltissimi appassionati stanno già disperando. Ma stop al panico, perché Noisey ha due ingressi omaggio da offrire, in coppia con due belle uscite Raster-Noton (il doppio LP di Cory Arcane di Kangding Ray e SH di Kyoka in CD). Tutto quello che dovete fare è scrivere a festa@vice.com. Nel frattempo, vi abbiamo preparato una playlist di brani selezionati da tutta la storia della label, cercando di sintetizzare al meglio una storia influentissima e solidissima.

 

SIGNAL - "AUTO-NUMERIC"

ALVA NOTO - "MM"

MOKIRA - "PALM"

FRANK BRETSCHNEIDER - "THE BIG BLACK AND WHITE GAME"

NHK - "ENTIRE SET 2"

SND - 04:29:59

Byetone - T-E-L-E-G-R-A-M-M

ATOM™ - "STOP IMPERIALIST POP"

EMPTYSET - "CORE"

KYOKA - "SMASH / HUSH"

 


Ascolta A.R.A.B., il nuovo pezzo di Kermit con Caneda, Isi Noice e Hoofer

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"Ho vissuto quasi due anni a Casablanca per un progetto con la cantante Oum e il rapper Don Bigg, che in Marocco sono veri artisti di rilievo", mi spiega Kermit—il produttore dietro ad "A.R.A.B. (All Rappers Are Bastards)", la nuova bomba che vi presentiamo oggi in anteprima e potete ascoltare qua sopra. "Mi hanno messo in contatto con un sacco di musicisti talentuosi, tra cui appunto Hoofer." Da cui l'idea di sviluppare una nuova connessione italo-marocchina.

"Isi Noice non lo conoscevo, è saltato fuori proprio quando Neda è venuto in studio a registrare un featuring. Mi ha passato la base, l'ho importata, ho sentito la sua strofa e mi ha subito gasato. Appena ho visto che aveva origini di Casablanca è scattata l'idea", spiega Kermit. A dare identità al brano, oltre alle malatissime strofe dei tre MC, un sample ipnotico: "Inizialmente doveva esserci un ritornello cantato, ma Neda aveva in testa questo 'Arab, arab, arab..." che è proprio la sua voce, trattata come un sample. Alla fine è stata l'ipotesi che ha battuto tutto, ricorda i muezzin." I suoi punti di riferimento sonori, dice, vanno dagli Stati Uniti alla Francia: "Ultimamente ogni volta che drizzo le antenne su una produzione che mi piace è quasi sempre di Mike Will Made-It." Per la Francia cita MHD, i PNL, Booba e Rim'k. 

Quando gli chiedo qual è il suo rapporto con il Nord Africa, Neda parte in quinta: "Sono stato in Tunisia,un posto bellissimo, con gente fantastica che ci ha accolto e offerto tutto anche se avevano poco per loro. Per il resto è stata un abbronzatura d'ignoranza analfabeta anni Novanta, degna di Jerry Calà e i Vanzina, in cui abbiamo creato un brano: "Autotunisi"." Sfortunatamente, mi spiega, "credo sia stato apprezzato solo nelle montagne tra la Cambogia e il Vietnam del nord, scambiato per un'antica preghiera buddhista in una lingua alieno/sconosciuta. Ah, e anche dai due alieni dei Simpson".

"Adesso sto lavorando col mio socio MasterMaind al disco di Grido", mi spiega Kermit quando gli chiedo che cosa aspettarci da lui nei prossimi mesi. "Poi arriveranno il disco di Rise e un brano con Danti." Neda, invece, sta scrivendo i nuovi pezzi: "Mi è sembrato che "Unpodi" abbia distrutto e coperto tutti gli altri pezzi di Mozart nella giungla. Peccato, con Marco [Zangirolami] ci siamo fatti un culo pazzesco." Tranquillo, Neda: noi ce l'abbiamo ancora nel cuore.

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La triste storia di N.Euro, il rapper emblema del MoVimento Cinque Stelle

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E' UN INGIUSTIZIA CHE L'INNO NON L'ABBIANO FATTO FARE A TE. VERGOGNA A GRILLO, ORMAI SCHIAVO DELLA CASTA. (M.S, commentatore della pagina di N.Euro)

Le ultime notizie riguardo al MoVimento 5Stelle possono tranquillamente rientrare nell'ambito dell'assurdo: a Roma la sindaca-ologramma Virginia Raggi, come una ruota di una vecchia bici, sta via via perdendo tutti i raggi e, al suono dell'hashtag #RaggiRati, gli elettori iniziano a insorgere contro la sindaca della Capitale, eletta a giugno di quest'anno a furor di popolo. A Torino, nel frattempo, Chiara Appendino sembra passarsela meglio: nessuno scandalo politico all'orizzonte. Ciononostante, nemmeno la sua leadership pare vada propriamente a gonfie vele, come rivelano un paio di gag esemplificative: lasciando da parte tutta la questione del Salone del Libro e quella imbarazzante idea dell'app anti-spaccio, Appendino delizia i propri cittadini con gesti eloquenti tipo la sua proposta per risolvere il danno provocato al fiume Po dalle alghe infestanti, sradicandole a mano con un gruppo di cittadini volenterosi—rivelatasi decisamente fallimentare in quanto, sradicando soltanto le alghe di superficie, i volontari hanno liberato quelle del fondale, che si sono riprodotte richiedendo così un intervento professionale. 

Insomma, il MoVimento di Grillo e del fu Casaleggio sta scoprendo il fianco ad una serie di piccoli e grandi fallimenti che forse in un altro Paese basterebbero a scoraggiare per sempre gli aderenti a rimettere becco in politica, ma qui chiaramente passa tutto come un maxi-komplotto del "Sistema"

Ma c'è stato un tempo in cui il mito del "Buon Governo" grillino era, appunto, ancora un mito—i.e. quando non avevano ancora tentato di governare, se non a Parma con Pizzarotti (poi espulso dal MoVimento per molto meno delle fregnacce di ambedue le sindache). C'è stato un tempo in cu addirittura artisti molto in vista nel Jet-Set prestavano le proprie voci all'appoggio di questa forza politica confusionaria ma decisa, a questo movimento popolare che aveva urgenza di urlare al mondo le proprie istanze. In quel preciso lasso di tempo inizia la triste storia di N.Euro, rapper a cinque stelle, come lui stesso si definisce sulla sua pagina Facebook, l'ultimo documento rimasto del suo contributo alla kausa. 

Proprio come il MoVimento cui fa capo, N.Euro, come già intuibile dal nome, si pone in netto contrasto con le politiche economiche europee, e ci tiene a ribadirlo all'interno del suo primissimo post di Facebook, risalente al 2 aprile 2014, poco prima che Grillo decidesse di andare a far visita a Nigel Farage, il leader dell'UKIP che poi è finito come tutti sappiamo. In questo post N.Euro si rivolge a un'ipotetica "zia", che potrebbe essere una delle zie attualmente sindachesse, consigliando loro di diffidare delle banche. 

Successivamente N.Euro decide che i normali post a forma "status" non sono più abbastanza e conviene con se stesso che sia meglio sostituirli con foto contenenti le sue lyrics che si sovrappongono a un'immagine sfocata del muscoloso rapper con un tatuaggio cinquestellato sul pettorale. Questa:

 
La pagina di N.Euro è popolata da pochi fan, ma quelli che ci sono sentono l'esigenza di farsi sentire con commenti che elogiano l'operato di questo poeta metropolitano, cui lui risponde periodicamente con "Yo!" Sappiamo quanto la retorica online sia importante per questo MoVimento e, chiaramente, lo sa anche N.Euro, che già dal nome che sceglie si allinea alla politica dei suoi padri ideologici trovando il modo di giocare con le parole, con la punteggiatura e con le dimensioni delle lettere, più o meno come fa il rapper Fedez, quello che ha rubato a N.Euro il ruolo di Snoop Dogg ufficiale del leader. Mentre la ballata che è poi stata scelta come sigla ufficiale, "Non Sono Partito" sembra che Federico Lucia l'abbia scritta quasi per caso, le parole di N.Euro sono pesate, ponderate e bruciano sulla pelle come un Avviso di Garanzia. 



E la sua libertà il rapper N.Euro la trova qui, nell'infinito mare di Internet, il luogo in cui c'è spazio per l'informazione vera e la partecipazione autentica. Anticipando in un certo senso le politiche della sindaca Appendino, che prima ha definito il Wi-Fi "nocivo" intimando di ridurre gli impianti e le connessioni allo stretto necessario, poi si è corretta sottolineando che "internet è importantissimo", N.Euro, nella semplicità delle sue affermazioni, difende la libertà di clikkare per ogni cittadino. 

Purtroppo però la libertà di N.Euro finisce presto: forse un arresto, forse la paura generata dal wi-fi, fatto sta che il 30 ottobre 2014, a pochi mesi dal suo trionfale ingresso nella scena di Facebook, N.Euro sparisce per sempre. Nel frattempo, sul resto dell'InterNet, non è comparsa nessuna traccia delle opere di N.Euro, che sono destinate a rimanere così, un ritratto aforistico di un MoVimento nel pieno del suo delirio retorico, una raccolta di poesie ingenue e grezze scritte da un ragazzo semplice che, con tutta la buona volontà che anima il tipico elettore Cinque Stelle, si impegna per urlare al mondo il suo scontento e la sua ira nei confronti della Kasta. 

Provo a scrivere timidamente un messaggio alla pagina di N.Euro, alla disperata ricerca di una risposta, e in effetti N.Euro mi risponde. 

Ecco, non sono certa che fosse chiaro a tutti sin dall'inizio, e non ve l'ho rivelato per non deludere i fan a Cinque Stelle che già se la stanno passando malino, ma adesso è il momento di fare i conti con la verità: il rapper N.Euro non esiste. Non è mai esistito. Il rapper N.Euro è solo un insieme di parole buttate a caso, scritte talvolta con ridicoli font, che inneggiano a concetti diametralmente opposti a qualsiasi cosa ascrivibile a una riflessione politica. N.Euro è un rapper immaginario, che fa la voce grossa, ma quando è il momento di fare sul serio si rivela quello che è sempre stato: una presa per il culo.   

In questo senso mi sembra legittimo tornare al commento iniziale del fan sulla sua pagina ed esortare il MoVimento ad adottare qualcuna delle frasi di N.Euro come prossima sigla, perché questo rapper, ragazzi a Cinque Stelle, ha molte più cose in comune con voi di quello che credete. 
 

Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_
 

Mykki Blanco stava per lasciare la musica, e invece ha tirato fuori il suo primo album

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Tutte le foto sono di Julia Burlingham

Fino a poco tempo fa, Mykki Blanco non si considerava un musicista. "Non ero il tipico ragazzino che voleva fare il rapper", ammette senza vergogna, sorseggiando un Bloody Mary nel bar del Roxy Hotel di Manhattan. "Ero un freak, uno strambo, un artistoide noise—sono diventato un rapper più o meno per caso". Per essere un rapper accidentale, Mykki Blanco ha avuto un successo considerevole negli ultimi cinque anni: Cosmic Angel: The Illuminati Prince/ss più che un mixtape era un parafulmine che attirava a sé i generi più disparati, e Gay Dog Food, uscito due anni più tardi, nel 2014, vedeva Mykki sfoggiare con sempre maggior orgoglio le proprie credenziali punk e noise, collaborando con animi affini quali Kathleen Hanna e Cities Aviv. 

Insieme all'ondata di interesse mediatico che investì Mykki, arrivò l'interesse delle etichette: ci furono incontri con XL e Capitol, entrambi infruttuosi. Inoltre, nonostante un regime regolare di tour, le risorse economiche—perlomeno quelle che servirebbero per registrare un primo album convincente—languivano. "Cominciai a perdere fiducia", racconta. "Tutta questa attenzione su di me cominciava a fottermi il cervello. Mi sentivo in trappola".

Con il passare del tempo gli interessi di Mykki cominciarono a vacillare; nel comunicato sulla sua condizione di sieropositività postato nel giugno dell'anno scorso, parlava di voler interrompere la carriera di musicista e dedicarsi da quel momento in poi al lavoro di giornalista e attivista. Poi la venerabile etichetta elettronica !K7—che pubblicò Adrian Thaws di Tricky nel 2014 contenente contributi di Mykki—si fece avanti. "Ero in un abisso di depressione e mi dissero: 'Vorremmo aiutarti con il tuo album'", ricorda, sorridendo estatico. 

Il risultato di questa collaborazione è Mykki, un album complesso e affascinante che è anche la manifestazione artistica più audace della carriera di Mykki Blanco. Gli scenari sonori alieni e le atmosfere da party non sono del tutto svaniti, ma sono affiancati da composizioni sfacciatamente lussuriose e, a volte, proprio orchestrali—una nuova componente per cui bisogna ringraziare l'inedita collaborazione con il cantautore e regista di videoclip Woodkid (Lana Del Rey, Katy Perry). 

"Quando dissi che avrei smesso di fare musica, una delle poche persone che mi scrissero fu Woodkid", esclama Mykki. "Mi mandò una breve email che diceva: 'So che non ci conosciamo bene, ma penso che tu abbia troppo talento per abbandonare la musica. Se vuoi venire a Parigi a registrare con me, possiamo vedere come va'. Dato che è un musicista gay, è in grado di empatizzare con i miei sentimenti riguardo all'omofobia. Durante le session, pensavo: 'Sai cosa? Mi ero dimenticato di quanto fosse divertente la musica'. Per la prima volta da un po' di tempo, avevo la libertà di smettere di guardarmi le spalle e lasciarmi andare". 

Mykki è un disco contemporaneamente difficile e coinvolgente, un'opera costruita seguendo il puro istinto musicale dell'autore, ignorando aspettative e reputazione. E naturalmente Mykki Blanco non sarebbe riuscito a lavorare in nessun altro modo. "Alla gente piace Mykki Blanco perché pensa che sia un personaggio divertente a cui piace fare festa", spiega pazientemente. "Ma non c'è personaggio qui. La gente non sa chi cazzo sono davvero". 

Ascolta "Loner", tratta dal primo album di Mykki Blanco Mykki, di prossima uscita.

Noisey: La droga gioca un ruolo considerevole nei testi dell'album.
Mykki Blanco:
 Durante la scrittura dell'album sono rimasto sobrio per tre mesi, e non è stata una passeggiata. Ora non lo sono più, ma quando resti sobrio, tutta la merda viene a galla. Ho anche avuto un attacco d'ansia a un certo punto, perché non avevo nulla che arginasse tutta quella roba che non avevo voluto approfondire.

Quando ho iniziato ad andare in tour, non avevo nessuno che ci tenesse d'occhio e non avevo esperienza. Bevevo e facevo festa ogni sera dal giovedì alla domenica, è stato il periodo più drogato e alcolizzato della mia vita. A un certo punto la questione si fece seria. La droga, per me, era un po' come indossare una barba finta—mi permetteva di non sentirmi "quel rapper frocio". Era una cosa che avevo in comune con il resto della compagnia, la usavo per nascondere la mia omosessualità. Finì che dovetti scappare da LA e ripulirmi. Ora ho risolto un po' di merda. 

C'è uno stigma verso il trattamento della salute mentale nella comunità nera?
Nella comunità nera, se qualcuno dice "voglio andare da un analista", la gente risponde "ma di che cazzo stai parlando?" Non è normale parlare in questo modo dei propri problemi. "Devi solo fare più soldi e ti sentirai meglio". A dir la verità io non mi considero nemmeno una persona propensa alla depressione. La gente mi chiama "frocio" da quando avevo cinque anni, è roba che ti fa crescere il pelo sullo stomaco. 

Ho così tanti tatuaggi perché è uno dei modi più immediati per difendersi dalla società. Mi ricordo che quando avevo sedici anni mi sono detto: "Mi farò un botto di tatuaggi perché sono stufo della gente che mi prende per il culo". Dopo i vent'anni, finivo spesso a fare a botte perché pensavo che la società odiasse le persone gay e io dovessi essere ultra-militante per ribaltare gli stereotipi e difendere me stesso e gli altri. Poi mi sono reso conto che non si può passare tutta la vita così. Mia madre una volta mi disse: "Non ti mantengo perché tu diventi un uomo medio—ti mantengo perché tu sia sopra la media, e mi aspetto che tu sia sopra la media". Devi superare tutte le cose che ti succedono, non puoi permettere che ti condizionino—se succede, il tuo passato ti controlla e non riesci a vivere nel presente. 

Pensi che la cultura queer sia stata commercializzata dal mainstream?
Senza dubbio, ma non è necessariamente colpa dell'eteronormatività. Penso che sia disgustoso che la gente assuma il lessico e i comportamenti di una cultura definita, e poi quando succede una cosa come quella di Orlando, tutta la gente che fa soldi grazie alla cultura LGBTQ non dice niente. Vogliono la libertà di scegliere quando supportare il pubblico gay e quando no. A volte mi sembra che la gente cerchi di definire ogni cosa che faccio come una dichiarazione d'intenti—e magari lo è per te, che vieni da una comunità che non vive e non rappresenta ciò di cui parlo. Ci sono delle persone reali che vivono questa realtà ogni giorno. 

Abbiamo circa la stessa età e devo dire che mi sono immedesimato molto nel messaggio di "High School Never Ends".
Quella canzone riflette su varie esperienze che ho avuto—il fatto di provenire da una famiglia con un solo genitore, frequentare una scuola privata da ricchi, essere buttato fuori dalla suddetta scuola, andare a New York, rendersi conto che la classe non importa e subito dopo che la classe importa eccome, quando hai tutti questi amici ricchissimi a cui non riesci a stare dietro. Loro vorrebbero far festa insieme a te, ma tu non puoi permetterti di andare a Parigi e non vieni invitato alla villa negli Hamptons.

Quando sono arrivato a New York, la città era ancora dominata dai ricchi mondani—gente che cercava di far rivivere la New York di Warhol. Ho passato un periodo in cui ero sieropositivo ma non l'avevo detto a nessuno, per cui vivevo una vita isolata dal punto di vista sessuale e relazionale, e scrivere canzoni mi metteva in imbarazzo. Non sono abituato a scrivere di me stesso in modo discreto.

Quando hai rivelato al mondo la tua sieropositività, hai ricevuto reazioni negative dal music business?
C'è produttore molto famoso che lavora con tantissime celebrità—quando ero agli inizi mi supportava. Poi l'ho incontrato su un aereo in Svizzera e sembrava che volesse scappare più lontano possibile. Mi guardava come a dire "che cosa ci fai in viaggio, all'estero?" Ma poi si è reso conto che ero in perfetta forma. 

La gente con cui probabilmente non avrei mai dovuto lavorare—o con cui non lavorerò più—ha completamente cancellato ogni contatto tra di noi. Non collaboreremo mai più, il che è una cosa fantastica, perché libera spazio per chi crede davvero in me. A volte mi prende la depressione perché penso che non riuscirò a cambiare la mentalità dell'hip-hop mainstream e fargli accettare un rapper in drag. Ma la gente che mi sostiene all'interno del music business mi dà speranza. Penso che questo album sia la cosa migliore che ho mai fatto, e finché rimarrò vicino alla cultura e le mie barre spaccheranno, avrò la possibilità di raggiungere un pubblico sempre più ampio. Vedremo. 

Mykki esce per Dogfood Music il 16 settembre.

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Contro l'isolamento dell'era digitale, ascolta "Uranium" di His Clancyness

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Foto per concessione di His Clancyness.

La cosa buffa di His Clancyness è che il nome, derivante dal frontman italo-canadese Jonathan Clancy che originariamente aveva dato vita al progetto in veste solista, ha una qualità altisonante, una certa arroganza. Sua Clancytà, ma chi si crede di essere, il papa? Poi ascolti, per dire, "Pale Fear", il singolo che ha anticipato il nuovo album Isolation Culture: il primo verso dice "Sometimes I think I'm a failure", e poi, tra un tappeto di tom frammentati, synth spettrali e fruscio analogico, prosegue parlando di quel senso di terrore che ti prende quando ti senti sempre fuori posto. Altroché arroganza, se c'è una qualità di cui Clancy e i suoi co-cospiratori Jacopo Beta (già nei Disco Drive), Giulia Mazza (responsabile tra l'altro dell'aspetto grafico e video della band) e Nico Pasquini (che era nei leggendari Buzz Aldrin e ora droneggia e ipnotizza con il suo progetto solista Stromboli) possiedono in grande quantità è il coraggio di mostrare la propria vulnerabilità, la stessa attitudine che ha reso gente come Jonathan Richman e Calvin Johnson punti di riferimento contro-contro-controculturali. 

Il secondo album di His Clancyness esce il 14 ottobre in Europa e UK per Maple Death Records (etichetta gestita dallo stesso Clancy) e Tannen Records, mentre al resto del mondo ci penserà la canadese Hand Drawn Dracula. Abbiamo ottenuto in anteprima streaming la canzone che apre il disco, "Uranium". Il pezzo mette subito in chiaro che, tre anni dopo e con una formazione stabile alle spalle, i nuovi His Clancyness si sono spinti molto più a fondo rispetto al debutto Vicious. Un ritmo motorik accompagnato da uno stratificato lamento synthetico dipingono un paesaggio claustrofobico, abitato dalla sola voce riverberata di Jonathan e da una chitarra dugga dugga dugga che non fa niente per rendere la scena meno minimalista e severa, anzi, suona un po' come quei pensieri circolari che non ti fanno dormire la notte, ma in versione ballabile. Fortunatamente l'umore della traccia è riequilibrato dal calore della registrazione analogica e da un ammiccante scintillio pop. 

