Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

Recensioni

$
0
0

Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

 

AA.VV. - GHOSTBUSTERS 2016 OST

 Ascoltare la colonna sonora di un film senza aver visto il film ti fa capire tante cose, come ad esempio che molti trenta-quarantenni si stanno facendo prendere un po' troppo la mano da questa cosa della nostalgia. Dopo una serie di revival, reissue, reunion e ritorni all'estetica anni Ottanta è arrivato Stranger Things, lo show di Netflix che riesce a racchiudere alla perfezione il sentimento nostalgico della nostra generazione, ad omaggiarlo in un prodotto curato nei minimi dettagli. Ma quella, si vede, è un'elegia hauntologica mossa completamente dal sentimento. Al contrario, stanno spuntando sempre più operazioni che puzzano di "guadagno facile" sin da lontano, e mi duole dirlo ma, nonostante la (geniale) idea di sostituire il quartetto con una nuova squadra dell'altro sesso, già dalla colonna sonora questo nuovo Ghostbusters puzza di pacco. E la cosa peggiore è che la generazione che si fa imbambolare da queste operazioni, in questo caso, ha trovato solo da scagliarsi maschilisticamente e razzisticamente contro il cambio di sesso dei protagonisti, sempre a causa della stessa nostalgia idiota. Questa gente ne rimarrà schiacciata quando l'imbuto si stringerà e non ci sarà più spazio per affermare nulla di nuovo a livello artistico, perché sotto ad ogni rivalutazione o glorificazione del passato c'è una riduzione di sforzo mentale che, a lungo andare, logora.

TRACY THE GORILLA

 

BENNY BENASSI - Danceaholic - Ultra

 Da quando ho comprato questo CD la mia vita è migliorata. Non so voi, ma quello di cui avevo bisogno per migliorare i miei tragitti cittadini a finestrino abbassato era proprio un pezzo EDM cantato da Serj Tankian dei System of a Down con il drop bropstep. Sarà il nuovo subwoofer da 750€ che ho montato nel bagagliaio, ma adesso ogni volta che passo per via Novara si girano tutti a guardarmi! Forse è anche merito di “I Wanna Be Disco” e “I Wanna Be a DJ”, che è come se parlassero di me quando le ascolto, e della collaborazione con Moguai, che si chiama quasi come quel gruppo di fighette di cui andava matta quella tipa ubriaca che mi ero limonato l’anno scorso━quando ero finito in quel cazzo di postaccio occupato. Adesso scusatemi ma devo andare a dare uno schiaffo alla mia donna al ritmo di “Paradise”, con la speciale partecipazione di Chris Brown!

ERMAL KETA

 

EQUIKNOXX - BIRD SOUND POWER -  DDS

 Sarò immeritatamente enfatico, ma sono dischi come questo che ti fanno ritrovare fiducia nella musica: quelli in cui magari senti l’eco di un milione di correnti e lignaggi che hai frequentato tantissimo, ma combinati secondo le disposizoni di una personalità unica e un gusto incredibile, nel senso di una capacità fortissima di saper sviluppare alcuni aspetti specifici di un genere musicale e portarli verso nuovi sbocchi linguistici. OK, magari gli dice bene il fatto di essere frutto di parecchie teste e non essere stato concepito come album in uno stesso identico periodo (anzi, dentro ci sono sette anni di session), però in ogni singola traccia di questo Bird Sound Power si scopre una ricchezza di idee e spunti, una creatività vitale che lascia basiti tutte le volte. E no, la cosa non lo rende neanche un disco incoerente o disomogeneo. Per un cazzo, proprio. Di fondo c’è la dancehall e vivajah per una volta questo lavoro di ricerca e decostruzione dei suoni giamaicani non arriva da un arraffone bianco (geniale come The Bug o indecente come Palmistry che sia) ma dagli Equiknoxx, AKA una cricca di producer e vocalist con base a Kingston, capaci di incorporare nel loro suono tanto la lezione di maestri come Prince Jammy quanto la paranoia della prima On-U Sound e l’evoluzione accelerata del nuovo grime. Oltre a questo, l’ennesima riconferma di DDS come etichetta incredibile e gestita da (che ve lo dico a fà) due geni TOTALI!!!

DELROY STARE

 

GOTHBOICLIQUE - YEAH IT’S TRUE - Autoprodotto

 Sono circa le tre di mattina e non posso ancora andare a letto perché ho passato le ultime quattro ore a compilare una script che ogni trenta minuti sposti di cinque chilometri il mio bot per livellare gli account di Pokèmon Go. Non sono sicuro che i cinquanta euro che mi garantirà questa operazione valgano una notte insonne, ma ho deciso che finché non ci riesco resto sveglio, più che altro per una questione di principio e testardaggine. Mentre faccio partire un test aggiorno la home di Facebook e mi accorgo che l’adorato Wicca Phase Springs Eterna ha appena condivise un progetto Soundcloud di diciotto tracce ad opera del socio GOTHBOICLIQUE che non potremmo definire in altro modo se non cloud rap post-vape post-meme virato emo/goth (ringrazio la parte bella della redazione di Motherboard per la definizione). Improvvisamente è il 2014 e decido di chiudere tutte le finestre DOS che ho aperto perché, diciamocelo, nel 2014 dei Pokèmon non fregava un cazzo di niente a nessuno.

HASH KETCHUM

 

Kutiman - 6 AM - Siyal Music

 Ritorna il tuttofare israeliano con il preciso obiettivo di farci dimenticare l’orrore di questo pianeta del cazzo. Una miscela di afromedioriental music che non disdegna impennate soul, ma soprattutto bagni nella psichedelica più fattona: immaginatevi a fare i bagni nel deserto con Ofra Haza nuda che vi balla davanti. A quel punto si trasforma in James Brown e, nonostante questo, la trovate ancora più attraente. Una volta il compito del nostro era quello di creare pezzi mashuppando un po’ tutta YouTube, pescando dai video amatoriali di chi si riprendeva suonando. Adesso forse è quello di diventare un classico della musica “da fumare”, facendo lo stesso pastiche con i capisaldi del genere internazionalmente noti (vedi Fela Kuti, vedi Grazia e via di questo passo). Quindi ragazzi armatevi di narghilè, andate in spiaggia e dimenticatevi delle classifiche FIMI, qua stiamo nel deserto mica pippe.

AFRO HAZO

 

LIL YACHTY - Summer Songs II - Autoprodotto

 

 La prima volta che ho sentito un pezzo di Lil Yachty mi sono detto, “Ma chi è ‘sto scemo?” Insomma, non c’era niente che facesse ben sperare: la somiglianza con Young Thug era clamorosa, sia da un punto di vista estetico che sonoro. Se proprio, sembrava pure una deriva in senso bambinesco e semplicistico della cosa. Poi però ho scaricato Lil Boat e, detto in quattro parole, ci sono rimasto sotto. Più che altro perché Piccolo Yachtino ha così tanta positività dentro che ha dovuto chiamare una canzone “Positivity Song” per farcela stare tutta dentro. E insomma, ogni tanto tra un bitch e un money e un fuck mi piace che il mio rap mi dica che andrà tutto bene con i suoni del GameBoy come sottofondo. Summer Songs 2 svolge esattamente questa funzione e potete quindi prenderlo al posto dell’Oki quando non avete voglia di trovare un farmacista aperto. 

GIUSEPPE POVERI

 

MSTRKRFT -  Operator - Last Gang

 Non ho la minima voglia di trovare parole educate per descrivere lo zero cosmico che mi frega di MSTRKRFT nel quasi agosto 2016, a Milano, a pochi giorni dalla mia dipartita verso le terre toscane. Già è stato impegnativo scrivere correttamente il nome, una cannonata immeritata di 2008 dritta nel cranio, proprio così, a sfregio. Che due palle. L'unica cosa simpatica (forse) è il video del primo singolo estratto, in cui gli zerenni di YouTube si chiedono chi cristo sia questo nuovo MSTRKRFT che impezza con strane tracce electro pop dal gusto appunto un po' vintage, mentre uno splendido ballerino si dimena per strada tutto dinoccolato. Ecco, il ballerino è molto ok, tutto il resto no.

BURTIFIED BURT

 

 

JACK & AMANDA PALMER - You Got Me Singing8ft

 

 Se uno sentisse parlare di Amanda Palmer senza averla mai vista—bisex, pescetariana, brechtiana, artista di strada, ha i peli sotto le ascelle, vive in una comune—potrebbe farsi l'idea che si tratti di una normale occupante del Teatro Valle.  La verità è che ogni cosa che esce dalla testa e dalla bocca di Amanda Palmer ha un'immediatezza e una purezza molto simile a quella dei racconti per bambini che scrive suo marito. Una purezza un po' gotica magari, un po' Emily The Strange, ma certamente molto diversa dalle pose a cui il mondo performativo nostrano ci ha abituato. Per questo nonostante a volte si comporti come l'amica a cui tireresti una sberla perché reagisce in scala 15.000 a stimoli da 8, non mi sento di buttare Amanda nel calderone dei teatranti. Più che altro perché dimostra sempre di più che quello non era teatro, non stava incarnando nessun personaggio, è sempre stata semplicemente lei e siamo noi che abbiamo scambiato il suo racconto colorito per una messinscena. Poco tempo fa, Chiara Galeazzi su Rolling Stone scriveva di Beyoncé che "ha fatto di sé una performance vivente: il matrimonio con Jay-Z diventato inframezzo tra una coreografia e l’altra, i video di lei bambina a fare da interludio con un cambio di scenografia, le immagini del padre prima di una concessione fatta con nonchalance al pubblico." Ecco, se togli un trillando di dollari e un'industria gigantesca che ruota attorno al personaggio, il discorso fila—anche meglio—per Amanda Palmer, che la performance della propria vita la regala (quasi) senza intermediari, tanto che ogni suo progetto cresce sollevato dalle mani dei suoi fan, grazie a crowdfunding che somigliano sempre di più a un crowdsurfing. Una verità che si mette in scena e su quella scena si scioglie, mostrando chiaramente quello che c'è sotto, un po' come succede al suo trucco durante i concerti. 

LAURA PALMA

 

SHACKLETON & ERNESTO TOMASINI  - DEVOTIONAL SONGS - HONEST JON'S

 Mo' l’ho capito perché non si fa intervistare, perché viaggia solo in treno senza pigliare l’aereo, e perché quando lo incontri in giro a Berlino sta sempre mbriaco, esagitato e sudato da rendersi completamente inavvicinabile: Sam Shackleton sta attraversando un cammino meditativo lungo una vita dal quale non può lasciarsi distrarre comunicando con esseri che potrebbero inquinargli l’anima con la loro mediocrità e bassezza, e per attraversarlo davvero bisogna resistere alla tentazione di rendersi la vita facile. Dopo tanta esegesi criptica siamo quindi giunti alla sintesi definitiva, con le intenzioni dichiarate fin nel titolo: Devotional Songs, e i testi decantati da Ernesto Tomasini (che qui sostituisce Revenge Tenfold sparito chissà dove) sembrino a volte avere tanta familiarità col divino da poterlo disconoscere, sbeffeggiare e persino superare… Nel senso che una volta imbracciato il linguaggio del sacro, per penetrarlo davvero è bene profanare tutto, ridere di sé, fare strage degli affetti. Dopotutto “all science points to our untimely death”. Musicalmente la mutazione è oramai tutta orientata verso i third impact, con echi dei Current 93 più allucinati, di Steve Reich a bali, Coil e Don Cherry, ma soprattutto di una ricerca che al mondo ha davvero pochissimi pari.

LILITH IN THE SKY WITH DEMONS

 

SLEEPING BEAUTIES - S/T - IN THE RED

 Non c’è niente di più fastidioso di una recensione che fa riferimento ai progetti precedenti dei membri di una band come se fossero più importanti di quello in questione. Io sto cercando di evitarlo, ma una citazione è doverosa: gli Sleeping Beauties sono figli di Hunches, Eat Skull e Hospitals, tre dei progetti che hanno alzato la media del garage punk della West Coast dopo la fine della scena budget rock flirtando con il noise e la follia sperimentale. Questo album su In The Red è prevedibilmente distorto e intriso di humour nero, ma presenta anche una finezza particolare. In certi casi sembra di sentire dei Modern Lovers alimentati a carne umana, o degli Electric Eels innamorati. Ma c'è molto di più, tra echi stratificati che ricordano le sperimentazioni analogiche degli Hunches e aperture pop degne di Loaded dei Velvet Underground. Il cantante Hart Gledhill mantiene la sua immagine di sciamano distruttore che narra storie di droga e debosciati con un ghigno a metà tra il sarcasmo e il romanticismo malinconico. Se avete deciso di comprare un solo disco garage nel 2016, potete smettere di cercare.

METH UNA SERA A CENA

 

Alvaro Soler  - Eterno Agosto (Italian Version) - Triebel & Zuckowski GbR

 Alvaro Soler è nato a Barcellona, ma suo papà è tedesco, mentre la madre è di origine belga. A dieci anni si è trasferito a Tokyo, dove ha vissuto fino a poco prima della maggiore età, per poi tornare a Barcellona e, nel giro di pochi anni, dopo aver conseguito una laurea in Industrial Design alla Scuola di Ingegneria di Barcellona, si è trasferito a Berlino per potersi concentrare sulla sua musica. Praticamente ha avuto la possibilità di inebriarsi di culture secolari e accedere ad una quantità di post-cultura che per il 99% della popolazione mondiale si limita alle board /int/ dei rispettivi chan nazionali, ma solo a livello teorico perché poi è diventato milionario nel 2015 con “El Mismo Sol”, una canzone monocorde anche per gli standard delle radio hit che ha venduto mezzo milione di copie in giro per il mondo. Ovviamente la metà di questo mezzo milione di copie è stato venduto in Italia e da qui la decisione, frutto di processi mentali raffinati e che voi idioti potete soltanto immaginare, di riprendere il disco del 2015, piantarci dentro due canzoni con Emma e Max Gazzè per poi vendere una Italian Version della faccenda e guadagnarsi altri 12 mesi di SIAE. Ovviamente ha funzionato così bene che la traccia numero 1 del disco (salve Signorina ADHD) è diventata una hit nel giro di 0,78 secondi e mi ha spinto a dubitare della genuinità dell’esistenza umana. Se seguitate a considerare la musica meme di PC Music come post-qualcosa, allora dovreste spararvi le venti tracce di questo progetto e capire che il pianeta procede su binari vagamente diversi.

NONNO GLOBAL

 

VIVALDI METAL PROJECT - THE FOUR SEASONS - PRIDE & JOY

 Grazie mille, perché non è che c'era già l'internet pieno di sta roba.

LA CAPPELLA SISTINA ANIMATA

 

 

 

 


Gli Head Wound City sono tornati a incendiare i vostri schermi

$
0
0

Qua a VICE non scriviamo solo articoli e giriamo video: abbiamo anche un'etichetta, che ha pubblicato quest'anno l'album d'esordio degli Head Wound City, cioè l'equivalente sonoro di un teschio spaccato in due da una badilata. Ci suonano Cody Votolato e Jordan Billie dei Blood Brothers, Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs e Gabe Serbian dei The Locust. Il suddetto album, che si intitola A New Wave of Violence, è una mazzata—un pugno nello stomaco che vi farà venire voglia di mettervi in piedi sulla scrivania dell'ufficio e dare un colpo di karate al vostro collega più vicino.

Morale: qua sotto potete guardare il nuovo video del gruppo, "Born to Burn". Se vi piacciono le fiamme (e a chi non piacciono le fiamme?) non resterete delusi.

Segui Noisey su Facebook:

La playlist dei J.C. Satàn per il Rock Your Head 2016

$
0
0

Se non avete ancora deciso che cosa fare per il ponte di Ferragosto, ve lo diciamo noi. Vicino a Pescara quest'anno c'è il festival Rock Your Head: dura quattro giorni, dal 12 al 15 agosto, è gratuito, è in un parco nazionale e offre workshop, escursioni, jam session pomeridiane e mercatini. E poi ci sono i concerti: Yak, J.C. Satàn, Joe Victor, Yombe, Weird Black, Indianizer e altre bombette.

I J.C. Satàn sono un quintetto franco-italiano con base a Bordeaux e se ancora non li conoscete vuol dire che non state seguendo abbastanza attentamente il magico mondo delle chitarre. Hanno già pubblicato quattro album e una mezza dozzina di singoli ed EP su etichette come Born Bad, Slovenly e Trouble In Mind, e sono una stupefacente anomalia: partendo da un impianto garage rock, tour dopo tour hanno incorporato influenze che vanno dalla psichedelia, al metal, allo stoner rock. Se volete scoprire quanto questa miscela può essere sexy e pervertita e satanica, non dovete fare altro che andare al Rock Your Head o a un'altra delle date del loro tour europeo

Abbiamo chiesto alla band di mandarci una playlist per prepararci alla loro discesa in Italia, e loro hanno selezionato una varietà di pezzi eclettici e provocatori. 

