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Kamasi Washington ci ha spiegato come non diventare un gangster

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Foto di Lauren Dukoff

Kamasi Washington mi viene incontro a passo lento, il suo corpo supportato da un bastone di legno intagliato con la figura di un leone. "Me l'ha fatto un ragazzo in Ghana", mi dice, quando gli chiedo come si è fatto male e perché non sta usando una stampella. "Ero in Svezia e sono scivolato giù per una collina innevata!" Me ne parla col sorriso, come se una gamba quasi spaccata in tour non fosse che una minore inconvenienza. Ma probabilmente è esattamente così—dato tutto quello che gli è successo nell'ultimo anno e mezzo, un dolore alla gamba non può certo rovinargli la giornata. Washington si è infatti trovato al centro di una congiunzione di pianeti che ha portato il suo ambizioso debutto The Epic a diventare uno dei dischi più celebrati e discussi del 2015 nonostante fosse un triplo LP di jazz principalmente strumentale. Ma andiamo con ordine.

Washington nasce a Los Angeles nel 1981, all'incrocio tra la settantaquattresima strada e Figueroa nello specifico—nel pieno di South Central, cuore pulsante della scena hip-hop della West Coast e, al contempo, della gang culture che ha sì alimentato l'immaginario musicale di una generazione di afroamericani impedendole però di smarcarsi dalla ghettizzazione impostale dalla società americana. A tre anni si trasferisce ad Inglewood, una parte leggermente più sicura della città dove però i colpi di pistola erano tutto tranne che un evento fuori dal comune, come lui stesso ha dichiarato al New York Times. Suo padre Rickey, sassofonista e flautista, è un musicista locale piuttosto affermato che aveva scelto di restare in una Los Angeles la cui scena jazz aveva sempre vissuto all'ombra della sua più trattata e celebrata controparte newyorkese. Avere un padre musicista è certamente un'opportunità rara in un contesto in cui mediamente il pater familias cerca di arrivare a fine mese come capita: Kamasi si distingue fin da piccolo al sassofono, convincendo il padre a comprargliene uno cantando l'assolo di "Blues for Alice" di Charlie Parker.

Washington inizia la sua carriera suonando in una chiesa locale e, grazie a una passione per le materie scientifiche, vince una borsa di studio per frequentare la Hamilton High School—un liceo decisamente più pettinato rispetto a quello a cui era stato abituato fino a quel momento—e l'accademia di musica ad esso legata. È lì che Washington si unisce alla Multi-School Jazz Band, un collettivo tramite cui conoscerà l'amico Terrace Martin, che più avanti negli anni lo porterà a suonare nel gruppo di Snoop Dogg prima e a comporre gli archi su To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar poi. Nel mezzo, parti nelle band di Lauryn Hill, Raphael Saadiq, Chaka Khan e molti altri. In questi anni, Kamasi mette assieme un gruppo di musicisti che lo accompagna in parte ancora oggi: i West Coast Get Down, un mega-gruppo con il quale si chiude in studio di registrazione per un mese nel 2011 lavorando 16 ore al giorno. Tra i terabyte di musica usciti da quelle sessioni ci sono anche i pezzi di The Epic, che la Brainfeeder—etichetta gestita da Flying Lotus (che, per darvi un'idea, è nipote della seconda moglie di John Coltrane)—si offre di pubblicare senza imporgli alcun vincolo creativo.

Il risultato, di cui abbiamo già parlato ampiamente qua, è stato un improbabile ritorno del jazz nel discorso che anima i media alternativi: invece di essere seppellito nel palinsesto di Radio3, The Epic è stato portato in giro per il mondo in un generale trionfo di critica e pubblico, sospinto oltretutto dall'enorme successo sia commerciale che ideologico di To Pimp a Butterfly (ne avevo parlato brevemente in questo pezzo). The Epic è stato percepito come un album politico, un commento muto di orgoglio nero che ha fatto rendere conto a orecchie abituate ai Roland 808 più che agli assoli di sassofono l'importanza del messaggio di libertà ed emancipazione che ha sempre animato il jazz afro-americano. Invece di farmi raccontare la sua autobiografia, sulla quale trovate tanti ottimi articoli in giro, ho fatto a Kamasi un po' di domande che andassero a cercare di toccare punti più dettagliati e sottili della sua persona e della sua esperienza di vita. Mi ha raccontato, tra le tante cose, del suo rapporto con Dio, di come sia convinto che la musica sia un fatto subconscio, e dei motivi per cui Malcolm X gli ha cambiato la vita. 

VICE: In che modo il tempo passato dalla pubblicazione di The Epic—poco più di un anno, ormai—ti ha cambiato come persona e come musicista? 
Kamasi Washington: Sicuramente ho avuto tante nuove esperienze, e sicuramente ho una concezione più ampia di quello che posso fare con la mia musica. Penso in un modo diverso, in un certo senso. Mentre scrivevo The Epic non avevo idea se l'avrei suonato dal vivo di fronte a due o duemila persone, adesso sono sicuro che il mio nuovo album sarà ascoltato da un sacco di gente. E posso pensare più in grande, esplorare nuove possibilità. Non che non pensassi in grande con il mio primo album, ma era più questione di pensare fuori dagli schemi. Non me ne fregava niente di quello che la gente avrebbe pensato e detto, mentre ora posso semplicemente fare quello che mi pare e non pensare neanche a tutto il resto. È una differenza piccola ma significativa.

Una curiosità: The Epic era già pronto quando iniziasti a lavorare su To Pimp a Butterfly?
The Epic era finito a marzo 2014, quindi molto prima che conoscessi Kendrick. Ma non ho aspettato di proposito a farlo uscire, è che la Brainfeeder è un'etichetta piuttosto piccola e perché riuscissero a buttare fuori un album così imponente hanno dovuto rimandare un po' di volte. È stato il destino a decidere di farlo uscire al momento giusto!

In che modo pensi To Pimp a Butterfly abbia spostato il discorso sull'identità afro-americana dalla sua uscita in poi? Vedere gente per le strade gridare "Alright" come canto di protesta è da brividi, almeno da questa parte dell'Atlantico.
Sicuramente ha toccato le menti di molte persone. Dietro a ogni vero cambiamento c'è un processo molto lento, sai? La cosa importante è l'energia e l'ispirazione che ha dato a chi ha una mentalità basata sull'uguaglianza, a chi considera il mondo un posto incredibile popolato da eguali. Tutto bellissimo, ma la realtà è che il mondo non cambierà finché non cambieremo la mentalità di chi non la pensa così. Insomma, è bello avere musica che ci rende felici e ci fa sentire parte di qualcosa di più grande di noi, ma il succo della questione è che viviamo nel mondo in cui viviamo perché esistono persone che hanno pregiudizi e non considerano gli esseri umani tutti uguali, persone che vogliono fare male ad altri, buttare a terra altri. E tutto resterà uguale finché non agiremo a questo livello.


Washington e la sua band (via)

Sei sempre stato consapevole della tua identità afro-americana e dei problemi più ampi della tua comunità o ci sei arrivato con il passare degli anni?
Ci è voluto decisamente un po' di tempo. Quando ero un ragazzo non andavo da nessuna parte, restavo sempre nel mio quartiere. Onestamente, non ho conosciuto una persona bianca europea fino a qualche anno fa! Crescendo, imparando, viaggiando e conoscendo persone inizi a capire meglio il mondo in cui vivi. Ed è una delle chiavi per risolvere il problema, molti dei mali del mondo nascono dall'ignoranza. Fare esperienze significa aprire la propria mente, e nella maggior parte dei casi porta la gente ad abbandonare quel tipo di mentalità.

Da ragazzo provavi e studiavi anche nove, dodici ore al giorno. Era una cosa che facevi con gioia o è stato più un sacrificio?
Suonare si portava via praticamente tutto il mio tempo, quando stavo studiando. Penso sia una parte cruciale e molto difficile nella vita di un musicista, ti richiede un certo livello di connessione con lo strumento... poi certo, invecchiando la vita è iniziata a capitarmi e ho dovuto necessariamente guardarmi attorno. Conoscere ragazze, sviluppare interessi! Ma sono entrambe parti fondamentali, una vita passata solo sullo strumento non ha senso.

Hai dichiarato che un momento fondamentale nella tua crescita artistica è stato suonare nella band di Snoop Dogg, ma in che modo si è evoluto prima di allora il tuo rapporto con il sassofono?
Appena ne presi in mano uno sentii subito una connessione istantanea, sai? Ma avevo tredici, quattordici anni quando decisi di prenderlo veramente sul serio. Dovevo suonare al Playboy Jazz Festival con la Multi School Jazz Band, in cui c'erano praticamente tutti i musicisti più talentuosi di Los Angeles dell'epoca. Io ero uno dei più piccoli, e gli accordi erano che il mio ruolo nel concerto sarebbe dovuto essere solo di supporto. Arriviamo sul palco, e ci sono ventimila persone nel pubblico. Il direttore della band, a un certo punto, mi indica chiedendomi di fare un assolo—su una canzone sulla quale non avevo mai provato a fare un assolo prima di allora. Non ero pronto, e non rimasi soddisfatto del risultato. E fu allora che scelsi di prendere la musica seriamente, dedicarmici completamente, e fuggire la mediocrità.

Terrace Martin è stata una delle figure chiave nella tua carriera, dato che oltre a suonare con te ti ha trovato un aggancio per suonare prima con Snoop e per comporre le parti di archi nell'album di Kendrick poi. Ma come vi siete conosciuti?
Avevo tredici anni, e il Thelonious Monk Institute aveva organizzato una masterclass a cui mi ero iscritto. Alla fine, chiesero a tutti gli studenti di suonare assieme un blues. E c'era anche Terrace! Iniziammo a parlare di Coltrane, Cannonball Adderley, Eric Dolphy e così via, e ci rendemmo conto di avere qualcosa in comune. Poi Reggie Andrews, che era il direttore della Multi School Jazz Band, chiese a Terrace di unirsi al gruppo, e diventammo amici. Lui aveva qualche anno in più di me e lo avevo già intravisto a Leimert Park, che avevo iniziato a frequentare da poco. All'epoca suonava in questo gruppo incredibile, i World Stage All-Stars... andavamo sempre a sentirli suonare.

Ecco, Leimert Park [una comunità per soli bianchi diventata un importante centro culturale afro-americano dopo le rivolte di Watts del 1965]: ho letto che è stato un luogo fondamentale per te. In che senso?
Leimert Park era il principale centro artistico di Los Angeles, in un certo senso. Era nel mezzo di South Central, la nostra parte della città, e fortunatamente era l'unico posto in cui potevamo andare—per darti un'idea, allora non ero mai stato nemmeno neanche a Hollywood. Era un po' come la nostra seconda casa, tutti i ragazzi che facevano musica e arte della zona si ritrovavano lì. E potevi incontrare tranquillamente gente del calibro di Billy Higgins, Horace Tapscott, Gerald Wilson... Se non avessimo avuto Leimert Park non saremmo riusciti a suonare dal vivo da nessuna parte, era un luogo vitale.

Com'è che Terrace conobbe Kendrick?
Non ricordo esattamente, sai? Ma ricordo che me ne parlava già nel 2007, 2008, come di un genio che avrebbe cambiato la musica. Se n'era accorto prima di chiunque altro.

Hai fatto i tuoi primi passi da musicista suonando in chiesa. C'era anche un elemento di spiritualità nella cosa o era solo un luogo in cui fare musica, per te?
Sono decisamente una persona spirituale, e suono ancora in chiesa quando torno a casa. È un'esperienza che ha certamente cambiato il modo in cui mi approccio alla musica. Ti dirò, la musica è un atto sia fisico che spirituale, e la cosa vale anche se non sei un credente. Te ne rendi conto dal modo in cui vieni toccato dal suono, e la chiesa gioca un po' con questo processo. Da musicista, ti concentri sul lato più fisico del suonare—su accordi, toni e così via. Ma quando sei lì, stai suonando per un motivo diverso: stai provando a far sì che la gente abbandoni la propria fisicità e tocchi con mano il proprio spirito. Ed è quello che proviamo a fare, quando suoniamo. La mia prima esperienza musicale è stata di questo tipo. Non ho suonato in un'orchestra, o in un gruppo jazz. E nella chiesa in cui suonavo ti veniva lasciata molta libertà: non sai che pezzo stai suonando, in che chiave, quanto durerà. Niente di tutto questo! Devi solo trovare una connessione, e seguire. Essere lì, nel momento, senza sovrastrutture. Certo, poi più avanti ho imparato a leggere la musica, a suonare all'interno di strutture definite, ad organizzarmi. Ma quello è ancora il mio approccio.

È bello, dalla mia prospettiva, sentir parlare dell'esperienza-chiesa in questo modo. Per gli italiani della mia generazione andare in chiesa è qualcosa di molto più istituzionale, austero, manca totalmente questo elemento di comunanza di cui mi parli. Che tra l'altro si sta sentendo molto nell'hip-hop contemporaneo—penso anche solo all'enorme elemento gospel delle ultime cose di Chance the Rapper. Insomma, sentire un rapper americano parlare di Dio ti lascia una sensazione di unità, speranza. Ed è una cosa che da noi non è praticamente mai successa.
È che per noi afro-americani la chiesa era l'unica speranza, sai? Quando sei in una situazione disperata non hai altra speranza che Dio. E hai un certo bisogno di sfogare quello che hai dentro, il dolore e l'angoscia della tua vita. In chiesa non puoi trattenerti, non puoi non aprirti. Altrimenti esploderesti e basta. 


(via)

Come mai, tra le varie figure che hanno incarnato la lotta per i diritti degli afro-americani negli anni, hai scelto di celebrare Malcolm X in "Malcolm's Theme"? 
Martin Luther King lavorava all'interno del sistema per cambiarlo, per cambiare le leggi che lo governavano e aiutare la gente. Insomma, prima della nascita del Civil Right Movement il razzismo era legale a tutti gli effetti. Malcolm X, invece, voleva cambiare il mondo nel senso più fisico del termine. Dove potevamo vivere, dove potevamo andare a scuola, quello che poteva e non poteva venirci fatto. Malcolm X si rese conto che il mondo si era spezzato. Che, in quattrocento anni, la nostra umanità ci era stata strappata, e che a forza di sentircelo dire avevamo iniziato a considerarci persino noi stessi meno che umani. La sua era una sfida contro chi voleva continuare a spezzarci. Ma quel gesto, quella spinta alla disumanizzazione degli afro-americani, non si è mai interrotta del tutto. Nemmeno adesso.