Tra questa anticipazione e "Pale Fear", Isolation Culture si preannuncia un album permeato dal suggestivo grigiore dell'Inghilterra in cui è stato registrato, in cui una certa innocenza slacker alla Kurt Vile incontra l'approccio artisticamente lo-fi degli Swell Maps, ma anche l'austerità del Bowie berlinese e il romanticismo stramboide delle prime uscite 4AD. 

È già possibile pre-ordinare Isolation Culture dal sito di Maple Death Records. Ascolta "Uranium" qua sotto:

Segui His Clancyness su Facebook per rimanere aggiornato sui prossimi concerti.

Giacomo ti consiglia altra musica bella via Twitter: @generic_giacomo.

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Il video di Goldie che parla della chiusura del Fabric ci ha fatto venire voglia di spaccare le vetrine

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Channel 4 ha intervistato l'indiscusso re della drum & bass, uno che al Fabric ci ha passato giusto qualche nottata, Goldie, a proposito della chiusura del club londinese e dell'ondata di repressione e speculazione che sta colpendo la sua città. La sua risposta è stata come una pioggia di Napalm sulla municipalità di Islington: la promessa che i tanti che oggi si stanno lamentando non smetteranno di lottare. Praticamente tutto il mondo della musica, elettronica e non, è incazzato nero per la chiusura del Fabric, che a quanto pare nasconde pesanti storie di speculazione edilizia e corruzione, e indica perfettamente qual è la strada che le varie municipalità locali stanno indicando per Londra: una città da ricchi trincerati nei loro appartamenti di lusso, costantemente pattugliata da robocop armati fino ai denti, senza spazi per la controcultura né per la cultura in generale, senza attraversamenti urbani irregolari basati sulla voglia di creare e vivere.

Goldie questo lo sa bene, ma sa anche che l'underground della città non si darà per vinto: ""Ci saranno delle rivolte di massa, e non dite che non vi avevo avvertiti". Oltre a questo, ha minacciato di fondere un premio ricevuto dal principe Charles in persona e versarlo nel caffé dei responsabili di questo scempio. Sono già in tanti ad avere predetto una ondata di rave illegali sulla M25, di caos per le strade e il perdurare (se non addirittura il peggioramento) dei pretestuosi problemi di droga indicati dala municipalità come motivazione per la chiusura del club. In questo senso le parole di Goldie devono essere da esempio non solo per chi a Londra si sta battendo contro la repressione, ma per chi lo fa in tutte le città d'Europa.

 

La guida di Noisey all'iPhone 7 senza jack audio

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Foto Apple

Ehi, amanti della tecnologia! Siete pronti per l'ultima grande novità tecnologica? Leggete qua sotto!

Oggi, Apple ha annunciato l'ultima grande innovazione nella tradizione che ci ha portato grandi successi come il personal computer o lo smartphone: un telefonino che riproduce la musica senza usare il jack per le cuffie. Invece del VECCHIO, NOIOSO iPhone, che ti costringeva a collegare ogni tipo di dispositivo audio mai creato usando un jack standard da 3,5 millimetri per ascoltare la musica, il NUOVO, FICHISSIMO iPhone ti permetterà di ascoltare la musica collegando le cuffie originali Apple alla sua porta Lightning, o collegando le cuffie normali a un adattatore per la sua porta Lightning, o via Bluetooth. Scegliendo quest'ultima opzione potrai acquistare un paio di "AirPod", disegnate da Apple con lo scopo specifico di renderle facilissime da perdere, al prezzo speciale di 179 euro.

Ma perché? Secondo il direttore del marketing Phil Schiller, il motivo è il "coraggio. Il coraggio di andare avanti e fare qualcosa di nuovo che ci renda tutti persone migliori".

L'audacia! Che cosa fantastica. Ma, come consumatore, che cosa significa per te? Be', semplicemente che ascolterai la musica come non hai mai fatto prima! Apri la tua mente al futuro, e immagina insieme a noi tutte le porte che ti aprirà il fatto di non usare più un jack per le cuffie: 

– Con il tuo nuovo iPhone 7 sarai in grado di inviare messaggi a una velocità mai vista prima, così sarà più facile chiedere ai tuoi amici di farti sentire la musica dal loro telefono.

– Una parola: Internet. Con il tuo iPhone 7 potrai navigare su Internet e leggere di musica invece di ascoltarla. Quando puoi leggere una recensione del tuo album preferito dovunque ti trovi, chi se ne frega di ascoltarlo? Improvvisamente il futuro sembra proprio una gran figata...

– E se ti piace Internet, indovina: puoi scaricare anche gli ebook sul tuo iPhone 7. Non riesci a toglierti "Yellow Submarine" dalla testa? Leggiti qualche migliaio di pagine di biografie dei Beatles, e ti dimenticherai di aver anche solo pensato di ascoltare quella canzone.

– Occhio! L'iPhone 7 ha delle casse integrate. Sai chi altro usa le casse? Vediamo... Kanye West, Bruce Springsteen, Beyoncé, Taylor Swift, praticamente ogni artista al mondo. Tieniti pronto a vivere ogni giorno come se fossi a un concerto di Drake grazie alla magia delle casse. 

– App? Ne puoi scaricare un botto. Scommettiamo che molte di queste fanno robe musicali.

– Con il nuovo sistema a doppia fotocamera, puoi fotografare le liner note dei tuoi CD in altissima risoluzione. Hai già letto il nome del tecnico del suono su What's the Story Morning Glory degli Oasis, ma l'hai mai letto a DODICI MEGAPIXEL? No, infatti. 

– Usa la app di eBay per ordinare un lettore MiniDisc vintage e un po' di MiniDisc da ascoltare. Un'altra funzione che il tuo VECCHIO telefono si sogna. 

– L'iPhone 7 è perfetto per un mondo software; ha anche Uber, che ti permette di chiamare un'auto e sincronizzare le tue playlist Spotify con l'autoradio del guidatore. O, se ti senti coraggioso, puoi entrare in macchina e ascoltare la radio. In ogni modo, la musica parte con un semplice tocco.

– A proposito, sono finiti i giorni in cui ti toccava chiedere al guidatore un cavo AUX: ora potrai pronunciare una frase molto più fica, "hai una presa per il cavo Lightning?" La risposta non importa, l'importante è suonare futuristici, e chi non sarebbe disposto a pagare un sacco di soldi per farlo? 

– Puoi chiamare Drake, se hai il suo numero.

– O mandargli un messaggio, se preferisci. 

– Apple Pay: usa questa funzione in un box office per comprare i biglietti dei concerti e ascoltare musica dal vivo.

– Non vuoi usare Apple Pay? Va' al tuo box office di fiducia, fa' un bancomat, usa i soldi per comprare il biglietto, e poi controlla il tuo saldo dal telefonino per essere sicuro di non aver ritirato troppi soldi. Se ti è rimasto qualcosa nel conto, potrai comprare anche del merch dell'artista che andrai a vedere.

– Puoi usarlo per loggarti su Discogs.

– Puoi usarlo per loggarti su last.fm.

– Puoi usarlo per loggarti su Google Play.

– Siri è come un'assistente digitale. Per esempio, puoi chiedere: “Siri, qual è l'indirizzo di casa di Nek?” A dir la verità sarebbe piuttosto inquietante se Siri lo conoscesse, ma se così fosse, potresti andare a casa di Nek e salutarlo. Ripensandoci, forse sarebbe meglio se Apple eliminasse questa funzione per rispetto della privacy di Nek. 

– È come una cassa audio da cui puoi anche telefonare.

– È come una macchina fotografica che, se la tieni vicino all'orecchio, suona.

– È come un iPod Shuffle su cui puoi guardare tutta la musica che hai comprato.

– Con i Promemoria di iPhone 7 puoi organizzare la tua giornata e ricordarti di fare le cose più importanti. Volevi ascoltare il nuovo disco di Adele in vinile? Metti un promemoria per questo pomeriggio. Quando suonerà la sveglia, abbassa la puntina e goditi la più bella voce del Regno Unito in tutto il suo calore analogico. 

– Hai delle casse Sonos? Allora puoi usare la app Sonos per collegare il tuo iPhone 7 alle tue casse Sonos, cosa che ti permetterà di ascoltare la musica (se hai configurato correttamente la app Sonos).

– Se ti trovi in un locale e il DJ mette una canzone che ti piace, puoi usare Shazam per scoprire di cosa si tratta. In questo modo, la prossima che ti troverai in presenza di un DJ, potrai chiedergli di mettere quella canzone, così potrai ascoltarla una seconda volta.

– iTunes.

– Guarda le foto dei tuoi musicisti preferiti dovunque ti trovi, seguendoli su Facebook, Instagram, Twitter e addirittura Snapchat!

– Prova a scaricare Tinder e swipare a destra il profilo della tua anima gemella musicale. In pochi minuti potresti ritrovarti ad ascoltare l'ultimo album de I Cani dalle casse del computer di una persona sconosciuta mentre cerchi goffamente di spogliarla. 

– Se sei stanco di correre dietro a tutte le novità musicali del momento, lancia il tuo iPhone 7 in un fiume. È impermeabile, il che significa che in caso dovesse servirti potrai tornare a riprenderlo. 

Noisey dispensa consigli tecnologici anche su Twitter e su Facebook

I dieci momenti più RUOCK di Biagio Antonacci

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"I soldi sono come il sesso, sembrano più importanti quando non ce n'è (C. Bukowski)" (Biagio Antonacci)

Se ci pensate bene, l'Italia ha sempre fatto fatica con gli idoli rock. Se non contiamo i grandi Bobby Solo e Little Tony o le band degli anni Sessanta che scimmiottavano il rocche d'oltreoceano, il novero dei nostri rocker si riduce a uno sparuto gruppo composto da gente tipo Eugenio Finardi, la PFM, i Diaframma, i CSI, un pugno di Prog e gruppetti post-punk o new-wave più o meno verbosi oppure gente troppo inutile per essere considerata rockstar. E poi c'è Vasco. Vabbè. Raga so che state per dire Ligabue ma tra Ligabue e la sua sosia Paola Concia vi assicuro che la più rock è la seconda. Ecco, insomma, siamo carenti di rocker duri e puri, non ne abbiamo mai avuti, forse perché quello che è ingiustamente stato preso come romanticismo all'italiana in realtà si rivela un'arma a doppio taglio quando si tratta di fare i duri. 