 

DESTRUCTION UNIT - "BUMPY ROAD"

Uno dei miei gruppi preferiti live, e sicuramente la mia canzone preferita durante i loro concerti. Ogni volta che li vedo mi portano immensa gioia e disperazione. All'ultimo loro concerto ho pensato che fossero la perfetta incarnazione del paradiso e dell'inferno insieme. All'inizio la loro musica è così forte e così potente da lasciarti senza parole con un sorriso schiaffato in faccia, una specie di purificazione. Alla lunga però diventi sordo e senti le tue orecchie sanguinare, ti senti perso in una specie di altra dimensione dove solo il suono esiste. Bello ma anche no. (PAULA)

 

SVEZIA INFERNO - "ARMA BIANCA"

Svezia Inferno è il nuovo progetto di Ruslaf Black Bug, che capita essere anche il mio ragazzo <3 . Adoro ogni canzone che esce fuori dalla sua mente talentuosa e apprezzo ancora di più questo suo nuovissimo progetto con nomi italiani, sicuramente influenzati dalle mie imprecazioni giornaliere. Lui è SVEZIA e io sono INFERNO. (PAULA)

 

YUSSUF JERUSALEM - "WITH YOU IN MIND"

Yussuf Jerusalem è uno dei miglior gruppi francesi esistenti, peccato che Benji si sia nascosto in mezzo ai boschi e abbia (quasi) smesso di girare e comporre. Aspetto con impazienza nuovi pezzi e un nuovo disco, e non vedo l'ora di fare un tour mondiale Yussuf Jerusalem/J.C. Satàn. (PAULA)

 

MARILYN MANSON - "IRRESPONSIBLE HATE ANTHEM"

Amo questa canzone e tutto questo album, Antichrist Superstar. È un album importante per me, perché mi ricorda l'Italia e quando ho cominciato a suonare perché Twiggy era il mio idolo. In questo live Brian era ancora in forma! (ALICE)

 

KING DUDE - "THE HEAVY CURTAIN"

King Dude è uno degli artisti contemporanei che amo di più, l'ultimo album che ha scritto è bellissimo e ho ascoltato le sue canzoni spessissimo negli ultimi anni. Lucifer's the light and the love! (ALICE)

 

AQUASERGE - "SERGE SINGE" 

Gruppo francese che suona con classe diversi stili di musica, insieme. Non è molto facile al primo ascolto, ma una volta che capisci le loro canzoni è fantastico. Qui ho scelto un loro pezzo strumentale con degli arrangiamenti magnifici, specialmente di clarinetto e tromba. (DORIAN)

 

DELACAVE - "TERRITORY"

Un altro gruppo francese (Grande Triple Alliance Internationale de l'Est), all'inizio un duo basso-tastiere/drum machine, ora hanno aggiunto un vero batterista e chitarra. GENIALE! (DORIAN)

 

DEERHOOF - "CRIMINALS OF THE DREAM"

Il loro nuovo disco The Magic è perfetto dall'inizio alla fine e Greg Saunier è il batterista più cool del mondo! (ROMAIN)

 

USÉ - "RESPIRE"

E' il progetto solista di uno degli Headwar (gruppo francese di Amiens), disco appena uscito su Born Bad. All'inizio non mi convinceva, ma la mia ragazza me l'ha regalato per il mio compleanno e più l'ascolto più mi piace. (ROMAIN)

Segui Noisey su Twitter e su Facebook:

Kozelek vs Michael Jackson, il ritorno degli Smash Mouth e altre disgrazie

$
0
0

Buongiorno e benvenuti a una nuova edizione de "Il peggio della settimana", gentilmente offertavi dalla redazione di Noisey Italia. Tuffatevi con noi nei più loschi meandri della musica internazionale per peggiorare sensibilmente le vostre giornate estive. E anche quelle dopo.

MORENO HA ANNUNCIATO UN NUOVO ALBUM CHE CONTIENE ISTANTANEE DI VITA

A volte scrivere del peggio della settimana è tanto facile quanto fare CTRL+C e CTRL+V dal comunicato stampa che ti arriva in mail: "SLOGAN" contiene dodici canzoni, caratterizzate da un linguaggio diretto, agile e trascinante: i testi sono immediati, ironici e hanno una velocità di comunicazione tipica del linguaggio di strada dei giovani d’oggi. “SLOGAN” è un album che contiene istantanee di vita ed è un disco festoso, spensierato, introspettivo, autocritico e riflessivo". Visto? Neanche mi son dovuto sbattere a inventarmi due battute.

I MEDIA CHE SBRANANO FATHER JOHN MISTY PERCHÉ NON FA I CONCERTI NORMALI

Josh Tillman aka J. Tillman aka Father John Misty sta girando per il mondo da più di un anno a suonare dal vivo le canzoni di I Love You, Honeybear, che è anche un gran bell'album se devo dirvi la mia. Per togliere un po' di tensione, com'è comprensibile, ogni tanto sbotta e inizia a dire quello che gli passa per la testa: racconta che ha sognato Lou Reed, condivide jingle pubblicitari finti o, come in questo caso, decide di fare un concerto parlando per dieci minuti e suonando solo due canzoni, di cui una cover di Leonard Cohen e un pezzo di 10 minuti improvvisato. La gente si incazza, i media titolano usando la parola MELTDOWN e RANT, e ancora una volta ci siamo tutti portati a casa abbastanza click da non farci licenziare. Il che però mi fa fare un pensiero. Se FJM è sul palco può fare un po' quello che gli pare, e uscite assurde come questa sono parte del suo appeal. Cioè, non ci sono già in giro abbastanza cantautori con l'acustica? E non è ok sentirsi male a suonare di fronte a una nave da guerra mentre c'è il concreto rischio che Donald Trump diventi presidente? Io credo di sì. Peccato che però da questa cosa resteranno solo un sacco di articoli che accusano Tillman di avere sbroccato. Ora devo scrivere un articolo in difesa dei rant

IL NUOVO SINGOLONE DEI MAJOR LAZER

L'ultima volta che Diplo e la sua cumpa hanno buttato fuori un singolone, quel singolone ha tracciato la via che chiunque nel mondo ha poi deciso di seguire quando si trattava di scrivere una canzone pop. Quindi, quando ne arriva un altro che ripropone MØ e ci aggiunge Justin Bieber all'apice della sua popolarità, è lecito aspettarsi qualcosa di più dell'ennesimo pezzo un po' dancehall ma non troppo coi chitarrini innocui e il drop come ormai ne abbiamo già sentiti 87964284165539327612436721423423423. 

SKRILLEX & RICK ROSS – PURPLE LAMBORGHINI

Bomba questa! Spero che i Knife Party ne facciano un rework!

IL DISSING DI KOZELEK A MICHAEL JACKSON MORTO

Pensi basti leggere il testo di questa canzone per farsi salire un leggero ma inesorabile brivido lungo la spina dorsale. Se non sapete bene l'inglese, vi traduco due frasi a caso: "È cattivo, è morto e sono felice che sia morto"; e "Mi spiace per le cose terribili che suo padre gli ha fatto / Ma questo non giustifica il fatto che abbia costruito una trappola per bambini tipo Willy Wonka / E abbia cambiato il colore che Dio aveva dato alla sua pelle."

LA NUOVA BARACCATA DI JACK WHITE COI VINILI, STAVOLTA NELLO SPAZIO

Non è un po' un peccato che ormai la ragione di vita di Jack White sia quella di trovare nuovi modi per fare delle cose coi vinili? Ha fatto il vinile dentro al vinile e il vinile registrato e stampato sul momento. Ha comprato un vinile di Elvis Presley per 300.000 dollari solo per poterlo ristampare. Cazzo, ha fatto venir fuori delle copie di un singolo rimaste nascoste per dieci anni dentro a dei mobili sparsi in giro per gli Stati Uniti. E ora sta per mandare un giradischi nello spazio. Spero che almeno le prime note che si propagheranno per lo spazio infinito tramite una puntina rendano giustizia all'incredibile capacità creativo-cognitiva che la razza umana ha dimostrato tramite la splendida forma d'arte che è la musica.

DIE ANTWOORD – BANANA BRAIN

Ma voi conoscete qualcuno che ascolta davvero i Die Antwoord? C'è davvero gente che ascolta dall'inizio alla fine un loro album, magari pure pagandolo? Qualcuno che attenda con ansia canzoni che si chiamano "U Like Boobies?" e "Fat Faded Fuck Face"? Insomma, sono sicuro che il droppone ignorante di questo pezzo possa garantire qualche minuto di divertimento se sentito dal vivo durante un concerto. Ma la cosa finisce lì. Deve finire lì. Prima di ritrovarci tra dieci anni a dover ancora scrivere dei Die Antwoord come se fossero musicisti rivoluzionari. L'unica cosa buona di 'sto pezzo è l'artwork, in cui Ninja sembra un ibrido tra Raiden e Kung Lao di Mortal Kombat.

GLI SMASH MOUTH HANNO FATTO UN PEZZO EDM

Che figata, ora l'esercito degli Stati Uniti ha un po' di nuovo materiale per torturare i terroristi!

Segui Noisey su Facebook:

Broccoli, footwork e flussi di coscienza: il meglio della settimana

$
0
0

A volte non succedono solo un sacco di cose brutte. Cioè, la maggior parte delle volte sì. Ma questa settimana no. Questa settimana troverete un euro per terra e avrete così abbastanza moneta per prendervi le sizze. Questa settimana terrete il posto in coda alla cassa del Carrefour a una signora anziana e lei vi regalerà un gianduiotto. Questa settimana vi torneranno i soldi della caparra che non credevate sarebbero mai tornati dopo che avevate macchiato di sangue l'intonaco di camera vostra. Celebriamola, quindi, questa settimana, con le nuove musiche decenti che ha prodotto.

È USCITO UN ALBUM TIPO FLUSSO DI COSCIENZA DI SCALLOPS HOTEL

Siamo tutti un po' stanchi degli stilemi del rap, no? Insomma, intendiamoci: non che non sia estremamente felice del nuovo di Gucci Mane, e mi prenderò sempre bene per quello che esce da Compton. Però, a volte, è anche bello che il rap sia ballonzolante—una sorta di viaggio in macchina su una strada piena di buche mentre il tuo culo resta seduto su un metaforico sedile superconfortevole. Che è un po' la sensazione che ti lascia Too Much of Life Is Mood, il nuovo album di Rory Ferreira aka Milo aka Scallops Hotel aka il fattone artsy più bravo a fare i rap che tirano in mezzo i lavandini e le frasi tipo "Ho sentito dire che Rory sta fumando erba nel giardino dei Getsemani".

IL VIDEO DI "BROCCOLI" DI D.R.A.M. E LIL YACHTY

Fare il rap con un pianoforte bianco, un cagnolino in braccio e una testa di broccoli nel letto di un fiume is the new cucinare il crack in periferia.

CI SONO DUE PEZZI NUOVI DEI TEEN SUICIDE

Sam Ray è la faccia più eroinomane e romantica della nuova scena DIY americana e il fatto che i suoi Teen Suicide avevano annunciato il loro scioglimento non ci aveva fatto poi tanto prendere bene. Ma in realtà c'era solo un cambio di nome dietro, e mentre Ray e compagni cercano un nuovo nome hanno buttato fuori questi due pezzi a nome "The World's Greatest". Uno suona tipo i Real Estate, ma senza la sfiga. L'altro è un collage di lamenti, batterie elettroniche e voci pitchate.

E CE NE SONO ALTRI DUE DI MATHEW LEE COTHRAN

MLC è il tipo dietro ai Coma Cinema prima e agli Elvis Depressedly poi, cioè due delle altre cose del disagio con le chitarre che insieme a quelle qua sopra hanno fatto la gioia di tutti noi millennials a cui fa orrore il concetto di "lavoro dipendente". Questi due suoi nuovi brani hanno una copertina con quella che sembra essere la testa di Goldberg in 3D che esce da una staccionata. Non penso di dover dire altro.

PERRY FARRELL SCHIFA IL SUO STESSO FESTIVAL E L'EDM

Chi è Perry Farrell? Il cantante dei Jane's Addiction e uno dei fondatori di Lollapalooza—il festival che negli anni 90 era praticamente quello che è oggi il Coachella, ma meglio. Farrell ha detto queste cose, e si merita un bacino sulla fronte: “Quando mi hanno detto che volevano dedicarmi un palco del festival, mi sono sentito onorato. Mi piace essere adultato. Ma se mi doveste chiedere come sta andando... credetemi, mi sto facendo due domande. Odio l'EDM. La voglio vomitare dalle narici. Non sopporto quello che ha fatto a ciò che adoro, cioè la house, che era musica meditativa, psichedelica—ti faceva fare un viaggio... a volte mi vengono i brividi di fronte al mio stesso festival."

QUESTO TAPE DI 食品まつり aka FOODMAN

La musica di Takahide Higuchi, che ha deciso di chiamarsi in arte UOMO DEL CIBO e quindi va già amato solo per questo, è footwork fatto da un hikikomori sotto LSD appena uscito dal suo appartamento dopo un anno e mezzo. Qua ce n'è un po', ed è pure stata stampata effettivamente su cassetta.

KAITLYN AURELIA SMITH CHE REMIXA LE COSE

Non è solo brava a far uscire il suono della natura dai synth modulari, Kaitlyn: spacca anche a remixare le canzoni che in origine mica eran tanto belle, come questo pezzo mollo degli Invisible con Anna Calvi che ora sembra invece uscire dalle viscere della terra.

CLIPPING. – BABY DON'T SLEEP

A cosa serve una base quando hai del rumore bianco e quello che sembra il suono di un liquido denso e nero che bolle filtrato attraverso cinque distorsori?

Segui Noisey su Facebook:

Provate a giocare a Pokémon Go al concerto di Beyoncé o a quello di Rihanna...

$
0
0

In tempo record, Pokémon Go è già diventato un culto per molti, una roba demoniaca per tanti altri, tra cui per gli investitori della Nintendo, accortisi troppo tardi che il gioco non è di intera proprietà della Nintendo, con la conseguenza che le azioni della compagnia stanno cadendo a picco. 

La più incazzata di tutte con questo giochino, però, è Rihanna. Un suo fan avrebbe filmato, ad un concerto di Riri a Lilles in Francia, la lista delle cose che la signorina NON vuole assolutamente vedere ai suoi show, e una di queste cose sarebbe proprio Go. Oltretutto la nostra fa l'errore comune di usare Pokemons al plurale, quando tutti sappiamo che trattasi di un caso di pluralia tantum come "Viscere". Ma non è che questa sua attitudine da faccio-finta-di-niente è solo una posa e la nostra Riri, in segreto, è una gym leader coi fiocchi? Non è che per caso vieta di giocare a Pokémon Go ai suoi concerti solo perché vuole avere campo libero per se stessa? Oppure, semplicemente, la nostra Riri è troppo affezionata ai personaggi di Mario Kart per cedere a questo nuovo trend.

A quanto pare, Riri al concerto avrebbe affermato: ‘"I don’t want to see you texting your boyfriends or your girlfriends. I don’t want to see you catching any Pokemons up in this b*tch".

Nel frattempo, nemmeno la fandom di Beyoncé la prende bene quando una ragazza (poco avveduta) prova a giocare ai Pokémon al concerto di Queen Bey. 

Insomma, se qualcuno dovrà mettere fine a questo delirio collettivo, ci aspettiamo che saranno proprio le regine del pop. 
 

Seguici su Facebook: 

La Dischord ha messo quasi tutto il catalogo su Bandcamp

$
0
0

Dobbiamo molto a nonno Ian "Distributore di Aneddoti" MacKaye. Tanto per fare un elenco parziale: i Minor Threat, lo straight edge, Henry Rollins, il concetto di integrità nel rock indipendente, un certo modo di portare il cappellino di lana. Un'altra grande impresa di Ian "Il Saggio" MacKaye è la sua etichetta discografica Dischord, che dalla prima all'ultima uscita ha rappresentato un esempio di onestà, passione e qualità. Non che abbia prodotto soltanto figate, ma credo che Ian "Fronte Alta" MacKaye sarebbe in grado di difendere a spada tratta ognuno dei dischi in cui ha investito i propri soldi. E poi c'è la mitologia della Dischord House, che basta suonare il campanello e si può parlare con il proprio idolo (Ian "Out Of Step" MacKaye) e bersi un succo di frutta con lui. Insomma, tra tutte le label leggendarie, Dischord è forse la più leggendaria di tutte.

È notizia di questi giorni l'apertura di un account ufficiale dell'etichetta su Bandcamp, su cui Ian "Lo Spirito di DC" MacKaye e il suo staff hanno caricato gran parte del catalogo, abbastanza per tenervi occupati nell'ascolto per settimane. Lo streaming è totalmente gratuito e il download di ogni album si può acquistare a pochi dollari. Ma noi sappiamo che i lettori di Noisey hanno una vita frenetica e poco tempo per spulciare una pagina Bandcamp piena di figate nascoste, così abbiamo deciso di consigliarvi qualche ascolto al di là dei grandi classici. Perché di farvi sentire Minor Threat, Dag Nasty, Rites Of SpringFugazi non c'è bisogno, giusto?

 

FAITH/VOID - SPLIT LP

Se non vi vengono i brividi quando inizia il lato dei Void, mandateci i vostri dati e vi inseriremo nel Peggio della Settimana.

 

SLANT 6 - INZOMBIA

Il secondo e ultimo album della band è uscito nel 1995 ed è una bombetta troppo sottovalutata post-rock'n'roll, influenzata da post punk, Dischord sound e bubblegum pop. Senza questo disco le Sleater-Kinney sarebbero state una band completamente diversa.

 

NATION OF ULYSSES - 13 POINT PROGRAM TO DESTROY AMERICA

Se non conoscete la figura di Ian Svenonius correte subito a documentarvi. Si tratta di un tizio piuttosto bruttino, sdentato, di solito vestito in un abito giacca-pantalone piuttosto appariscente e con lo sguardo da pazzo. Nel 1991 era il frontman dei Nation Of Ulysses, uno dei gruppi simbolo della Dischord. Dopo questo album, un manifesto programmatico per la rivoluzione guidata da giovanissimi che amano il rock'n'roll, ma anche un demolition derby in cui punk hardcore, rhythm and blues e no wave si scontrano in modo caotico, vitale ed esilarante, è stato in un'altra mezza dozzina di band, ha scritto due libri, ed è stato eletto Sassiest Boy In America.

 

BEEFEATER - PLAYS FOR LOVERS/HOUSE BURNING DOWN

Nel 1984 la SST non era l'unica etichetta punk a pubblicare forme avanguardistiche e meticce di questo genere musicale. Anche Ian "Sorrisoni" MacKaye apprezzava le band con un ampio orizzonte di influenze. Tanto che nel 1984 produsse e pubblicò Plays For Lovers dei Beefeater, un disco che esibisce una concezione di hardcore deviata che ricorda i Saccharine Trust mescolata a una chiarissima influenza funky con tanto di basso slappato. Un disco fuori dal tempo che doveva suonare allucinante allora quanto oggi.

 

BLACK EYES - S/T

Questo è uno dei miei album preferiti del periodo 2000-2005. Un attacco assolutamente irresistibile, caotico e vivace di no wave funkeggiante che suonava come una jam session tra Mars, Pop Group e Liquid Liquid davanti a un plotone d'esecuzione. La band si sciolse dopo il secondo album Cough (sempre su Dischord, sempre molto fico) e, con qualche cambiamento, si riconfigurò con il nome di Mi Ami. Poi il fondatore Daniel Martin-McCormick si trasformò in Ital.

 

GOVERNMENT ISSUE - LEGLESS BULL

Sono passati pochi mesi dalla morte della voce dei G.I. John Stabb, quindi un ascolto della prima uscita ufficiale della band, marchiata Dischord, è obbligatoria. Veloci, ironici, incazzati ed energici, i Government Issue di Legless Bull sono la band hardcore perfetta. Uno di quei dischi che si usano quando si vuole far slogare le articolazioni a tutta la festa.