Come hai vissuto la questione, crescendo? E come hai scoperto i suoi insegnamenti?
Da piccolo ero vittima di quella mentalità. C'era un'enorme pressione perché ti considerassi da solo qualcosa di negativo. Avrò avuto sette, otto anni quando ho pensato, "Sono un gangster. Penso di essere un criminale." Ogni tua immagine riflessa aderisce a quelle figure. Se sei un uomo afro-americano, sei un gangster o un pappone o un ladro. Da bambino, ancor prima di aver commesso qualsiasi crimine e di aver compiuto qualsiasi passo che ti porti effettivamente su quella via, ti fanno pensare che tu lo sia già. E se sei una donna sei una troia, una puttana. Malcolm X disse, "No! Siete splendidi. Siete figli di Re. Create cose bellissime. Avete un potere, e chi vi dice il contrario è cattivo. Difendetevi. Rendetevi conto di non essere quello che vi dicono siete." E questo non significa promuovere la violenza: se tuo fratello tornasse a casa e ti dicesse che un tizio sta per arrivare a provare a pestarlo, gli diresti di difendersi. Non ti difenderesti, di fronte alla morte? Perché di questo si tratta. Ti pesterebbero a morte. Ti appenderebbero a un albero e ti darebbero fuoco. Ti strangolerebbero e ti taglierebbero i genitali. Difendersi da tutto questo non è promuovere violenza.
Malcolm X promuoveva un'idea positiva della personalità afro-americana. L'idea che ognuno di noi fosse una persona con un valore intrinseco. Quando ero piccolo la mia scuola organizzò un incontro con un'organizzazione che diffondeva il suo messaggio. Si trovavano di fronte questi ragazzini, come me, con un'immagine distorta di sé, e gli insegnavano a vedersi per quelli che erano realmente. La prima cosa che fecero fu darci una copia dell'Autobiografia di Malcolm X. Ne leggemmo un paio di capitoli assieme, e la lessi per intero a scuola. Alla fine del libro, avevamo tutti una nuova concezione di noi stessi. Quel libro mi ha cambiato la vita. Anche se arrivato a quel punto non avevo ancora iniziato a fare davvero le cose che mi avrebbero reso un gangster, un criminale, mi vedevo su un sentiero che mi ci avrebbe portato. Alcuni dei miei amici non seguivano quel programma e, arrivati al liceo, stavano già rubando macchine, vendendo droga, avevano armi e tutto il resto. Ero sul loro stesso sentiero. Ma sono stato fortunato, ed è grazie a Malcolm X se è così. Il pezzo poi è nato un po' a caso, io e Terrace eravamo su YouTube e ci siamo trovati di fronte l'elogio funebre che Ossie Davis recitò al suo funerale. E quelle parole hanno risuonato in modo così forte con quello che avevamo sempre provato che abbiamo deciso di scriverci una canzone.

Dato che ti sei laureato in etnomusicologia, mi piacerebbe sapere quali sono alcune delle culture che più ti hanno colpito a livello musicale nei tuoi studi.
Cazzo, ce ne sono tante... tra tutte quelle che ho studiato ad UCLA mi è rimasto molto della musica indiana, dei raga, delle loro forme e delle loro scale. Il modo in cui si approcciano alla musica era ovviamente qualcosa di nuovo per me, ma lo sentivo vicino in molti sensi. Insomma, è normale in India suonare un pezzo per tre ore! È un processo lento e graduale in cui la canzone è un entità in costante mutamento. Ed è così che io sento la musica. Lo stesso vale per il gamelan indonesiano. Prendi delle figure e le assembli, ne metti una sull'altra fino a creare qualcosa di interamente nuovo. Come dei LEGO musicali! Una piccola parte si connette a un'altra piccola parte e così via, e l'insieme finale è incredibile.

Hai dichiarato a The Quietus che due delle figure che hanno influenzato i tuoi fraseggi sono Billie Holiday e Busta Rhymes. Ti va di approfondire un po' la cosa? 
Di Billie Holiday mi è rimasta l'abilità di collegare le note l'una all'altra. [Canticchia:]"What is this thing..." il modo in cui rallenta una nota per avvicinarla alla successiva. Snoop fa la stessa cosa, ma è dalla Holiday che l'ho imparata. Nelle sue melodie, ogni nota è quasi un dipinto, una canzone indipendente. Ognuna ha la stessa dignità, e viene trattata con cura. Si prende il suo tempo, a costruire un fraseggio, senza fretta. Busta, invece, usa il ritmo in un modo incredibile. Continua a passare da ritmi doppi a ritmi tripli, e il risultato è simile a quello di Billie. Ma mentre lei rallenta tutto, lui va il più veloce possibile. 

Come hai spiegato più volte, l'ispirazione dietro alla storia che The Epic racconta viene da un sogno che hai fatto. Ma che valore dai al subconscio come ispirazione in un contesto sociale, invece, così crudo e "reale"?
I semi da cui nasce la musica arrivano dal subconscio, credo. Se chiedi a qualcuno quali siano le vere origini di una canzone, da dove sia loro nato il pensiero alla sua base, non riusciranno davvero a risponderti. È il mistero della musica: non so se nasce da noi o se ci viene "mandata" da qualcosa d'altro. Scrivere musica è come prendersi cura di uno di questi semi, farlo crescere con la cura che ti viene data dalle tue abilità e dalle tue conoscenze. 

Elia avrebbe voluto toccare i riccioli di Kamasi ma non ha avuto il cuore di farlo. Seguilo su Twitter.


Salutate Beyoncé, regina dei VMA e della televisione

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Screenshot via MTV

Che cosa sono i VMA senza Beyoncé? Se non fosse stato per il suo video di "Single Ladies", non avremmo avuto tutti gli ultimi bellissimi anni di rivalità tra Kanye e Taylor Swift. Se non fosse per la sua leggendaria performance da 20 minuti del 2014 non avremmo le gif femministe più fighe e tamarre della storia. I VMA sono di Beyoncé, che ha confermato la cosa anche quest'anno beccandosi 11 nomination e vincendo in 8 categorie. Il che getta un po' d'ombra sulla vittoria di "Best Male Video" da parte di Rihanna (cioé, di Calvin Harris, ma in realtà a parte la base EDM generica del pezzo il lavoro l'ha fatto tutto Riri) e su quella di Drake, che è finalmente riuscito a portarsi a casa una statuetta per il video di "Hotline Bling."

Ma tutto questo ora è irrilevante. Anzi: qualsiasi fatto storico precedente a domenica 28 agosto 2016 è diventato immediatamente irrilevante. Perché ieri Beyoncé ha fatto metà di Lemonade dal vivo, e ha cambiato il mondo. Seriamente, è la miglior performance musicale che potrete mai vedere in televisione. Non avevate la minima idea che la televisione potesse essere ancora così figa. Cazzo, è roba che fa sembrare Game of Thrones la nuova stagione di Big Bang Theory.

Trovate il tutto qua sotto: la regina fa "Pray You Catch Me," "Hold Up," "Sorry," "Don't Hurt Yourself," e "Formation". Schiacciate play e fatevi cambiare la vita.

È il momento di farla finita con PC Music?

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Con il cuore in mano e una lacrima sull'occhio è giunta l'ora di ammettere che è forse giunta l'ora di PC Music. E come quel Dell impolverato che ancora teniamo nell'angolo perché ci piange il cuore a buttarlo via, nemmeno PC Music si accenderà più, e rimarrà un oggetto di arredamento particolare. Potremmo tentare di schiacciare il pulsante ON con tutta la nostra forza, ma forse sarà tutto inutile. Il problema non sta nemmeno tanto nell'hardware, ma nel contenuto, perché le ultime release di quella che un tempo sembrava la label più promettente del panorama internazionale sono proprio un po' MEH.

Vi ricordate il 2013? In quell'anno eravamo tutti impazziti per "Pink and Blue" di Hannah Diamond, forse la traccia più fica mai uscita per la label: qualcosa di totalmente spiazzante, tra una canzone della Disney e l'arte del futuro. Un sound che attecchiva subito su ogni superficie, come un velcro o una gelatina appiccicosa. Poi è arrivata "Bipp" di SOPHIE—amico e collaboratore di A.G. Cook, anche se non è mai ufficialmente uscito per PC Music—e ne fummo tutti sbaragliati, come quando fai un'overdose di zuccheri e poi inali un palloncino all'elio e un altro palloncino esilarante. Il mondo è così bello con le tracce di Sophie! Ecco, quando eravamo ragazzini e la tristezza del mondo non ci aveva ancora preso a schiaffi eravamo tutti un po' PC Music.

Dagli esordi a ora, però, la label non sembra essersi evoluta in alcun modo, e il movimento è rimasto completamente piatto. 

Il pericolo di avere a che fare con lavori "concettuali" sta nel complicato snodo tra fare qualcosa che si prende gioco delle corporate e dei loro marchi in un mondo che ti costringe ad averci a che fare per poterti sostentare. E come ogni artista che fa la fame, anche PC Music ha dovuto trovare il modo di mangiare qualcosina in più del caffè di Starbucks così amato da GFOTY. All'inizio tutto era super: le parodie dei Lipgloss Twins o la presentazione di QT come un energy drink anziché una persona in carne ed ossa erano qualcosa di totalmente innovativo. Da allora però tutto ha assunto toni più confusionari. 

E mentre l'arte dovrebbe essere un sollievo dagli orrori della vita di tutti i giorni, l'arte nata per commentare questa triste realtà deve comunque farci i conti. 

Come faceva notare Michelle Lhooq quando era andata a vedere il lancio del loro Pop Cube, il loro network multimediale di intrattenimento, ad un certo punto gli si è rivoltato contro. Lhooq si chiedeva "dove andrà a parare la loro deriva (realmente) commerciale"? E la risposta, purtroppo, è l'emoji del pollice verso. Sembra quasi un'ovvietà, ma è difficile sostenere la propria critica al mondo commerciale con un enorme logo della Red Bull sulla propria testa. I fan riuscivano ancora a salvare qualcosa sostenendo che quella fosse una mossa per distruggere il sistema dall'interno, in pieno stile PC Music, ma tutta quella post-ironia rendeva tutto ancora più confuso e il messaggio della label si perdeva in un mare di loghi, performance apparentemente vuote e visual che non comunicavano niente di più che la superficialità del progetto. In tutto questo, la contraddizione principale rimaneva il modo in cui PC Music tirava su i soldi necessari per procedere. 

Per qualche tempo, la magia della label stava nel fatto stesso che fosse una pseudo-label. Fino alla fine del 2014, il progetto viveva praticamente solo su Soundcloud, che era utilizzato come una sorta di galleria d'arte in cui comparivano, a caso, tracce del producer Kane West e di altri artisti, che sembravano più vicini a personaggi della Looney Tunes che a musicisti reali. Ogni settimana arrivava un diverso punto di vista da un diverso producer. 

Poi sono arrivati i download a pagamento, e poi lo showcase al SXSW. E poi arrivò la major, Columbia Records. Nonostante sia triste allinearsi allo stereotipo per cui le cose erano più interessanti quando erano veramente underground e nessuno se le cagava, questo è uno dei casi in cui quello stereotipo è realmente giustificato, perché PC Music aveva realmente un altro significato quando se ne stava ai margini del baraccone mangiasoldi dell'industria discografica. Chiaramente è ingenuo far finta che i musicisti non abbiano bisogno di soldi per sostentarsi, ma non è forse l'ingenuità che ci ha permesso di amare quegli artisti così tanto, proprio perché anche loro fondavano gran parte della comunicazione sulla loro aria naïf e spensierata? O almeno, è quello che volevano farci credere.


Hannah Diamond (foto via Diamond Wright)

Al di là della crisi della struttura concettuale, cose più basilari—come la musica—sono finite per deteriorarsi. Il tanto atteso album di SOPHIE—pur non trattandosi di un'uscita ufficiale PC Music—è stato un'occasione sprecata, pieno di porcate stupefacenti. È un esempio perfetto del problema di PC Music in generale: se accumuli un gruppo di producer di talento—cosa che sono, senza dubbio—perché dedicare così tanto tempo a cazzeggiare con "concetti" incredibilmente vaghi che obbligano l'ascoltatore a immergersi sotto sei strati di ironia? Perché prendere in giro il pop che in realtà volete produrre? E, a essere sinceri, quanti veri classici sono emersi da questo collettivo? Una manciata a dir tanti. E non bastano, quando si parla di quella che doveva essere una rivoluzione. 

Forse la crisi creativa ha a che fare con il fatto che parte della squadra sembra passare più tempo a lavorare con altri artisti invece che sui propri progetti. Certo, alcune di queste collaborazioni hanno dato alla luce figate—quella recente di Danny L. Harle con Carly Rae Jepson rasenta la perfezione nella categoria pop ultra-dolce, per esempio—ma c'è stato più di un "ft." di troppo. Non puoi aspettarti originalità se chiami A.G. Cook ogni volta che ti serve un po' di provocazione artistoide patinata. Lo shock della novità—e qui va evidenziato quanto sia apparso radicale e sinceramente appassionante l'approccio multimediale degli esordi—tende sempre a trasformarsi nel familiare ronzio dell'ordinarietà. 

L'espansione nel mondo reale sembra aver richiesto un prezzo alto per loro. La peculiarità del progetto come commento online sul mondo dei commenti online, comprensibilmente, non ha mantenuto la stessa efficacia nel passaggio da URL a IRL. Showcase, Boiler Room, live e serate nelle discoteche hanno tutti rivelato un certo piattume. La sensazione di novità si sbriciola scontrandosi con i rigori dell'ambiente che si propone di parodiare o imitare. In questo caso, l'idea che PC Music fosse musica fatta per l'iperrealtà del club è stata un flop quando i veri club hanno iniziato a trasmetterla.

La forza di PC Music era, e fino a un certo punto è ancora, quella di trattarsi di un progetto artistico che comprendeva completamente il contesto in cui si era situato. Le cose cambiano, però, specialmente nel regno virtuale. L'universalità cambia con la velocità del meme settimanale, e di conseguenza il contesto si altera a un ritmo che fino a qualche anno fa era inimmaginabile. Il mondo irreale e patinato che PC Music presenta in modo scintillante e puro è, perlomeno al momento, disconnesso da quello che sta effettivamente accadendo nel mondo. E mentre l'arte deve essere ed è una fuga dagli orrori che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, l'arte che si propone di fornire un commento deve forzosamente avere un legame con la realtà. Parodiare la cultura usa-e-getta di internet e il consumismo rampante è un po' meno interessante, divertente e incisivo quando mentre lo fai tradisci un approccio da "prendi i soldi e scappa". 

PC Music sembra non aver mai capito se voleva essere un progetto artistico o una etichetta major, ed è finita per cadere goffamente a metà tra le due cose. Che sia ora di staccare la spina? Perlomeno, sarebbe il caso di premere "Riavvia". 

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Nel nuovo video delle Pleasure Symbols si balla in mezzo al grigiume

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Grab da YouTube

La costa scozzese si trova a migliaia e migliaia di ventosi chilometri di distanza dalle spiagge tropicale del Queensland australiano, terra d'origine delle Pleasure Symbols, ma per qualche motivo risulta molto più appropriata.

Il duo, formato da Phoebe Paradise e Jasmine Dunn, hanno appena rivelato il video di "Underneath Your Skin", singolo di lancio del loro album di debutto omonimo. Pieno di automobili bruciate e scenari deprimenti, nel filmato sembra che l'apocalisse sia arrivata durante il giorno di raccolta dei rifiuti ingombranti. A conferma di tutto ciò, queste immagini dal fascino tetro sono state girate proprio in Scozia dall'amica della band Mia Forrest, che tra le altre cose è anche un'Artista Ufficialmente Selezionata per il festival dei cortometraggi di Cannes 2016. 

Tra mobilio abbandonato e condomini grigiastri emerge una curiosa a bellissima performance di danza moderna. In toto, il video è un'opera cinematografica impressionante che aggiunge tensione drammatica a una canzone che già di per sé sprizza ennui e disperazione da ogni sua nota. 

Leggi la nostra brevissima intervista con Jasmine e guarda il video qua sotto. La tiratura europea dell'album è a cura dell'italiana AVANT! Records. E di chi se no? 

Noisey: Gli scenari sono favolosi. Chi ha individuato le location? 
Jasmine Dunn: Mia Forrest, che avevamo contattato perché creasse qualcosa per noi, stava per partire alla volta del Festival del Cinema di Edimburgo per presentare uno dei suoi corti, e mentre si trovava là ha gentilmente noleggiato una telecamera e cercato delle location che fossero abbastanza squallide.