Ma, senza nemmeno che ce ne rendessimo conto, avevamo tra noi un VERO ROCKER, il problema è che l'abbiamo scoperto troppo tardi. Il rocker in questione, se non l'aveste ancora intuito, è Biagio Antonacci, il quale ha pensato bene di rivelare, qualche ora fa, che lascerà il rock per sempre

Che notizia shock! Anzi, scusate, che DUE notizie shock! Biagio Antonacci lascerà il rock? Momento, momento... Biagio Antonacci faceva rock? Un attimo, crediamo di sentirci troppo male per proseguire.

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Ok, dopo queste righe ci siamo ripresi. Effettivamente Biagio e il RUOCK hanno avuto, negli anni, più di un punto di contatto, e noi siamo qui, oggi, per ricapitolarli insieme celebrando contemporaneamente la nascita e la morte della carriera rock di questo cantautore. 
 

1. QUELLA VOLTA CHE HA FATTO UNA COPERTINA IN CUI SEMBRAVA GENE SIMMONS SENZA TRUCCO ASSETATO DI FICA

Biagio ha una lingua, e che lingua, e vuoi vedere come la sa usare? Sì, parlo proprio con te, ragazza inconsapevole che ti trovi lì, alla sua sinistra, nel suo irresistibile raggio d'azione magnetico. Biagio è stato colpito dai tuoi fianchi e dai tuoi sinuosi movimenti. Biagio vorrebbe conoscerti, che non lo fai un salto nel backstage? Dai, su. Biagio si è molto raccomandato, insieme al cocktail di codeina e acido lisergico, di portargli anche il tuo bel culetto. Che fai, rifiuti? Non fare la difficile, quando ti ricapita?
 

2. QUELLA VOLTA CHE LA SUA FOTO CON LA LINGUA DI FUORI HA FATTO DERAGLIARE DUE TRAM

 
Probabilmente i conducenti di tram milanesi e, con loro, le forze dell'ordine, non sono abituati a tutta quella dose di sexxxy RUOCK.
 

3. QUELLA VOLTA CHE HA SCOPERTO LA BELLEZZA DELLE SUE ASCELLE

Che poi in realtà erano le spalle, ma per qualche assurdo motivo nel servizio fotografico di Vanity Fair a tema Mago Oronzo / sexy operaio ha deciso di mostrare al mondo le sue bellissime ascelle. Quale gesto poteva essere più RUOCK? Pensateci: mostrare le palle sarebbe stato impossibile e anche, forse, per qualcuno disturbante, mostrare le chiappe sarebbe stato volgare, quindi Biagio ha optato per la restante parte del corpo più roccchenroll: le ascellone. Mani in alto rocker italiani, è arrivato lo sceriffo Biagio!


4. QUESTA COPERTINA DI VANITY FAIR



Abbiamo appositamente scelto l'immagine in qualità bassissima per non urtare la sensibilità dei nostri lettori. Sì, quello è un vinile e sì, probabilmente si tratta del membro di Biagio Antonacci, tondo e piatto, nonché il supporto prediletto dei veri rocker. Avete presente quando i vostri amici, parlando di musicavera™ pronunciano la parola "vinile"? Quando raccontano che "su quel supporto il sound è tutta un'altra cosa"? Bene, dicono vinile ma in realtà, è chiaro, intendono dire "il cazzo di Biagio Antonacci". 


5. LA VOLTA CHE HA FATTO UN CONCERTO UNPLUGGED IN UNO STADIO VUOTO

Guardatelo, Biagio, a piedi nudi coi jeans in uno stadio vuoto a cantare. Roba che Slash nel video di "November Rain" può solo andare a inginocchiarsi in un angolino e scoppiare in un pianto di vergogna. Ma Biagio non ha in mano la chitarra, l'asta del microfono o una siringa (notoriamente le tre cose più rock che una persona possa brandire). Ha un basso. E tocca le corde con leggerezza, quasi solo sfiorandole. Un po' come facciamo noi con i nostri capezzoli mentre ascoltiamo le sue canzoni.
 

6. LA VOLTA CHE CI HA TENUTO A SOTTOLINEARE CHI È IL KING DEGLI ORGASMI FEMMINILI

Arrivati a questo punto della trattazione non vi stupirà, ma sì, il nostro Biagio è il vero macho latino, attento alla sua femmina e dedito a lunghissimi infiniti preliminari. O almeno questo è quanto dichiara, sempre a Vanity Fair, aggiungendo che lui capisce perfettamente se una donna finge. L'intervistatore gli domanda poi: 

"Quindi neanche i sexy gadget le piacciono?"

E qui arriva la sua risposta da bomber: 

"Ma sta scherzando! Anni fa una donna venne a un appuntamento con un vibra-
tore nella borsa. Mi misi a ridere come un pazzo. Dio bono, sono qui tutto per
te, e tu ti porti dietro l'arnese?? Io mi offendo. Ma non fate gli uomini che poi
ci fate inceppare!!!"

Capito donna? L'unico arnese qui è little Biagio.


7. LA VOLTA CHE FATTO CREDERE A BOCELLI CHE AVEVA VINTO UN TELEGATTO

Invece era il suo pene.


8. IL VIDEO IN CUI SCOPA CON UNA DONNA DISEGNATA MALE

"Sarai pure fittizia, ma con me non fingi baby."


9. QUANDO HA INCISO L'ALBUM "BORN TO RUN"


10. LA VOLTA CHE QUALCUNO, DOPO ANNI CHE LI SVENTOLAVA, SI È FINALMENTE ACCORTO DEI SUOI PIEDI

Diciamocelo, è quello che voleva sin dall'inizio il nostro Biagio, che qualcuno andasse in fissa con i suoi arnesi, e alla fine il blog piedialmaschile.blogspot.it ha soddisfatto questo desiderio.


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Aggrappatevi a ciò che resta dell'estate con "Forever More", il nuovo pezzo degli M+A

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Gli M+A fanno quel tipo di musia che puoi ascoltare ugualmente su una spiaggia a Malàga sotto un ombrellone arancione o in cima a una scogliera sul mare del Nord un giorno variabile: ariosa, piena di vita, balearica, malinconica, dolceamara, danzereccia. Insomma, quelle cose che i nostri amici scandinavi sanno fare piuttosto bene e loro hanno già dimostrato di avere pienamente nelle corde con quella doppietta assassina che sono Things Yes e These Days. Oggi vi facciamo ascoltare in anteprima un loro nuovo singolone, estratto da un nuovo album ancora senza titolo che arriverà l'anno prossimo. Si intitola "Forever More" e ha anche un video scritto e diretto interamente da loro. Lo potete guardare lì sopra. Avete schiacciato play? Siete presi bene? Bravi. Lo state facendo giusto.

"Cercavamo qualcosa che potesse raffigurare l’idea della canzone, che non ha storia ma visioni", spiegano Michele e Alessandro in un comunicato stampa. "Abbiamo lavorato principalmente pensandolo come una composizione di immagini piuttosto che un girato unico con una storia, quasi fosse un magazine, una copertina o una pubblicità. Le grafiche, che da sempre utilizziamo come prolungamento visivo della nostra musica, in questo video diventano il trucco e il contorno per creare altre apparenze e altre fantasie, come guidare una moto senza inserire la chiave e farla partire.” Già che c'eravamo abbiamo fatto altre due domande ai ragazzi, dato che eravamo curiosi di sapere cosa ne pensassero dei loro testi presi bene e del pop italiano. E sì, volevamo anche scoprire come avessero fatto a conoscere quel drago di Mick Jenkins per farci un pezzo assieme.

VICE: In che modo l'onda lunga dell'esperienza-Glasto vi ha toccato?
Alessandro: Non saprei. È stata il culmine di anni di lavoro in UK e l’avvenire di un sacco di collaborazioni interessanti, ma è un'esperienza che abbiamo cercato di prendere con cautela, andando oltre. È un passaggio importante, che deve però rimanere tale.

Che cosa vi porta a scrivere testi così (tendenzialmente) presi bene? Sono un elemento che ritenete fondamentale a livello espressivo o fate più attenzione alla voce-come-strumento?
Michele: Facciamo attenzione alla voce come strumento, sì, ma nel suo senso spettrale: lo strumento è una macchina che produce suoni, ma anche inconscio. E quella macchia cieca è il centro della produzione dei testi. Non penso mai a quello che canto e alla fine mi ritrovo storie bizzarre di vite parallele. Non c’è un soggetto che scrive, ma incroci che lo precedono, di lingue, storie, schifezze e bellezze, che hanno voce solo quando canto. La questione della presa bene però credo coinvolga tutta la visione M+A: facciamo musica presa bene perché nella vita siamo tutto il contrario. Ci serve una forza più forte di noi. Scrivere una canzone è, al momento, l’unico modo che abbiamo per frequentare forme di vita diverse, che offrano uno sguardo diverso sulle cose. Non per forza però, certe volte ci piace anche stare dalla parte delle cose che non guardano: molti nostri testi in realtà sono come le registrazioni delle telecamere di sorveglianza, un insieme di parole immagini a caso, che sono un po’ tutto quello che è passato, consciamente o inconsciamente, nelle nostre vite.

Come avete fatto a conoscere Mick Jenkins e collaborarci? Poi è una figata anche il fatto che state lavorando con Nef the Pharaoh, ma insomma, a mio gusto personale Mick è su un altro livello.
Alessandro:
Le collaborazioni sono molto nette, rigorose e veloci: mandiamo mail agli artisti che ci piacciono, come nel caso di Mick e Nef—che adoriamoe poi, se ci sono entusiasmo e stimoli, cominciamo a lavorare assieme.
Michele: Questa cosa che non ci siano interferenze di conoscenza personale garantisce una differenza ottima, come nel caso della collaborazione con il rapper russo Thomas Mraz, che non conoscendoci e non essendo essendo influenzato dalle nostre intenzioni è riuscito a portare il brano che gli abbiamo mandato da un’altra parte, decisamente interessante. La conoscenza viene sempre dopo, alla fine, e questa è l’unica cosa che ci permette di avere qualcosa di effettivamente contaminato.