 

EL GUAPO - SUPER/SYSTEM

El Guapo (oggi Supersystem) sono forse la miglior testimonianza dell'ampiezza di vedute di Ian "Occhi Da Cucciolo" MacKaye. Ogni lavoro del terzetto di Washington DC è un contenitore di folli sperimentazioni in cui il pop viene decostruito e rimontato in complicate architetture ipnotiche e psichedeliche. Super/System è stato il loro primo album, seguito dal relativo successo commerciale di Fake French e poi, con il cambio di nome, dal passaggio a Touch & Go prima della dissoluzione.

 

3 - DARK DAYS COMING

Tutti conosciamo i Rites of Spring come pionieri dell'emo, ma questo disco è colpevolmente sottovalutato quando si parla del genere. Si tratta dell'unica testimonianza di questa ottima band che comprendeva anche Jeff Nelson (ex Minor Threat), diciannove pezzi che aggiornano al post punk il folk rock anni Sessanta, come avevano già fatto qualche anno prima gli Hüsker Dü, con un songwriting memorabile e un'energia malinconica tipiche della grande produzione emotiva Dischord.

 

Direi che otto album superfighi per oggi possono bastare. Se li esaurisci, basta tornare alla pagina Bandcamp di Dischord e ascoltare altra roba a caso—sbagliare è molto difficile. 

Giacomo è su Twitter: @generic_giacomo.

Segui Noisey Italia su Twitter o sulla nostra nuova pagina Facebook:

Beatport: ascesa e morte (e rinascita?) di un impero

$
0
0

 Illustrazione di Che Saitta-Zelterman.

Nel 2004, un'epoca in cui George W. Bush, i CD-ROM e Myspace erano parte integrante della nostra vita quotidiana, tre DJ/nerd musicali di Denver (Jonas Tempel, Bradley Roulier, Eloy Lopez) lanciarono uno shop  online di musica dance. Era già loro abitudine rippare in digitale la musica in vinile per poi suonarla nei loro set ma, in un'era in cui la quasi totalità dei DJ ancora si trascinava dietro quintali di dischi da suonare, l'idea di creare un mercato digitale per questo tipo di musica era ricchissimo di potenziale. 

Betport fu lanciato nel gennaio del 2004 con un catalogo di settantanove label, principalmente house. Nel corso del decennio successivo, la piattaforma si sarebbe tramutata nel catalizzatore dell'esplosione mondiale della musica dance e, in particolare, per la EDM, ovvero la club music tramutata in business milionario da folle oceaniche, venture capitalist e DJ superstar. Man mano che l'inventario della società cresceva, le sue classifiche ("Top Sales", divise per genere) divennero lo standard su cui misurare il successo di un DJ o producer. Quando, nel 2013, il gruppo di Robert Sillerman SFX Entertainment comprò l'azienda per 58.6 milioni di dollari, Beatport era la startup di maggior successo nel mondo della musica elettronica.

Quasi subito dopo l'assorbimento da parte di SFX (un'agenzia di organizzazione eventi, il cui portfolio comprende festivalini come Tomorrowland, Electric Zoo e Mysteryland) la fortuna di Beatport iniziò a rovesciarsi. A causa, pare, dell'inettitudine manageriale dei nuovi proprietari, di un mercato in continua evoluzione tecnologica e di nuovi prodotti che si allontanavano troppo dalla missione originaria di Beatport, una delle colonne portanti del mercato della dance music iniziò a sbriciolarsi. SFX ha dichiarato bancarotta all'inizio di quest'anno e, secondo Billboard, le sue azioni ora valgono circa un centesimo. Il fallimento si è risolto con il licenziamento di circa cinquanta impiegati, cioè praticamente metà staff, e la chiusura di tutte le sezioni non direttamente coinvolte nella vendita diretta di musica. 

Per capire cosa la vicenda comporta, sia per l'azienda che per la musica in generale, dobbiamo tornare indietro nel tempo, a prima delle vendite milionarie, a Denver, Colorado. Al telefono da casa sua, l'ex-impiegato di Beatport Lloyd Starr, che lavorava per l'azienda come sviluppatore software dal 2003 per divenirne poi Direttore Operativo e infine presidente della divisione dedicata ai software di library Beatport Pro, racconta i loro primi giorni come una specie di utopia-startup. "Io c'ero dall'inizio, da prima del lancio ufficiale" ci dice "Quindi sono stato il loro primo impiegato! Abbiamo iniziato a sviluppare la piattaforma molto prima del lancio di iTunes. Non c'era un sentiero già battuto. Il piccolo staff lavorava per lunghe ore e anche nei weekend, in un ufficio talmente piccolo che gli toccava impilare i server sulle scrivanie. "All'inizio eravamo un gruppo molto ristretto. Gente molto appassionata."

Per i primi sei anni di vita, Beatport fu guidata dal co-fondatore Jonas Tempel, un DJ che si auto-definisce anche un "computer geek col pallino del graphic design" e, aggiungeremmo, naso per gli affari. "Ci serviva un nome" racconta "e allora gliene diedi uno io. Poi ci servì un logo, e allora ne disegnai uno. Non avevamo neanche un software base o un'interfaccia, ci siamo fatti tutto in casa." Matthew Anthony, fondatore della label house di Los Angeles Perfect Driver, sottolinea l'importanza di Beatport per label come la sua: "Beatport è stata la nostra principale piazza di mercato per un sacco di tempo. Lo è ancora, e un posizionamento nella loro classifica è ancora il sogno di molti nostri artisti." 

Nel 2007, Beatport accolse un investimento di 12 milioni di $ dal fondo per la tecnologia Insight Venture Partners, dopo essere stata valutata circa cinquanta milioni. Per quanto sia stato un bel colpo per la piattaforma—e un primo segnale del potenziale economico della musica dance in America—quell'investimento alterò per sempre il corso della sua storia. "Se accetti un investimento, che tu lo voglia o no, la tua azienda è in vendita", spiega Tempel, con un tocco d'ira. "È la performance sul mercato che conta, non la redditività. E come vendere il futuro." Il giornalista Bob Lefsetz suggerisce che, nel 2007, Sony era talmente interessata al futuro di Beatport da fare un'offerta da 125 milioni di $, accordo negato perché gli investitori speravano di ottenere di più. Il tracollo economico del 2008, però, fece venire meno la loro fiducia, e pure ogni speranza di una valutazione così ricca. A quel punto, però, Beatport si trovava alle prese con un problema molto più sistemico: la tecnologia.

Come negozio specializzato nel fornire MP3 e WAV a DJ e appassionati , Beatport era parte di quella ondata di rivoluzione digitale che si apprestava a sostituire tecnologie scricchiolanti in giro da decenni come il CD-ROM e il vinile. Nei primi cinque anni di vita dell'azienda, la crescita fu esponenziale, e lo stesso fu per la concorrenza, soprattutto Stompy, Traxsource e Juno. Alla fine degli anni Duemila, però, con l'avvento dei servizi di streaming, il mercato si è sbilanciato a favore di Pandora e Spotify. La minaccia dell'obsolescenza ha messo quindi Beatport in una brutta condizione: il numero di DJ e ascoltatori che acquistano MP3 e WAV da suonare è relativamente limitato, si tratta quindi di un mercato incapace di soddisfare la sete di crescita dei venture capitalist che avevano fatto l'investimento. Questo ha generato una frizione tra il servizio che aveva determinato il successo di Beatport e i nuovi prodotti che doveva essere in grado di offrire per rimanere sul mercato.

 Beatport Pool Party alla Winter Music Conference di Miami, nel 2009. Foto per concessione di Vincent Escudero/Wikimedia Commons.

"Quel periodo è stato davvero pesante," racconta Tempel di quei giorni burrascosi. Non era convinto della possibilità di spostare il focus dell'azienda dal supermercato per DJ che era, ma cavalcare il recente boom della EDM—trascinato da Vegas, David Guetta e Deadmau5—sembrava effettivamente l'unica strada sicura che conducesse verso la crescita che gli investitori volevano. "Non c'era più armonia tra lo staff, eravamo tutti molto disillusi" dice Tempel, "Gli investitori pressavano affinché vendessimo l'azienda, ma io non volevo. Mi chiedevano di licenziare dipendenti o sostituiri, ma i sostituti non andavano mai bene. Era molto dura." La pressione saliva, e nel 2010 Tempel ha deciso di dimettersi, mentre i due fondatori rimasti, Bradley Roulier ed Eloy Lopez, a loro volta diminuivano il coinvolgimento nell'azienda, arrivando presto a tagliare ogni ponte. Roulier si stava concentrando molto di più sulla sua carriera da DJ, come metà del duo EDM Manufactured Superstars, mentre Lopez era diventato presidente e COO della radio online Digitally Imported. 

Nell'agosto del 2010, Matthew Adell, un manager veterano della tecnologia musicale, con un curriculum che comprende Napster e Amazon, è stato promosso da COO a CEO, col compito di preparare Beatport alla vendita. Per Tempel quello è stato l'inizio della fine: "Quando tutti i fondatori hanno lasciato, la nuova leadership ha iniziato a comportarsi come se non fossero mai esistiti" dice, riferendosi al nuovo regime e alla nuova politica di espansione aggressiva "Da lì in poi  puoi tracciare una linea tra tutti i nuovi prodotti che sono stati lanciati, nessuno dei quali ha minimamente funzionato." Effettivamente, è probabile che Adell avesse in mente la visione di Tempel quando, all'inizio della sua conferenza all'IMS di Ibiza nel 2011 ha dichiarato "Il mercato della compravendita musicale è morto", una dichiarazione che suonava come un'elegia per la vecchia Beatport. Era ora di cambiare, infatti da lì a poco sarebbe arrivato tutto un nuovo menu di feature, tra cui mix, pagine profilo per DJ, una sezione di sample per la produzione di tracce chiamata Beatport Sounds, un calendario eventi, un portale per lo stream di DJ set chiamato Beatport Live e il progetto editoriale Beatport News (ma i fan che lo volessero, possono ancora limitarsi a usare il webstore in modalità classica).

"Nei cinque anni successivi all'acquisizione, c'era un grosso margine di successo" spiega Starr a proposito del periodo pieno di speranze tra l'investimento di Insight Venture Partners e l'acquisto da parte di SFX. "Avevamo appena iniziato a comportarci come una vera azienda. Direi che era un buon periodo." Il fiorente conglomerato di Bob Sillerman SFX ha bussato alla porta di Beatport nel febbraio del 2013, offrendo cinquantotto milioni per l'acquisto della compagnia. Sillerman era uno dei più navigati imprenditori del settore intrattenimento, avendo iniziato a costruire la propria fortuna negli anni Novanta, acquisendo una serie di promoter di concerti fino a creare un vero e proprio impero, successivamente venduto a Clear Channel, che lo rilanciò col nome di Live Nation. Un decennio più tardi, provò a ripercorrere i passi che lo avevano reso un magnate dell'industria musicale, stavolta a ritmo di EDM. La sua nuova compagnia inglobò operatori del settore dance di praticamente tutto il mondo, compreso uno stock del 75% nell'organizzatore di festival olandese ID&T (Tomorrowland, Q-Dance), il newyorkese Made Event (Electric Zoo), l'australiano Totem Onelove Group (Stereosonic, Creamfields) e un interesse del 50% nel brasiliano Rock In Rio. SFX riuscì ad accaparrarsi anche il 75% di una piattaforma di e-commerce chiamata Paylogic, l'agenzia di marketing Fame House e la piattaforma di social media musicale Tunezy. Beatport avrebbe dovuto essere il fiore all'occhiello verde e nero del gruppo.

"Non capisco niente di EDM" ha dichiarato Sillerman a Billboard nel 2012. Probabilmente voleva fare una battuta conciliante, o dimostrare a tutti di sapere che la fiducia dei consumatori non può essere acquistata. In ogni caso, l'affermazione fu in realtà da prendere alla lettera, una descrizione molto precisa dello stato di cose. I cinquantotto milioni di SFX erano un numero grosso per il mercato della dance, ma mostravano che la crescita di Beatport dalla valutazione di cinquanta milioni di un lustro prima era stata minima. La causa era il picco di vendite digitali non solo di Beatport ma di tutta l'industria, che però non sembrò preoccupare SFX. Beatport sarebbe comunque stato il ponte dorato tra il loro portfolio aziendale miliardario e i consumatori, un di centro commerciale digitale, ricco di servizi differenti. Il loro nuovo focus non erano i DJ ma i "fan della EDM", e il lancio di un nuovo fiammante servizio di streaming gratuito sarebbe stato l'ultimo passo verso la totale dominazione del mondo della musica dance da parte di SFX.

 

 Tomorrowland 2014, in Belgio. Foto per concessione di Global Stomping/Wikimedia Commons.

"Sulla carta i progetti di SFX avevano perfettamente senso" dice Tempel. Ma credo che quell'approccio alla 'dai che diventiamo miliardari!' finì con l'allontanare un sacco di gente. Se sventoli mucchi di soldi a destra e a manca diventa difficile negoziare accordi soddisfacenti. E una cosa che ho imparato della cultura dance, è che quando arriva uno che non è del giro e puzza di opportunismo, nessuno si fida. Credo che molti abbiano visto in SFX una roba semplicemente votata a fare soldi in fretta." Una teoria confermata dalle opinioni di molti addetti ai lavori del settore dance:  "A me SFX pareva una roba da Wall Street, per cui non ho mai voluto fare affari con loro," ha dichiarato a Billboard Pasquale Rotella, CEO di Insomniac Events ed Electric Daisy Carnival, oggi principale concorrente di SFX. Il DJ Eri Sharp, veterano della scena club della West Coast e utente Beatport da sempre, fa eco al risentimento che serpeggiava nell'underground: "la musica dance era una sottocultura" dice "Non è stata creata per diventare un brand o attirare clienti. Per cui se arriva uno come Sillerman che, a quanto ne so, non ha mai avuto niente a che fare con la scena dance, è normale che faccia la figura dell'approfittatore."

Nell'ottobre del 2013 SFX si è buttata sul mercato azionario con un valore di 13$ a share, subito crollato. Fu subito abbastanza chiaro che le acquisizioni milionarie di SFX la avevano riempita di debiti. "L'ultima cosa a cui pensiamo sono i margini di guadagno" ha detto Sillerman in un'intervista per Forbes del 2012. "Se produci auto o lavatrici ci devi pensare, ma non è così che funziona il settore dell'intrattenimento per me. Non è una scienza, è un'arte" Sfortunatamente per Sillerman (che a noi non ha vouto rilasciare dichiarazioni), gli azionisti di SFX non erano d'accordo con lui. Il loro impero si basava sull'assunto che le varie proprietà si sarebbero sostenute a vicenda. Un'idea non molto fondata, dato che la disastrosa offerta pubblica iniziale di Beatport ha obbligato il gruppo a passare immediatamente allo stato di emergenza. La capitalizzazione azionaria dell'intera compagnia (un valore determinato dal valore di mercato di un'azienda) si era ridotta di circa un terzo dal dicembre del 2013 al marzo del 2014.

In preda al caos finanziario, SFX ha quindi licenziato venti ingegneri, cioé circa un quarto dello staff, e chiuso l'ufficio-satellite di San Francisco (quelli di Denver e Berlino rimasero aperti). A ottobre 2014, a un anno dalla quotazione in borsa, il prezzo delle azioni di Beatport era crollato da 13$ a circa 5$ l'una. Un anno dopo, nell'ottobre del 2015, erano a 93 centesimi. Nel frattempo, il tentativo di espansione verso nuovi servizi non stava andando affatto bene: non c'era ancora un'utenza affezionata. "Gli sforzi di Beatport nel campo dello streaming parevano privi di entusiasmo" sostiene Mark Mulligan, managing director dell'agenzia di media-tech analisi MIDiA, "La loro customer base è fatta di DJ, producer e aspiranti tali. Vannos u Beatport per comprare i download o capire cosa cercare sui torrent. Non ci vanno come ascoltatori."

Ancora peggio è stato quando, nel 2015, l'ennesimo scandalo ha colpito Beatport, dopo che alla maggior parte delle label indipendenti era stato fatto sapere che i loro pagamenti erano stati congelati per un po', mentre era abbastanza chiaro che invece le major stavano ancora ricevendo soldi. In questo modo, tutto il mondo che Beatport era nata per supportare veniva completamente bistrattato. Le scuse pubbliche di Sillerman arrivate due giorni dopo ("Sono profondamente imbarazzato, sia a livello professionale che personale, da quanto è successo") e la forzatura dei pagamenti non hanno comunque cancellato la macchia. Nel 2015, Beatport aveva perso 5.5 milioni di $. Il ricordo al Capitolo 11 è arrivata nel febbraio del 2016: a volte chiamato "bancarotta riorganizzata", questo articolo della legge fallimentare statunitense permette a un'azienda di rimanere in attività se prova a ristrutturare le proprie finanze. Per SFX, questo voleva dire svendere e ridimensionare molte delle sue proprietà. Sillerman si è dimesso da CEO lo scorso marzo, e Beatport è apparso tra le proprietà all'asta a maggio. Altre divisioni, come Fame House e Flavorus, sono state svendute per pochi spiccioli al moloch Vivendi/Universal Group. La messa all'asta di Beatport è stata prima rimandata, poi sospesa, anche se SFX ha dichiarato che avrebbe continuato a prendere in considerazione varie offerte.

Per sopravvivere, Beatport ha dovuto chiudere Beatport news, la piattaforma di streaming, la distribuzione digitale Baseware, il portale video Beatport Live e tagliato i fondi alla sua app per mobile, tagliando anche cinquanta posti di lavoro. Al momento in cui scrivo, sono sopravvissuti solo il webstore di MP3 e WAV e Beatport Sounds. "Siamo in un periodo di riassestamento" ci ha detto Terry Weerasinghe da Berlino. Assunto come vicepresidente dei servizi musicali nel 2013, è ora a capo del marketing , della creazione dei contenuti, e del dipartimento di business analytics. "I servizi che avevamo lanciato—streaming, video, news—avrebbero richiesto tempo e investimenti. Erano ottime idee, ma coi debiti di SFX, non erano economicamente realistiche, per cui le abbiamo tolte dal sito. Abbiamo ricominciato a dedicare il 100% delle nostre risorse allo store e alla nostra clientela principale: i DJ." Per la prima volta da anni, lo staff e i fondatori di Beatport sono d'accordo su quale sia il core business dell'azienda: "Beatport non deve necessariamente essere una dot-com da milioni di dollari" dice Tempel, ripetendo una sua recente lettera aperta all'azienda "Il resto erano tutte fantasie. Beatport deve essere semplicemente la migliore piattaforma al mondo per la musica dance. È il suo vero lavoro nonché strada possibile."