Mi piace la coppia anziana che alza le mani. Si riesce quasi a sentirli ringhiare "Vaffanculo te e la tua telecamera" con il tipico accento scozzese. Siete mai state in Scozia? 
Sicuramente lei dice qualcosa del genere. Non siamo mai state in Scozia, non è esattamente tra le prime posizioni nella mia classifica dei posti da visitare. Ma chi lo sa, magari la prossima volta che ci troveremo da quelle parti faremo un tuffo nel Mare del Nord.

Mi ci è voluto anche un po' per capire che c'era una persona che ballava sotto il telo dorato. Di chi si tratta? 
Una delle amiche di Mia, molto paziente, si è sacrificata e ha ballato per un giorno intero avvolta in una coperta termica. 

Il primo album delle Pleasure Symbols uscirà il 2 settembre su AVANT! Records.

Recensioni

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Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

 

Crystal Castles - Amnesty (I) - Fiction Records

 La copertina di questo disco è molto bella, tutto il resto fa incredibilmente schifo… Forse anche la copertina, via. Diciamo che l’intera esistenza dei Crystal Castles non è mai stata fonte di esperienze indimenticabili, ma da quando Alice Glass ha imboccato una direzione perpendicolare a quella del suo “socio” l’intero progetto mi è diventato ancora più insopportabile. Il mio giudizio si basa soprattutto sull’elemento più importante per giudicare un disco: la faccia del suo autore. Ora, Lombroso magari non aveva completamente ragione, ma Ethan Kath ha lo stesso fenotipo di tutti gli stronzi che ho conosciuto in vita mia e la sua musica (che in questo disco è costretta ad essere davvero sua) non fa nulla per farmi cambiare idea. La nuova vocalist è stata buttata lì più o meno per caso e in generale questo disco non serve a niente a meno che non siate andati a farvi criogenizzare con Steve Aoki, dieci anni prima di lui.

ALESSANDRO ANARCO-BORGHESE

 

GONJASUFI - Callus - Warp

 La prima e l’ultima volta che ho visto Gonjasufi dal vivo ero al Primavera Sound e già li capii che qualcosa stava cambiando: il nostro sembrava quasi convertito alle distorsioni nu metal. E adesso me lo ritrovo con questo discaccio. L’inizio sembra PJ Harvey che fa finta di essere nera e uomo, mentre ascoltando "Carolyn" spunta un Frank Zappa sempre nero pece, "African Spaceship" è molto ok ma "Krishna punk" sembra la presa per il culo dei Muse. Poi canta a cazzo dei finti pezzi pop tipo "Vinaigrette" (ricordate il voltafaccia di Prurient?) rendendoci basiti. Un disco darkettonissimo, eccessivo, a volte troppo enfatico perché risulti vero, e in odore di trip hop che estremizza l'ultimo capitolo dei Portishead (che invece era credibile). Pezzi brevi, a volte abbozzati nonostante la cura negli arrangiamenti ma roba tipo "Elephant Man" ci piace, fa schifo il giusto. La grossa pecca è la presenza di troppi pezzi troppo cadaverici ..’na sfoltita no? Alla fine gli diamo uno smile per il coraggio delle soluzioni sonore e pure perché, visto come je sta, magari mi si deprime troppo. D'altronde èun disco che ritrae un’era: quella nella quale non si riesce a tirare fuori quello che si sa.

PROZAC TEMENO

 

KA - Honor Killed the Samurai - Iron Works

 Svelti: chi è l’equivalente rap di Steve Buscemi (cioè una persona che è un capo a fare la sua arte e fa anche delle cose incredibili per la sua comunità)? Avete risposto Ka? Bravi! Kaseem Ryan, che nei Novanta faceva parte di quel collettivo oggi semi-dimenticato che furono i Natural Elements, oltre a fare il rapper oggi fa il capitano dei vigili del fuoco in un distretto di New York. Un lato positivo della gabola in cui è incappato, che vi abbiamo raccontato qua è che le bombe che scrive (e produce, e cura sotto ogni aspetto) sono arrivate a un sacco di persone che magari non l’avevano mai sentito. Ora: perché la sua roba è una figata? Perché è sporca ma affascinante come la NYC in cui è nato, quella dei 70s, in cui a girar di notte anche una porta che scricchiolava ti faceva cacare in mano. Le sue basi sono suggerimenti di basi, qualche suono in cui fa ogni tanto capolino un timido hi-hat, e i kick sono più rarità che consuetudine. I suoi versi sono racconti autobiografici sussurrati con padronanza del vocabolario ma senza alcuna traccia di prolissità, il tutto applicato a un immaginario giapponese che, più che Wu Tang, vi farà venire subito voglia di guardare davvero un film di Kurosawa fino alla fine. 

L’ANTIPAPA BONIFACIO VII

 

JESSE OSBORNE-LANTHIER - As The Low Hanging Fruit Vulnerabilities Are More Likely To Have Already Turned Up - Halcyon Veil

 Uno dei modi di fare musica elettronica più interessanti di questi ultimi anni è, per usare un termine abbastanza pretenzioso, l’hacking: crackare le funzioni dell’attenzione, dell’emotività, dell’intensità, dell’energia e allo stesso tempo intervenire olisticamente sulle stratificazioni socio-culturali del codice musicale stesso. Spesso poi ci si preoccupa di riassemblare questi codici per costruire una specie di spazio inutile, un ecosistema libidiale e problematico. Jesse Osborne-Lanthier, tra tutti, probabilmente è quello che porta alle conseguenze più estreme questo stesso atteggiamento. Nel senso che in questo A.T.L.H.F.V.A.M.L.T.H.A.T.U. non si accontenta di posizionarsi nell’habitat una volta riconvertite le regole, ma ci mostra un processo di mutamento continuo in cui le esplosioni ritmiche che occupano tutte le posizioni possibili dando vita a drop che non si muovono e quello che c’era di riconoscibile (frammenti che una volta potevano appartenere a un qualche genere di musica dance) è in preda a una evoluzione incontrollabile, come se la macchina-producer continuasse a convertire materia in energia in un loop di trance da HDADD, fino a immolare se stessa e diventare dio. 

DOTTOR POLITICO CARINO

 

PABLITO EL DRITO - ZOMBIE MORODER - VYNIL PRESERVATION SYNDICATE

 Se c’è una cosa che è morta male e poi si è zombificata peggio è la chiptune, o micromusic, o come la volete chiamare (sono sicuro che qualcuno mi vorrà male perché, mi spiegherà, c’è una gran differenza tra i due generi e poi anche la 8bit Music e insomma NON ME NE FREGA UN CAZZO). Fare musica con videogiochi desueti è stata un’idea figa per un po’ a metà anni Duemila, ma dopo Zomby prima e Deadmau5 poi direi che dovreste mettere il Game Boy da parte a meno che non siate tra i pochi che ci sanno ancora produrre roba di gusto. Sono pochissimi, eh, e stanno quasi tutti a Milano. Uno che mi viene in mente è Tonylight, un altro sicuro Pablito El Drito della RXSTNZ crew. A sto giro Pablo usa la sua macchinetta per scodellare quattro tracce che sanno di garage uk pestata e bella dens mista a bassline e rullate straripanti tipo electro da Panzerkreuz. Non a caso, visto che prima parlavamo di non-morti, l’EP si intitola “Zombie Moroder”. Tutto torna.
BIOLLANTE PLACIDO

 

PARTYNEXTDOOR - P3 - Warner

 Buongiorno a tutti! Per iniziare questa recensione, ho copiaincollato tutti i testi di P3 in un generatore di word cloud. Qua sotto, il risultato:

Ora: Party sarà anche capace a scrivere canzoni, mica siam qua a dire che è un coglione che non ha mai aperto un software di produzione. Se 40 e Drake se lo sono preso è per le sue innate capacità di scrivere brani come-li-vogliono-loro, e come tutti quelli che hanno recentemente cercato di diventare famosi un po’ rappando e un po’ cantando li vogliono: lagnosi, sognanti, tristoni, annebbiati, drogati, se proprio leggermente ballabili passando per un’influenza dancehall. E P3 contiene ben sessantacinque minuti di synth gelidi, percussioni rade e vocalizzi come già ne avete sentiti 896123 volte negli ultimi tre anni. Alché uno dice ok, musicalmente niente di che, i testi? Eh? Quelli almeno? No, raga, no. Perché non c’è una canzone che non parli della stessa cosa: cioè una baby che deve come now ‘cause è quello che party wants, ed è sweet e sexy fare sex in the six, mama. No? No. Proprio no. 

SENATOR CONTE GIBERTO ARRIVABENE VALENTI GONZAGA

 

BRITNEY SPEARS - Glory - RCA

 Ogni nuovo album di Miss Spears, ogni sua apparizione, è per noi fan un sospiro di sollievo. Noi che abbiamo formato la nostra coscienza di fan durante il suo meltdown, siamo per forza di cose diventati come i parenti che si preoccupano quando non ti sentono per un po', e ti chiedono come va, se stai lavorando, se hai bisogno di soldi, il moroso eccetera. Assodato che Britney il moroso non ce l'ha (e meno male dato che da Justin in poi s'è presa un'armata di coglioni), incalziamo per capire se la nostra parente acquisita se la cava bene. E lei chiaramente è consapevole del rapporto un po' apprensivo che la sua fan base ha nei suoi confronti, quindi si impegna per rispondere con onestà—anche perché dopo quel crollo non è che abbia poi tanto senso nasconderci le cose, ti conosciamo Britney, a noi mica ci freghi. E cosa c'è meglio di un album che si intitola Glory, sulla cui copertina la nostra si staglia come una leonessa pralinata, per farci capire che è ok, ci siamo, non è in pericolo imminente, anzi sembra passarsela alla grande. In Glory sembra che Britney desideri mettere un punto a una serie di domande che ci si fa su di lei: innanzitutto non c'è un pezzo che non sia una hit, e parliamo (per la versione Deluxe che è quella che ho acquistato io) di ben diciassette tracce, mica cazzi. Quindi se qualcuno ancora avesse dubbi sull'andamento del grafico-carriera di Spears, eccolo servito. Seconda cosa, questo è un disco che parla di sesso, anche esplicitamente, dal punto di vista di una donna che sa cosa vuole e ha capito, dopo una serie di eclatanti inculate, come rimettersi in sella e riprendere in mano le redini. Quindi, insomma, noi fan possiamo stare tranquilli: la nostra ragazzona della Louisiana è finalmente tornata in piena forma. 

BRITNEY SPRITZ

 

VINCE STAPLES - Prima Donna - ARTium / Def Jam

 Questa intervista di Dazed mette l’accento su come Vince Staples sia un tipo straight-forward, nel senso che non ama drammatizzare la condizione di giovane afroamericano che fa rap, e in generale detesta chi dà per scontato che i ragazzi come lui crescano in contesti per forza "difficili". La difficoltà che incontra Vince, uno dei rapper più vicini al modello europeo di hip-hop (leggi: Yung Lean), non è nel contesto, ma tutta interna alla propria coscienza, come gli intermezzi che aprono, intervallano e chiudono questo EP, in cui Vince parla o canta una specie di ninna-nanna a se stesso. Probabilmente con questa generazione sta finendo il mito del rapper gonfio di rabbia nei confronti della società al punto da coltivare un culto della personalità e della gang che fungeva in un certo senso da barriera. Ora il rapper è quello che ti racconta di quanto si caga addosso prima di andare a suonare su un palco, di quanto si caga addosso in una stanza di hotel da solo, in generale dei problemi che nascono nel suo cervello e rimangono lì, pronti a popolare i suoi incubi. Insomma, ti racconta che il mostro ce l'ha dentro. E quel titolo, Prima Donna, insieme alla cover in cui il suo volto è distorto come attraverso un vetro deformante, sono la chiave per capire che Vince ci sta dicendo che non devi aver paura di quello che vedi quando  guardi fuori dalla finestra, ma devi fare attenzione quando ti guardi allo specchio. Forse in un momento in cui le grosse personalità dell'hip hop sono diventate così gonfie dall'aver saturato lo stesso concetto di rapper, la secchezza pragmatica di Vince è l'unica strada alternativa percorribile.

ULTIMO UOMO

 

TAETER  - GLORIOUS PARAPHILIA - NO RENT RECORDS

 Ma il powerelectronics e'morto? E chi lo sa:nel caso lo fosse ecco il prode Tisbor ( noto per i sui sfasci harsh noise nelle ragioni sociali di Fecalove, Splinter vs Stalin e Pornocane) pronto a resuscitarlo con questa raccolta tematica. Si parla di cose molto belle come la parafilia, incularsi i maiali e allargare il buco del culo ma anche di ricoprirsi di insetti il cazzo. La musica  e' appunto powerelectronics di stampo neoclassico tipo l' ultimo Bowie se egli avesse mangiato la cacca, ma con personale piglio minimale, dronico slabbrato e a volte free jazz, in cui lo spoken word ci rimanda alle gioie della perversione a tutto tondo.

DICK OFTHEDOG

 

SCOTT WALKER -  THE CHILDHOOD OF A LEADER OST - 4AD

 Diciotto pezzi per la colonna sonora di un film che non ho ancora visto (non so… qualcuno che non è stato a Venezia lo ha visto? i tempi della filmografia mi confondono e odio andare al cinema) ma che vedrò sicuramente perché dalle premesse parrebbe una bomba. Il fatto di scegliere Walker come colonnasonorista non è probabilmente dovuto solo al fatto che gli serviva qualcuno capace di fare musica terrificante come le mostruosità della realtà e non come quelle della finzione (sulla scia di quando Winding Refn ha messo “The Electrician” all’inizio di Bronson), ma anche dal suo eterno interesse per i dittatori, il fatto che fossero stati amati e/o capaci di amare non scongiurasse affatto l’orrore che gli scorreva nelle vene. La palette sonora è composta da tutti i migliori walkerismi, tipo l’orchestra che scavalca quasi per intero il registro che non è composto da bassi grevi o da staccato altissimi che bucano i timpani. Come al solito sembra fare a pezzi il lavoro dei musicisti per ricomporlo e disumanizzarlo, ma senza la sua voce guida il risultato è forse ancora più malvagio, senza la possibilità di contemplare le infinite possibilità che stanno in mezzo tra il carnefice e la vittima. Daje. Nessuno faceva una cosa così figa con gli archi da Mica Levi e la OST di Under The Skin.

PARLANOIO GESTIFICATO

 

Young Thug - Jeffrey - 300 Entertainment


 Rido di tutti quegli imbecilli convinti che Tupac e Biggie siano meglio di Thug. Mi dispiace molto per voi maledetti degenerati che non abbiate abbastanza capacità intellettuali per capire la portata artistica di questo capolavoro, ma la storia vi darà torto e il nome di Young Thug rimarrà inciso negli annali della storia umana come uno dei più grandi artisti che siamo riusciti a consegnare alla sfera del reale. 

HARAMBE DI MISERICORDIA

 

 

Gli otto momenti più surreali del Burning Man

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Immagine via Youtube

Questo momento dell'anno, che per noi significa tendenzialmente tornare alle tristi scrivanie dei nostri uffici, per gli statunitensi ha tutto un altro senso: dal 28 agosto al 5 settembre, infatti, il Nevada vede sorgere la megalopoli surreale del Burning Man, il festival in cui ogni matto americano ha messo il piedino almeno una volta in vita sua. Tra outfit praticamente inesistenti, pazzi gruppi di campeggiatori, installazioni cyber gigantesche e biciclette ricoperte di pelliccia, Black Rock City rappresenta una città magica, in cui tutto può succedere.