Come avete dichiarato recentemente, "il grande buco estetico italiano, a livello musicale" sta nel pop. Noi ne abbiamo parlato, poco fa, come un grande copia-incolla EDM. Quali sono secondo voi le ragioni di questa stasi? Pensate sia auspicabile un cambiamento? Ci sono segnali positivi, negativi? Non ce ne sono?
Alessandro: Probabilmente in Italia non c’è mai stata una vera cultura pop. Sicuramente si è creata una concezione del pop che, sia artisticamente, sia a livello di mercato, è molto distorta. Spesso in Italia la parola "pop" viene collegata alla parola commerciale, che a sua volta implica poca qualità, e tutti cercano sempre di prenderne le distanze in un modo o nell’altro. C’è questa cultura del vero e puro che in quindici anni musicisti, giornalisti ed etichette indipendenti hanno creato, facendo diventare il mondo indie l’unica realtà, amplificando così la voragine di qualità nel mercato mainstream. Noi amiamo la cultura pop perché amiamo sporcarci le mani, buttarci in mezzo alle cose più tragiche, per poterle alterare, mutare e magari anche rinnovare. Non come sfida, ma perché, in fondo, è il nocciolo della questione, e anche il suo bello. Per questo la scelta di firmare con Sugar e la scelta di esporci maggiormente in un mercato pop (italiano) che per questo tipo di progetto non è certo ottimale. Continuiamo a prenderci delle gran porte in faccia, ma piano piano stiamo iniziando a percepire che forse qualcosa può cambiare
Michele: Sì, in realtà il discorso è immenso e non è nemmeno esclusivamente musicale. Il rischio di farne una teoria generale in poche parole è quella di finire nelle grandi invenzioni e generalizzazioni di un’epoca. Non riesco a tematizzare segnali, né ragioni: attesto solo che c’è un buco e che la cosa più pragmatica sia assumersi il rischio di starci dentro, diversamente, cercando di farlo implodere nelle sue stesse contraddizioni, o starne fuori, completamente.

Forlì, Oslo, Brooklyn, Bologna, Londra: in che modo questi posti, dove avete scritto/registrato, vi hanno toccati a livello personale e artistico?
Michele:
In maniera inevitabile: vivere in posti diversi significa spesso vivere diversamente, lavorare diversamente: costantemente a distanza, nel nostro caso. Significa anche poter testare studi diversi, tecnici diversi, essere in lotta continua con questioni di spazio e di tempo per fare qualcosa, la musica, che questi concetti li porta sempre al loro grado di estrema ambiguità e inconsistenza.

Elia non ha mai suonato a Glastonbury. Consolalo seguendolo su Twitter.

"Crisis" di ANOHNI è il video più commovente dell'anno

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A maggio scorso, ANOHNI ha incendiato l'Armeria di Park Avenue a New York con una versione live speciale del suo premiatissimo ultimo disco Hopelessness, in cui si è esibita insieme a proiezioni di performer di genere femminile che interpretavano con il labiale le canzoni. Venerdì mattina, ha pubblicato un video della traccia "Crisis", con come protagonista la performer newyorkese Storm Lever—una delle artiste comparse nella esibizione all'Armeria. Secondo noi, ci sono poche cose più commoventi delle lacrime che rigano il viso di Storm verso la fine. 

Nel comunicato stampa che accompagna il video, Anohni pone l'accento sul testo della canzone, riferito alla presenza militare americana in Medio Oriente: "La distonsione non può avvenire finché non ammetteremo apertamente ciò che gli Stati Uniti hanno fatto", recita il comunicato. "Volevo rappresentare l'impatto che ha a livello personale su un cittadino americano. C'è una corrente sotterranea per cui le atrocità che il nostro paese ha commesso nel Medio Oriente sono troppo gravi per riuscire a parlarne e riconoscere la responsabilità. Eppure non c'è altro modo per arrivare alla pace". Leggi la nostra intervista con ANOHNI qui e acquista Hoplessness sul sito di Rough Trade.

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Sfera Ebbasta si sente una nuova rockstar

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Sfera Ebbasta a Slab City, nel video di "Figli Di Papà"

Era un po' più di un anno fa quando abbiamo intervistato per la prima volta Sfera Ebbasta e in quel momento stava per uscire XDVR, un disco in free download che, a livello logistico e di aspettative, era una specie di messaggio in una bottiglia lanciato nel mare di internet, come ne escono tanti ogni venerdì. Invece nel giro di una decina di mesi quel progetto ha condotto Sfera Ebbasta (con il suo produttore Charlie Charles) prima tra le mura sicure di Roccia Music e poi sotto l'ombrello di Def Jam e Universal, che oggi pubblicano il suo primo album ufficiale, che si chiama proprio Sfera Ebbasta.

Il percorso di Sfera ha, a tutti gli effetti, cambiato le regole del gioco e più o meno chiunque supporti il rap, o semplicemente abbia qualche interesse, ha dovuto reagire a ciò che il ragazzo venuto da Ciny stava combinando. Noi stessi abbiamo consumato intere tastiere per raccontare la storia della leva che prometteva di cambiare il rap italiano e che alla fine, come minimo, ha fornito un'alternativa autosufficiente e con i suoi riferimenti. Sfera, Ghali, la codeina e la Dark Polo Gang sono tutti elementi (tra gli altri) che hanno spostato il punto di vista di ogni ascoltatore sulla scena rap italiana.

Lunedì vi faremo vedere cinque minuti di fuoco tra Sfera Ebbasta e i suoi commentatori su YouTube per la nuova puntata di The People Versus, ma nel frattempo abbiamo l'abbiamo incontrato negli uffici di Universal durante una giornata di promo sfiancante a cui, per fortuna, Sfera non è ancora abituato.


La copertina di Sfera Ebbasta, premi per ascoltarlo

Quanto è diverso fare promo in questi giorni rispetto a un anno fa?
Tanto per cominciare mi sono dovuto svegliare alle 10. 

Qual è la cosa più matta che ti è successa in questi giorni?
Probabilmente essere intervistato da Studio Aperto. Mi aspettavo di finire in un telegiornale solo nel momento in cui mi avessero arrestato.

E invece. Nel fare questo disco ti sei sentito più aspettative addosso rispetto a XDVR?
Diciamo che con XDVR non c'era niente da perdere, ma solo da guadagnare. Non avevo molti fan, non c'era nessuno da deludere, in un certo senso. Per fortuna è andata bene, ma sicuramente questo è un lavoro diverso. C'era da confermare che fossi all'altezza di avere questo ruolo nella scena, in questo momento. Io ho cercato di rimanere tranquillo per la maggior parte del tempo, soprattutto perché sono convinto che per fare il tipo di canzoni che mi ha portato fin qui bisogna essere in pace con se stessi. In ogni caso il passaggio prima con Roccia Music e poi sotto Def Jam non ha limitato il modo in cui faccio musica. Se devo mettermi a impazzire per fare quello che vogliono gli altri non ha senso decidere di fare il musicista, per quanto mi riguarda.

E la pressione?
Quella c'è ed è legata all'essere sotto contratto con Universal, con Def Jam e al non poter deludere 150 mila follower che stanno aspettando il tuo nuovo disco e altrettanti che non vedono l'ora di criticarti. Comunque mentre fai il disco devi tenere conto di tutte queste cose e a questo giro ho imparato che non è facile.

Quando hai iniziato a lavorare a questo disco?
È uscito XDVR e il giorno dopo ho registrato il primo pezzo, che era "Orologi", ma alla fine sono cambiate un po' di cose e nel corso del tempo si è trasformato in "Balenciaga".

In un certo senso quindi non c'è stata nessuna svolta nel percorso, dopo il disco in free download.
Da quando è uscito il video di "XDVR" ad oggi mi sarò fermato una settimana in tutto. Quello che ho notato nel frattempo è che ad un certo punto le cose hanno iniziato a cambiare. Credo che sia stato subito dopo l'uscita di "Panette". Lì mi sono accorto che i numeri erano diventati importanti e che la gente per strada mi fermava per fare le foto. Allo stesso modo i fan hanno iniziato a tempestarmi di messaggi sui social. Prima questa cosa non succedeva, ma da lì in poi è diventata una routine.

La verità è che tu sei arrivato prima al pubblico che alla stampa, chiamiamola così. Ad esempio quando un anno abbiamo fatto l'intervista per l'uscita di XDVR tu su YouTube già macinavi  dei numeri da paura. In questo senso, considerate anche le vicende degli ultimi giorni, chi te lo fa fare di concedere le interviste per la promozione? Qual è il vantaggio di svegliarti alle 10, appunto?
È lavoro. Se mi chiedi se secondo me queste interviste sono utili o no... Io faccio musica, adesso lavoro con Universal che ha dietro un team di persone che sanno perfettamente ciò che è utile e ciò che è inutile. Io dal mio punto di vista ti direi che di svegliarmi la mattina per venire a rispondere a domande di gente che non conosco non me ne frega un cazzo. Però è così che si fa. Il mio fan medio probabilmente non si compra la rivista, ma nemmeno si legge un articolo su internet, però non posso basarmi sul mio fan medio perché ci sono altri sessanta milioni di persone in Italia.

E in questo percorso quand'è che sei finito in Francia?
Una sera era venuto a suonare qua a Milano High Klassified, che è uno dei produttori di The Weeknd e Wealstarr, che invece sta con Booba. Io, Ghali, Charlie ed altri li abbiamo beccati in studio, per poi andare a fare una serata insieme. Ci siamo conosciuti così e qualche giorno dopo alle 3 di notte mi ha chiamato Shablo per dirmi di andare a letto, che il giorno dopo avevo un volo per Parigi. Ci aveva chiamato SCH e io non potevo crederci, credevo che mi stesse facendo uno scherzo, ma invece il giorno dopo io e Charlie eravamo su un aereo, per davvero.

Com'è stata l'accoglienza?
C'era pronto un taxi con il cartello Def Jam e siamo stati portati direttamente in studio. Lui aveva lasciato una strofa vuota su un suo pezzo e mentre la registravo loro si ascoltavano i pezzi del mio disco e lui è andato fuori di testa per "Cartine Cartier", quindi alla fine abbiamo deciso di utilizzarla. Ho levato la mia seconda strofa e ho lasciato lo spazio per lui, mentre quando è venuto in Italia mi ha reso il favore e ha registrato una strofa nel mio e abbiamo fatto "Balenciaga".

Quanto è diverso là il modo di vivere il rap?
C'è una cultura diversa e girano davvero molti più soldi attorno al mercato del rap, ma ho notato che per quanto abbiano più mezzi di noi, a livello di serietà del lavoro, non siamo così distanti. Ormai le dinamiche sono le stesse, al limite cambiano le cifre che girano attorno a un prodotto. Poi è ovvio che lì chiunque è abituato all'hip hop, dal panettiere di cinquant'anni al tassista, chiunque lo ascolta o è abituato a sentirlo in radio.

Tu eri già stato in Francia, prima di questa circostanza?
Io prima di questo vicenda non ero mai uscito dall'Italia, a parte un viaggio in Marocco, però SCH era il mio rapper preferito. Tutt'ora tra i francesi mi ascolto solo lui.

I tuoi ascolti sono sempre andati in quella direzione?
Da quando ho tredici anni io ho iniziato ad ascoltare il rap e a provare a scoprirne di nuovo. Diciamo che mi sono formato comprando Groove in edicola oppure ordinavo dall'America The Source, che era scritto tutto in inglese, ma non è che ci perdessi molto tempo a leggerlo perché mi bastava vedere le foto dei nuovi rapper per andarmeli a cercare. Tutti i modi in cui potevo scoprire roba nuova erano validi. Paradossalmente non scaricavo molta musica, anche perché ai tempi non avevo nemmeno internet a casa... In realtà non ce l'ho nemmeno ora, non sono un patito di quel mondo.