Ancora più importante di questo è il fatto che la musica dance ha ancora bisogno di Beatport: "spero che escano dal Capitolo 11 nel migliore dei modi possibili." dice l'ex presidente Starr, allontqnatosi nel gennaio 2016 per gondare una agenzia di consulting chiamata Velocity plus. "Ci sono molte label... Diciamo un 40% delle 37.000 indipendenti che esistono che contano su Beatport per un buon 50-70% del loro incasso." Matthew Anthony di Perfect Driver è d'accordo: "Se Beatport se ne dovesse andare, Perfect Driver scomparirebbe. Al momento, non guadagniamo molto in generale, giusto il necessario a pagare le bollette. Per gestire bene una label ti servono soldi, e senza Beatport non ne avrei."

Per Richard Tullo, un analista dell'agenzia di Wall Street Albert Fried & Company, è chiaro cosa ha determinato il tracollo di SFX: "Troppi debiti e troppo poca attenzione all'integrazione dei prodotti, ma anche previsioni sbagliate su quante sponsorship SFX potesse vendere, è questo che li ha uccisi". Oltre a questo, Tullo sostiene che la macchina EDM è probabilmente anche una opportunità economica troppo poco potente. "La crescita della EDM si fermerà quest'anno" dice "I festival migliori andranno ancora sold out, ma quelli mediocri chiuderanno o cancelleranno delle giornate. Non saranno mai più grandi com'erano all'inizio, perché i millennial stanno crescendo e uscendo dal target."

È facile vedere il crollo di SFX come una storia la cui morale è che le sottoculture non vanno sfruttate, ma è anche una lezione per il mondo delle multinazionali su quanto siano ostinate le comunità di outsider. Prima del boom della EDM, la musica dance era stata per decenni, almeno negli stati uniti, una roba genuina e marginale, portata avanti da gente dubbiosa della possibilità di sacrificarne l'autenticità ai dollaroni. Per quanto provasse a connettere con una nuova generazione di appassionati di musica SFX non è mai riuscita a legare con quelli che vivono davvero il dancefloor e costituiscono l'anima immortale del genere. "SFX è nata nel periodo della bolla EDM, quando pareva che quella musica avrebbe dominato il mondo," ci ha detto l'analista del mercato musicale Mark Mulligan: "il problema di quando una subcultura diventa mainstrream è che il suo pubblico affezionato finisce per mollarla. E quando arriva una roba ancora più nuova e cool, i fan temporanei si spostano verso altro, e non resta niente. "

È per questo che, nonostante la EDM sia stata uno dei fenomeni degli ultimi anni, in definitiva sarà solo una meteora. Di buono c'è che Beatport è più o meno sopravvissuta al crack, anche se il suo staff è completamente diverso da quello che l'ha creato nei primi Duemila. Tra le macerie di SFX, Beatport è tornata alla sua missione originaria: essere il miglior store digitale in cui comprare musica dance. Al momento vantano ancora un catalogo di 6 milioni di tracce, da più di 46.000 label. Una media di 25.000 tracce vengono aggiunte ogni settimana allo store, e la media dei visitatori è di 40 milioni di contatti unici all'anno. Al momento le sfide che deve affrontare sono sempre le stesse, con la spada di Damocle dell'imminente fine del download, ma, per la prima volta da decenni, Beatport avrà una chance di rispondere stabilendo i termini del confronto. "Non credo il successo si possa mai garantire", dice Jonas Tempel "ma se c'è qualcuno che dovrebbe essere in grado di farcela ancora, è proprio Beatport".

 


Scrivere di musica mi ha fatto finire in un ospedale psichiatrico

$
0
0
 Tutte le foto sono dell'autore.

C'è un detto che recita: "scrivere di musica è come ballare di architettura". Forse lo conoscete. La paternità dell'aforisma è ciclicamente attribuita a Elvis Costello, Frank Zappa o Martin Mull, chiunque egli sia. Indipendentemente dalla sua origine, potrei affermare che sia stata proprio quella frase a convincermi che avrei voluto diventare un critico musicale, ma vi starei dicendo una bugia. 

In realtà ho iniziato a scrivere di musica quasi per caso. Ero un cliché vivente: un musicista mancato che passava il suo tempo a criticare gli altri musicisti. La cosa divertente è che non conosco altri giornalisti musicali che abbiano seguito il mio stesso cursus honorum. Grazie a una particolare sequenza di eventi sono finito a scrivere per un magazine online, ora defunto. Era il 2011. La bolla di internet non era ancora esplosa a dovere e c'erano ancora un bel po' di soldi che giravano—c'erano ancora abbastanza investitori da permetterci di sopravvivere. In quel periodo ho acquisito la consapevolezza che non sarei mai diventato ricco, anzi, ai tempi ero proprio povero in canna, ma c'erano tanti lati positivi: CD gratis (roba che ora non vale una cicca), viaggi, pacche sulle spalle alle star—o quantomeno la possibilità di osservarle da lontano nelle aree VIP sperando di non essere beccato—l'opportunità di incontrare i miei eroi, entrare gratis ai concerti e, dulcis in fundo, alcol e droga a palate. 

Allora non avevamo orari ben definiti, i tempi erano molto rilassati, il che significava che stavo su fino a notte fonda e mi alzavo tardi la mattina, anzi, a volte proprio di primo pomeriggio, soprattutto quando la sera prima avevo fatto il compagnone con Bobby Gillespie. L'abuso di alcol e sostanze non era proprio una diretta conseguenza del mio lavoro, ma rappresentava un bonus, la benzina con cui accendere il mio motore e, nei casi più fortunati, darmi un po' di ispirazione. Durante la settimana uscivo per andare a sentirmi qualche band o artista mentre il loro PR mi martellava, mentre durante il weekend facevo festa, il che significava che bevevo parecchio, e mi aiutavo con la coca, così potevo stare su 60 ore di fila. La vivevo come una grande avventura. Poi, come dice John Cooper Clarke, “first it’s fun, then it isn’t, then it’s hell”. O, per dirla con parole mie, era tutto divertente fino a che non sono finito in un ospedale psichiatrico.

La dipendenza ha molte forme. È subdola e non fa discriminazioni di età, sesso, razza o ceto sociale, può colpirti sempre, chiunque tu sia, e si mette di traverso a qualsiasi percorso tu abbia intrapreso. Il "Grande Libro" degli Alcolisti Anonimi dice che l'alcol è "furbo, misterioso e potentissimo"—e anche se descrivere una sostanza a base di etanolo come un essere umano è una delle insensatezze che ti fanno perdere fiducia negli AA, capisco dove vogliono andare a parare. So bene che le droghe e gli alcolici fanno parte dei rischi del mestiere, quando lavori in ambito musicale. Nel tempo ho capito che l'abuso prolungato ha conseguenze molto serie sulla tua salute mentale. 

Non so come sia la situazione per i giovani reporter di oggi, i millennial sembrano più inquadrati e lontani dai cliché distruttivi del rock'n'roll. Oggi la salute mentale è un tema molto più discusso, nell'industria musicale, rispetto a quando ho iniziato a lavorarci, e la morte di Amy Winehouse nel 2011 ha fatto in modo che le conseguenze della cultura dell'eccesso venissero esposte a nuovi dibattiti. Quando intervistai Amy nel 2006 avevamo appena finito di ridere del cantante dei Keane che era andato in rehab per aver fatto overdose di Pimms.

Seguici su Facebook:

Certo, non ho mai sperimentato i veri, leggendari, eccessi della Babylon, in cui si diceva che la regina pippasse cocaina dalle teste di nani e Stevie Nicks facesse lo stesso dal culo delle spogliarelliste. Nei miei anni d'oro, però, i Novanta, la situazione era ancora bella incasinata. L'industria musicale viveva questo mito di doversi divertire per forza, anche quando in realtà stavamo tutti lavorando intensamente, sotto sotto. Allora ero abbastanza giovane e resistente per riuscire a sparare fuori storie e recensioni a un ritmo frenetico. Queste mie caratteristiche mi portarono ad essere assunto a tempo pieno.

All'inizio l'alcol faceva capolino durante i pranzi e alla sera. E ovviamente ai festival, luoghi in cui se non sei completamente sbronzo non sei nessuno. Piano piano, però, la mia routine al lavoro mi permise di iniziare a darci dentro più intensamente. Le birre diventarono la punteggiatura con cui prosavo i miei giorni. Se uscivo dall'ufficio per intervistare qualcuno, mi regalavo un momento di gioia al pub di sotto e un altro appena prima dell'intervista, poi un altro una volta finito il mio dovere. Mi ricordo che una volta mi trovai a parlare con Rufus Wainwright che puzzavo di alcol in modo imbarazzante e io stesso ero in condizioni imbarazzanti, senza nemmeno pensare che lui fosse uscito dal rehab non più di un anno prima.

In poco tempo non solo mi sono ritrovato a portarmi di nascosto da bere al lavoro, ma ho anche iniziato ad andare al pub per mantenere il livello raggiunto la sera precedente ancora prima di entrare in ufficio. C'erano mattine in cui facevo colazione bevendo da una bottiglia di whisky che trovavo nel letto, o da una lattina di sidro che avevo sul comodino. Di pomeriggio davo fondo alle lattine che tenevo sotto la scrivania; non so se i miei capi se ne fossero accorti, ma non hanno mai detto niente. Era la mia vocazione, il mio sogno, ma il lavoro in sé era diventato un fattore secondario.

Stavo iniziando a rendermi conto che una carriera nel giornalismo musicale era la copertura perfetta per chiunque volesse spaccarsi in pieno giorno. Le rockstar hanno un sacco di tempo libero per bere, certo, ma hanno anche un sacco di distrazioni: i viaggi, i concerti. Chi scrive di musica, invece, può passare metà della serata a guardare distrattamente il concerto dal bar e il giorno dopo a provare a mettere insieme gli eventi della sera prima decifrando qualche geroglifico che si era appuntato a caso, al buio, senza capire niente. Certo che, tolti i relativi lussi che vengono comunque concessi alle rockstar, questa quotidianità può trasformarsi in un inferno in un batter d’occhio. Dopo cinque anni di lavoro, la pila di CD mai ascoltati sulla mia scrivania mi mandava a male. Il progressivo fallimento di tutti i gruppi post-Libertines pieni di tizi con cappelli idioti che suonavano skiffle da fattoni mi mandava a male. Glastonbury—che, all’inizio, era la cosa più divertente che avessi mai sperimentato—mi mandava a male. Il fatto che bevessi era la causa o comunque uno dei fattori principali che contribuivano alla mia depressione ma, come succede a molti alcolizzati, era l’ultima cosa a cui avrei dato la colpa.

Poi, attorno al 2009, ho smesso di bere (be', almeno per un po’). Mi ero stancato di venire derubato dai bancomat e di svegliarmi su bus notturni con le mutande umide, senza più il portafogli e il cellulare. La mia vita, per un breve periodo, migliorò, ma smettere di botto senza nessuno che mi desse una mano o che mi controllasse è stato come percorrere una strada solitaria e piena di ostacoli. I gruppi di supporto non mi sembravano una buona idea, in quei momenti, e non c’era certamente un manuale che avrei potuto consultare per capire come sopravvivere a una dipendenza lavorando nell’industria musicale. Sapevo che alcuni scrittori più vecchi di me, come Steven Wells e John Robb, avevano smesso di bere da tempo, ma non sapevo perché, e non mi andava di fidarmi o di chiedere loro qualhe consiglio. Non sapevo davvero da che parte girarmi e mi sentivo sull’orlo di una catastrofe.

La cosa peggiore era la noia. Decisi che il miglior modo per combattere le strane sensazioni che la sobrietà generava in me era prendere un sacco di droghe. Tirare di coca senza aver prima bevuto mi faceva solo sentire impaurito. Non che me ne fregasse molto, dato che almeno mi faceva provare qualcosa di nuovo e diverso. Poi, all’All Tomorrow’s Parties di quel dicembre, ciò che ho creduto essere la risposta ai miei problemi mi si presentò di fronte in forma di una busta.

“Provala”, disse uno dei miei colleghi.
“Che cos’è?” chiesi.
“Fertilizzante”, mi rispose.
E così conobbi il mefedrone.

Quando mi salì, sentii una sensazione più o meno a metà tra coca ed ecstasy. L’effetto mi scese alla svelta, e ogni quarto d’ora circa mi veniva voglia di rifarmi. Ma non era un problema, dato che quella roba potevi comprarla su internet, e in cambio dei dati della tua carta di credito potevi fartela arrivare a casa in comode buste da cinque grammi, cinquanta sterline a botta. La cosa, comunque, diventò un problema. Riuscivo a fermarmi solo quando la busta era vuota—potevano volerci fino a quattro giorni—e poi mi mettevo a letto, completamente allucinato.

Penserete che un’esperienza del genere potesse essere abbastanza per impedirmi di rifarlo, invece ordinavo buste sempre più regolarmente. Iniziai a predere peso e, all’improvviso, iniziai ad assomigliare a Lux Interior dei Cramps, il che era effettivamente piuttosto una figata, anche se nessuna delle persone che conoscevo sembrava pensarla così. Inoltre, non riuscivo a gestire i momenti in cui non avevo droghe sotto mano. E così iniziai di nuovo a bere. I miei amici si preoccuparono e, ancor peggio, iniziarono a stancarsi di me. Non avevo soldi. Poi la mia nuova ragazza, che avevo incontrato mentre ero pulito, mi mollò dicendomi di mettermi la testa a posto. Non c’era più bisogno di fare finta. Mi stavo auto-distruggendo e ne ero consapevole.

Quando il mefedrone venne vietato da Alan Johnson, il ministro dell’interno dell’epoca, decisi di ordinare un “party pach” di nuove droghe sintetiche per provarle e trovare qualcosa per rimpiazzarlo. La Benzo Fury sarebbe stata la mia rovina e, in molti sensi, anche la mia salvezza. Grazie a lei, ho completamente cancellato tre giorni della mia vita dai miei ricordi, ma fonti affidabili mi dicono che sono stato prelevato da un’ambulanza mentre provavo a tagliarmi con un rasoio. Avevo perso il controllo. Ripresi conoscenza in un letto d’ospedale il giorno dopo, in una cella, e ricordo che pensai “Non è andata bene.”

Pare che io mi fossi "costituito" volontariamente, ma più mi rendevo conto che l'ospedale era in realtà pieno di gente pazza, più tentavo di formulare scuse per andarmene. Invece, dopo un colloquio con lo psichiatra, fui confinato al reparto Salute Mentale. Ora tutto aveva assunto una forma nuova e mi vedevo già intrappolato là dentro per un tempo indefinito con una lunga barba bianca—la storia tragica di un'anima in pena scivolata nella rete e avrebbe passato il resto dei suoi giorni imprigionata. Dopodiché ritornai nell'area comune per guardare insieme agli altri i Mondiali di Calcio che quell'anno si svolgevano in Sudafrica. Il televisore a schermo piatto era ricoperto da un vetro rinforzato, dato che la tv precedente era stata distrutta con una sedia da uno dei pazienti. Ricordo di essermi chiesto se le vuvuzela che risuonavano tra i tifosi potessero fungere da trigger per qualche altro atto vandalico nei confronti della nuova TV.

L’infermiera mi chiamò nel suo ufficio e mi lesse i nomi delle droghe che erano state trovate nel mio sangue. Era come se stesse leggendo una lista della spesa. “Vorresti non far sapere questa cosa a qualcuno in particolare?”, mi chiese. “Ehm, la polizia?” risposi, piuttosto confuso dalla domanda. All’inizio dicevo ai miei amici che mi sarei bevuto un “bicchiere della libertà” appena uscito. Pensavano tutti che fosse un’idea davvero terribile. Erano mesi che non mangiavo normalmente, e il mio cervello confuso stava chiedendo a gran voce proprio di ricominciare ad essere nutrito. Finalmente, iniziai a pensare razionalmente. Dopo quattro giorni, mi dissero che potevo andarmene. Era domenica e tutti gli psichiatri erano fuori a godersi i loro fine settimana, quindi mi dissero che non potevano più trattenermi lì contro il mio volere. Anche se mi chiesero di restare fino al giorno dopo per un’ultima visita.

“Mi state dicendo che posso andarmene ora, senza problemi, oppure decidere di aspettare fino a domani. E che nel secondo caso potreste decidere che sono un malato mentale e tenermi chiuso qua dentro chissà per quanto?”

“Sì.”

Decisi di restare ancora una notte—non volevo avere dubbi sulla mia stessa sanità mentale (e, tra l’altro, il cibo era buonissimo) e il giorno seguente scoprii con felicità che sarei stato sommariamente dimesso.
Essere analizzato e trattenuto controvoglia per quattro, cinque giorni nell’ospedale di Homerton—mentre ero impazzito, in astinenza, spaventato e con tendenze suicide—era proprio il fondo che avevo bisogno di toccare. Ci sono persone che non si fermano nemmeno quando ci sono allarmi che gli squillano nelle orecchie a mille decibel. Alcuni non capiscono mai quando fermarsi, e le conseguenze sono inevitabilmente tragiche.

Cercai aiuto in diversi posti e in diversi modi, tra cui un programma di recupero ad Hackney che oggi non esiste più per colpa di tagli governativi. Andai da un analista bravissimo, feci i proverbiali dodici passi, imparai a meditare e affrontai alcuni problemi che avevo ignorato per tutta la mia vita adulta. L’anno successivo fu difficile: dovetti reimparare a fare tutto, anche le cose più semplici come interagire con gli altri senza l’aiuto dell’alcool o di altre sostanze. Ma alla fine ce l’ho fatta, anche se oggi sono decisamente meno socievole di prima.

Ricordo che dissi mestamente al mio dottore, “Non può essere peggio di venire rinchiuso in un ospedale psichiatrico”. Avevo appena iniziato a curarmi e tremavo come un tamburello. 
“Oh, credimi”, mi rispose. “Può essere molto peggio.”

Ora sono pulito, sobrio, da circa sei anni. Sono ancora un giornalista musicale e, spero, uno migliore di prima, dato che adesso sono in possesso di tutte le mie facoltà mentali. Se vado a un concerto o a un festival ora riesco a ricordarmi cos'ho visto. Ho una rete di supporto formata da alcuni colleghi che non bevono e nemmeno si drogano più, come me, e vengono da esperienze molto simili allla mia. Ora sembra che l'impianto culturale del music business sia più attento, i giovani artisti sembrano più giudiziosi, e mentre istintivamente mi sento molto poco "rock'n'roll", il fatto che il mito del rock in sé sia stato smantellato e appeso al chiodo mi tranquillizza. Va bene soffrire per l'arte, ma vale la pena morirci?