Se siete tra gli sfortunati che non hanno mai messo piede al Burning Man e nemmeno quest'anno saranno lì, la vostra unica fonte di follia desertica è rappresentata dai video che girano per la rete. Anche in questo caso, però, vi sarete forse persi dei pezzi importanti, e qui interveniamo noi: abbiamo cercato di rendere in parte l'atmosfera del festival selezionando gli otto momenti più assurdi, fuori di testa e surreali del Burning Man.
 

1. Il DJ set di Skrillex da un carro per un pubblico di sabbia

La canzone è "I Need Air" di Magnetic Man, il che potrebbe non essere un caso. 

 

2. Un matrimonio in stop-motion

I matrimoni al Burning Man non sono per nulla rari oggigiorno, ma questo video è stato creato interamente in stop-motion, rendendo l'evento, già di per sé folle, ancora più surreale. In più come colonna sonora c'è "Changed" di Mario (aka Mario Basanov, aka Ten Walls) & Vidis. Possa la fiamma del loro amore bruciare più a lungo della carriera di Basanov

 

3. Un carro ispirato al leggendario vestito di Amber in Clueless

 

4. Le Mystere De Papa Loko

Costumi da KKK, neonati e peni dipinti: le opere del Burning Man sono leggendarie. Ecco un riassunto dell'edizione 1999, trovato sul sito ufficiale:

"In una cerimonia di Mistero e Sacralizzazione, i membri delle cinque sette di Playa Voudoun (gli uomini-serpente dei fanghi verdi di Damballah; i guerrieri rossi dalle spade di fuoco di Ogoun; le erotiche e di bianco velate Ezilis; le oscene, morbose, lunatiche e di nero velate Guede; gli energetici percussionisti e costruttori di Couzin Azaka) hanno invaso il fiammeggiante Sacrosanct Pentagon. Al culmine del rito, altari e totem giganti sono stati dati alle fiamme. Danzando freneticamente attorno al fuoco, i Children of the Spirits, seguiti da tutti i partecipanti al Burning Man, hanno attraversato il fuoco del Portal of Life and Death in una cerimonia di battesimo del fuoco verso una nuova epoca."

 

5. Il primo Burning Man di Katy Perry

Katy Perry è in grado di cantare "Firework", ma non sembra in grado di far funzionare un Segway. (Celebrità: sono proprio uguali a noi!) "Obvious first time burner alert", ha scritto condividendo questo video su Instagram.

 

6. Halcyon and on and on...

In cui un uomo passa la maggior parte dei quattordici minuti di questo video a distribuire adesivi agli altri Burner. Il momento più alto è attorno a 7:50, quando si può sentire in sottofondo "Glamorous" di Fergie. Dieci anni dopo rimane una bomba. 

 

7. Burning Man 2014: Vita da Orso

Anche solo per la sua fantastica colonna sonora. "Summertime Sadness" di Lana Del Rey è il top della ricerca di se stessi fra le dune. 

 

8. The Burn vs. La Vescica

Sull'esperienza di vedere l'Uomo bruciare: "L'Uomo è esploso, e c'erano fuochi d'artificio, ed era bellissimo, e l'Uomo continuava a bruciare... e a bruciare... e a bruciare... e le nostre vesciche si riempivano sempre di più... e di più... e quel maledetto coso non si decideva a crollare... Molta gente dice che questo sia stato il peggior rogo da molto tempo a questa parte".

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La vita acida di D. Carbone

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Qualche tempo fa vi abbiamo presentato Ravers di D.Carbone, in cui il co-fondatore di Repitch e 3th dava sfogo a una nuova urgenza, contemporaneamente più aggressiva e più estatica, l'energia riottosa della cassa a 150BPM dentro una colata di acido preso bene. Questo Acid Life (con cui inaugura la nuova Carbone Records, gestita stavolta in solitaria) conferma che Ravers non era soltanto un esperimento, ma una nuova direzione organica per tutte le nuove uscite firmate da Davide, per quanto il nuovo spinga ancora di più l'acceleratore e renda insistente il groove. Insomma se quella era roba da mattina del secondo (di tre) giorni di rave, questa è da peak time in uno scantinato dove anche i muri si stanno sudando via l'anima.

Se volete una dimostrazione molto veloce di qual è l'immaginario a cui ci stiamo riferendo preparatevi all'ascolto con il videoteaser (qui sopra) realizzato da Andrea "Fax" Familari, che propone una metafisica dello smascello con protagonista il producer in persona, sintetizzando le metamorfosi di Chris Cunnigham quando era fidanzato con Aphex dentro la quotidianità dei raver di tutte le epoche. Allo stesso modo, quel digrigno distruttivo a costruttivo allo stesso tempo coincide con il modo in cui le quattro tracce di Acid Life sanno triturare l'ascoltatore mentre muove il culo. Per iniziare ascoltatevi "Acid Should Be", che vi presentiamo in anteprima augurandoci anche noi che non ci sia mai carenza di acido.

Jerry Calà, l'ultimo vero punk italiano

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"I tuoi capelli unti sono come mortadelle" (Joe Lurido)

Ragazzi miei, anche quest’estate volge al termine e sembra volata via, ahimè, proprio come la sabbia fra le mani. Un'estate che, senza dubbio, è stata caratterizzata da una serie di mischiozzi e di controsensi stilistici inquietanti che in qualche modo sigillano definitivamente un’era. Chiappe al vento mai tanto esposte, in una dose superiore allo storico delle estati, ma nello stesso tempo vige la regola "annusare e basta", l’immagine dell’amore è definita da due persone che siedono a un tavolo guardandosi i telefonini anziché negli occhi in uno spontaneo slancio no future, una certa predilezione per i grassi in cucina o all’opposto, perfettamente speculare, per le diete vegan e bio: in generale basta che la regola sia L'Estremo. E appunto, come scrivevo nel mio articolo sulle feste patronali, la fa da padrone uno schiamazzo musicale che missa cose inconciliabili, a patto che siano di facile presa nervosa (che sia un wobble insensato o un ritornello melodico).

Insomma, chiamerei questo fenomeno il punk della Vita Smeralda: vivere sopra le proprie possibilità, e nel frattempo covare un nichilismo senza speranza della serie “happy to have and not to have not,” come diceva uno fra i primi profeti dell’incontro fra yuppies e borchiati. Ma mentre John Lydon in Inghilterra si viveva gli anni merdosi della Thatcher volgendo una situazione penosa a suo favore, qui in Italia musicalmente non abbiamo mai avuto, spiace dirlo, un personaggio alla sua altezza. O forse sì: il suo nome, udite udite, potrebbe essere JERRY CALÀ.



Voi mi direte: ma Jerry Calà quello delle commedie comiche anni Ottanta? Quello che faceva lo yuppie? E poi non era un attore? Che ci azzecca? Eh, cari miei, lasciate a casa i pregiudizi, perché invece ci azzecca eccome: la sua attitudine potrebbe trasformarlo nel John Lydon di casa nostra, se non addirittura in una versione all’Italiana del suo compare bassista dei Pistols, ovviamente con tutti i nostri vuoti vizi italiani (Sid Calà Vicious insomma). Infatti, il sessantenne Lydon ha un passato da investitore immobiliare a Los Angeles, con conseguenti soldi a palate, nello stesso periodo in cui Calà traduceva in pellicola gli anni Ottanta dell’edonismo senza limiti, gonfiando giocoforza il proprio portafogli.

Lydon, dopo questo fortunato exploit ha lentamente disceso il monte. Negli ultimi anni ha partecipato a reality discutibili e fatto diverse marchette, oltre ad aver intensificato le sue prestazioni attoriali prendendo parte, tra le altre cose, a pubblicità inverosimili per giungere ai suoi sacrosanti scopi (ovviamente riesumare i PIL, con risultati alterni).

Pure il nostro Jerry ha da poco spento sessantacinque candeline e se ne va in giro con uno spettacolo opinabile per riesumare anche lui anni d’oro che non torneranno manco per scherzo. Addirittura, è passato dall'essere cantante occasionale a performer a tutto tondo: in pratica riesegue dal vivo tutte le colonne sonore dei suoi film di cassetta—principalmente le grandi hit del periodo Ottanta—davanti a platee da tutto esaurito di gente impellicciata anche d’estate tra Porto Cervo, Forte dei marmi e via discorrendo. La questione punk è che il nostro non sa cosa voglia dire il bel canto e quindi in qualche modo massacra, oltre alle sette note, anche la sua memoria, com’è giusto che sia. E in un certo senso è proprio questo il motivo per cui la gente lo va a vedere.

Buttando letteralmente tutto in vacca, Jerry sigla una vittoria totale anche nel perdere clamorosamente—almeno nel cinema, dove oramai è un reietto completo. Anzi, riciclandosi come cantante ed entertainer pare che si sia costruito una carriera parallela e cocciutissima (obiettivamente il nostro Jerry non ha intenzione di mollare nemmeno se gli mancano le idee, in questo non è diverso... Che so… Dai GBH che portano in giro i loro soliti show, anche se oramai vanno a regime dialisi. Se non è punk questo...). La cosa interessante è che il nostro attira un bel po’ di giovani, magari per i motivi sbagliati, come d’altronde fa anche il punk. Gallina “vecchia” fa sempre buon brodo.


E allora che musica sia. A prescindere dai paragoni scomodi sui quali si può tranquillamente discutere, la storia che lega il nome di Jerry Calà al punk italiano risale al 1987. Sempre sensibile alle tematiche balneari, il nostro Jerry fu protagonista di una serie TV chiamata Professione Vacanze in cui impersonava un animatore in un villaggio turistico in crisi, catturando gli umori del periodo e caratterizzando subito (come da tradizione del nostro) la figura emergente del momento (ricordiamo suoi precedenti illustri ne Il Ragazzo del Pony Express, nello scapolo impunito di Vado a Vivere da Solo e via discorrendo).

Sennonché ad un certo punto a rovinare l’armonia del villaggio arriva una masnada di punk agguerritissimi che, a furia di atti vandalici, occupano il posto senza se e senza ma. A quel punto Jerry deve trovare un modo per tenerli a bada ed ecco qui l’idea geniale che segnerà un’era: si fingerà punkrocker truccandosi di tutto punto, cresta inclusa, ed esibendosi in un concerto per sola voce, chitarra distorta scordata e ampli settato rigorosamente sulle medio alte, con grande spazio alle smerdate soniche con la leva. Nasce JOE LURIDO. Ovviamente straapplaudito dai punks in questione che lo idolatreranno fino a che, riconosciuto, non sarà quasi linciato.



L’impatto di questa emanazione di Jerry sull’immaginario punk anni Novanta sarà devastante: per il piglio prettamente demenziale, il testo e la musica di “Pattini e ti Spettini” sono figli dei Sorella Maldestra più che degli Skiantos, con una zoraggine che porta direttamente a quelli che saranno gli anni del grunge. Perdipiù nel testo la confusione totale fra dark, punk e skater lo rende subito un classico del sincretismo che verrà: tanto che molti dei gruppi punk dell’epoca impararono a suonare proprio con “Pattini e ti Spettini” (fra gli insospettabili, alcuni membri degli Assholes… Ebbene sì).

A parte questo, il nostro eroe ha sempre lanciato messaggi chiarissimi rispetto al suo amore per la materia. Principalmente nel film cult I Fichissimi, una sorta di Warriors all'italiana nel quale Jerry fronteggia Abatantuono, il capo della banda rivale di teppisti: un film tutto droga, metropolitane, periferie cupe e slang a volte incomprensibile, che è a tutti gli effetti una commedia punk italiana. Tanto che mentre Jerry ascolta il walkman dimenandosi in metro esclama “come mi acchiappano i Sex Pistola!”.


Seguono altre citazioni fra le quali quella tributo agli Skiantos di “Mi Piaccion le Sbarbine”: si potrebbe obiettare che Jerry lo faccia solo per attirare fette di giovanilismo, ma già dai tempi dei Gatti di Vicolo Miracoli dava segni di squilibrio. Nel film Una Vacanza Bestiale, finisce a guidare un tassì con una bella cresta moicana, citazione ovvia di Taxi Driver, ma ibridiata evidentemente con le “avanguardie storiche”. Negli stessi singoli dei Gatti di Vicolo Miracoli, intrisi di post-beat (Jerry ha fra i suoi miti assoluti Celentano e suonava in un gruppo beat di Verona, i Pick Ups, che finirono anche fra le pagine di Qui Giovani godendo i loro quindici minuti di notorietà) e di “disco rock demenziale” anche qui non lontana dai ritmi di “This Is Not a Love Song”, il nostro inanella una serie di slogan con attitudine tipica del punk italiano (pensiamo ai Decibel o a Ivan Cattaneo, famosi per l’utilizzo di un linguaggio mutuato dalla pubblicità e dalle parole anglosassoni) “io ti spacco il Flipper sulla testa e ti spedisco a Bergamo in tassì” è la frase contenuta in "Discogatto" che non ha fatto dormire generazioni nella sua lucida follia luddista e che consegna Jerry alla storia come il “non cantante”, il performer scatenato fuori dal coro e dalle regole.

Per non parlare dell’ostinato di "Capito?", in cui appunto, non fa altro che pronunciare la parola “capito” come un ritardato, manco fosse Paska: insomma il nostro non si risparmia, tanto che nella sua comicità la musica è onnipresente e sempre legata a un atteggiamento della serie “non mi frega un cazzo”. Nella storica pellicola “Vacanze di Natale” impersona perciò un pianista di pianobar che pensa a tutto tranne che a suonare bene e cantare decentemente, guidato in questo dallo slogan punk” non sono bello ma piaccio”, ed ho detto tutto. In "Vado a vivere da solo" poi c’è un altro mito ineguagliabile, in altre parole la tazza punk. Si insomma la tazza del cesso che quando ti ci siedi per rilasciare inevitabilmente rumori molesti attiva la musica di un juke box collegato elettronicamente da un semplice circuito on- off. Un rimedio da autodidatta musicale, quale il nostro confessa di essere, cosa che lo mette sul piano dei Ramones del prendi, suona, e quel che esce esce. 



Il linguaggio comico di Calà poi è prettamente sonoro, come se insomma campionasse delle parole a caso che non fanno ridere per storpiarne il suono e renderle in questo modo comiche, anche se non vogliono dire un cazzo. Un esempio micidiale è in tutto il film Bomber, quando tipo viene colpito da una secchiata di acqua fredda ed esclama "AAH SCIAQUAFRESH” citando una pubblicità d’epoca in maniera tanto decontestualizzata che un ragazzo di oggi potrebbe ridere (se ride) solo per il modo in cui viene pronunciata, smontando così il meccanismo réclame/merce, con un détournement sbeffeggiante. La stessa “Libidine coi Fiocchi” è una battuta che si regge solo per la mimica vocale, per non parlare del campionamento comico e cantato lì per lì di “è tanto che aspettavo un’occasione così”, tratto sempre da una pubblicità d’epoca della Opel che caratterizza l’altra epopea cineestiva di Rimini Rimini.

E poi ovviamente l’italo disco. Ma quella appunto dell’Italian Records dell’ultimo periodo, non solo per i suoni ma proprio per attitudine: sberleffo per fare i soldi, anello mancante fra il punk irriverente dei due-accordi-due e lo yuppismo che vuole successo ora e subito. Da qui la trasversalità del personaggio che unisce non solo grandi e piccini, ma anche viveur e weird scoppiati col crestino. Anzi, in un certo senso si erge pure a criptico paladino della new wave esibendo un Juno 70 della Roland in Abbronzatissimi del 1991, dal quale escono basi preregistrate in un assoluto cortocircuito synth-punk, anche se da quella macchina ottenere questo è impossibile (Martin Rev ha tentato di fare una cosa simile con l’album dei Suicide American Supreme, ma forse a Jerry la cosa è venuta meglio).