Come fai a gestirti i social se non sei un patito? Anche se in realtà, dando un'occhiata, mi pare che tu non risponda spesso ai tuoi fan, mentre Charlie ad esempio è uno che interagisce moltissimo.
Non rispondo quasi mai. Dipende un po' da persona a persona e in generale nella vita mi viene difficile dare confidenza alle persone che non conosco. In ogni caso ormai la mole di persone che mi contatta, anche volendo, sarebbe ingestibile. A qualcuno ogni tanto rispondo, ma non ho nemmeno modo di leggere tutti i commenti, anche perché bene o male tutti scrivono le stesse cose. Anche su YouTube... Diciamo che non sono il tipo da andare a leggerseli, non me ne importa nulla. Anche perché io nella mia vita non ho mai lasciato un commento sotto YouTube, la trovo davvero una roba insulsa.

Tornando un attimo al passato, nel percorso dell'ultimo anno quanto è stata importante la firma con Roccia Music di Marracash e Shablo?
In un certo senso è stato un segno del destino, credo che sia successo dopo l'uscita di "Mercedes Nero" e ci era arrivata già qualche voce dell'interessamento... Siamo andati io e Charlie a casa di Marra, dove ci hanno spiegato che gli piaceva la nostra musica. Sembra paradossale, ma quando io e Charlie ci siamo accorti dell'attenzione che avevamo addosso ci siamo detti che, se ad un certo punti avessimo dovuto firmare con una label indipendente, sarebbe stata Roccia Music, se no niente. Quando abbiamo firmato con una major ci siamo detti: Def Jam o niente. Alla fine essere categorici ha pagato, e io sono proprio contento.

Come ha contribuito la loro esperienza in questo percorso?
Tanto per cominciare sono persone in più che ti danno una mano a fare quello che stai facendo e poi c'è anche un parere artistico che arriva da un pilastro del rap italiano, come è Marracash. Diciamo che è un parere che non tutti hanno la fortuna di poter ricevere prima di pubblicare una canzone.

Tra l'altro io credo che sia stato uno scambio reciproco, perché il movimento che avete innescato è fatto di tanti ingranaggi. Non so, il remix di "XDVR" con Marracash e Luché... Come te la vivi una cosa del genere?
Era proprio quello che volevamo, perché la verità è che facciamo parte di una scena di cui non ci siamo mai sentiti completamente parte. Tant'è che, a parte quel pezzo, non c'è nessuna collaborazione nei nostri dischi. Anche i nostri fan mi sembrano proprio diversi da quelli degli altri rapper, nella maggior parte dei casi.

Cosa te lo fa pensare?
Per prima cosa che nessuno di noi si è mai mischiato alla scena italian già conosciuta, e poi anche perché i fan in pochissimo tempo sono passati da non conoscerci a supportarci tutti. Ad esempio hanno cambiato i loro nomi su Instagram con i nostri slang e le nostre pose. Secondo me in Italia abbiamo lanciato una moda, un modo di fare, che ha preso tutti e che prima non c'era. Essere un teen idol non vuol dire necessariamente diventare un babbo di minchia.

Quindi adesso ti senti un po' una popstar?
Siamo delle rockstar, perché la nostra vita è più rock che pop.

 

Sfera Ebbasta è fuori ovunque

Segui Mattia su Twitter: @mattia__C

 

La sorprendente scena grime cinese

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 Kilo Vee, Pakin, Naaah, Dekishi and Zean al The Shelter. Tutte le foto sono di Naaah.

Incastrato nel terreno della Concessione Francese di Shanghai, un'area sotto giurisdizione francese residuo dell'imperialismo europeo nel tardo Diciannovesimo secolo, c'è lo Shelter—un rifugio sotterraneo che ai tempi di Mao era un bunker antiatomico, e oggi è una discoteca. Era lì che mi trovavo il giovedì sera prima della Brexit, con l'idea di sentirmi di nuovo un po' come nella cara vecchia Britannia: d'altro canto, c'era una serata grime. Mentre mi avvicinavo al locale, camminando per le tranquille stradine dietro alla biblioteca di Shanghai, l'atmosfera iniziava a cambiare. Un estraneo mi ha approcciato e, in un inglese sorprendentemente comprensibile, mi ha chiesto se avevo bisogno di erba o paste. 

La strada era piena di gente. Ragazze di tutte le forme e dimensioni uscivano dall'Apartment, un altro locale lì vicino, a cui c'era una "serata per ragazze" organizzata da Shanghai Pride. Mi sono infilato nella folla, evitando un uomo peloso con addosso un tutu, e ho trovato la porticina che stavo cercando. Ero arrivato al Push&Pull, una serata grime lanciata un paio di anni fa da due ragazzi inglesi trasferitisi lì, Naaah e Alta. 
    
Alta, ora, si è spostato a Singapore. Sta quindi a Naaah (o Nathan, il suo vero nome) gestire la serata, che organizza una volta al mese. Il giorno prima, di fronte a un caffè, mi aveva spiegato come tutto era iniziato. Dopo l'università, Nathan si era trasferito a Chengdu per imparare il mandarino, e si è trovato poco dopo ad Hangzhou a lavorare come professore d'inglese. Lì, ha conosciuto Alta in una chat per inglesi a tema musica. I due si sono trasferiti poi assieme a Shanghai, dove è nata l'idea dietro a Push&Pull—cioè uno dei punti focali della nascente scena grime della città.

Scendendo per la buia scala d'ingresso dello Shelter, mi sono reso conto grazie all'unica luce presente—quella di un neon—di essere nel posto giusto. In fondo, mi sono trovato in un corridoio dal soffitto basso, scavato nella roccia. Le frequenze dei colpi della sala principale riecheggiavano per il corridoio e i bassi soffocati spostavano la condensa sul soffitto. Alla consolle c'era Kilo Vee, un DJ di Shanghai di 24 anni. Stava suonando una strumentale grime di quelle che potrebbe trasmettere Radar Radio, o di quelle che potreste sentire a un rave in uno scantinato a Londra Est.

Kilo ha iniziato a fare il DJ a quindici anni con un gruppo di amici, la Ladidadi Crew, un collettivo che organizzava serate hip-hop e funk. Nonostante i loro sforzi, il pubblico non arrivava: la crew si sciolse, e lui iniziò a suonare grime e footwork. Il grime lo scoprì nel 2014, proprio iniziando a frequentare il Push&Pull. Inizialmente, non ne era molto convinto. "È rumoroso, non è coerente, ed è come se non ci fosse una vera melodia," mi spiega. Ma, passando sempre più tempo allo Shelter, si è gradualmente abituato a quel sound che descrive come "feroce e violento." "Il grime può toccare le persone, farle muovere sia in senso fisico che spirituale", mi spiega.

Kilo è un buon rappresentante della piccola ma dedicata scena che è lentamente sorta da questi giovedì sera. Al contrario di ciò che potete pensare, è sbagliato pensare alla scena di Shanghai come a un export alimentato da espatriati inglesi. Nel pubblico incontro Tess, una producer. Ha 25 anni e viene dal nord est della Cina. Come Kilo, non è mai stata nel Regno Unito e ha scoperto il grime frequentando serate come questa. "La prima volta è stato al DADA a Pechino, a un concerto dei Blackwax. Allora non sapevo cose fosse il grime, mi sembrava solo qualcosa di molto aggressivo, oscuro. Poi, dopo aver visto dal vivo Mumdance e Logos, ho iniziato a sentirlo sempre più mio. E quindi ho iniziato a far parte della scena," dice. 

Tess si è trasferita a Shanghai per lavorare come ingegnere del suono ed è diventata una presenza abituale nel pubblico dello Shelter—suonando ogni tanto al Basement e al Push&Pull come DJ. "Leaf", una delle sue tracce, si apre con dei suoni registrati in una foresta. La melodia cresce lentamente in una serie di pulsazioni eteree, quando all'improvviso un basso pesantissimo porta il pezzo a Londra Est. "Mi piacciono i suoni della natura, sono un modo per inserire suoni interessanti dalla vita reale nella mia musica", dice. In fondo, sembra di sentire Yosi Horikawa camminando sotto la pioggia per una casa popolare londinese durante un temporale. In un altro pezzo, "4526", una melodia aliena e giocosa si evolve su un beat profondo e introspettivo. Tess è ancora agli inizi, e sta cercando un'etichetta, ma le sue produzioni suonano fresche e promettenti.

A differenza della sua controparte londinese, una qualità intrinseca della scena di Shanghai è il fatto che è interamente strumentale. Quando chiedo a Tess come immagina il futuro del grime cinese, mi parla proprio della scarsità di MC. "Se avessimo degli MC cinesi, la musica inizierebbe a rappresentare veramente la nostra cultura. Sarebbe un'ibridazione vera e propria." Mentre in Giappone ci sono MC come Pakin e TAKISHI (che Naaah ha tra l'altro chiamato per il terzo compleanno del Push&Pull), la Cina non è ancora riuscita a tirarne fuori. I produttori locali ricevono un po' di attenzioni solo quando qualcuno organizza serate di MC stranieri.

 Slackk allo Shelter

Anche se la mancanza di MC potrebbe essere considerata una grossa mancanza, in realtà la cosa ha avuto dei risvolti positivi per i producer di Shanghai. Senza barre argute e il tipico flow britannico, i loro pezzi devono cercare di coinvolgere maggiormente l'ascoltatore. Normalmente, le strumentali grime finiscono i proiettili in poco tempo—tirano fuori le bombe nel primo minuto, e le ripetono per altri cinque; a tenere alto l'interesse sono gli MC. La scena di Shanghai non può permettersi questo lusso, e quindi spinge le strumentali in direzioni inedite.

C'è poi un'altra grande differenza tra la scena londinese e quella cinese. A differenza di quanto accade in Regno Unito, in Cina non è possibile usare internet liberamente. Avere accesso ai suoni che stanno alle origini del grime ed esplorarli può quindi essere piuttosto difficile. "Tutte le persone che conosco, me compresa, vivono grazie a una VPN," mi spiega Tess, riferendosi a quella tecnologia che permette agli utenti in una certa nazione di apparire ai server con un IP estero, circumnavigando così i blocchi inseriti dal governo. ZEAN, in scaletta dopo Kilo Vee al Push&Pull, è d'accordo, ma è proprio questo accesso limitato a internet che lo ha aiutato a sviluppare una sua personalissima versione della classica estetica grime londinese. 