A volte penso che dovrei cambiare mestiere, ma poi mi ricordo che non so fare nient'altro. Se mai si liberasse un posto per ballare di architettura, fatemi un fischio. 
 

Segui Noisey su Twitter: @Noisey_IT
 

Fatti un pianto con il nuovo pezzo di Nas ed Erykah Badu

$
0
0

"This Bitter Land", la nuova canzone di Nas ed Erykah Badu, dimostra ancora una volta quanto fare musica di e per protesta, negli Stati Uniti del 2016, sia un gesto di un livello totalmente diverso rispetto a quello che stiamo producendo qua nel vecchio continente. Insomma, fare musica politicamente e farlo bene non è affatto cosa scontata—ma se metti assieme uno dei rapper migliori e una delle migliori cantautrici della storia a fare un pezzo che parla dell'America contemporanea è difficile che il risultato sia deludente, ecco.

Su una base fatta di archi, senza percussioni e più struggente degli occhi di un cucciolo intrappolato in un cespuglio, la Badu canta di una "terra amara" il cui "frutto lascia freddi", e il pensiero corre subito a "Strange Fruit" e a "Blood on the Leaves"; Nas chiude la saracinesca con una strofa a metà tra denuncia e orgoglio di classe: "È nel ghetto che mi troverete, è lì che resto / Un poliziotto ci ha sparato, gli hanno dato una medaglia, ora è in pensione / Ma non verrò mai definito da questo / Scriverò una lettera al presidente, a chiunque controlli la società / Gli dirò di smetterla di controllarmi, di smetterla di portarci verso un'ideologia suicida / Sto provando a dar da bere ai miei semi / A fumare erba, a studiare per prendere le mie lauree."

Il pezzo è stato scritto per "The Land", un film in uscita che parla di quattro ragazzini di Cleveland e del loro tentativo di diventare skateboarder professionisti. Lo trovate qua sotto. Oltre a "This Bitter Land", la colonna sonora (curata da Mass Appeal, tra l'altro) contiene inediti di Nosaj Thing, Pusha T & Jeremih, French Montana, Kanye West e altri. 

Segui Noisey su Facebook:

La tua festa di compleanno non sarà mai figa come quella di Stormzy

$
0
0
Immagine via Instagram

Che cosa avete fatto per il vostro ultimo compleanno? Vi siete bevuti cinque Moretti da 66 al parchetto mentre la vostra ragazza sparava Craig David da un paio di casse portatili e siete scappati a casa alle 11 quando qualcuno si è affacciato alla finestra e vi ha gridato che c'era gente che doveva lavorare il giorno dopo? Siete rimasti in coda due ore fuori dall'unica discoteca della vostra cittadina di provincia continuando a bere finché non vi siete sentiti male, avete sboccato il vostro pranzo in bocca a qualcuno, vi siete messi a piangere e siete tornati a casa? Siete andati a un karaoke, vero? Siete rimasti a casa con del vino rosso di merda e una compilation con il meglio di Celine Dion?

Diciamoci la verità: qualsiasi cosa abbiate fatto, non è stato niente di paragonabile a quello che Stormzy ha organizzato per il suo compleanno a Thorpe Park—come Gardaland, ma senza Prezzemolo e in Inghilterra. È stata una festa di quelle che usi come argomento alle elementari quando la maestra ti chiede di scrivere un tema su quello che faresti se vincessi la lotteria e i soldi non fossero più un problema.

Per chi non fosse al corrente della cosa, Stormzy ha prenotato l'intero parco per sé, un gruppo di fan e un botto di suoi amici. Adidas ha regalato delle borsine piene di regali, Nando's ha preparato una riserva infinita di merky burgers (ve li ricordate?), e ci sono stati un po' di concerti, tra cui proprio uno di Stormzy. Oh, e la sua torta era grande come un'isola greca di piccole dimensioni. Ovviamente è stato tutto molto, molto carico. Esattamente per questo motivo, tutti i presenti hanno pensato di condividere i cazzi loro su Twitter, come potete vedere qua sotto:

I Descendents votano i propri dischi

$
0
0

Una delle prime foto promozionali della band. Foto: Naomi Peterson

Trentaquattro anni fa, la band punk californiana Descendents pubblicò Milo Goes to College.

L'album si può descrivere come venti minuti di assalto frontale hardcore e pop sognante, con canzoni che parlano d'amore, di perdenti, di genitori e di ragazze con i jeans Jordache e che fotografano alla perfezione i sentimenti e le frustrazioni degli adolescenti punk dei sobborghi in ogni grande città del mondo.

La storia lo ha consacrato come uno dei migliori album punk di tutti i tempi. 

Da allora, la band ha continuato a produrre classici su classici, compreso Hypercaffium Spazzinate, in uscita questa settimana su Epitaph.

Abbiamo chiesto a Milo Aukerman, il frontman cinquantatreenne della band, di stilare una classifica dei sei album che hanno preceduto Hypercaffium Spazzinate nella storia di questi pionieri del pop punk. 


6. Cool To Be You (2004, Fat Wreck)

Noisey: L'ultimo posto è il più difficile. Perché hai scelto Cool To Be You?
Milo Aukerman: Be', il motivo è che Bill [Stevenson, batterista] aveva portato alcune ottime canzoni, ma la mia performance non fu all'altezza. Penso di essermi comportato abbastanza bene con alcuni dei pezzi di Karl [Alvarez, bassista], ma su quelle di Bill non riuscii a dare il meglio. E poi Stephen [Egerton, chitarra] non scrisse neanche una canzone per questo disco, e si sente la sua mancanza. È più tranquillo, non è aggressivo come gli album precedenti. Il contesto in cui l'abbiamo creato era tutt'altro che ideale. Non andavamo in tour da anni e la mia voce era davvero arrugginita, e penso che questo abbia avuto una forte influenza sulla mia percezione di questo disco. 

 

5. I Don’t Wanna Grow Up (1985, New Alliance)

Questo fu composto e registrato troppo velocemente?
No, ma non provammo le canzoni nel modo giusto. Bill era in tour con i Black Flag e finimmo a provare nel garage di Tony [Lombardo, bassista]. Bill doveva usare una batteria da bambini e suonavamo tutti a volume estremamente basso perché eravamo nel garage di Tony. Così quando andammo in studio eravamo impreparati e penso che la componente giocattolosa abbia influito sul risultato finale, perché suona molto più leggero rispetto al primo album. 

Ho letto che il produttore era sbronzo per gran parte delle registrazioni!
La fase di registrazione fu sicuramente resa più difficile dai problemi del produttore. Se ne dovette occupare Bill. Fu il primo disco dietro al mixer per lui. Sostiene di aver rovinato il disco perché non sapeva che cosa stesse facendo. ERa un neofita totale nelle questioni tecniche. 

L'album include "Silly Girl", che è uno dei vostri pezzi più pop.
Sì, la suoniamo tuttora dal vivo, ma ci mettiamo un po' più di palle. Alcune delle canzoni di quel disco sono tra le migliori di Bill, ma lo mettono un po' in imbarazzo perché sono scritte dal punto di vista di un ragazzo di 19 anni. Scriveva dei testi molto romantici. Ma la gente le ama ancora e io non ho alcun problema a cantarle, solo che Bill ogni volta pensa: "Argh, questo testo l'ho scritto io..."

Ma c'è anche "Pervert". 
[Ride] Già, anche quella la suoniamo ancora. Su quel disco abbiamo mescolato il romanticismo con la roba più disgustosa. 

 

4.  Enjoy! (1986, New Alliance) 

L'album della cacca! Ai tempi eravate spesso in tour, e molte di queste canzoni suonano come le barzellette sceme che si raccontano dopo ore e ore di furgone.
Quando una band gira così tanto finisce per isolarsi un po' dal mondo al di fuori del furgone. Ti crei il tuo piccolo mondo e finisci per ridere di cose che per il resto delle persone non hanno senso. Avevamo raggiunto un punto in cui il nostro senso dell'umorismo girava tutto attorno alla cacca e alle scoregge.

Ma sperimentaste anche di più musicalmente.
Gli esperimenti funzionarono una volta sì e una volta no. Quelli belli sono molto belli, gli altri sono abbastanza "boh". Sull'album ci sono alcune belle collaborazioni, ad esempio "Green" e "Sour Grapes". 

 

3. All (1987, SST)

Bill ha dichiarato che questo è il punto più vicino all'essenza dei Descendents dopo Milo Goes to College. 
Bill credeva avessimo raggiunto la perfezione dal punto di vista della produzione. E i due nuovi membri della band portarono delle canzoni davvero esaltanti. "Coolidge", scritta da Carl, è la migliore del disco. E poi ci sono alcuni pezzi che non funzionarono affatto. "Schizophrenia" mi fa venire i brividi a ripensarci. Posso chiamarle "sperimentali" ma più che altro erano riempitivi. 

Questo materiale "sperimentale" e improvvisato era influenzato dai Minutemen?
Certo, e anche dai Black Flag che a quel punto avevano già pubblicato The Process Of Weeding Out, e penso che Stephan lo abbia usato come rampa di lancio per proporci le sue melodie più strane, e poi Bill e io ci mettevamo sopra delle parole. 


2. Everything Sucks (1996, Epitaph) 

Il vostro ritorno ai fan vecchi e nuovi.
Già, finimmo per riconquistare la gente che ci ascoltava già negli anni Ottanta e che aveva copiato i nostri dischi su cassetta per i fratellini minori o addirittura per i figli. Ci venivano a vedere generazioni diverse. Fu una cosa totalmente inaspettata. Prima di questo disco, gli altri avevano suonato negli All per, metti, otto anni, ed erano diventati grandi compositori. Ci ritrovammo con circa trentacinque canzoni da cui scegliere. Questo fu uno dei miei dischi preferiti da registrare perché ci sentivamo tutti molto ottimisti. 

La pausa che ti prendesti ti aveva rivitalizzato?
Proprio così. Avevo lavorato nel campo scientifico ma la mia carriera non aveva fatto molti progressi. Non ne potevo più. Decisi che se avessi potuto registrare un altro disco con la band e scrivere alcune canzoni, non avrei dovuto perdere l'occasione. E i ragazzi furono tutti contentissimi della mia proposta. Era davvero il momento perfetto. Voglio dire, pezzi come "I'm the One" e "Everything Sucks" sono perfetti per quella formazione. 

 

1. Milo Goes to College (1982, New Alliance)

Questo non poteva che essere il numero uno!
Sicuro, è il ritratto perfetto di come eravamo allora. Mi piacerebbe essere in grado di separare la mia percezione da quella del pubblico su questo disco, ma penso che le due siano legate troppo strettamente ormai. Fu il nostro primo disco, e fu davvero magico per noi, quindi credo l'avrei messo al numero uno in ogni caso. E poi ha avuto una vita lunghissima e influenza ancora oggi molte persone. 

È uno degli album punk più importanti di tutti i tempi.
Wow, ok. 

No, sul serio. Fu anche la prima comparsa del personaggio Milo; soltanto l'illustrazione è diventata un'icona sacra per il mondo punk. 
Già, c'è anche quella componente. Tutto iniziò da lì. Avevamo già pubblicato alcune cose ma questo fu il disco. Non fece il botto appena uscì, però, si trattò di una crescita a fuoco lento. Andammo in tour con quel disco nell'85 e nell'86, due anni dopo l'uscita. Quei due tour contribuirono alla sua popolarità, ma ci volle comunque un po' di tempo.

Hypercaffium Spazzinate è disponibile dal 29 luglio su Epitaph

Seguici su Twitter e Facebook: 

 

Dietro le quinte di J-Factor, il primo talent show cristiano d'Italia

$
0
0

Biagio La Perna brandisce il premio. Foto gentilmente concesse dallo stesso.

Probabilmente molti di voi non se ne sono accorti, ma la musica cristiana è sopravvissuta nei secoli dei secoli, e anche oggi è viva e vegeta, anche se in nuove fantastiche forme. Non è rinchiusa solo in chiese e parrocchie, ma vaga per campagne e città pronta a riportare le anime sulla retta via. Così come quel serpente che insieme a Eva ha cominciato tutto il casino, anche la musica cristiana ha cambiato pelle: scordatevi chitarrine, organetti e profumo d’incenso, oltre ad avere ambizioni decisamente pop, tanto che ora, in Italia, anche Dio ha il suo talent show.

J-Factor o, scanso alle abbreviazioni, Jesus-Factor è il rip-off cristiano del fortunato format che tutti conosciamo. Le parole si spiegano da sole. 60 cantanti, che hanno superato attente e difficili selezioni (un centinaio ogni anno in concorso), si scontrano in un duello all’ultimo sangue per conquistare il titolo di miglior apostolo di Dio e ingraziarsi il signore con la barba bianca che tutto vede e tutto sa. E, per la fortuna degli appassionati di musica di tutto il mondo, vincono pure la produzione di un album. Gli artisti in concorso hanno piena libertà di esprimersi: italiano, inglese, uzbeko, rap, rock, metal, chitarre, batterie, violoncelli, flauti di pan, ukulele. Non importa, basta rispettare un unico, semplice vincolo: parlare di “nostro Signore”. Amen!  


Fyi, sono aperte le iscrizioni per la prossima edizione.

Affinché un apostata come me (mi perdoni Iggy Pop che, aggrappato al microfono, mi guarda compassionevole da un poster in camera mia) potesse ben comprendere la portata e le dinamiche di questo fenomeno, mi sono affidato a chi di questo genere musicale ha fatto una ragione di vita. Ho trovato il numero del numero uno tra le ugole benedette da Dio, almeno stando alle classifiche di J-Factor: Biagio La Perna. 

Biagio è il vincitore dell’edizione 2015 (a quanto pare, la settima) del contest più amato dai cantanti cristiani. Cresciuto nella piccola Ragusa, 26 anni, sguardo allegro e attitudine naïf, Biagio è un ragazzo modello e, sicuramente, un ottimo cristiano. Frequenta Mediazione Linguistica all’università, lavora come receptionist in un albergo e, da buon fedele, fa volontariato per aiutare chi ne ha bisogno. Nella sua Sicilia ha lavorato in un orfanotrofio ed è andato pure in Romania, in un centro missionario a sostegno di famiglie e bambini bisognosi. Ma c'è una tentazione a cui per Biagio è impossibile resistere: la passione per la musica. Cantare nel suo gruppo, gli Evidence, non gli basta più e decide di buttarsi. Si iscrive a J-Factor e dopo mille peripezie (non ha potuto, per impegni lavorativi, fare le live audition, ma ha dovuto mandare un secondo provino video ai giudici, che lo hanno selezionato comunque), ma sempre assistito dal suo angelo custode, si è classificato per la finalissima a Milano. È salito al Nord e ha vinto il contest. Coincidenza, abilità o disegno divino? Noi non lo sappiamo, Lui sì. A qualche mese di distanza dalla meritata vittoria, Biagio ha raggiunto il suo sogno: pubblicare il suo primo album In Tutto Quello Che Faccio

“Tutta la mia famiglia è in delirio—mi spiega al telefono—soprattutto mia mamma, che era a casa quando il postino ha portato i CD appena stampati”. Ora che siamo a posto col lato "materiale" della faccenda, è il momento di trasformare quei CD in ostie sonore con cui infondere la benedizione della musica di Dio nelle orecchie degli ascoltatori.  

 “Nelle mie canzoni—spiega Biagio—io parlo di amore, della fede in Dio e soprattutto di una voglia irrefrenabile di spiccare il volo per sentirsi veramente liberi”. Nonostante abbia qualche dubbio che, sotto lo sguardo attento di Mr. J, libertà, amore e voglia di spiccare il volo possano convivere, sembra che questi scrupoli vengano azzerati dalla fusione tra note angeliche e sottotesti messianici. Sembra superfluo affermare che ogni singola canzone di In Tutto Quello Che Faccio sia dedicata a Dio.

Seguici su Facebook:


Fedele ai comandamenti, il nostro nomina il Signore in modo esplicito soltanto in un paio di pezzi. Negli altri, Biagio si rivolge sempre a un fantomatico tu-te/lui (che nei testi allegati al CD sono comunque scritti rigorosamente con la T e la L maiuscole) che potreste scambiare per un amante, un amico, un fedele compagno di sbronze. La sua musica, bisogna ammetterlo, può trarre in inganno. Prendiamo per esempio Le piccole cose, in cui canta: “Guarderemo avanti senza mai voltarci indietro, non lo faremo mai!”. Più o meno lo stesso messaggio che davano, qualche decennio fa, i Punkreas nella loro "Sosta", quando spiegavano come rubare nei negozi e scappare senza essere beccati. Qui però non c'è niente da rubare perché l'amore di Gesù don't cost a thing

Come potrete immaginare, la missione di Biagio La Perna non si limita a cantare il Signore in uno studio di registrazione. Con la sua musica vuole raggiungere il cuore delle persone e ispirare frotte di coscritti ad abbandonare la cattiva strada per intraprendere quella della redenzione. Insomma, è ciò che in altri tempi avremmo definito un missionario. “La musica è uno strumento potentissimo e credo veramente in quello che faccio. È come qualcuno che nutre una passione forte per qualcosa e non può tenersela per sé, ma deve condividerla, fare il passaparola, affinché diventi virale”. Il virus La Perna è partito qualche domenica fa, con le mille copie dell’album, dalla chiesa Emmanuel di Ragusa, in cui è avvenuto il battesimo del CD, altrimenti detto la presentazione ufficiale. Italia: preparati all’epidemia. 

Adesso, però, è il momento di fare un passo indietro. Non sarebbe giusto parlare di Biagio La Perna e della kermesse da lui vinta senza illustrare un po' di retroscena e conoscere l'uomo che tira le fila di tutto il discorso: Angelo Maugeri. Insieme a Marco Canigiula ha scritto, arrangiato e prodotto le canzoni dell’album di Biagio, ma soprattutto è il Tiziano Ferro della musica cristiana della penisola, un crooner dell’amore per Dio, oltre che l'ideatore del talent J-Factor.

I testi di Angelo son frecce benedette che si scagliano contro il vuoto sterile della musica moderna. Classe 1984, siciliano d’origine ma lombardo d’adozione, dieci anni di carriera da cantante con l’aureola alle spalle, Maugeri è il guru della musica cristiana e come una grande mamma aquila spiega le sue ali per proteggere e allevare i suoi cucciolini. Sono già cinque gli album che la sua AM Production ha prodotto insieme a Fish Records. Basteranno per farvi avvicinare al Signore in questi caldi mesi estivi?