 
A differenza del suo collega Umberto Smaila, compositore preparato e forse per questo completamente a suo agio nell’epica autoreferenziale dei club notturni pieni di sfattume cui aderisce, il nostro amico Jerry mantiene quel piede in due scarpe che gli permette anche di prendere le distanze e autoprodursi in totale DIY, senza farsi schiacciare dall’industria, e di girare un assoluto capolavoro dell’assurdo quale Pipì Room, un film cult destinato solo alla televisione per ovvie ragioni: trattasi di un’opera girata tutta nei cessi delle discoteche, tirando fuori quadretti indigesti di sesso, droga e compagnia bella, insomma un film come un album degli Exploited: Sex and Violence versione club—e ovviamente alte dosi di cattivo gusto—uno spettacolo dei GWAR patinato e senza costumi, un “Atrocity Exhibition” cocainomane in cui non si ride, ma si rimane completamente impietriti dal degrado umano che, purtroppo, esiste veramente.

Ma il mondo di Calà non è solo iperrealista, è anche basato sull’eccezione, succedono cose mai viste, al limite del dada: nello sfortunato sequel di Vado a Vivere da Solo (ovvero il prevedibile Torno a Vivere da Solo), Enzo Iacchetti impersona un gay che, come in una specie di redenzione per salvare generi e cavoli, si mette insieme a un trans e i ragazzini pensano alla fica tutto il tempo invece che a giocare. Insomma cose belle, manco fossimo nell’immaginario dei Mr Bungle.


Tornando alle capacità testuali / vocali del nostro, forse il più grande capolavoro nichilista di Calà è l’interpretazione di Parola, ovvero la spalla muta di Lino Banfi in Al bar Dello Sport. In questo film Jerry non pronuncia neanche una sillaba, mima solo in maniera straniante qualcosa che non si sarebbe capito neanche se avesse parlato (appunto, le sue battute). Lo vediamo però mimare un Toto Cutugno d’annata, “L’Italiano”, phon in mano a mo' di microfono, prima di sputtanarsi i soldi vinti al Totocalcio in un atto (appunto) dissacrante nei confronti della canzone-manifesto dell’Italia nazionalpopolare che si rivendica una qualsivoglia etica. Tant’è che il nostro, dopo un po’ di tempo sarà diretto da uno fra i registi più anarchici dello stivale, in altre parole Marco Ferreri: quest’ultimo, dopo averlo “scoperto” durante le sue notti insonni a fare zapping con la tv, lo fa recitare da protagonista in Diario di un Vizio nella parte (ovviamente) di un disturbato. 

Paladino dell’8 bit – dedicato a Alexandre Saint Honorè

Nonostante la stampa abbia amplificato lo sdoganamento di Calà alle nuove generazioni dovuto alla sua comparsata hip hop nel programma Sorci Verdi, voluta fortemente da J-Ax, il nostro non ne aveva assolutamente bisogno. Lo ribadiamo: il suo posto è fra i punks, non fra i rappettari. Infatti, addirittura fra le pagine del quotidiano satirico punk Hardcorella Duemila si parla di una denuncia da parte dell’attore ai danni di tutta la comunità hardcore-punk a causa delle chiamate anonime nel cuore della notte e richieste di saluti da parte di gente ai festival di genere.

Esiste in effetti una pagina facebook a riguardo ed è tutto verissimo, tanto che perfino il nostro Birsa può testimoniare l’esasperazione di Jerry dall’altra parte della cornetta di fronte a tanto affetto (pare che ad un certo punto l'unico modo per farsi rispondere fosse chiamare col numero criptato e far sentire a Jerry la voce di una donna), che solo un’icona genuina può suscitare. Ma gli perdoniamo questa debolezza: d’altronde il suo libro autobiografico uscito lo scorso aprile, Una Vita da Libidine, sembra essere uno dei più letti dell’estate. Si fa mandare addirittura i selfie della gente che lo legge al mare, un po’ come il nostro Mattioli con Superonda. Non approfondiamo però chi si è ispirato a chi, prendiamo solo in considerazione l’aspetto popolar/punk/spontaneista della faccenda (Valerione, secondo me Jerry si è pure comprato il tuo libro).

Non sappiamo però cosa aspettarci dal futuro: il modello Calà “mix appeal” che è tanto in voga ci porterà alla rovina definitiva o in paradiso? Tutto sommato, a scanso equivoci, ci risponde lui stesso: “Gli anni Ottanta erano gli anni del rischio, anni in cui ci si buttava in imprese folli. Gli Yuppies ad esempio erano dei cazzoni, ma avevano voglia di fare. Credo che oggi i ragazzi siano troppo viziati, annoiati. Hanno tutto. Quando ero giovane io le cose ce le andavamo a prendere con le unghie e con i denti perché avevamo fame”. Capito? Altro che vita smeralda. Ma se “There’s no authority but yourself”, sarà comunque libidine coi fiocchi. 
 

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Questa pubblicità di Kenzo è il miglior videoclip degli ultimi anni

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Vi stupireste se vi dicessi che la pubblicità dell'ultimo profumo di Kenzo, Kenzo World, diretta da Spike Jonze, è meglio del 94 percento dei video musicali esistenti? No, infatti. Quest'uomo ha un cervello straordinario ed è dagli anni Novanta che lo usa per girare alcuni dei video promozionali più influenti della cultura pop.

Al giorno d'oggi i videoclip sono sempre meno patinati e grandiosi. La cosa più importante è usare la fantasia e sfruttare al meglio un budget ridotto. Spike è da tempo passato a progetti più corposi, ma questo ritorno alla pubblicità di moda è essenzialmente un video musicale per la canzone "Mutant Brain" di Sam Spiegel (il fratello di Spike) & Ape Drums, feat. Assassin. Forse non lo sapete, ma Sam produce musica con il nome di N.A.S.A. ed è il fratello di Spike, mentre la mente creativa dietro a Kenzo, Humberto Leon, è uno dei migliori amici del regista (ha anche contribuito a fondare Opening Ceremony e i due hanno collaborato diverse volte nel corso degli anni).

All'inizio del video la ventunenne Margaret Qualley, che avete già visto in The Leftovers - Svaniti nel Nulla, si trova a una cerimonia seriosa, ad ascoltare in silenzio i discorsi, indossando un alquanto spettacolare vestito da sera verde (ovviamente Kenzo). Ma è quando sgattaiola fuori dalla sala, con una lacrima o due che le rigano il viso, che le cose si fanno veramente interessanti. La canzone ci aggredisce con un beat campionato scientificamente per il movimento incontrollato, e Margaret non si tira indietro. Con un perfetto mix di eleganza, goffaggine e possessione demoniaca—secondo la coreografia di Ryan Heffington—la Qualley rade al suolo tutto quello che la circonda tra un calcio volante, una piroetta e un dito laser.

Guarda il video qua sotto. 

 

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Fat Joe non accetta che Young Thug si vesta da donna

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Immagine da YouTube

Fat Joe non è esattamente la nostra persona preferita del Pianeta. Cioè, è più o meno dai tempi di “What’s Luv”, quando andavano di moda i cappellini alla Luca Sardella, per intenderci, che il Grasso Giovanni non fa niente di degno di nota. 

Da allora il mondo è cambiato, ma Fat Joe non sembra volersi mettere al passo coi tempi. Sì, ha piazzato un paio di mezze hit qua e , ma sostanzialmente la sua retorica è rimasta parcheggiata a quella roba di soldi, zoccole e vestiti costosi—niente di particolarmente originale—quindi se è ancora a galla il merito non è suo, ma di chi continua a fornirgli dei beat decenti. 

Più di recente, Joe è diventato una specie di rappresentante di MarketAmerica, un sistema piramidale di vendite porta a porta con cui lui sostiene di star finanziando il suo "vero lavoro", che sarebbe il raps. A quanto pare, però, è lui stesso a far confusione dato che ultimamente ha piazzato barre a tema MarketAmerica nelle sue canzoni. Conflitto d'interessi anyone?

Lasciando perdere l'infruttuosa carriera di Fat Joe, concentriamoci su uno che il rap lo sa fare, e benone: Young Thug. Sul red carpet degli MTV Video Music Awards dello scorso weekend, Complex ha pensato di fare un test alle celebrities mostrando loro la copertina dell'ultimo mixtape di Thugger, quella in cui il nostro indossa un outfit a metà tra la Geisha e l'ombrellino da cocktail. L'intervistatrice chiedeva ai vip che le passavano sottomano un'opinione sull'abbigliamento di Young Thug, che, a dirla tutta, è una domanda un po' fecale, dato che dà la possibilità alle persone fecali di esprimere opinioni fecali a riguardo, come se fosse importante il modo in cui un artista decide di presentarsi sulla copertina del proprio lavoro. 

E infatti, dopo un paio di risposte sensate, si è aperta la fogna. 

Davanti ai microfoni di Complex passano casualmente Fat Joe e Remy Ma, e, in risposta alla domandona del secolo, Fat Joe decide che quello è il momento giusto per far sapere all'umanità che lui "non indosserebbe mai un vestito da donna." Per poi aggiungere che non conosce Young Thug, ma scommette che è uno di quei... Lasciando intendere un finale della frase che ci farebbe ancora meno piacere dell'esistenza stessa di Fat Joe. 

Lo snello poi decide di sparare un paio di altre frasi non necessarie che non vogliono dire niente, prima di dare un'eloquente pacca sulla spalla all'intervistatrice, un altro gesto non necessario, quando questa dice che Thugger è coraggioso a mostrarsi così. Dopodiché Fat Joe capisce che il tutto era arrivato ad un livello insostenibile e se ne va, lasciando l'intervista a metà, per fortuna.

Per farla breve: se guardate Joe vedrete che somiglia a quello zio reazionario che, ogni volta che lo vedete, si lamenta del fatto che non capisce "perché le coppie dello stesso sesso non possano fare i loro affaracci sporchi tra le mura di casa loro, anziché pretendere che la società li appoggi", anche se nessuno gli ha chiesto la sua opinione. Lo stesso zio che probabilmente al pranzo di Natale alza un po' troppo il gomito e si piscia addosso. 

Guardate voi stessi e capirete: 

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La musica dei WWWINGS rappresenta il caos dell’est Europa

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Lit Daw, Lit Eyne e Lit Internet, il trio di personaggi immaginari che compone il progetto WWWINGS, vivono in quello che loro stessi chiamano "inferno post-sovietico". Di stanza rispettivamente a Kiev in Ucraina, Tyumen in Siberia e nella penisola di Kamchatka, nella russia estremorientale, non vivono certo in posti liberi da casini culturali, corruzione e censura. Nel caso di Lit Internet si possono aggiungere all'elenco delle sfighe anche eruzioni vulcaniche e un terremoto ogni due mesi. "Le nostre vite hanno cattive vibrazioni" mi ha detto a inizio agosto tramite la App russa Telegram. "Quindi il progetto WWWINGS è un po' un'evasione dalla realtà"

Non a caso, ogni loro traccia suona come l'apocalisse. I loro marchi di fabbrica sono percussioni dirompenti, ritmiche frenetiche e timbriche aliene (macchiniche, dure e fredde). Si posizionano in una zona di grigio che sta tra la paranoia per il futuro e il techno-ottimismo, dove utopia e distopia si confondono. Come altri collettivi quali NON Worldwide, N.A.A.F.I., e Janus, o producer di nuova generazione come Endgame o gli Amnesia Scanner, gli WWWINGS vivono negli angoli più bui della musica da club, rimpastando grime, trap e vari tipi di musica dance in qualcosa di completamente nuovo, eccitante e devastante. Non si sa molto di loro, anzi, non si sa quasi niente se non che ele loro età vanno dai diciotto ai ventiquattro anni. Negli anni, i tre producer sono passati attraverso un'infinità di pseudonimi, pagine Soundcloud e progetti, e al momento in cui scrivo non hanno ancora rivelato i loro veri nomi. I loro tre account instagram non contengono alcuna foto delle loro facce, e i loro feed di Twitter danno ancora meno informazioni, dato che postano solo sporadicamente tracce da SoundCloud, link di YouTube e link legati al progetto. 

Finora non avevano nemmeno rilasciato una intervista consistente, preferendo trollare i fan e i giornalisti con manovre evasive e prese in giro. Lo scorso anno, quando gli abbiamo chiesto quale fosse il concept dietro il loro EP 3000, ci hanno risposto "Una hit parade da suicidi di massa organizzati su internet", mentre quando gli abbiamo chiesto di spiegarci come lo avevano creato, ci hanno mandato la stock pic photoshoppata di un ragazzino al computer con le cuffie, ali nere da angelo e un ghigno sornione.

Nonostante ciò, e nonostante tutte le manovre evasive che li ho visti fare ogni volta che, nel corso delle quattro ore di intervista, gli chiedevo dettagli biografici, non hanno mai smesso neanche per un po' di sembrarmi genuini. Riservati, cauti, certo... Ma mai insinceri. La verità è che WWWINGS è un'entità che esiste solo online. I tre non si sono mai visti di persona e non hanno mai suonato dal vivo. Comunicano tra di loro solo su internet, e collaborano via mail, via SoundCloud, sul social network russo VK o tramite le chat criptate di Telegram, che gli permettono di messaggiarsi senza la paranoia che qualcuno possa sorvegliarli, ed è per questo che mi hanno chiesto di intervistarli lì. "È davvero una amicizia WWW", mi spiega Lit Internet a proposito del WWW in WWWINGS. A quanto dicono, tutti e tre hanno  rinunciato a cercare nutrimento creativo, culturale e intellettuale nel cosiddetto "mondo reale" molto tempo fa. Anche il linguaggio che parlano è decisamente influenzato dalla internet culture: le loro risposte arrivano sempre in forme condensate, alternate a vari meme, messaggi istantanei e link.

Lit Eyne e Lit Internet sono stati i primi a incontrarsi online: si sono beccati tramite chat di gruppo su VK, e pagine dedicate a meme e anime. La loro relazione è nata sotto forma di "amicizia elettronica", dice Lit Internet "ci mandavamo meme e musica pesa"; tanto nuovo hip-hop come i Sad Boys e Young Thug, oltre a un flusso costante di elettronica spinosa. Poco tempo dopo, i due fondarono un blog di musica su VK, ora defunto, intitolato WEBCOAST. Nel 2013 Eyne iniziò a produrre tracce sognanti e sfumate a nome GRADIENTKID. Man mano che la loro amicizia cresceva, il duo aveva dato vita a un progetto assieme chiamato BWWWOYS, che spesso suonava come R&B fatto da intelligenze artificiali. "BWWWBOYS mi ha insegnato un sacco" spiega Lit Internet, "Eyne aveva già esperienza, mi ha insegnato a produrre." Come tutti i producer underground, Eyne e Lit hanno passato ore tra YouTube, SoundCloud e Google per affinare le loro capacità. Ma, come succede spesso quando si tratta di progetti di club music sperimentale, le pagine SoundCloud sono state abbandonate, il blog è morto e dopo circa due anni, nel 2015, il progetto BWWWOYS fu messo a nanna a causa di responsabilità IRL come lavoro e scuola.