Quando chiedo a ZEAN di descrivermi il suo suono, lo fa usando l'aggettivo "semplice". Personalmente, credo non si stia rendendo onore: il suo suono è ricco e complesso. "Second-rate battle", pubblicata dall'etichetta pechinese Dohits, ha una linea di basso pesantissima, abbellita da un sample preso da un film di Hong Kong ad argomento kung-fu, e dei suoni di cetra. "Yi By Yi", uscita sull'americana Liquid Amber, ripropone il tema arti marziali. Sono anni che la gente campiona quei film, ma ZEAN lo fa senza suonare dozzinale o scontato, aggiungendo qualità e profondità al brano invece di devolverlo completamente a un riferimento culturale. Il suo gesto non appare dovuto, né sa di appropriazione: è semplicemente un producer cinese che rende omaggio ai suoni con cui è cresciuto.

"Ho iniziato a fare mix grime e trap prendendo brani dalla Golden Era dell'hip-hop come chiunque altro," dice Naaah, che, come ZEAN, cerca di reinterpretare il grime in chiave cinese. "Poi mi sono detto, fanculo, sono in Cina, inizierò a campionare quello che mi circonda." In “我的钢琴被单坏了” riprende "Silence" di Jay Chou, mandandone in loop il ritornello. "Swim Air" contiene parte di “若言” di Lu Han, e il risultato è una sorta di versione sincopata di un ipotetico Flume orientale. Anche se non tutti i suoi brani sono perfetti (“我的钢琴被单坏了” entra in territori "suonerie cinesi", a dire il vero), è un interessante contrappunto sonoro all'esperienza dell'espatrio.

 DJ Alta al terzo compleanno del Push&Pull

Detto questo, non sono solo i producer cinesi a spingere il genere in una nuova direzione. Swimful, un ragazzo inglese trasferito a Shanghai, ha iniziato a ricevere attenzioni nell'ultimo anno. Le sue cose stanno iniziando a venire notate anche oltreoceano: Rinse FM le ha passate in radio, Slackk lo ha supportato e Lil B ha collaborato con lui. Vivere in Cina, ammette, lo espone a cuoni completamente diversi. "Dubito che nessuno a Londra abbia mai sentito un dizi [un piccolo strumento a fiato] alle quattro del mattino." La cosa si sente eccome, nelle sue tracce. "Skitter", ad esempio, è portata avanti da archi e synth che definire "brillanti" è poco, e riesce a riprodurre fedelmente l'atmosfera che si vive a Shanghai. Sono tutti suoni che Swim ha scaricato in un pacchetto di sample pieno di "stupidate, roba orientaleggiante e tratta da videogiochi", diventato poi base per le sue costruzioni melodiche: una risposta digitale alla sua vita nella periferia di Shanghai. È un pezzo che ha sì un sapore locale, ma senza diventare un cliché o suonare, detto terra terra, come un'accozzaglia di suoni stereotipati. Ricorda "Fill Your Coffee" di Arkist, in un certo senso, anche se è più veloce e funziona sicuramente meglio nel contesto di un club.

"Skitter" verrà pubblicata fisicamente da SVBKVLT, un'etichetta di Shanghai di proprietà di Gaz, un altro ragazzo inglese che vive lì—e gestisce anche lo Shelter, il locale in cui si tengono le serate Push&Pull. L'etichetta esiste solo da un paio d'anni, ma continua a ricevere sempre più riscontri positivi supportando sia artisti locali che giapponesi. C'è infatti anche l'idea di espandersi verso Tokyo, l'anno prossimo. Gaz organizza le sue serate legate all'etichetta, e permette ad altre realtà e organizzazioni di usare i suoi spazi per le loro feste e showcase. Wooozy, un collettivo che gestisce una pubblicazione musicale con annessa serata, ha organizzato concerti di artisti grime come Moslem Priest, dalla Malesia, e Slackk. Sono personalità che portano con sé suoni autentici, permettono ai DJ e produttori locali di rendersi conto dello stato del movimento in altre parti del mondo e li aiutano a rendersi conto di quale possa essere il loro ruolo al suo interno.

L'anno prossimo, lo Shelter compirà dieci anni. "Mi piace dare alla gente un luogo dove possano sperimentare", mi spiega Gaz a pranzo, qualche giorno dopo il concerto. È un luogo permissivo, un locale unico all'interno del clubbing di Shanghai, notoriamente legato a logiche di commercio. È l'unico ambiente in cui una serata come Push&Pull sarebbe potuta nascere e crescere all'interno della scena grime locale.

Fino a poco tempo fa, il grime era un genere dalla mentalità ristretta che pochi, fuori dal Regno Unito, conoscevano e ascoltavano. Ora che MC come Skepta vengono riconosciuti e rispettati da alcuni tra i più grandi artisti del mondo, il grime ha iniziato ad aprire le ali. I ragazzi cinesi che hanno sempre frequentato il Push&Pull hanno sempre mantenuto acceso questo interesse, anche prima che il resto del mondo si accorgesse del grime. Al contempo, però, la serata è riuscita a giocare una parte molto importante in questa rinascita, e nella crescita del grime in Cina. A Shanghai, il grime sta perdendo il suo piumaggio geografico e si sta predisponendo a venire reinterpretato.

Alle due di notte di quel giovedì sera al Push&Pull, verso la fine della serata, ZEAN è salito in consolle mentre io avevo accanto Tess, Naaah, Kilo e Swimful—le luci più brillanti della scena grime di Shanghai, tutte assieme nello stesso momento. Ho chiesto a Kilo che cosa ne pensava del futuro del grime in Cina. "La cosa bella è che per ora ci siamo noi. Siamo pochi, ma lavoriamo tutti per lo stesso obbiettivo. Dobbiamo solo stare a vedere che cosa succederà," mi ha risposto.

#Pauroso.