Per saperne di più, lo incontro nel suo quartier generale, il luogo in cui la musica cristiana viene coltivata ad acqua, vino e particole: la sede della Chiesa Evangelica Internazionale di Milano. Ebbene sì, miei cari cattolici. Non ve l’aspettavate vero? Il più grande contest di musica religiosa al mondo è un prodotto con marchio protestante! È proprio al primo piano di questo edificio dall’aria post-apocalittica di via Dottesio 15 che J-Factor prende vita ogni anno. Correte pure al centro brevetti a protestare, ma non servirà a niente. Avete perso l’occasione, non vi resta che adeguarvi alla funesta situazione. Cinquecento anni dopo Lutero, vi siete fatti fregare un’altra volta. 

Ma che siate cattolici, protestanti, ortodossi, metodisti, anglicani, non importa! Quello che veramente importa, mi spiega Angelo, è essere cristiani. “Le nostre porte sono aperte a tutti”. Nonostante l'apertura alare, Angelo non nasconde un certo risentimento nei confronti del Vaticano, il vero responsabile della crisi che sta colpendo la musica cristiana in Italia. “È anche colpa sua se la musica religiosa è ancora considerata da tutti di serie B ed è associata all’organetto e alla chitarrina stonata. Il Vaticano sulle questioni civili e sull’innovazione tira ancora molto indietro”. Ad eccezione del caso Suor Cristina, infatti, pare che finora talent e cattolicesimo non si vedano di buon occhio.

In ogni caso, su questo non si può dargli torto, in altre parti del mondo la musica cristiana spopola e fa numeri da capogiro. E come ci hanno insegnato a partire dalle elementari: i numeri non mentono. Angelo mi parla subito di Brasile e Centro America. “Lì negli store musicali ci sono sezioni intere dedicate alla christian music e le major ci investono parecchio, perché hanno un grande ritorno. Gli artisti cristiani sono seguitissimi. Prendi per esempio Aline Barros: ha 15 milioni di follower su Facebook. Neanche Laura Pausini o Tiziano Ferro fanno questi numeri”. Quindici milioni più uno, ad essere precisi, anche se quello speciale follower lassù non ha Facebook.

Ecco perché, in occasione del suo decimo anno di attività come cantante (celebrato a fine 2015, ma tutt’ora in corso) Angelo ha allacciato una collaborazione con Paulo César Baruk, artista brasiliano molto seguito nel suo paese. Da buona tradizione cristiana, in effetti, è bene mantenere buoni rapporti col Nuovo Continente. 

Ma torniamo a J-Factor. Angelo, che paga il format di tasca sua ogni anno, mi ha rivelato che essere cristiani, sia ben chiaro, non vuol dire necessariamente saper cantare bene. “Ok la fede, ma ci vuole anche un po’ di tecnica. Un terzo degli artisti che si presentano non si può neanche ascoltare”. Ci sono rimasto un po’ male, lo ammetto. Già ci speravo. Avevo quasi pianificato una conversione in extremis ma poi mi sono reso conto che farei parte di quel triste terzo. Vorrà dire che continuerò a camminare sulla mia strada, vivendo la mia discutibile vita lontano dagli speaker di Dio. Mi sa che non sono proprio destinato al Paradiso.


Seguici su Twitter: @Noisey_IT
 

Contro le hit estive: la musica sperimentale da portarvi in spiaggia

$
0
0

 L'autore mentre cerca di liberarsi dalla calura estiva in maniera sperimentale.

L’altra sera mi stavo leggendo quest’articolo qui e ho pensato che questa cosa delle hit estive è effettivamente un problema. Minori o non minori, pare che sia impossibile dissociare l'idea della vacanza da brani che devono presupporre un facile ascolto. L’estate è oramai seppellita da questi luoghi comuni sonori. Sì. OK, c’è aria di svago, evadere è una necessità  me ne rendo conto, ma non è detto che le musiche astruse, sperimentali, elettronicamente astratte e via discorrendo non possano essere un’efficace colonna sonora alle vostre ferie (sempre se le fate, vista l’aria che tira) e un antidoto al caldo, soprattutto se non siete tipi avvezzi a certe sonorità e non le avete mai provate.

Siamo condizionati culturalmente a pensare che non ci si possa rilassare senza strofa ritornello una melodia o roba simile. Fortunatamente non sono il solo a pensarla al contrario, ed è proprio la natura che ci impone una riflessione: cos’è più rilassante e gradevole, infatti, del white noise insito nello sciabordio delle onde? Nello specifico, quindi, voglio proporvi una selecta di album per il popolo tutta basata su roba astrusa che potrà portare le vostre vacanze a uno step superiore, pescandola direttamente dalla mia collezione di dischi. Una top ten che rovista in ere casuali della vostra vita ma che vi porterà tutta la freschezza necessaria qui e ora, perché “Non c’è musica che vale di più di quella musica che vuoi sentire tu" (l’ha detto Luciano Berio? No, Jovanotti, ma sticazzi va bene uguale.)

 

1 – Richard Devine - Lipswitch (2000)

Il Divino qui presente nel 2000 era in lista per diventare l’erede delle astrattezze di Aphex Twin e Autechre, tanto che appunto licenziò questo disco con Warp (anche se la maggior parte dei suoi album sono usciti per Schematic). Poi col tempo se lo sono un po’ dimenticato, tanto che oggi viene raramente citato quando si parla delle ultime leve HD, ma è indubbio che molti ne abbiano tratto ispirazione. Ebbene, questo disco di elettronica algida e matematica come una serie di cubetti di ghiaccio a forma irregolare è freschissimo e indicato per lunghe passeggiate sulla spiaggia e docce fredde dopo una lunga esposizione al sole d’agosto. Se non avete l’ombrellone ancora meglio, scoprirete le sue proprietà refrigeranti che vi daranno sollievo alla pelle più di una crema doposole.

 

2 – Michel Redolfi - Pacific tubolar bells/Immersion

Con questo disco difficile non essere spinti a tuffarsi in mare: è infatti la rappresentazione sonora dell'Oceano Pacifico, composta dopo che il compositore francese ne rimase stregato. Nel lato A si concentra sulla superficie delle acque, mentre nel lato B registra direttamente le profondità tramite idrofoni, il tutto condito da un uso superbo del Synclavier. Insomma anche se siete ancora in ufficio, ascoltando sta roba vi ritrovate direttamente in una tuta da sub osservando dei pesci palla giganti con le fredde brezze marine ad accarezzarvi la schiena in mezzo a mille bolle blu.

 

3 – Ennio Morricone - Percorsi (1996)

Il Morricone che prendiamo in esame è principalmente quello dei “Tre Scioperi” ivi contenuti, perché non c’è niente di meglio che accannare tutto, dare in culo al padrone e andarsene sul bagnasciuga. Ora poi questo pezzo, in particolare, tratta di uno sciopero di bambini (!!!) su testo di Pier Paolo Pasolini. Fatelo ascoltare ai vostri figli e mi sa che i compiti delle vacanze col cazzo che li fanno. Al massimo, vista la frescura delle voci bianche ivi contenute, come un vento pieno di cicale, si metteranno a studiare come fare i castelli di sabbia.  Se poi vi piace trascorrere piacevoli momenti all’interno di rinfrescanti chiesette nei posti di mare, allora vanno bene anche i pezzi sacri e per clavicembalo ivi inclusi. Mi raccomando però, ascoltateli in cuffia o vi cacciano a pedate.

 

4 – Robin Fox – A small Prometheus (2015)

Un lavoro nato per un balletto contemporaneo, ma in questo caso è come uno spruzzino pieno di acqua gelata da passarsi sul viso mentre si cuoce al sole, perfetto per lo scopo. Suoni che appunto vaporizzano, schizzano, sprizzano, ma attenzione: non abusatene. Il concept del disco verte infatti sulla combustione, e a occhio e croce qui ci si scotta come quando si tocca il ghiaccio. Ricordate i Righeira? “Languidi brividi / come ghiaccio bruciano / quando sto con te”: ecco, non c’è descrizione migliore per l’ascolto di questa roba, andateci piano o altro che ustioni da esposizione..

 

5 – Billy Bao – Lagos Sessions (2015)

Qui invece si passa a una freschezza diversa, che trae forza dalla visione di corpi in costume nell’ atto di tuffarsi tra il vociare della gente sulla riva. In particolare, quella delle spiagge del Lagos, vera meta hardcore per un turista: e in questo disco infatti il terrorista sonico Billy Bao ci infila tutto quello che caratterizza tale posto, passando da rumorazzi liquidi a field recordings sul campo simili a una fata morgana, a possibili hit afro dell’estate sepolte da rumorosi ventilatori a poco prezzo, a brani noise rock per “raffreddare” l’atmosfera come farebbe un beduino indossando capi di lana nel deserto. OK, lui in realtà intende Lagos nel senso della metropoli, ma che ce frega? È un disco perfetto per vivere l’estate al massimo perché, si sa, l’estate dev’essere anche un’avventura, altrimenti statevene pure a casa. Il disco è anche doppio quindi potete gustarvelo sulla sdraio, che se magari state a Ostia potrete immaginare di trovarvi in mondi lontani senza sentirvi in difetto alcuno.

 

6 – Vangelis – Beaubourg (1978)

Dalla Nigeria passiamo alle vacanze in Grecia, meta ultimamente ambita un po’ da tutti. Ecco quindi Vangelis che dice la sua con un disco che è uno dei più ostici della sua discografia. Certo, anche qui in realtà trattasi della rappresentazione in suono del Centre Pompidou a Parigi, ma all’ascolto si viene quasi colpiti da canti di delfini, creature marine, sciabordare di onde oceaniche e di alghe giganti create al sintetizzatore. In effetti la facciata del Pompidou prevede quasi un’onda stilizzata che lo attraversa, per cui come vedete ci sta: a volte anche un museo desidera il sacrosanto binomio vacanza-refrigerio.

 

7 – Russel Haswell  - Live salvage 1997-2000 ( 2001)

Ebbè qui non c’è scampo: sarete colpiti da una tempesta micidiale di calippi fizz. Il nostro amico noiser digitale saprà farvi aprire le porte di una piscina ricoperta di ghiaccioli, in un’isola deserta ricca di palme, di ombra puntellata da folate di vento burrascose ma corroboranti. Secondo me, tra l’altro, questo disco potete usarlo anche al posto dell’acquagym: l’ascolto prolungato rassoda i glutei e fa bene alla circolazione sanguigna (fidatevi, l’ho provato).

 

8 – Charlemagne Palestine –  In Mid-air (2003)

Quando siete in vacanza avete bisogno di relax, quindi nulla di meglio di questo disco: trattasi del grande artista multimediale che smanetta con un Buchla modulare in un periodo fra il 1967 e il 1970, creando droni come asciugamani, panning stereo che sanno d’idromassaggio e robot che ti fanno aria con grossi ventagli. Consigliatissimo, appunto, per ventilarsi e per fare il bagno di notte, col pieno della luna, possibilmente senza costume (noterete l’effetto della sonorizzazione dell’acqua fra le cosce, davvero gradevolissimo).

 

9 – WWWINGS - Phoenixxx (2016)

Qui baro perché il disco ancora non è nei miei scaffali, ma presto ci arriverà: trattasi a mio parere dei Duran Duran dell’accelerazionismo, per cui non avrete problemi a godervi quest’astrattismo estivo, poiché uscirà tra l’altro l’8 agosto. Gli autori vengono dalla Siberia quindi, voglio dire… Garanzia di suoni freddi. Consigliato per i percorsi in pattino con birre ghiacciate al seguito o, al più, in barca, andando a manetta o lenti, tanto sempre accelerazionismo è.

 

10 – Roberto Fabbriciani – Fantasia su Roberto Fabbriciani (1983)

E qui, quando volete fare il pisolino pomeridiano magari all’ombra di un pino, non c’è niente di meglio di un grande virtuoso come il Fabbriciani che vi spara nelle orecchie soavi allucinazioni a base di flauto, flauto basso, ottavino e chi più ne ha più ne metta (casualmente c’è un pezzo nel sopracitato Percorsi in cui all’opera c’è proprio lui).  Avrete il suono degli uccelli a portata di mano per rendere bucolica la situazione, anche in momenti in cui magari vi trovate al mare in Slovenia e in pratica fate il bagno in un metro quadro in mezzo alle petroliere e al loro casino: vi assicurerà un ristoro mai provato prima.

 

BONUS: Walter Marchetti – Per la sete dell’orecchio (1989)

Be' fuori classifica non poteva che esserci il Maradona della serie, ovvero il grandissimo maestro Marchetti. Come da titolo, se avete l’arsura da canicola sparatevi questo in cuffia e resisterete anche chilometri prima di trovare l’ambito bar nascosto fra le dune. Se non lo trovate, non ha importanza: potrete morire felici perché alla sete non si comanda, e qui trattasi di quella dell’orecchio che anche lui vuole la sua sedia a sdraio e il drink (la raccolta di Marchetti "Il Divano dell’Orecchio" la dice lunga da questo punto di vista).

Bene, ora che avete in mano il segreto musicale dell’estate vi auguro una buona permanenza ovunque voi siate e un sabotaggio perenne alle squallide imitazioni del Festivalbar che fu, alle classifiche dei dischi più venduti e ai cantanti ad esse correlati. Perché? Perché le hot track sono tutte amiche del caldo, mentre a noi indovinate che ci piace?

Segui Demented su Twitter — @DementedThement

 

Il tizio che menava la gente per strada a Milano era un DJ

$
0
0

"-Scusi, da che parte è la redazione di VICE?" "-Non lo so" " "-Allora ti meno." Andavano più o meno così gli scambi tra Nicolas Orlano Lecumberri e i passanti del centro di Milano, che in genere venivano presi a cazzotti in faccia dal ventitreenne spagnolo in visita,  qualunque fosse la risposta. Noi non ne sapevamo nulla fino a qualche ora fa, ma pare che in giro per la città ci fosse appunto un pericolossissimo picchiatore seriale, che da quasi due settimane si divertiva a pigliare a cartoni in faccia chi gli capitava. Repubblica lo ha definito "turista picchiatore" e "fan del knockout game", con la solita incredibile perizia giornalistica. Praticamente, a fargli una cortesia ti ritrvavi col volto tumefatto, o quantomeno coinvolto in una rissa. È stato arrestato ieri, dopo l'ennesima segnalazione e puntelli della polizia in quasi tutti gli ostelli di milano.

Ma la cosa più sconcertante è che lo zio faceva pure il DJ, e aveva suonato da pochi giorni al LoolaPaloosa di Corso Como, uno di quei locali che frequenti se fai la Bocconi e non hai molta autostima, il che ci indigna in quanto sostenitori del potere aggregativo e positivo della musica elettronica e del clubbing e della danza. Tutte cose che crediamo ancora possibilissime, ma probabilmente non al LoolaPaloosa. Per gli inquirenti il caso non è affatto chiuso e vogliono capire "cosa c'è dietro". Chissà, forse si aspettano che sia tutta colpa della DROGA. Di sicuro, ora che lo zio è al gabbio, in giro ci sono un violento e un diggeicane in meno.

 


Wiley ha deciso che far uscire il suo nuovo album è "inutile"

$
0
0

Sono ormai anni che vi martelliamo con la storia che il grime è tornato, che ci sono un sacco di nuove voci interessanti in mezzo Regno Unito, che oltre al grime c'è di più, che Skepta e Jme e Stormzy e Novelist e i Section Boyz sono il futuro del rap mondiale e bla bla bla. Tutti, però, speravamo che il nuovo album di Wiley—cioè a tutti gli effetti l'MC e produttore che ha portato il grime sulle spalle fin dall'inizio lasciando un segno indelebile nella cultura d'oltremanica—desse le pezze a tutti quanti.

Godfather sarebbe dovuto arrivare il 2 settembre, due anni dopo il suo ultimo disco, Snakes & Ladders. Ma a quanto pare Wiley non sembra avere il minimo bisogno di buttarlo effettivamente fuori dato che in un tweet ha definito la cosa "inutile", offrendo poi i suoi servigi a chiunque avesse bisogno di produzioni o featuring.

Si diceva che su Godfather ci sarebbero state sedici tracce, di cui una assieme a Stormzy. E invece ce ne saranno zero, di cui zero assieme a Stormzy. A questo punto c'è solo da sperare che Wiley non decida di cancellare anche l'uscita della sua autobiografia a novembre. 

Segui Noisey su Facebook:

Sviaggi Organizzati — Dieci dischi post-jazz per un'estate di fuoco

$
0
0

“Fight fire with fire”, si diceva. E allora cosa c’è di meglio per contrastare la calura estiva che un po’ di musica di fuoco?

Fire Music è il titolo di un disco di Archie Shepp del 1965. Da allora, la locuzione è stata spesso usata come sinonimo di free jazz: musica che nasce con l’idea di rompere gli schemi rimasti nel bebop per abbracciare una forma più libera—al cui interno, più che le note, contano la tonalità e l’irruenza. Un suono estatico e orgiastico che prende molto anche dalla musica della madre Africa: fortissimo è il legame politico del free con i movimenti di affermazione nera dell’epoca. 

(A chiunque fosse interessato ad approfondire molto bene il tema consigliamo il testo sacro del 1971 Free Jazz. Black Power, di Philippe Carles e Jean-Louis Comolli).

Se il jazz è, per sua natura, una delle musiche più creative che esistano, è naturale che abbia poi preso diramazioni impreviste. Il free jazz stesso infatti si è ibridato in vari modi, spesso inglobando suoni da diverse parti del mondo, di tradizioni lontane da quella occidentale. Allo stesso modo, in un altro filone, il jazz si è ibridato con il rock, dando vita al genere noto come fusion—che ha finito per diventare un suono un po’ di maniera, ma non dimentichiamo che tra i suoi primi vagiti ha visto cose tipo i capolavori del Miles Davis ’69 - ‘75, tra i dischi più belli di sempre.

È il momento di metterci un bel like su Facebook:


Per chi, come me, è un po’ un profano del jazz, non troppo amante del suo versante più classico, entusiasta invece delle sue derivazioni più folli, contaminate e bastarde, le chicche si trovano oltre all'ombra dei capolavori dei Grossi Nomi, nelle terre di confine che si estendono verso il fuoco, tra bizzarie che non troverete sulla (fondamentale) Penguin Guide To Jazz Recordings, verso questo… Post-jazz? 