Dopo i BWWWOYS, Eyne e Lit Internet si sono presi una pausa dalla musica, almeno fino all'ingresso di Lit Daw nelle loro vite: tutto iniziò da un messaggio improvviso a Lit Internet su VK. Daw era già quello del gruppo con più esperienza, avendo fatto beat per diversi rapper americani per anni. "Posso dirti solo che è gente mediamente famosa". "Daw era già un pro a sedici anni" aggiunge Internet. Questa nuova connessione li ispirò a ricominciare, dando vita alla release del 2015 ANGELYSIUM, una serie di contorsionismi tra le schiacciate e i silenzi dell'eski-grime, modellati in forme nuove. Daw masterizzò ANGELYSIUM per intero e contribuì alla produzione di "Lit Future", probabilmente la traccia più infettiva di tutto il disco. Oltre ad avere dato il nome al nuovo progetto (l'ultima traccia è intitolata proprio WWWINGS), l'album fu il catalizzatore che unì definitivamente il gruppo, talmente potente da convincere anche Eyne a tornare a produrre. "Mi ha ispirato a ricominciare a fare musica" ricorda.

Definire i tre "prolifici" sarebbe un eufemismo. Senza contare i tanti singoli più estemporanei, gli WWWINGS hanno sette uscite ufficiali all'attivo, realizzati nell'arco di dieci mesi, che spaziano da una forma oscura di hip-hop, a club cut infernali, a brani ambient glaciali, buoni per musicare film sull'apocalisse. Considerando quante tracce hanno realizzato scambiandosi file via "posta", aggiungendo e togliendo elementi usando SoundCloud e Telegram, la velocità a cui consegnano nuova musica al mondo rivela un'alchimia profondissima. Ma, tra le tante perle fatte uscire, ce n'è una che brilla più di tutte. Autoprodotto a marzo scorso e ristampato da Planet Mu poche settimane fa, l'album PHOENIXXX rappresenta la dichiarazione di intenti più impegnativa e coraggiosa finora prodotta dai tre. La lista dei collaboratori è quasi un appello dei producer più avanti in circolazione: tra gli altri ci sono Chino Amobi, Lao, IMAABS, Kastle e Endgame, e brulica di passaggi incredibili e trascinanti. Ruggiti colossali, synth dalla punta acuminata e texture granulose che mutano a formare blocchi angolari: nel disco passaggi harsh noise trovano posto accanto a suoni immacolati e lucidi: una creatura nata negli angoli più aspri della musica da club, tra il mix Red Devil di ANGEL-HO e Agitations di Lotic. È il suono di tecnologie inimmaginabili che si schiantano nella realtà, marchiando la nascita di un nuovo tipo di industrial music per il ventunesimo secolo, tanto quanto una nuova generazione di dance music accelerata. Quello che maggiormente emerge è il dinamismo furibondo delle produzioni, scatenato da folli sovrapposizioni ed energia primordiale. Lit Daw lo definisce "una sinfonia di cacofonie".

Tra tutti i loro sodali, i WWWINGS sentono una connessione particolare con NON e N.A.A.F.I, i due collettivi da cui vengono le collaborazioni più appaganti, che condividono col trio una passione per i soundscapes vasti e alienanti, per le scosse improvvise e per il beat programming irregolare. Ma tra loro ci sono nette differenze: le voci più interessanti dell'elettronica di oggi usano la loro arte per difendere, dare forza e celebrare le comunità più marginali. Ad esempio, il manifesto di NON descrive la label come "a collective of African artists, and of the diaspora, using sound as their primary media, to articulate the visible and invisible structures that create binaries in society, and in turn distribute power." Per i WWWINGS le cose sono un tantino diverse: mettono da parte le narrazioni e qualsiasi tipo di causa politica esplicita in favore di un'atmosfera dichiaratamente fatalista.

 
"Amiamo NON," spiega Lit Daw. "Ma noi siamo in grado di esprimere solo i nostri sentimenti, perché veniamo dalla Russia e dall'Ucraina: se pure avessimo dei forti movimenti politici, non sarebbero in grado di sistemare quello che c'è qua, quindi come possiamo farcela noi con la musica? Possiamo solo esprimere la nostra ansia: non vediamo nessun futuro per la Russia né per l'Ucraina." Forze di polizia letali e imprevedibili,  censura e abusi sulla comunità LGBTQ sono solo alcuni esempi delle ingiustizie quotidianamente sotto i loro occhi. Ma anziché usare la loro arte per veicolare un messaggio la usano per creare un'esperienza: una condizione di disagio che replica il modo in cui ci si sente a vivere in un ambiente socio-culturale così opprimente. Dopo la fine dei BWWWOYS e l'uscita di ANGELYSIUM i tre avevano vissuto un momento di incertezza, di insicurezza su quale strada artistica intraprendere. Col senno di poi, PHOENIXXX è stato la loro rinascita. "È il nostro ritorno" dice Lit Internet. "IRL siamo delle persone qualunque" aggiunge "quindi per noi è stato un grosso traguardo". "Volevamo qualcosa che la gente si ricordi quando non ci saremo più" spiega Daw, "un po' come i figli per la gente normale."
 
Come tutti i figli, quindi, PHOENIXXX è sia una gioia che una risorsa: qualcosa in cui incanalare le proprie speranze e sfiorare il futuro. Nel caso specifico dei WWWINGS questo vuol dire prendere il volo contro le correnti maligne che li circondano, ma anche riconoscerle come parte del loro vissuto. Non sono infatti fenomeni che riguardano solo loro come individui, ma un canale di collegamento tra persone che potrebbero trovare conforto nel sapere che non sono i soli a soffrire. Per altri può trattarsi di una rara, per quanto complicata, possibilità di assorbire frammenti di vita da qualcuno che vive dall'altra parte del mondo. Nel bene e nel male (al netto della retorica) è musica che, un po' come l'internet che l'ha partorita, aiuta a gettare ponti tra persone lontane.

 

 

Un fulmine ha colpito il Berghain e il risultato è stato piuttosto interessante

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Tra le varie eventualità che possono influenzare l'andazzo di una serata passata fuori a ballare, "scontro con le forze della natura" non è propriamente la più comune. Bere uno Jägerbomb anche se si ha 35 anni e il nostro stomaco ormai regge a malapena uno sbagliato? Capita. Svegliarsi con la fazza spaccata e il portafogli vuoto su un tram alle sei del mattino? Roba di tutti i giorni. Ma pensate allo sbattimento che deve aver provato sul momento la gente che, domenica sera, era riuscita a entrare al leggendario Berghain e si è vista interrompere la serata da un fulmine.

Il tutto è avvenuto domenica sera, nel pieno della notte. Non essendo probabilmente il Berghain abituato a ricevere cento milioni di volt di elettricità in un colpo solo, le luci e l'aria condizionata sono andate immediatamente a farsi benedire. Sono quindi scattate le luci d'emergenza, che il caso ha voluto essere decisamente luminose e calde—Voltek, su Twitter, le ha definite "accecanti."

Pär Grindvik, che stava suonando al piano inferiore, ha dichiarato a Pitchfork che pensava il fulmine fosse solo un nuovo effetto di luce del club. Sono stati i pompieri a far ripartire l'impianto, quattro ore dopo. Ma la testimonianza migliore arriva da DJ T., che stava suonando al Panorama Bar. "Il suono ha smesso di funzionare per qualche minuto," ha scritto T. su Facebook, "l'aria condizionata è saltata completamente, così come quasi tutte le luci del bar. La gente si è tolta i vestiti, dato che era praticamente una sauna. Non ho mai visto così tanti ragazzi e ragazze in topless in una discoteca. Non scorderò mai quella vista dall'alto delle scale, quell'oceano di carne nuda che ondeggiava e pulsava. Vorrei avere una foto, ma quello che succede all'interno di quelle mura resta lì."

Ripetete con me: "Quell'oceano di carne nuda che ondeggiava e pulsava." La prossima volta che andate a ballare, sperate di essere colpiti dalla tempesta del secolo.

Chris Brown è stato arrestato per aver minacciato una ragazza con una pistola

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Chris Brown è una di quelle persone il cui senso nella scena hip-hop americana mi sfugge. Nonostante sia noto più per la faccia tumida che ha lasciato a Rihanna quando stavano assieme che per i suoi dimenticabili, dimenticabili pezzi, la sua presenza è più o meno una costante sia nelle classifiche americane che negli album di gente che, teoricamente, non dovrebbe avere niente a che spartire con uno che picchia la propria compagna e litiga a caso con gente notoriamente adorabile tipo Frank Ocean e gente che un tempo era adorabile come Drake.

Ad ogni modo, Brown ha confermato la sua natura di enorme testa di cazzo ieri, 30 agosto, quando è stato arrestato per aver minacciato una ragazza, Baylee Curran, con una pistola nella sua villa a Los Angeles. La Curran ha chiamato la polizia, che ha mandato un team SWAT a casa di Brown. Non c'è ancora una versione definitiva dei fatti, ma TMZ—un sito di gossip, e quindi da prendere con le pinze—sostiene che Brown era a casa con amici, tra cui Ray J (aka lo zio del sextape di Kim Kardashian—come se già non lo sapeste, eh sporcaccioni?), quando sono arrivate delle persone non invitate, tra cui la Curran. 

La polizia è riuscita dopo qualche ora a farsi dare un mandato di perquisizione ed è entrata nella villa di Brown, che è stato arrestato. Stando alle loro dichiarazioni, prima di farsi ammanettare il nostro Chris ha buttato dalla finestra un borsone contenente "almeno una pistola, droghe e altre armi." TMZ ha anche un paio di video postati da Brown su Instagram durante l'assedio, in cui se ne esce con un "Fuck the police" e si lamenta di come la polizia non lo ascolti quando gli chiede di proteggerlo da "stalker" e invece si presenta prontamente fuori da casa sua in casi come questi.

Ora Brown è uscito di prigione, vi terremo aggiornati su eventuali sviluppi. Trovate qua sotto un mini-report dei fatti da parte della polizia.

È cominciato il dissing più inutile ed entusiasmante della storia del rap italiano

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Screenshot dal video "Ne Voglio Di Più" di Vacca e Jamil

I protagonisti del nuovo dissing che sta deliziando gli appassionati del rap italiano trae origine da una feroce critica di Fatt Mc (rapper genovese che, tra le varie cose, ha partecipato ad MTV Spit ed è specializzato nel freestyle) ai danni di Vacca e della sua hit (più o meno) "Calze Con Le Ciabatte", come potete vedere qua sotto:

Lo status, ad un certo punto, è stato letto da Jamil e a quel punto si è innescato un domino di circostanze che ha portato al dissing e che è meglio analizzare punto per punto:
-Jamil è il braccio destro di Vacca, come vi abbiamo già spiegato tempo fa.
-Jamil sostiene di essere il King del Bong.
-Anche Fatt MC si è autoincoronato King del Bong, ed effettivamente ha tutto il diritto di farlo perché sulla sua pagina è presente una serie video in cui si insegna come fumare i bong, con una dovizia di particolare e competenza quasi ipnotiche. A tal proposito, il suo AKA è James Bong.
-Sia Vacca che Jamil sono parecchio permalosi.
-Il rap funziona più o meno così, perché sì.

E quindi ecco che è arrivato il video di "Ne Voglio Di Più" di Vacca, in cui la seconda strofa è affidata all'arrabbiatissimo Jamil:

Le barre rivolte a Fatt Mc, in particolare, sono queste (gentilmente trascritte dagli infaticabili di Genius):

Io che su a Verona sono il preferito
Ho tutti i quartieri che mi fanno il tifo
Tu a tutti i quartieri giuro che fai schifo
Ho visto il tuo tipo non rappa più
Vabbeh dai meglio così
Era bravo a fare su
A rappare così così
Questi fanno i fighi sul web
Il motivo te lo giuro non lo so
Se vuoi ci si becca fratè
Non fare l'eroe James Bong
In cameretta con il bong e parli di me
Hai fatto giusto un film, io non so che farci
Prendi pugni pure li fra, cordon bleu
Baida ti cucina Gordon Ramsay
Questo fa le pompe, le seghe
Baida sono un Rocker: Mick Jagger

Prosegue poi con un'affermazione davvero spigolosa, ma che vale da sola tutto questo dissing:

Baida sono il vero, King Roor, King Bong
Chiedi a Fachinetti o a J-Ax.

In risposta, giusto 24 ore dopo, è arrivato un breve freestyle, che potete ascoltare qua sotto:

Fatt MC accusa Jamil e Vacca di essere due braccia strappate all'agricoltura (nel rap il rapporto funziona così: racconto metaforico > matematica), e di avere i soldoni (topòs molto amato dal rap italiano), oltre a una serie di storie che potremmo tradurre come non fumi abbastanza erba / non possiedi abbastanza attrezzature per fumare l'erba.

La risposta di Fatt MC si chiude con tu non siete i coglioni tu sei solo sei un testicolo, meno male che sei sgonfio, ti rispondo e adesso mi alzo e fumo il fumo pongo. Tutta la sua gimmick insomma gira attorno all'essere Sommo Vate della Ganja, ed effettivamente funziona bene.

Qualche successiva scaramuccia ha preso piede su Facebook fino a scaturire in un post sul profilo di Jamil che non ha prezzo:


"Un bel sorso di Bong, e via a fare le start-up", immagine via Jamil

A meno che Fatt MC non esca con due foto in cui fuma un bong insieme a Fedez e Rovazzi, o qualcosa del genere, temo che il titolo di King Bong sia da assegnare da regolamento a Jamil, ma la speranza è che questo dissing continui e ci delizi con nuove perifrasi su chi ha il bong più lungo tra Fatt MC e Jamil.
 

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I look più fighi dell'Afropunk 2016

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Tutte le foto sono di Christelle de Castro

Lo scorso weekend si è svolta la dodicesima edizione di Afropunk, un festival che si svolge ogni anno al Commodore Barry Park di Brooklyn e che recentemente si è allargato anche ad Atlanta e Parigi. Come sempre, quest'anno la lineup ha visto susseguirsi sul palco i migliori talenti afroamericani—dalle composizioni elettroniche spaccaneuroni di Flying Lotus al funk futuristico di George Clinton all'R&B interstellare di Kelela e ritorno. Ma i musicisti sul palco dell'Afropunk devono anche fronteggiare la grandiosità dello stile di un pubblico incredibilmente variegato, che si incontra all'incrocio tra cultura afroamericana, musica punk e attivismo di avanguardia. 

Quest'anno abbiamo inviato una delle nostre fotografe queer preferite, Christelle de Castro, per documentare i migliori outfit dell'Afropunk e analizzare in particolare il look afrofuturista. Come il festival stesso, l'afrofuturismo—termine coniato nel 1993 da Mark Dery nel suo saggio "Black to the Future"—è un movimento che commemora l'esperienza della diaspora africana. Immagina il futuro afroamericano tramite una lente high-tech e fantascientifica e rivendica tra i suoi primi esponenti Sun Ra, tracciando una linea che arriva fino a Mykki Blanco, Fhloston Paradigm e Hieroglyphic Being, che continuano a prendere ispirazione dalla sua filosofia. Oltre ad aver fotografato i migliori look afrofuturisti, Christelle ha anche domandato ad alcune persone che cosa significassero per loro questa estetica e questa filosofia. 

 

1. Paper Boy Prince of the Suburbs, artista multidisciplinare

Che cosa vuoi comunicare con il tuo outfit?
Io sono io, che ti piaccia o meno—ma io ti voglio bene.

@Paperboytheprince

 

2. Hazkel Brown Christie, artista

Che cosa significa per te l'afrofuturismo?
L'afrofuturismo non ha confini.

@hazeuky96_10

 

3. Siouzy, studentessa

Che cosa significa per te l'afrofuturismo?
Vivere il futuro.