La sorprendente scena grime cinese

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<p>Incastrato nel terreno della Concessione Francese di Shanghai, un'area sotto giurisdizione francese residuo dell'imperialismo europeo nel tardo Diciannovesimo secolo, c'è lo <a href="http://noisey.vice.com/it/read/shelter-shangai"><b>Shelter</b></a>—un rifugio sotterraneo che ai tempi di Mao era un bunker antiatomico, e oggi è una discoteca. Era lì che mi trovavo il giovedì sera prima della Brexit, con l'idea di sentirmi di nuovo un po' come nella cara vecchia Britannia: d'altro canto, c'era una serata grime. Mentre mi avvicinavo al locale, camminando per le tranquille stradine dietro alla biblioteca di Shanghai, l'atmosfera iniziava a cambiare. Un estraneo mi ha approcciato e, in un inglese sorprendentemente comprensibile, mi ha chiesto se avevo bisogno di erba o paste. </p><p>La strada era piena di gente. Ragazze di tutte le forme e dimensioni uscivano dall'Apartment, un altro locale lì vicino, a cui c'era una "serata per ragazze" organizzata da <a href="http://www.shpride.com/" target="_blank"><b>Shanghai Pride</b></a>. Mi sono infilato nella folla, evitando un uomo peloso con addosso un tutu, e ho trovato la porticina che stavo cercando. Ero arrivato al Push&Pull, una serata grime lanciata un paio di anni fa da due ragazzi inglesi trasferitisi lì, Naaah e Alta. <br> <br>Alta, ora, si è spostato a Singapore. Sta quindi a Naaah (o Nathan, il suo vero nome) gestire la serata, che organizza una volta al mese. Il giorno prima, di fronte a un caffè, mi aveva spiegato come tutto era iniziato. Dopo l'università, Nathan si era trasferito a Chengdu per imparare il mandarino, e si è trovato poco dopo ad Hangzhou a lavorare come professore d'inglese. Lì, ha conosciuto Alta in una chat per inglesi a tema musica. I due si sono trasferiti poi assieme a Shanghai, dove è nata l'idea dietro a Push&Pull—cioè uno dei punti focali della nascente scena grime della città.</p><div class="article__embed article__embed--soundcloud"><iframe frameborder="0" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/259545081&color=ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false" allowfullscreen></iframe></div><p>Scendendo per la buia scala d'ingresso dello Shelter, mi sono reso conto grazie all'unica luce presente<span>—quella di un neon—di essere nel posto giusto. In fondo, mi sono trovato in un corridoio dal soffitto basso, scavato nella roccia. Le frequenze dei colpi della sala principale riecheggiavano per il corridoio e i bassi soffocati spostavano la condensa sul soffitto. Alla consolle c'era <a href="https://soundcloud.com/kilovee" target="_blank"><b>Kilo Vee</b></a>, un DJ di Shanghai di 24 anni. Stava suonando una strumentale grime di quelle che potrebbe trasmettere <a href="http://www.radarradio.com/" target="_blank"><b>Radar Radio</b></a>, o di quelle che potreste sentire a un rave in uno scantinato a Londra Est.</span></p><p>Kilo ha iniziato a fare il DJ a quindici anni con un gruppo di amici, la Ladidadi Crew, un collettivo che organizzava serate hip-hop e funk. Nonostante i loro sforzi, il pubblico non arrivava: la crew si sciolse, e lui iniziò a suonare grime e footwork. Il grime lo scoprì nel 2014, proprio iniziando a frequentare il Push&Pull. Inizialmente, non ne era molto convinto. "È rumoroso, non è coerente, ed è come se non ci fosse una vera melodia," mi spiega. Ma, passando sempre più tempo allo Shelter, si è gradualmente abituato a quel sound che descrive come "feroce e violento." "Il grime può toccare le persone, farle muovere sia in senso fisico che spirituale", mi spiega.</p><p>Kilo è un buon rappresentante della piccola ma dedicata scena che è lentamente sorta da questi giovedì sera. Al contrario di ciò che potete pensare, è sbagliato pensare alla scena di Shanghai come a un export alimentato da espatriati inglesi. Nel pubblico incontro Tess, una producer. Ha 25 anni e viene dal nord est della Cina. Come Kilo, non è mai stata nel Regno Unito e ha scoperto il grime frequentando serate come questa. "La prima volta è stato al DADA a Pechino, a un concerto dei <a href="https://soundcloud.com/theblackwax" target="_blank"><b>Blackwax</b></a>. Allora non sapevo cose fosse il grime, mi sembrava solo qualcosa di molto aggressivo, oscuro. Poi, dopo aver visto dal vivo <a href="http://noisey.vice.com/it/blog/mumdance-intervista"><b>Mumdance</b></a> e <a href="https://soundcloud.com/logos262" target="_blank"><b>Logos</b></a>, ho iniziato a sentirlo sempre più mio. E quindi ho iniziato a far parte della scena," dice. </p><p>Tess si è trasferita a Shanghai per lavorare come ingegnere del suono ed è diventata una presenza abituale nel pubblico dello Shelter—suonando ogni tanto al Basement e al Push&Pull come DJ. "Leaf", una delle sue tracce, si apre con dei suoni registrati in una foresta. La melodia cresce lentamente in una serie di pulsazioni eteree, quando all'improvviso un basso pesantissimo porta il pezzo a Londra Est. "Mi piacciono i suoni della natura, sono un modo per inserire suoni interessanti dalla vita reale nella mia musica", dice. In fondo, sembra di sentire <a href="https://soundcloud.com/yosi-horikawa" target="_blank"><b>Yosi Horikawa</b></a> camminando sotto la pioggia per una casa popolare londinese durante un temporale. In un altro pezzo, <a href="https://soundcloud.com/btclab/4526-tess" target="_blank"><b>"4526"</b></a>, una melodia aliena e giocosa si evolve su un beat profondo e introspettivo. Tess è ancora agli inizi, e sta cercando un'etichetta, ma le sue produzioni suonano fresche e promettenti.</p><p>A differenza della sua controparte londinese, una qualità intrinseca della scena di Shanghai è il fatto che è interamente strumentale. Quando chiedo a Tess come immagina il futuro del grime cinese, mi parla proprio della scarsità di MC. "Se avessimo degli MC cinesi, la musica inizierebbe a rappresentare veramente la nostra cultura. Sarebbe un'ibridazione vera e propria." Mentre in Giappone ci sono MC come <a href="https://soundcloud.com/pakin" target="_blank"><b>Pakin</b></a> e TAKISHI (che Naaah ha tra l'altro chiamato per il terzo compleanno del Push&Pull), la Cina non è ancora riuscita a tirarne fuori. I produttori locali ricevono un po' di attenzioni solo quando qualcuno organizza serate di MC stranieri.</p><div class="article__media"><picture class="article__image"><source media="(max-width: 25em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg?resize=400:*, https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg?resize=600:* 2x"><source media="(max-width: 40.625em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg?resize=650:*, https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg?resize=975:* 2x"><source media="(min-width: 40.625em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg?resize=679:*"><img src="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103475/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-28-18.jpg" alt=""></picture><p class="article__image-caption"> Slackk allo Shelter</p></div><p>Anche se la mancanza di MC potrebbe essere considerata una grossa mancanza, in realtà la cosa ha avuto dei risvolti positivi per i producer di Shanghai. Senza barre argute e il tipico flow britannico, i loro pezzi devono cercare di coinvolgere maggiormente l'ascoltatore. Normalmente, le strumentali grime finiscono i proiettili in poco tempo<span>—tirano fuori le bombe nel primo minuto, e le ripetono per altri cinque; a tenere alto l'interesse sono gli MC. La scena di Shanghai non può permettersi questo lusso, e quindi spinge le strumentali in direzioni inedite.</span></p><p>C'è poi un'altra grande differenza tra la scena londinese e quella cinese. A differenza di quanto accade in Regno Unito, in Cina non è possibile usare internet liberamente. Avere accesso ai suoni che stanno alle origini del grime ed esplorarli può quindi essere piuttosto difficile. "Tutte le persone che conosco, me compresa, vivono grazie a una VPN," mi spiega Tess, riferendosi a quella tecnologia che permette agli utenti in una certa nazione di apparire ai server con un IP estero, circumnavigando così i blocchi inseriti dal governo. ZEAN, in scaletta dopo Kilo Vee al Push&Pull, è d'accordo, ma è proprio questo accesso limitato a internet che lo ha aiutato a sviluppare una sua personalissima versione della classica estetica grime londinese. </p><p>Quando chiedo a ZEAN di descrivermi il suo suono, lo fa usando l'aggettivo "semplice". Personalmente, credo non si stia rendendo onore: il suo suono è ricco e complesso. "Second-rate battle", pubblicata dall'etichetta pechinese Dohits, ha una linea di basso pesantissima, abbellita da un sample preso da un film di Hong Kong ad argomento kung-fu, e dei suoni di cetra. <a href="https://soundcloud.com/liquidambermusic/conrank-ft-zean-yi-by-yi" target="_blank"><b>"Yi By Yi"</b></a>, uscita sull'americana Liquid Amber, ripropone il tema arti marziali. Sono anni che la gente campiona quei film, ma ZEAN lo fa senza suonare dozzinale o scontato, aggiungendo qualità e profondità al brano invece di devolverlo completamente a un riferimento culturale. Il suo gesto non appare dovuto, né sa di appropriazione: è semplicemente un producer cinese che rende omaggio ai suoni con cui è cresciuto.</p><p>"Ho iniziato a fare mix grime e trap prendendo brani dalla Golden Era dell'hip-hop come chiunque altro," dice Naaah, che, come ZEAN, cerca di reinterpretare il grime in chiave cinese. "Poi mi sono detto, fanculo, sono in Cina, inizierò a campionare quello che mi circonda." In <span>“我的钢琴被单坏了” riprende <a href="https://www.youtube.com/watch?v=vKc1ngYo5Q0" target="_blank"><b>"Silence" di Jay Chou,</b></a> mandandone in loop il ritornello. <a href="https://soundcloud.com/nahm8/swim-air" target="_blank"><b>"Swim Air"</b></a> contiene parte di <a href="https://www.youtube.com/watch?v=HChXesVrm8U" target="_blank"><b>“若言” di Lu Han</b></a>, e il risultato è una sorta di versione sincopata di un ipotetico Flume orientale. Anche se non tutti i suoi brani sono perfetti (“我的钢琴被单坏了” entra in territori "suonerie cinesi", a dire il vero), è un interessante contrappunto sonoro all'esperienza dell'espatrio.</span></p><div class="article__media"><picture class="article__image"><source media="(max-width: 25em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg?resize=400:*, https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg?resize=600:* 2x"><source media="(max-width: 40.625em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg?resize=650:*, https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg?resize=975:* 2x"><source media="(min-width: 40.625em)" srcset="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg?resize=682:*"><img src="https://images.vice.com/noisey/content-images/contentimage/103478/Screen-Shot-2016-09-07-at-12-38-46.jpg" alt=""></picture><p class="article__image-caption"> DJ Alta al terzo compleanno del Push&Pull</p></div><p>Detto questo, non sono solo i producer cinesi a spingere il genere in una nuova direzione. Swimful, un ragazzo inglese trasferito a Shanghai, ha iniziato a ricevere attenzioni nell'ultimo anno. Le sue cose stanno iniziando a venire notate anche oltreoceano: <a href="https://rinse.fm/" target="_blank"><b>Rinse FM</b></a> le ha passate in radio, <a href="https://soundcloud.com/slackk" target="_blank"><b>Slackk</b></a> lo ha supportato e Lil B ha collaborato con lui. Vivere in Cina, ammette, lo espone a cuoni completamente diversi. "Dubito che nessuno a Londra abbia mai sentito un dizi [un piccolo strumento a fiato] alle quattro del mattino." La cosa si sente eccome, nelle sue tracce. <a href="https://soundcloud.com/swimful/skitter" target="_blank"><b>"Skitter"</b></a>, ad esempio, è portata avanti da archi e synth che definire "brillanti" è poco, e riesce a riprodurre fedelmente l'atmosfera che si vive a Shanghai. Sono tutti suoni che Swim ha scaricato in un pacchetto di sample pieno di "stupidate, roba orientaleggiante e tratta da videogiochi", diventato poi base per le sue costruzioni melodiche: una risposta digitale alla sua vita nella periferia di Shanghai. È un pezzo che ha sì un sapore locale, ma senza diventare un cliché o suonare, detto terra terra, come un'accozzaglia di suoni stereotipati. Ricorda <a href="https://www.youtube.com/watch?v=-gSMtiM1e5Y" target="_blank"><b>"Fill Your Coffee" di Arkist</b></a>, in un certo senso, anche se è più veloce e funziona sicuramente meglio nel contesto di un club.</p><p>"Skitter" verrà pubblicata fisicamente da SVBKVLT, un'etichetta di Shanghai di proprietà di Gaz, un altro ragazzo inglese che vive lì—e gestisce anche lo Shelter, il locale in cui si tengono le serate Push&Pull. L'etichetta esiste solo da un paio d'anni, ma continua a ricevere sempre più riscontri positivi supportando sia artisti locali che giapponesi. C'è infatti anche l'idea di espandersi verso Tokyo, l'anno prossimo. Gaz organizza le sue serate legate all'etichetta, e permette ad altre realtà e organizzazioni di usare i suoi spazi per le loro feste e showcase. Wooozy, un collettivo che gestisce una pubblicazione musicale con annessa serata, ha organizzato concerti di artisti grime come Moslem Priest, dalla Malesia, e Slackk. Sono personalità che portano con sé suoni autentici, permettono ai DJ e produttori locali di rendersi conto dello stato del movimento in altre parti del mondo e li aiutano a rendersi conto di quale possa essere il loro ruolo al suo interno.</p><p>L'anno prossimo, lo Shelter compirà dieci anni. "Mi piace dare alla gente un luogo dove possano sperimentare", mi spiega Gaz a pranzo, qualche giorno dopo il concerto. È un luogo permissivo, un locale unico all'interno del clubbing di Shanghai, notoriamente legato a logiche di commercio. È l'unico ambiente in cui una serata come Push&Pull sarebbe potuta nascere e crescere all'interno della scena grime locale.</p><div class="article__embed article__embed--soundcloud"><iframe frameborder="0" src="https://w.soundcloud.com/player/?url=https%3A//api.soundcloud.com/tracks/272347457&color=ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false" allowfullscreen></iframe></div><p>Fino a poco tempo fa, il grime era un genere dalla mentalità ristretta che pochi, fuori dal Regno Unito, conoscevano e ascoltavano. Ora che MC come Skepta vengono riconosciuti e rispettati da alcuni tra i più grandi artisti del mondo, il grime ha iniziato ad aprire le ali. I ragazzi cinesi che hanno sempre frequentato il Push&Pull hanno sempre mantenuto acceso questo interesse, anche prima che il resto del mondo si accorgesse del grime. Al contempo, però, la serata è riuscita a giocare una parte molto importante in questa rinascita, e nella crescita del grime in Cina. A Shanghai, il grime sta perdendo il suo piumaggio geografico e si sta predisponendo a venire reinterpretato.</p><p>Alle due di notte di quel giovedì sera al Push&Pull, verso la fine della serata, ZEAN è salito in consolle mentre io avevo accanto Tess, Naaah, Kilo e Swimful—le luci più brillanti della scena grime di Shanghai, tutte assieme nello stesso momento. Ho chiesto a Kilo che cosa ne pensava del futuro del grime in Cina. "La cosa bella è che per ora ci siamo noi. Siamo pochi, ma lavoriamo tutti per lo stesso obbiettivo. Dobbiamo solo stare a vedere che cosa succederà," mi ha risposto.<br><br>#Pauroso.</p>
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