Il mio azzardo, e ammetto che si tratti di azzardo, è che questo jazz ibridato, destrutturato e liberato, che parte da una tradizione e la supera—usandone gli strumenti (fino a un certo punto), ma stravolgendone le strutture e fregandosene delle convenzioni—possa ricordare un po’ quella prima definizione reynoldsiana di post-rock (prima insomma che diventasse sinonimo di “suonare in maniera lentissima cose più o meno epiche per arrivare tramite un crescendo all’esplosione catartica”).

A prescindere dalle classificazioni possiamo comunque dire che si tratta di una delle musiche più entusiasmanti che sia dato sentire. E quindi sotto con questi nomi un po’ minori e un po’ laterali, rispetto ai mostri sacri e alle pietre miliari.



Non tratteremo dunque dei classici di Shepp, Coltrane, Pharoah, Ornette, Ayler, Cecil Taylor, Don Cherry (che pure per tutti gli anni Settanta ha realizzato pressoché solo capolavori, che stilisticamente potrebbero essere l’epitome della nostra trattazione, e che è uno dei miei musicisti preferiti)… Resta fuori anche, ma se vogliamo potremmo considerarlo una specie di nume tutelare, un precursore, quel Sun Ra che ha portato l’afrofuturismo e ogni sorta di sperimentazione (dagli strumenti scambiati tra i musicisti al suonare una porta) nel jazz tramite centinaia di uscite, spesso autoprodotte. E neanche parleremo dei grandissimi Art Ensemble of Chicago, non perché meraviglie come People In Sorrow, Les Stances A Sophie, Certain Blacks o Fanfare For The Warriors non sarebbero assolutamente perfette per questa lista, ma soltanto perché già sufficientemente “riscoperte”. Ci occuperemo invece di artisti un po’ tangenziali, posteriori, o fuoriusciti da altre tradizioni. Di supergruppi, di cose più contaminate, assurde, estreme… Insomma, di fuoco.

Ovviamente una lista di questo tipo non può avere nessuna pretesa di oggettività (quale?) né di esaustività: altri mille potrebbero essere i titoli segnalati, e per ciascuno si può percepire o meno una sfumatura che li possa ascrivere alla categoria.
Si tratta tutto sommato di un gioco, di suggestioni, e—se anche non ci vorrete seguire nella definizione—di dieci dischi consigliatissimi.
 

The Jazz Composer’s Orchestra – s/t (JCOA, 1968)

Se una delle poche e confuse regole che illustravo qui sopra era quella di evitare i nomi troppo noti, ecco che la infrangiamo subito partendo con un lavoro che vede in formazione nomi come Cecil Taylor (la cui parte qui è tra le migliori della sua intera carriera), Don Cherry, Pharaoh Sanders e Gato Barbieri (ma pure Charlie Haden e nomi che vedremo più avanti come Alan Silva e Jimmy Lyons). Possiamo dire quantomeno che non si tratta di certo di uno dei loro dischi più famosi, ci sembra però perfetto per cominciare la nostra lista, soprattutto perché si tratta di un disco… Be', incredibile.

Intanto va detto che la testa dietro al tutto è quella di Michael Mantler, austriaco trapiantato in America che ha composto, diretto e organizzato questo mastodonte che si potrebbe paragonare, se non per portata rivoluzionaria quantomeno per l’approccio, ad Ascension o al famoso Free Jazz di Coleman. Perché questo disco non sia più famoso è un mistero, anche perché i nomi sono quelli che stanno scritti in copertina, e la critica è in realtà abbastanza unanime nel magnificarlo. Io stesso ne ero all’oscuro finché non me lo sono trovato davanti nella sezione degli usati di un bel negozio torinese; attirato dal box lussuoso e dai nomi mi sono fiondato a reperire più informazioni e trovando commenti che lo definivano “forse un po’ troppo avanguardistico” ho capito che non potevo proprio farmelo sfuggire. Non esistono ristampe vere e proprie, ma è relativamente facile da reperire nel mercato dell’usato (troppi acquirenti spaventati?).
 

Sonny Sharrock – Black Woman (Vortex Records, 1969)

Qui ci discostiamo non poco dal classico jazz, per un disco che ha quasi del blues, del soul—anche grazie al fatto che Sharrock è un chitarrista, e che chitarrista. Ma quello che sicuramente rende questo disco il culto che è, e lo fa spiccare in mezzo a molti altri, è il contributo vocale di Linda Sharrock, la moglie di Sonny. Le sue grida sono il fuoco applicato alla voce tanto quanto le esplosioni di Coltrane lo erano applicato al sassofono: un potentissimo sabba che se ne frega di ogni convenzione musicale. In piena faccia.
Ristampa piuttosto recente su 4 Men With Beards.
 

Jimmy Lyons – Other Afternoons (BYG, 1970)

Disco tra i meno estremi di questa lista, che può servire come introduzione: sopportabile, facile da seguire, perde la bussola e parte per la tangente solo raramente. 
Descritto così sembrerebbe però un disco di poco conto, ma si tratta invece di un album di enorme classe e di grande perizia tecnica (Lyons sarà un pilastro del trio di Cecil Taylor), ma soprattutto capace di dimostrare una creatività incredibile anche senza spingere troppo sul versante dell’estremo. Da riscoprire.
Ristampa di facile reperibilità come per tutto il mitologico catalogo Actuel (la collana della BYG dedicata alle musiche di avanguardia).
 

Alan Silva and The Celestial Communication Orchestra – Seasons (BYG, 1970)

Ok, con Alan Silva si fa davvero sul serio. Questo è un disco che può mettere a dura prova chiunque, anche chi è abituato alle peggiori asprezze noise. 
Se già il suo precedente Luna Surface era una rappresentazione in musica dell’inferno, con un nutrito gruppo di musicisti intenti a fare il maggior casino possibile, qui la formula si inasprisce ulteriormente in quanto si tratta di un triplo live. Se là ci si limitava a una mezz’ora scarsa, qui siamo di fronte a un mastodonte di quasi due ore e mezza: una specie di prova di forza per le vostre orecchie e per la vostra salute mentale, ma anche una pietra miliare per chiunque nella musica cerchi l’estremo, il disturbo, e il caos.
Per la ristampa, come sopra. Anche se per questioni di praticità e di qualità del suono è probabilmente preferibile la versione in doppio CD.
 

Joe McPhee – Nation Time (CjRecord Production, 1971)

Tutti in piedi per questa gemma, fra i dischi più esplicitamente politici della nostra lista, nonchè mio personale Sacro Graal visto che è introvabile pure la recente ristampa sull’inglese Bo’Weavil (l’unica edizione di facile reperibilità è quella in cd sulla benemerita Unheard Music Series della Atavistic).

A parte nell’ultimo brano, che vira decisamente verso il free, la particolarità di questo disco è che è stato uno dei primi in cui non si sa bene dove cominci il jazz e dove finisca il funk: ci si ritrova su un tappeto funkettone—il piano elettrico parla chiaro—con momenti free, per poi turbinare in un’alternanza tra i due stili (a volte con l’accento sulle dissonanze e altre sul ritmo) che davvero non può lasciare indifferenti.
Un capolavoro che se fosse uscito per esempio su Columbia Records trovereste in tutti i manuali jazz, mentre così resta appannaggio di pochi fortunati.
What time is it? Nation time!
 

Black Unity Trio – Al Fatihah (Salaam Records, 1971)

Tra i più infuocati e misconosciuti dischi free di sempre, questo trio dell’Ohio vede un percussionista completamente sconosciuto e un sassofonista poco più noto affiancati a quello che diventerà probabilmente il principale violoncellista del genere (Abdul Wadud), già mostruoso. È nell’interazione tra questi ultimi due che sta la forza di questo impressionante spiritual jazz, caratterizzato da quella certa malagrazia (anche per via della registrazione non propriamente impeccabile?) e irruenza giovanile che ce lo fanno amare ancora di più. 
Meriterebbe una ristampa al più presto (esiste solo la prima, assolutamente introvabile, stampa in LP).
 

Noah Howard – The Black Ark (Freedom, 1972)

Altro culto assoluto, introvabile per decenni ma ristampato propriamente (con un’elegante copertina in pelle) [speriamo finta, nota della redazione] da Bo’Weavil, e per ora facilmente reperibile.

Disco magico, la cui formula consiste nel partire da melodie latine o orientaleggianti per condurle poi verso la follia e il suono “liberato”. Non un concetto estremamente nuovo, ma che importa: quello che lo rende particolarmente notevole è la bravura mostruosa di tutte le parti in causa, non ultimo il sassofonista di New Orleans che tiene a battesimo il disco, ma soprattutto la sezione ritmica, con le sue percussioni originali ed effettate (un phaser che punta verso Saturno) che donano al disco quel particolare respiro che lo rende memorabile.
 

Hüseyin Ertunç Trio – Mûsikî (Intex Sound, 1974)

Qualche tempo fa mi trovavo nel magazzino di Holidays Records quando Stefano mi dice che sta per ristampare “il disco più bello di tutti i tempi”.
Mi dà solo qualche indizio: anni Settanta, un turco e due fratelli americani.
Dopo qualche giorno ci arrivo. Ero incappato in questo album qualche tempo prima (anche se sinceramente non ricordavo chi fossero i vari elementi), alla ricerca di jazz lontano dai soliti percorsi, vicino a quella Organic Music del mio amato Don Cherry. 
E qui avevo trovato un batterista e due polistrumentisti (zurna, clarinetto, flauto, sassofono, basso…) per quella che più che jazz si potrebbe definire musica totale: approccio primitivo, improvvisazione cosmica, e momenti che si fondono l’uno nell’altro senza apparente logica ma con assoluta maestria, regalando infinita meraviglia e un profondo senso di trance. 

L’album è solo un tassello di una serie realizzata dal gruppo nel ’74, ciascuno intitolato a uno dei tre—gli altri due sono Michael Cosmic, Peace In the World e The Phil Musra GroupCreator Spaces. Inutile dire che ne attendiamo le ristampe come l’acqua nel deserto.
 

The Pyramids – King Of Kings (Pyramid Record, 1974)



Band dell’Ohio, mai così vicino all’Africa, che sembra venire da un altro mondo (quello degli spiriti che si dice fossero presenti durante le registrazioni?).
Percussioni ipnotiche di rara potenza, condite con dissonanze free e ripetitività, ma con più melodia che asprezze, per un approccio meditativo e uno spirito indubbiamente cosmico: un disco davvero di un altro mondo.
Di facile reperibilità la ristampa sulla tedesca Disko B.
 

Bengt Berger – Bitter Funeral Beer (ECM, 1981)

Chiudiamo con un’uscita ben più tarda, un disco poco famoso della ECM. Si tratta di jazzisti avant svedesi (ma tra loro c’è pure Don Cherry) che suonano la funeral music della popolazione Ewe del Ghana.

Questa la descrizione tecnica, ma è qualcosa di davvero difficile da descrivere a parole. Conviene forse ascoltare i 20 minuti del lato B (“Darafo"), per capire cosa può significare una musica che parte dall’Africa, acquisisce sfumature arabeggianti e si dipana in mille direzioni fino a non poterla proprio più classificare se non come una specie di esperienza estatica. E tutto questo suonato da degli svedesi! (E ok, anche da un fuoriclasse assoluto americano). Purtroppo è difficile da trovare a prezzi ragionevoli, e una bella ristampa sarebbe davvero necessaria.
 

Bonus: 

AA.VV. - Wildflowers: Loft Jazz New York 1976 (Douglas, 2005)

Aggiungiamo in extremis anche questa compilation, particolarmente adatta a spiegare di cosa stiamo parlando.

Loft Jazz può sembrare un nome fighetto, ma in realtà era tutto il contrario, non musica per cocktail quanto musica che veniva suonata live in gallerie d’arte indipendenti, da sempre fucina di musiche pazze e libere (qualcuno ha detto Trastevere?). I loft in questione erano infatti gestiti cooperativamente dai musicisti stessi, lontano dagli ambienti dei club più commerciali o delle grosse sale da concerto, per potersi dedicare alla creatività più pura e libera.

Il Loft Jazz è da intendersi un po’ come una diramazione del free jazz, che persa (per esaurimento?) la sua carica più dissonante ha guardato maggiormente verso l’utilizzo di strumentazioni strane, soprattutto percussioni non convenzionali, risultando libero più che nelle strutture (paradossalmente un mezzo “passo indietro” verso quelle classiche, con più scrittura e pianificazione), proprio nella forma in cui veniva presentato.

Se in molti pensano che nei tardi anni Settanta il jazz abbia visto un periodo di crisi dopo le glorie degli anni Cinquanta e Sessanta, in realtà il punto è che le forze più creative si erano soltanto spostate un po’ nell’ombra, ma non per questo erano meno vitali o meno potenti.
Un buon compendio di questa scena si può trovare nel triplo CD che raccoglie al completo una collana di cinque LP pubblicati nel ‘77, registrati allo Studio Rivbea di Sam Rivers durante la settimana dello Spring 76 Music Festival: ventidue esibizioni che coinvolgono più di sessanta musicisti (compresi molti grandissimi nomi come Anthony Braxton, Jimmy Lyons, Sunny Murray, Roscoe Mitchell, Randy Weston, Dave Burrell, tra gli altri).

Gli spazi erano piccoli, fumosi e caldissimi, il pubblico era poco, ma la grandezza stava tutta nell’ambizione artistica. È stato chiesto ad Alan Douglas, che la collana di LP l’aveva originariamente pubblicata, se ci avesse guadagnato qualcosa: “Certo che no”, si è messo a ridere. “Ma ho avuto la fortuna di produrre qualcosa di grande, di importante. È quello il guadagno che conta davvero”. 
Libertà, maestria strumentistica, melodia, groove funk e improvvise esplosioni: che cosa volete di più?

Ecco tutto. Buon divertimento e buona estate, e state attenti a dove buttate le sigarette.
 

Federico ci tiene all'ambiente. Seguilo su Twitter: @justthatsome
 

Le rockstar dell'hip-hop secondo Mike Lennon

$
0
0


Cover art a cura di Mike Lennon.

Che Mike Lennon fosse un bomber già lo sapevamo, ma ogni occasione è buona per ribadirlo. Il suo ultimo singolo, "Swerve", è uscito settimana scorsa ed è il perfetto seguito dei due capitoli precedenti, "100"—presentato in esclusiva a maggio proprio qui, assieme a un'intervista—e "Lost Souls". Stabile a Milano, ma originario di Parma, Mike porta avanti il suo rap anglofono dal giorno zero, come raccontato la scorsa volta, e nel suo caso è molto più che una firma di riconoscimento. Prima che diventi troppo famoso e finisca a qualche Mi Ami, mi è sembrata cosa buona e giusta chiedergli un mix rappresentativo di ciò che è e fa, e lui pochi giorni dopo se ne è uscito con questo gioiellino, intitolato Rockstar Flames.

"Con Rockstar Flamez, ho voluto raccogliere insieme i brani hip-hop per me piu significativi," spiega Mike, "in un arco di tempo che va dal 2012 al 2016,  selezionando trenta brani dalla mia libreria musicale (che ne conta oltre diecimila) e inserendo anche due miei inediti. L’obiettivo di questa compilation è dare una visione più ampia possibile del concetto di hip-hop gettando un po' di luce sull’ignoranza musicale che regna sul web, dando la possibilità anche ai meno ferrati di interessarsi al genere."

Quarantacinque minuti di mix che traggono ispirazione dallo stesso percorso musicale e di vita di Mike, citando artisti che a parer suo meglio rappresentano il passato, il presente e il futuro del panorama hip-hop più o meno globale, con particolare attenzione per la scena statunitense—"è da lì che nasce e proviene tutto." L'hip-hop è un genere che racchiude e ne influenza altri mille, e i due brani di apertura di Burial simboleggiano proprio questa confluenza.

"Rockstar Flames è diviso in due parti: la prima è prevalentemente rap, e penso sia stata la parte piu difficile, perché fino all'ultimo ero indeciso se far riferimento anche agli artisti piu vecchi con cui son cresciuto, come Biggie, Pac, 50 Cent, Mobb Deep etc. Ho desistito perché ho capito mi sarei dilungato troppo, perciò ho ristretto l’arco di tempo dal 2012 (anno che segue l’uscita di Watch The Throne di Kanye west e Jay-Z, album che ritengo una pietra miliare dell’hip-hop moderno) al 2016, alternando artisti rap che meriterebbero più attenzione—Vince Staples, Isaiah Rashad o Ab-Soul—a quelli che invece si sono già affermati—Schoolboy Q, Kendrick Lamar o J.Cole. 'On Sight' di Kanye West fa da parete divisoria tra la prima e la seconda parte e simboleggia l’avvento della trap e della distorsione come nuovo genere musicale. Da qui seguono i 'trapper' per eccellenza che preferisco e che per me sono quasi tutti riassunti nella scena di Atlanta, quindi Gucci Mane fresco dalla galera con il nuovo album, Migos, Young Thug e 2 Chainz,  per nominarne alcuni. Nella prima parte ci sono anche due miei inediti, 'Solo Dolo' e 'Flowerbomb' di cui magari un giorno farò uscire un video, chissà..." È da un po' che non si assapora del buon rap, il venerdì. Mike ci ha pensato per noi.

TRACKLIST

1 – Burial – Rough Sleeper

2 – Burial – Truant

3 – Ab-Soul – Nibiru​

4 – Schoolboy Q – Tookie Knows II (feat. Traffic & TF)

5 – Odd Future – Oldie

6 – Vince Staples – Norf Norf

7 – Domo Genesis – X

8 – Mike Lennon – Solo Dolo (unreleased)

9 – J.Cole – G.O.M.D.

10 – Frank Ocean – Pink Matter (feat. Andre 3000)

11 – Mike Lennon – Flowerbomb (unreleased)

12 – Kendrick Lamar – HiiiPower

13 – Travis Scott – Backyard

14 – Wiz Khalifa – Brainstorm

15 – Isaiah Rashad – R.I.P. Kevin Miller

16 – Drake – Crew Love (feat. The Weeknd)

17 – Kendrick Lamar – Alright

18 – Kanye West – On Sight

19 – Tyler The Creator – The Brownstains

20 – Drake – Madonna

21 – Dj Esco – My Blower (feat. Future & Juicy J)

22 – Gucci Mane – Shooter (feat. Young Scooter and Yung Fresh)

23 – Lil Uzi Vert – Thats My Rule

24 – D.R.A.M. – Broccoli (feat Lil Yachty)

25 – Migos –Can’t Go Out Sad

26 – 2 Chainz – This Is Me Fuck It

27 – Gucci Mane – Waybach

28 – Young Thug – Gangster Shit

29 – Desiigner – Timmy Turner

Segui Noisey fu Facebook:

 

Segui Mike su Facebook.