@siouzy

 

4. Agata, studentessa (e sorella di Siouzy)

Che cosa vuoi comunicare con il tuo look? 
Voglio che la gente esprima ciò che ha dentro e lo condivida verso l'esterno.

 

5. Ricardo, artista

Che cosa vuoi comunicare con il tuo look? 
Creo arte indossabile con le espressioni dei popoli indigeni di tutto il mondo perché la luce possa continuare. È il riflesso del te stesso interiore.

 

6. Christine, poetessa/lottatrice MMA

Che cosa vuoi comunicare con il tuo look? 
Giallo significa guarigione, e io ho vissuto di recente la rottura di un rapporto. Per tutta l'estate ho cercato di curarmi e diventare gialla.

@bookworm103

 

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Com'è fare festa con un narcotrafficante?

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Tutte le foto dell'autrice

Playa del Carmen in Messico è una città costiera a tre quarti d'ora di auto da Cancùn. Nel corso dell'ultimo decennio, in gran parte grazie all'invasione di turisti che si verifica ogni anno attorno al BPM Festival, è diventata un punto di ritrovo internazionale per i festaioli a cui piace ballare per giorni consecutivi—e un perfetto nascondiglio per chi non vuole farsi trovare. 

I miei contatti con il lato oscuro di Playa iniziarono nell'ottobre del 2013, mentre lavoravo come addetta alle vendite e concierge per una ditta che affittava ville di lusso a turisti per cifre che andavano oltre i tremila dollari a notte. Il mio lavoro comprendeva concludere affari, rispondere a domande e fare in modo che i nostri ospiti avessero qualunque cosa di cui avessero bisogno durante la loro permanenza. Trovai il lavoro quando la mia stessa famiglia affittò una villa; dopo qualche shot di tequila e l'amara realizzazione che non avevo alcuna voglia di ritornare a studiare, chiesi al proprietario della compagnia se avesse bisogno di aiuto. Rispose di sì, e un mese e mezzo dopo mi trovavo su un aereo con un biglietto di sola andata da Los Angeles al Messico. 

Playa del Carmen è una cittadina di piccole dimensioni, e durante i miei tre mesi di permanenza ebbi a che fare con personaggi di tutti i tipi da ogni parte del mondo: immigrati; nomadi; studenti in scambio culturale; addirittura criminali dichiarati in fuga dall'FBI. Ma la storia davvero indimenticabile è quella di Micha*, perché fu il mio primo (e probabilmente ultimo) sguardo all'interno dello scintillante mondo sotterraneo del traffico di droga. Col senno di poi, si trattò di qualcosa in più di uno sguardo—nel corso di poche settimane fui co-protagonista nel mondo di Micha, completamente immersa nello stile di vita di un trafficante internazionale di droga. 

 

Conobbi Micha nel gennaio del 2014, quando affittò una villa da cinque camere da letto sulla spiaggia. Era alto uno e novanta, ben rasato, ed esibiva un gusto per vestiti attillati, scarpe di marca e orologi che costano come lo stipendio di un poliziotto. Forse ad affascinarmi era la sua aura di mascolinità tradizionale, con il fisico scolpito di un lottatore di UFC, il portamento autoritario di un Padrino mafioso, e una mandibola quadrata che si contraeva ogniqualvolta fosse arrabbiato o perso nei suoi pensieri. Chiacchierando del più e del meno, scoprii che veniva dal Manitoba, in Canada, che aveva poco più di trent'anni e che la sua famiglia veniva dall'Europa orientale.

Micha arrivò con il suo amico Tim, il cui viaggio in Messico era il primo sconfinamento dal Canada dopo aver passato i primi anni della propria età adulta in prigione per tentato omicidio. Tim aveva ventinove anni, ma l'energia di un adolescente. Come se l'arresto e la prigione gli avessero bloccato lo sviluppo.

Il rapporto tra Micha e me fu poco convenzionale fin dall'inizio. Prima ancora che riuscissi a iniziare il giro della villa con il mio preparatissimo discorso da concierge, Micha estrasse da una tasca una busta di plastica piena di quelle che sosteneva essere settantacinque pastiglie di ecstasy e un foglio di acidi. Superato lo shock iniziale, la tossica di adrenalina dentro di me si risvegliò. La sfrontatezza di Micha fu una vera boccata d'aria dopo la sfilza di ricconi e mamme in crisi con cui avevo avuto a che fare per tutta la stagione. 

"Ne vuoi?"

"Certo."

Mi diede cinque pastiglie di ecstasy.

Domandandomi perché una persona dovesse girare con addosso così tanta droga, chiesi ai ragazzi che lavoro facessero. Micha tirò fuori con noncuranza tre cellulari e mi disse di lavorare "nell'edilizia". Continuai a pressarlo, chiedendo: "Sai che questa villa può ospitare dieci persone. Siete solo voi due?" Micha disse che aveva invitato un amico e alcune ragazze dalla Colombia. 

E infatti, il giorno dopo, due delle donne più belle che abbia mai visto in vita mia entrarono in casa e si presentarono come Lorena e Mari. Le ragazze sembravano uscite da un video musicale, con visi da Sofia Vergara e corpi da Nicki Minaj. Portavano minuscole t-shirt sopra il bikini, con jeans attillatissimi, lunghe unghie finte e abbondante gioielleria. In modo velatamente misterioso mi venne detto che erano "pagate per far festa per tutta la settimana".

Le ragazze furono gentili con me. Eravamo accomunate dall'amore per la musica elettronica e i viaggi, e Lorena mi mostrò anche dei video di alcuni suoi DJ set fatti nella sua città, Cali. A parte questo non interagimmo molto, però, perché le ragazze sembravano piuttosto impegnate a scattarsi selfie e a pippare una strana polvere direttamente dalla busta. "A nadie en Colombia gusta cocaina"—a nessuno piace la cocaina in Colombia—mi disse Mari. Poi mi spiegarono che la polverina era 2C-B, una droga sintetica simile all'MDMA. 

Il giorno dopo l'arrivo delle due donne, si presentò anche Ivan, l'amico di Micha, anche lui di Cali, in Colombia. Svuotando il proprio bagaglio nell'area comune, Ivan estrasse ulteriori droghe sintetiche e un paio di migliaia di dollari in banconote da cento, informandomi con nonchalance del fatto che si trattava di banconote false, ancorché perfette. Poi ci raccontò di essere stato trattenuto all'aeroporto di Cancùn perché la sua fedina penale mostrava una condanna per traffico a Miami.

Secondo il racconto di Micha, il suo incontro con Ivan era avvenuto diversi anni prima a Guadalajara, durante uno dei suoi frequenti viaggi in Messico, ed erano amici da allora. In quel momento, Ivan fungeva praticamente da braccio destro di Micha ogni volta che si trovava in Messico; i suoi compiti principali erano fare da interprete tra lui e il suo harem di ragazze latinoamericane, fare l'autista e organizzare minuziosamente le serate in giro per la città.

Micha mi prese in simpatia—forse perché ero l'unica ragazza con cui poteva comunicare in inglese. Nel corso di alcune serate, ci portò in giro per discoteche come Mamita's, Kool Beach Club, Canibal Royale, e La Santanera. Di lì a poco sarebbe iniziato il BPM Festival, quindi i DJ suonavano principalmente house e techno. Micha preferiva un'atmosfera più alla Las Vegas, ma purché ci fossero belle ragazze e champagne si faceva andare bene tutto. 

Bozze di Dom Pérignon—mai Moët

La nostra serata tipo andava più o meno così: arrivavamo in un locale, pagavamo un tavolo e immediatamente venivamo trattati come re. I camerieri portavano Moët, ma Micha protestava, così tornavano con del Dom Pérignon. Il conto? Almeno diecimila dollari. Sempre pagati in contanti. Ogni serata implicava anche il consumo di grandi quantità di droga, cene dai conti astronomici e parecchio sesso colombiano-canadese. Si trattava di quel tipo di edonismo sfrenato dipinto da film come Spring Breakers e, a dir la verità, me lo sono goduto alla grande. 

Pochi giorni prima della data prevista per il suo check-out, Micha decise di fare una gita improvvisata a Guadalajara per andare a trovare alcuni amici. Nel frattempo Lorena, Mari e Ivan erano tornati in Colombia, lasciandomi sola con Micha e Tim. Ci rendemmo subito conto di un problema: i ragazzi non avrebbero potuto pagare il volo con la carta di credito perché preferivano evitare di lasciare tracce documentali. Dopo tutto il tempo che avevamo passato insieme—praticamente Micha mi aveva offerto una vacanza tutto compreso—mi sembrava logico dare una mano. A quel punto avevo ormai capito che Micha non era il proprietario di una ordinaria ditta edile, ma la loro compagnia mi piaceva così tanto che decisi di ignorare ogni sospetto.

Mi offrii di pagare i biglietti con la mia carta in cambio dei contanti. Loro declinarono. Micha mi offrì mille pesos (circa cento dollari) per andare in auto all'aeroporto di Cancùn e comprare due biglietti in contanti per lui e Tim. 

Dopo il Messico, Micha tornò in Canada e io a Los Angeles. Per i seguenti sei mesi restammo in contatto via Whatsapp. Ero esaltata dalla mia amicizia con un ragazzaccio misterioso che operava a un livello ben più alto dei piccoli spacciatori che avevo frequentato tra Playa e LA. Non avevo ancora capito esattamente che cosa facesse, ma lo avrei scoperto presto.

 

Micha fra le rovine a Playa del Carmen

In agosto 2014, Micha mi comunicò che sarebbe venuto in vacanza a LA per un mese, e che stava pensando di investire nella catena di ristoranti El Pollo Loco perché alcuni amici gli avevano parlato benissimo del loro pollo grigliato alla messicana. Mi disse che gli sarebbe piaciuto aprirne uno in Manitoba.

Mi offrì 150 dollari al giorno più shopping gratuito e vitto se avessi accettato di fargli da autista. In quel momento ero senza lavoro, per cui mi parve un ottimo affare. E poi lavorare per Micha voleva dire che saremmo stati sempre assieme, che era quello che volevo. Ho sempre avuto un debole per i ragazzacci e Micha era bello e mi trattava bene. Basandomi sull'esperienza in Messico, ero sicura che girare con lui per Los Angeles sarebbe stato sicuramente divertente. Certo, probabilmente faceva affari piuttosto loschi, ma l'infatuazione per lui aveva totalmente offuscato il mio buon senso. Mi dicevo: nessuno è perfetto, no?

I primi due giorni insieme a LA furono grandiosi. Lo portai a El Pollo Loco varie volte e gli piacque moltissimo. Andammo in spiaggia e ce la spassammo a Hollywood e Santa Monica. Ci fermammo da Fred Segal e mi comprò dei gioielli, tirando fuori un grosso rotolo di banconote per pagarli. Come in Messico, ogni spesa fu pagata in contanti per evitare di lasciare tracce.

Poi, un pomeriggio, all'improvviso scomparse. Ci eravamo accordati per andare in spiaggia a Malibu, ma non ebbi sue notizie per tutto il giorno. La sera prima aveva detto che avrebbe incontrato alcuni amici, per cui ipotizzai che avesse passato una nottata selvaggia alla Playhouse o al Greystone Manor a Hollywood, entrambi locali che aveva detto di voler visitare. Non ci pensai troppo. 

Micha che mangia da El Pollo Loco

Più tardi, la stessa sera, ricevetti una scarica di messaggi e telefonate grondanti panico, in cui mi chiedeva di andarlo a prendere vicino a casa sua, nel parcheggio di un centro commerciale. Al telefono la sua voce era quella del solito Micha, calmo e riflessivo, ma si percepiva comunque che qualcosa era andato storto.

Appena arrivai lui saltò nel sedile del passeggero. "Vai", disse, senza alcuna spiegazione. Inclinò il sedile finché non riuscì a tenere la testa sotto il livello dei finestrini. Continuava a voltarsi per assicurarsi che nessuno ci stesse seguendo. Ero confusa, ma segretamente mi stavo godendo l'emozione. Sembrava di essere dentro un film d'azione. 

Finalmente, allontanatici di almeno 30 chilometri da casa sua, Micha si sedette normalmente. Chiesi con fermezza che mi spiegasse che cosa stava succedendo, e lui mi disse che la sera precedente una squadra composta da polizia locale, FBI e DEA aveva fatto irruzione nel suo appartamento e sequestrato trecentomila dollari in contanti. Lo stavano tenendo d'occhio da quando era arrivato a LA e lo avevano visto parlare con un gruppo di "personaggi sospetti con dei cappelli da vaquero". Questa fu l'unica spiegazione che mi diede per il raid, ma mi bastò per capire che cosa stesse davvero succedendo. 

Micha mi disse di essere stato arrestato la notte precedente e di aver pagato qualcuno perché pagasse la cauzione in modo da venire rilasciato quella mattina, poche ore prima che io lo andassi a prendere. Questo spiegò il silenzio radio. 

Poi mi chiese di portarlo allo studio del suo avvocato in modo da capire immediatamente come tornare in Canada il prima possibile. Cominciai a essere presa dal panico, rendendomi conto della gravità della situazione. 

"Se vuoi che ti accompagni, devi dirmi esattamente che cosa cazzo fai nella vita", pretesi, aggiungendo che ne andava della mia sicurezza. 

"Dammi il tuo cellulare", mi disse, guardandomi intensamente con i suoi occhi blu. 

Glielo diedi. Lo spense e se lo mise in tasca.

"Traffico Molly e H", disse semplicemente. 

"Oh, ok", balbettai, stupita della sua candida ammissione.

"Se lo dici a qualcuno ti ammazzo, cazzo", disse ridendo. Dentro di me sapevo che c'era un fondo di verità.

Stranamente, dopo la sua "confessione", mi sentii a mio agio, capii che non ero pazza, e che Micha non era un magnate delle costruzioni con le mani bucate. Mi assicurò che non avrei corso rischi e, stranamente, continuai a fidarmi di lui. 

Lo portai dal suo avvocato, ripetendomi che non stavo facendo nulla di illegale, e avrei sempre potuto appellarmi all'ignoranza. Lo studio dell'avvocato si trovava in una zona malfamata di Van Nuys; pensai che doveva essere il legale anche di grosse gang come i Van Nuys Boys o i Pacoima Piru Bloods, famigerate in questa parte di LA. Ci accomodammo nella sala d'aspetto e presto ci raggiunse un uomo magro con indosso un grosso orologio scintillante e un abito gessato. Micha entrò in un'altra stanza insieme a lui e ne uscì con una buona notizia: il suo avvocato sarebbe stato in grado di farlo tornare in Canada. Avrebbe dovuto solo dargli 35 mila dollari—immagino da spendere in ulteriori orologi e abiti gessati. 

Dopo aver lasciato lo studio dell'avvocato, Micha fece un paio di telefonate dal suo telefono usa e getta, organizzando un incontro con due ragazze da Manitoba che gli portassero ulteriori cellulari e soldi. 

In un momento di lucidità, anche la ventiduenne naïf e in cerca di avventure che ero si rese conto che non l'aspettavano altro che guai se avesse continuato a frequentare Micha. Così, dopo averlo riportato a casa, chiamai mio padre e gli chiesi consiglio. Per quanto sia sempre stato un padre molto permissivo, quando gli spiegai che cosa stava avvenendo lui si preoccupò seriamente. Mi consigliò di cancellare immediatamente il numero di Micha se non volevo finire schedata e messa sotto osservazione dalla polizia—o peggio. 

Il giorno dopo scrissi a Micha che sarei stata fuori città per un po'. Gli raccontai, mentendo, che stavo pensando di ritrasferirmi in Messico e che sarebbe stato difficile contattarmi. Mi rispose di divertirmi, di restare in contatto e che forse ci saremmo rivisti in Messico prima o poi. Riluttante, cancellai il suo numero dalla mia rubrica e poi cambiai il mio. 

Quell'addio fu l'ultima volta che ebbi sue notizie. Continuo a pensare a lui di tanto in tanto. A volte lo cerco anche nei registri dei prigionieri americani o canadesi, in cerca di una traccia qualsiasi che mi riconduca a lui. Ma non trovo nulla. Anzi, non sono nemmeno sicura che Micha sia il suo vero nome.

*Tutti i nomi sono stati cambiati.

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Obama ha graziato un fan dei Grateful Dead all'ergastolo

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Foto di Tyler via

Timothy Tyler era un fan dei Grateful Dead come tanti altri: seguiva la sua band preferita in tour, Jerry Garcia gli appariva in sogno e quando se lo trovava di fronte nella realtà la sensazione era più o meno la stessa. Già che c'era, vendeva un po' di droga agli altri deadhead per tirare su qualche soldo. Nel 1992, quando aveva 25 anni, uno dei suoi acquirenti si rivelò essere un poliziotto in borghese. 

Essendo il sistema legale americano non particolarmente clemente con chi commette un crimine più di una volta ed essendo Tyler alla sua terza offesa, venne condannato alla minima pena obbligatoria legata allo spaccio: l'ergastolo. Senza inoltrarci troppo in discorsi sull'assurdità della legge statunitense, basta citare la petizione su Change.org lanciata da sua sorella: "Ha visto assassini e stupratori uscire di prigione con la consapevolezza che lui non avrebbe mai potuto fare lo stesso."

Ora, però, il presidente Obama ha deciso di graziare 111 carcerati che stanno scontando "sentenze eccessivamente severe basate su leggi vecchie per aver commesso crimini legati alle droghe, in enorme parte non violenti." Tra cui Tyler, che uscirà di prigione nel 2018. Essendo Garcia tornato dal grande occhio nel cielo, speriamo che Bob Weir—che sta per tornare con un nuovo album solista registrato con membri dei National, Blue Mountaingli dedicherà un pezzo alla prima occasione possibile. 

Ascolta "Nanzen Kills a Cat" dal nuovo live album dei Van Pelt, registrato a Ferrara

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I Van Pelt restarono in attività solo per quattro anni, nel mezzo dei Novanta, e decisero di sciogliersi all'apice delloro successo. Il risultato è che su di loro si sono riversate sempre più attenzioni fino a stabilirli come una figura di culto: ricordiamo quando Charlotte Church recensì il loro secondo LP, Sultants of Sentiment, in una lista dei suoi album preferiti per The Quietus. I membri del gruppo iniziarono a suonare in altre band—Jets to Brazil, Enon, The Lapse—fino a una breve reunion, nel 2009. Il loro terzo album Imaginary Third, contenente brani scritti prima dello scioglimento e mai pubblicati, è arrivato nel 2014 assieme a un nuovo tour di reunion. Ed è proprio durante quel tour che è stato registrato Tramonto—un concerto privato, tenuto per qualche amico in un giardino nelle campagne attorno a Ferrara. Essendo quella la prima volta che i Van Pelt suonavano quei pezzi dal vivo dopo anni e anni, Tramonto è una retrospettiva sul loro materiale ma anche un nuovo capitolo della loro storia; le stesse canzoni filtrate da un gruppo più vecchio e saggio.

Chris Leo, cantante e chitarrista del gruppo, spiega: "Anche se andare in tour mi è sempre piaciuto, ho sempre odiato l'atto della performance. Senza aprire una diatriba, il punto è che ho una difficoltà tremenda a comprendere il motivo per cui la mia arte auditiva debba anche avere una controparte visuale—e anche se il mondo ha bisogno che si tratti di una contaminazione crociata tra i sensi, perché accontentarsi di quattro tizi a caso su un palco? Ergo, i miei concerti non sono mai venuti particolarmente bene, le mie chiacchiere tra una canzone e l'altra sono sempre state imbarazzanti, e lo stesso vale per la mia capacità di parlare in modo sciolto con la gente dopo lo show.

Questi concerti sono stati diversi. Erano passati così tanti anni dall'ultima volta che li avevamo suonati che anche per me è stata, a tutti gli effetti, una performance. Mi è piaciuto ri-cantare quei testi che la mia versione ventenne aveva buttato fuori. È stato bellissimo riscoprire le parti di chitarra e ascoltare tutti i suoni che gli altri facevano. Insomma, era tutto troppo esaltante perché sussitessero i problemi che avevo allora."

Potete ascoltare qua sotto la loro "Nanzen Kills a Cat", che suona originale oggi come lo era nel 1997. Tramonto è anche l'inizio di un nuovo periodo di attività, che porterà il gruppo a continuare ad andare in tour e scrivere nuovo materiale.

Tramonto uscirà il 30 settembre in 2LP e in digitale. Lo potete pre-ordinare su Flying Kids Records.

Cosa pensano i teenager di oggi della musica Emo dei 2000?

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Tutte le foto sono dell'autore

Se eri un teenager nei primi anni Duemila, le probabilità che tu fossi un emo convinto sono piuttosto alte. Ricordi quando le Top 8 di MySpace erano di importanza vitale? Erano come un sistema sociale dittatoriale ma composto da quindicenni con i capelli tinti di nero e il piercing al labbro inferiore. Il tuo indirizzo email conteneva la locuzione "xcore" e il tuo avatar di MSN Messenger era una foto di Oli Sykes. I jeans ultra-aderenti e la bisessualità andavano a braccetto. Pete Wentz era considerato un dio sceso in terra e paragonavi il tuo cuore a un'urna funeraria. Ma più di tutto il resto, ti sarà rimasto il ricordo di una musica costellata di lacrime, urla e gesti drammatici, la quale, riflettendoci oggi con un certo grado di oggettività, era una cagata mostruosa, ma anche in un certo senso (e tuttora) la migliore di sempre. 

Naturalmente, essere emo una volta compiuti i vent'anni è una cosa di una, ehm, sfiga indescrivibile *cerca di coprire goffamente la playlist di Spotify con le mani, singhiozzando silenziosamente nascondendo il viso dentro un astuccio dei Funeral for a Friend*. È un fenomeno adolescenziale, principalmente perché nessuno continua a provare lo stesso spleen o a essere così teatrale dopo quella fase, ma anche perché più invecchi, più lavori, e meno tempo hai da dedicare alle mille sfumature di una sottocultura. Dopo i venti, per la maggior parte di noi i gusti musicali diventano un'unica massa amorfa e pulsante. L'ultima volta che qualcuno mi ha chiesto che musica ascoltassi ho semplicemente bofonchiato qualcosa riguardo a Drake e lasciato che il mio sguardo si perdesse verso l'orizzonte, cercando di ricordare il momento in cui avevo un'identità definita. 

A ogni modo, mi è venuto da chiedermi... Che cosa pensano gli adolescenti di oggi delle canzoni emo più amate dalla Generazione Y? Ascoltando una band come i From First To Last penseranno "Wow, un vero pezzo di storia" o costringere un sedicenne ad ascoltare gli HelloGoodbye sarà come quando tuo padre metteva su i Pink Floyd in macchina dicendo "Questa sì che è musica, figliolo"?

Invece di lasciarmi consumare dal dubbio, ho pensato di andare a Camden davanti ai negozi di magliette dei gruppi e di lecca lecca alla canapa alla ricerca di veri teenager e far loro sentire un po' di reperti dell'epoca di MySpace, e sentire la loro opinione sincera.
 

ANASTACIA, 16 ANNI

Ciao Anastacia! Che musica ascolti di solito?
Principalmente grime e R&B.

Ok. Be', questo non è esattamente grime, però sono i Funeral For a Friend con Red is the New Black”. Ti piace?
Non mi dispiace. Non la classificherei come emo perché non è abbastanza pesante. Mi sembra che l'emo abbia un casino di chitarre e robe del genere. 

Aspetta che cerco un pezzo con più chitarre... Ecco, cosa ne pensi di questa? “Understanding in a Car Crash” dei Thursday?
Questa mi piace, perché a volte ascolto musica veramente vecchia di tanti anni fa che suona più o meno così. 

Tipo musica dell'epoca di MySpace?
Già, MySpace non esiste più, non lo usa nessuno. È una cosa per vecchi. 

Ma MySpace mi ha fatto scoprire “Seven Years” dei Soasin!!! Ascoltiamola un po'. Che cosa ne pensi?
È davvero profonda ed emotiva. Mi mette un po' in imbarazzo per loro, onestamente.

Hai spezzato il mio cuore di tenebra. 
 

ALLIE, 17 ANNI

Che musica ascolti, Allie? 
Boh. Metal. Tipo.

Anche i tuoi amici ascoltano la stessa musica?
Più o meno…

Ok, allora che cosa ne pensi di questo pezzo dei The Used? S'intitola “The Taste of Ink”.
Non è male, ma serve più pesantezza, e poi dov'è il drop? Sembra davvero vecchia.

Vecchia?! Che cosa intendi?
Boh... tipo, roba che ascoltano i venticinquenni.

Oddio, ok, ascoltiamo qualcosa di completamente diverso. Cosa ne pensi di “Brat Pack” dei The Rocket Summer? Catchy, vero?
Sì, è super tranquilla.

Ce li vedi i tuoi compagni di classe ad ascoltare qualcosa del genere?
Forse. Se avessero fumato abbastanza.

Grazie, Allie. Ricordati di fare i compiti.
 

XANDER, 16 ANNI

Ciao. Hai la faccia di uno a cui potrebbero piacere gli Head Automatica. Cosa dici di “Beating Heart Baby”?
È carina in realtà, niente male. Pensavo sarebbe stata molto più brutta, a essere sincero. 

Perché? Ti sembro una persona che ti farebbe sentire della musica brutta? Che tipo di musica ascolta la gente della tua età? 
Per la maggior parte grime e house, roba così. Nessuno ascolta più emo, zia.

Hai mai ascoltato i Dashboard Confessional?
Nah.

Ok, ti faccio sentire una delle loro canzoni, “Hands Down”. Cosa ne pensi?
Sì, mi piace. Sembrano un buon gruppo. È una cosa nuova per me. 
 

DANIEL, 16 ANNI

Ehi Daniel! Allora... ti piace la musica emo? Dai tuoi capelli direi di sì. 
Penso di sì, perché no.

Ti piacciono i gruppi dei primi anni Zero? O ascolti principalmente roba nuova? 
Mi piace la roba vecchia. Non ascolto gli You Me at Six, per esempio.

Figo, allora che cosa ne pensi di questo classicone: “Smile in Your Sleep” dei Silverstein?
Bella! Il testo è esattamente quello che ti aspetteresti da un pezzo emo. 

Ecco un'altra canzone con un testo molto emo. Che cosa dice il tuo cervello di adolescente di “Ohio is For Lovers” degli Hawthorne Heights?
Ummm… Preferivo quella di prima. Questa è troppo triste. 

Sì, sono d'accordo. 
 

KIARA, 15 ANNI

Ehi Kiara. Cominciamo da dei Fall Out Boy d'annata al picco di MySpace. Cosa ne pensi di “Dance Dance”?
È carina ma... non so se mi piace davvero.

La ascolteresti andando a scuola?
Nah, non mi piace il testo. 

Che tipo di persona ascolta i Fall Out Boy secondo te? 
Gli alternativi. Alcuni emo. La maggior parte dei miei amici non sa chi sono i Fall Out Boy.

Ci sono ancora molti emo in giro? 
Non è più diffuso come una volta, ma sì, ce ne sono un po'. 

Ascoltiamo gli Underoath. Penso che “A Boy Brushed Red Living in Black and White” apra con dei versi tra i più catchy di sempre. Cosa dici? 
Il testo è davvero deprimente. Ma, sì, ci si può immedesimare... sicuro.

Che cosa ne pensi dell'urlato?

Non lo so.

Pensi che esprima adeguatamente la tua rabbia adolescenziale? 

Sì.

Grazie, Kiara.
 

CAMERON, 17 ANNI

Ehi, i tuoi jeans sono piuttosto stretti. Sei mai stato emo?
Nah. Tutti sono passati per quella fase, ma a me non è mai interessato. La mia ragazza ascoltava un casino di My Chemical Romance però. 

Cosa ne pensi di una cosa come “Alive With the Glory of Love” dei Say Anything?
È carina, ma non la definirei emo. Suona un po' indie. 

Uhmm. Forse devo darti qualcosa che abbia un contenuto più alto di emo. Proviamo con “What it is to Burn” dei Finch.
Mi piace la parte noise all'inizio, ma la drum machine fa piuttosto schifo.

Schifo? Ok, togliamo un po' di fronzoli. Cosa ne pensi di “First Day of My Life” di Bright Eyes? Come ti fa sentire?
Mi piace molto, è una bella canzone acustica.

Come pensi che sia cambiata la definizione di emo dalla mia alla tua generazione?
È semplicemente evoluta per venire incontro alle idee dei teenager di oggi, immagino. Ai tempi non c'erano siti come Tumblr dove esprimersi. 

Ma avevamo LiveJournal, Cameron. Era molto meglio di Tumblr.
[Fa una faccia interrogativa].

Pfft. Grazie per la chiacchierata.


LOUISA, 16 ANNI 

Louisa! Che musica ti piace? Emo?
Grime e house. Non conosco nessuno che ascolti emo.

Neanche delle vecchie leggende come i My Chemical Romance? Ascoltiamo “Teenagers”. Che ne dici?
Non è male. Ascoltavo roba del genere una volta, ma poi volevo vivere una vita meno triste.

Ascoltiamo qualcosa di più leggero allora. Cosa ne pensi di “Your Call” dei Secondhand Serenade? Il testo sembra una poesia. 
È carina, ma non fa per me. Non riuscirei ad ascoltare sempre questa musica. Penso che piaccia soprattutto a gente che è cresciuta ascoltando roba simile. 

Sì, probabilmente hai ragione.

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Questo live di FKA twigs è semplicemente incredibile

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Ci sono i concerti e ci sono i Concerti. Ossia: alcuni artisti usano il palco per eseguire le loro migliori canzoni, mentre altri usano il palco come una metaforica tela su cui dipingere l'incarnazione estetica della propria musica, investendo tutte le proprie forze nel potere viscerale della performance e facendoti letteralmente venire i brividi quando li vedi di persona. FKA twigs fa parte della seconda categoria, ovviamente, ma non solo i suoi concerti sono una bomba a livello visivo, sono anche completamente diversi da ogni altra cosa che viene fatta al momento. Se vi è capitato di vederla esibirsi, capirete perfettamente di che cosa sto parlando. 

In luglio, la sua performance ha chiuso il Pitchfork Music Festival di Chicago. L'esibizione—intitolata "Radiant Me²"—è durata più di un'ora e ha vantato una coreografia e direzione artistica tra le più audaci dai tempi di Kate Bush e Björk. twigs esegue alcuni dei suoi classici: “Two Weeks” “Water Me”, “Glass & Patron”, “Pendulum”, e alcune canzoni nuove. È costantemente affiancata da ballerini bellissimi, ci dà dentro di voguing e canta nel suo falsetto spaccacervello senza esitazione. E poi ci sono le mani. Un sacco di mani giganti. Ovunque. 

Fortunatamente il concerto è stato messo online, per cui potete assistervi con i vostri occhi:

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