Segui Sonia su Twitter.

La playlist dell'estate di Noisey

$
0
0

Artwork di Anna Magni.

Ehilà! In partenza? No? Niente vacanze quest'anno? Oppure, maledetti voi, state già al mare? In qualunque condizione vi troviate, è ragionevole pensare che abbiate voglia di una playlist a cui basti schiacciare play, compilata amorevolmente da chi schiaccia play duecento volte al giorno per lavoro. Abbiamo infatti raccolto duecento tra le tracce che ci hanno appassionato, finora, quest'anno. Sono tutti prodotti freschi, tranquilli, non vi daremmo mai roba marcia. Ci teniamo a fornirvi un apporto nutrizionale equilibrato. Qui dentro infatti troverete un po' di rap, italiano o meno, un po' di buon garage rock, roba dissonante, roba emotivamente carica e così via, prodotta da molti degli artisti che i vostri amici della redazione di Noisey adorano. 

Se ci siamo dimenticati dei pezzi per strada non arrabbiatevi con noi, è tutta colpa del caldo. Un caldo che ci accompagnerà per tutto agosto, dato che Noisey non va mai in vacanza. Quest'estate potremo stare vicini vicini, se ci seguite sulla nostra pagina Facebook. In ogni caso, basta parlare di noi. Parliamo di voi e di queste 200 tracce che speriamo vi accompagnino a bordo piscina o mentre fate rafting sul Tevere o in circonvallazione. Avete già iniziato ad ascoltarle? Sentito che sexy? Anche voi lo siete. 


Seguici su Twitter: @Noisey_IT
 

Oh!Dear Summer Fest, una festa punk dalla Sardegna con amore

$
0
0

Ore 8.30 del 24 Luglio. Sono infilato nella Fiat Punto 1999 del mio amico Flambo, ho dormito circa due ore in una scomodissima posizione da kamasutra in solitaria e me ne servirebbero almeno altre dieci per farmi passare la sbronza presa a fondi di bicchiere. Nel sedile di fianco c'è una mia amica che è al terzo coma e dietro se ne sta il mio amico in una sorta di raffazzonata camera da letto da hikikomori situata tra il portabagagli ed i sedili posteriori.

Dicevo, sale questo caldo bastardo, roba da effetto serra e non posso fare altro che svegliarmi, bestemmiare e aprire la portiera. In quel preciso istante cade la prima pioggia su Porto Ferro. Due ore dopo avrebbe diluviato così tanto che l'intera area di Alghero si sarebbe allagata. L'acquazzone finirà dritto dritto sugli zaini abbandonati fuori dall'auto per farmi spazio e sulla borsa frigo scollata che avevamo utilizzato per spararci la birra per tutta la nottata del secondo giorno dell'Oh!Dear Summer Fest. E mi rendo conto che ho gli occhiali da buttare, a causa del pogo di qualche ora prima, e bestemmio. Noi quattrocchi dovremmo al massimo permetterci la prima fila dei concerti mathrock.

 

Flambo, ovvero il proprietario della Fiat Punto. Ed alla sinistra un'indiana d'America in Erasmus.

Un attimo. Facciamo un passo indietro di qualche giorno. Quando ho detto a Tea Campus che mi sarei occupato di scrivere un pezzo dedicato al suo festival mi ha fatto una semplice e istintiva richiesta: “non scrivere le solite robe trite e ritrite su quanto sia selvaggia e diversa la Sardegna”. Ci proverò, Tea, ma sarà dura.

Prima di partire per la Sardegna forse è il caso di mettere un grosso Mi Piace su Noisey Italia:

C'è questa ragazza che ha suonato il basso per qualche anno in un gruppo punk in quella che Flavio Soriga definisce come “la nostra piccola cadente Buenos Aires”, Sassari. Poi è andata a Bologna a fare l'università ma un po' come tutti i suoi compaesani si è sempre portata appresso un po' di saudade. Dopo la laurea, però, invece di tornare indietro si è spinta fino a Glasgow, Scozia. Ed è stato da quelle parti che ha avuto la brillante idea di sfogare la nostalgia canaglia e fare tanto alla sua terra fondando la Oh!Dear Records, un'etichetta senza confini geografici ma con una grande anima sarda. Organizza in collaborazione con la Cooperativa Sociale Piccoli Passi ed il progetto CortecceSonore un piccolo ma intenso festival per presentare una compilation della sua etichetta discografica. La scusa è la compilation, ma c'è ben altro: "Il ricavato della vendita della compilation viene utilizzato per la riforestazione dell'area retrodunale di Porto Ferro", spiega. "E mi piaceva l'idea di riunire dei giovani artisti sardi. Due di questi sono Roberto Canu e Andrea Marcias, che hanno creato due stili diversi per la copertina, e Lia Palomba che si è occupata delle grafiche".

La prima data è a Porto Torres, cittadina marina e turistica dai colori caldi e nella quale TUTTI sono tatuati: consiglieri comunali, bariste, nonni, professori liceali, neonati, ecc. Pareva di stare in una sorta di crossover tra i Malavoglia di Verga ed il MITACON. La struttura è quella del Pangea, che è un centro sociale ben al di fuori del colorato e turistico centro, ma alle soglie del quartiere popolare Satellite. Il leitmotiv ambientalista che ha mosso Tea è andato da subito naturalmente a braccetto con le regole tribali e comunitarie del Pangea.

Quando sono arrivato da quelle parti il sole non era ancora tramontato ed ho avuto il tempo di fare un po' di amicizia con gli indigeni e scoprire qualcosa di più sul posto. Una delle stanze dell'ex-Bocciodromo è ora una piccola cucina, che ho avuto la (s)fortuna di beccare in pieno regime: una bomba di calore acqueo nella quale si aggira Marco Piras, che fa parte del Centro fin dai suoi albori: "A Porto Torres era impossibile suonare in città a causa delle ordinanze, così abbiamo cercato un nuovo spazio", racconta. "Siamo nati nel 2012, il primo centro sociale della Sardegna".

 

Marco racconta la sua epopea da Porto Torres, mentre la pasta si scuoce a palla.

Fuori dalla cucina vi è una saletta nella quale si cantano cori dagli echi partigiani e un arzillo anziano decide di prendere in ostaggio Lia, la mia fotografa. Becco Francesco Curreli de Il Mare di Ross che mi racconta delle origini della band e della sua fondazione. Non posso fare a meno di chiedergli da dove provenga il nome del gruppo e mi confessa la sua passione per i documentari. Mi è davvero difficile immaginare quel bel ragazzo punk passare le giornate su History Channel piuttosto che starsene in uno skate park a far innamorare sedicenni, anche se avrei dovuto capire fin da subito dalla sua t-shirt dei Joy Division che era meglio evitare gli stereotipi.

Faccio la conoscenza di Michele, il chitarrista. Mi parla della sua esperienza nell'etichetta Screamore. "Siamo in cinque: io, Enzo degli Amesua, Francesco e Sanan dei Niebo e Marco di Folgore. Produciamo tante band che vengono da fuori, anche fuori dall'Italia. Non ha senso rimanere chiusi nel proprio giro, si perdono tante cose belle".

 

Michele(Il Mare di Ross), Marco (Amesua) e Francesco (Mare di Ross) si godono il pre-concerto, mentre l'autore si copre il viso per questioni di privacy.

È ora di cena in sala e riesco ad interrompere anche il relax di Marco Spano, il chitarrista degli olbiensi Amesua. Loro sono la band più attesa della serata: il terzo album, Ritratto, l'ho ascoltato numerose volte con il cuore in lacrime. Testi pazzeschi e dei ritornelli che ti fanno venire voglia di abbracciare il primo sconosciuto al tuo fianco e redimerti.

Più in là ho avuto la fortuna enorme di conoscere Enzo di Ciaccio, un fenomeno delle cavalcate delle linee di basso. Ringrazio quella parte del mio cervellino che mi ha permesso di premere record sul registratore vocale del cellulare: ero al quinto mirto e non mi sarei ricordato granché del piacevole dialogo avuto con lui. Mi conferma il cambio di stile nella voce (che ho nettamente preferito) tra i primi due album ed il terzo: "Siamo arrivati con calma a questo nuovo stile vocale. Non abbiamo perso le urla, ovviamente, ma ora cerchiamo di modulare di più. Il disco ha avuto una gestazione di due anni e mezzo. L'uomo sulla copertina è mio padre, abbiamo deciso di omaggiarlo così. Lui era quello che da ragazzini ci portava ai concerti."

A causa di una disabilità Enzo è costretto su una sedie a rotelle, ma questo non lo ha fermato. È bastato moddare al punto giusto la pedaliera in modo da renderla facilmente utilizzabile da seduto e con le mani. Mi parla di una canzone, "Carol"dedicata proprio alla sua sedia: "Ci ero affezionato. Mi ha accompagnato per tutta l'adolescenza, fino ai 24 anni. E per me è stato un po' come abbandonare un'amica. Tutti i posti che ho visitato, ecco, l'ho fatto in sua compagnia".

 

I Byproduct aprono le danze con un boato. Tutti sull'attenti.

Sotto il palco trovo Michele dei Mare di Ross che mi dichiara il suo amore per una ragazza nelle vicinanze. Mi prega di fare da messaggero erotico ma sono la persona meno adatta per vestire i panni di Cupido e credo, in questo preciso istante, di sentirmi in colpa. Ehi, tu con la camicetta beige e le Vans ai piedi, che forse ti chiami Lydia, se mi stai leggendo contatta Michele. E se fate un figlio chiamatelo Diego.

 

Gli OxC sono giovani e pronti a spaccare il mondo, e il cantante se ne esce con un messaggio piuttosto chiaro: "Abbracciarsi e stringere amicizia alla fine di ogni concerto hardcore".

Nell'ex-bocciodromo, in questa surreale atmosfera ingabbiata tra gli anni novanta, esce fuori la bomba della serata: Blu è tra il pubblico. È a Porto Torres per dipingere un murale proprio al quartiere Satellite e pernotta in una cascina nel boschetto lì affianco al Pangea. Flambo, il mio amico, assume i caretteri di uno screanzato detective a là Vizio di Forma e decide di trovare finalmente un viso all'artista senza volto. Supposizioni su chi fosse tra la folla attraverseranno la nottata e troveranno soluzione solamente la giornata successiva.

La verità è che vorrei parlarvi del concerto degli Amesua ma ero talmente sbronzo che ho passato metà buona del set a provarci con questa principessa alta 1,85 mezza sarda e mezza inglese. Ma tanto per cambiare ho fallito, sarà anche un po' a causa della mia altezza decisamente inferiore ai suoi standard, e no, non ho scusanti o belle storie da raccontare.

Faccio in tempo per arrivare sotto il palco e godermi "Anni Luce", "Polvere", ma soprattutto la conclusiva "Les Petites Cubes", che scatena il coro collettivo e i pianti a suon di "Non è la tempesta che ora vedi impazzare".

 

Il Mare di Ross in tutto lo splendore fisico di Francesco Curreli.

La penultima band sono i Vilma, che avrebbero risuonato anche il secondo giorno e per ora evito di scriverne per non essere ridondante.

Le atmosfere hardcore e punk vengono spezzate dall'entrata in scena del fiero sound metal dei When Ashes Are Rising. Durante il loro set scende la pioggia ed i meno coraggiosi come me si rifugiano nell'ex-bocciodromo. Coppiette si abbracciano sedute sui vecchi spalti per il pubblico, l'aria si riempie di risate sguaiate al sapore di alcool ed erba e a me si schianta in testa la scenografia di "Smells Like Teen Spirit", ma senza il bidello. Sotto il palco resta qualche indomito metallaro, tra i quali anche Mario che il giorno dopo si ritroverà con un tipico marchio da collisione tra basso e headbanging.

 

Michele continua con i suoi gesti giovanilistici, mentre Enzo (Amesua) incita alla rivoluzione socialista.

Per il secondo giorno dell' Oh!Dear Summer Fest le atmosfere vengono stravolte. Si va a Porto Ferro, golfo ad una trentina di chilometri da Sassari. Luogo di culto tra i surfisti locali, lì ha sede Il Baretto, che ha collaborato con Tea per il progetto ambientalista e DIY.

Ma prima, per completezza, chiudiamo la storia su Blu. Prima di prendere la via per il mare mi ritrovo di nuovo in un Pangea deserto e silenzioso. Ecco, è stato lì che l'ho visto. A malapena sono riuscito a sembrare una persona normale in quanto una leggera sensazione di “ohmiodio” mi attraversava le ossa. L'uomo che ha fatto tremare Bologna negli ultimi tempi ricordandoci la brutta fine che stiamo facendo aveva finalmente una forma. Questa è un'altra storia però, torniamo sulla strada.

 

 
Ci siamo fermati al Satellite, a fotografare il nuovissimo Blu.

Anche a Porto Ferro riesco ad arrivare fin troppo presto. Ho tutto il tempo di gustarmi il mare mosso e fare una passeggiata verso le vecchie torri di avvistamento vecchie di secoli. Le nubi si caricano e partono i primi scongiuri. Il Baretto è un locale che al tramonto ti illude e ti fa sentire lì ad un passo dall'immaginario di Dennis Wilson in di Pacific Ocean Blue. Giunge il tramonto e l'odore delle patatine fritte sostituisce quello della salsedine.

 

Non è un caso che ad aprire le danze, verso le dieci, quando l'intero locale è ancora pieno di habitué seduti ai tavoli, sia Beeside, progetto one man band di Federico Pazzona. Dopo un paio di pezzi le persone hanno abbandonato i loro hamburger, tra reverenza e incantamento. C'è tanta roba nella voce e la chitarra lancinante di Beeside: famiglia Buckley, i primissimi Radiohead di The Bends in primis, e senza dubbio Nick Drake, ma paragoni a parte, quelle di Federico sono canzoni tristi, di adolescenze eterne, una musica invernale.

 

Il giorno in cui quei due bambini decisero di imparare a suonare la chitarra.

Beeside dà il meglio di sé, provocando ondate di malinconia tra le luci soffuse del Baretto, con la cover di Eyepennies degli Sparklehorse. Dal pianoforte della versione ufficiale alla chitarra elettrica della cover, non stento a credere che Mark Linkous l'avrebbe apprezzata fino in fondo.

 

I Sumolovers si impongono come i signori del garage e di stile della serata.

Tra le band che attendo con più ansia ci sono i Pussy Stomp, duo con Roberta Etzi alla chitarra e Mauro Vacca al basso. Entrambi sono bellissimi, li ammiro con un po' di vergogna, e di primo acchitto mi fanno venire in mente gli Handsome Family, con quella puzza d'America. Ma basta vederli suonare "Super Slut" per capire che siamo più dalle parti dei The Kills.

Tra una birretta e l'altra riesco a fare due chiacchiere con Andrea Marcias aka Waarp e anche componente del duo I Against Me assieme ad Andrea Achenza. Marcias mi spiega di come ha lavorato sulla copertina di una delle due cassette della compilation della Oh! Dear Records. Pazzo furioso, emula con una virtual machine Windows 95 per poter utilizzare delle vecchie librerie per Processing che gli sono utili a creare piccoli capolavori algoritmici. Andrea Achenza è invece uno di quei ragazzi che potrebbe essere la naturale evoluzione di uno dei protagonisti di Stranger Things: è un sincero appassionato di retrogaming e tuttologo musicale, oltre che immune per oscuri motivi agli effetti collaterali da assunzione costante di erba.

 


I due Andrea. Uno mi mostra il gameboy moddato, l'altro fuma.

Gli I Against Me concludono la line up con un favoloso disordine costituito ad 8 bit, bombardati dai visuals di Claudio Spanu.

Prima degli IAM hanno suonato i Vilma, che secondo me non sono solo un gioiello della musica locale ma una roba che dovrebbe girare anche sulla penisola. Ci sono pezzoni come "Levi" e "Calvino" che tirano fuori il meglio dell'emo-core italiano. Ovidio (chitarra) ha uno stile libero, fuori dagli schemi della teoria musicale istituzionale riesce a dare libero sfogo ad una creatività che deriva da anni di ascolto di nu-metal e post-rock. Olmo Curreli ha la presenza scenica della stessa razza di Jacopo Lietti (Fine Before You Came) ed una voce potente, e la loro musica è quella roba che ti fa pogare anche se ormai non hai più 25 anni. I loro testi esibiscono una poetica chiara, sferzante, capace di starsene tra l'alto ed il basso. Quando la band fa scattare "Nomi", che è una canzone furbissima, ne scaturisce fuori tutta la roba da brotherhood dell'emo-core degli ultimi dieci anni. E poi come si fa a non amare una band che ha scritto una canzone dedicata a Pat Morita? Si vede che sono il mio nuovo gruppo preferito, eh?

 

La Regione Sardegna ha trovato la sua nuova foto profilo su Facebook (Olmo - Vilma).

Era dai tempi degli Eyehategod che non mi veniva una voglia simile di buttarmi in mezzo alla mischia. Ai tempi nada perché mi sarei ritrovato come compagni di pogo l'intero cast di tutte le stagioni di Vikings, mentre con i Vilma me lo sono potuto permettere. E credo che sia stato proprio durante "Nomi" che porcalaputtanamiseria mi sono caduti gli occhiali. 

 

I Vilma senza il cantante, da qualche parte a fare stage diving.

Poi è il turno degli I Against Me, che fanno scatenare, non si sa come, una piccola e stanchissima post-Vilma folla.

E dopo di loro è il tempo del dj-set dei NKT_New Kids in Town e Waarp, che terrà svegli i sopravvissuti del Baretto fino alle cinque di mattina.

 


Il capitano della nave, in un vistoso stato di sobrietà.

Quello che succede dopo, nelle ultime ore di buio, è la solita storia di abbracci alcolici e costanti pisciate nei bagni chimici. Figure di amanti e amici si rifugiano tra le dune per diventare ombre e la bellezza terrificante del golfo per una volta se ne sta in secondo piano.

Tea, non so come andrà a finire con la questione ambientalista, ma per quanto mi riguarda sei riuscita a farmi riprovare i 20 anni. Se poi sia una cosa giusta o sbagliata, ecco, è da vedere.

 

Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>