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Channel: VICE IT - NOISEY
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Siamo andati a trovare Ghali al parchetto

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Qualche tempo fa Ghali era la next big thing del rap italiano, oggi lo è a tutti gli effetti.

Siamo andati a prenderlo sotto casa (in senso buono) e abbiamo fatto un giro del suo quartiere, dalla via in cui abita al parchetto dove scrive le sue rime e gioca a basket con gli amici, per poi imbucarci nello studio di Charlie Charles, che ha assistito alla svolta della sua carriera, avvenuta negli ultimi mesi. Alla fine l'abbiamo caricato in macchina in direzione Bergamo, dove l'abbiamo seguito sul palco di Sabotage per uno dei concerti del suo Wily Wily Summer Tour.

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Alan Vega, motorcycle hero

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Alan Vega dei Suicide è morto la notte tra il 16 e il 17 luglio, nel sonno. Aveva settantotto anni ed era stato uno dei musicisti più influenti degli ultimi quarant'anni. Con il solo primo album omonimo (1977), i Suicide hanno gettato le basi per tutta la musica costruita a partire dall'interazione tra la ripetizione di rumori elettronici e l'urgenza libidinale violenta di muoversi, ballare, farsi del male, sopravvivere. Il socio Martin Rev costruiva groove sintetici minimali e affilati, incendiari, a partire da una strumentazione che anche per l'epoca poteva definirsi spartana, mentre Alan con la sua voce generava il senso di pericolo ed eccitazione che portava quel suono oltre. Tra sussurri erotico-spettrali e urla improvvise, Alan Vega era un animale rock&roll alieno, completamente privo di sovrastrutture bianco-machiste, l'urlo urbano di una coscienza confusa ma paradossalmente a suo agio nella bestialità urbana. In questo senso, portava alle estreme conseguenze il lavoro che aveva cominciato come scultore, assemblando detriti elettronici e luici al neon in nuovi corpi disfunzionali. I Suicide anticiparono l'attitudine punk riuscendo contemporaneamente a superarla, e a generare un mondo di possibilità con non più di tre note a brano. 

Trentanove anni, una carriera solista, collaborazioni (se ne ricordano di incredibili coi Pan Sonic e con Marc Hurtado) e svariate reunion più tardi, Alan se n'è andato, diventando a tutti gli effetti il Ghost Rider della musica elettronica mondiale. Gli paghiamo tributo ricordando in quanti, tra famosi, influenti e semplicemente geniali, ripresero proprio quell'incredibile rombo motorico che canalizzava fumetti Marvel e paranoia industriale.

 

HENRY ROLLINS

R.E.M.

THE YOUNG GODS

SOFT CELL & CLINT RUIN

DAVE BALL & GAVIN FRIDAY

ANNA CALVI

DIVE

THE GORIES

MERZBOW

DIRTY BEACHES

THE SISTERS OF MERCY

 

I PNL hanno scritto la canzone dell'estate definitiva

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La canzone-per-l-estate è ormai una tipologia musicale stantia. È da cinquant'anni che ci sono il pop e il rock e, dopo un po' di tempo, continuare a scrivere del sole e del mare e dei balli e dell'alcool e dell'alba e degli sguazzi doveva per forza iniziare a sembrare già sentito. Ricorderemo l'anno di nostro signore 2016, quindi, come l'anno in cui i PNL hanno finalmente scardinato i luoghi comuni della hit estiva con "J'suis QLF"—che è incredibile per i seguenti motivi:

1) Due rapper famosissimi hanno fatto un video con ambientazione mare/piscina senza riempirlo di alcool e ragazze seminude;
2) La base né ha le chitarrine del cazzo né suona minimamente "estiva" di per sé;
3) I due punti precedenti non ti fanno pensare che Ademo e N.O.S. siano dei coglioni che non si meritano di stare su un atollo a filmarsi coi droni, anzi sei pure felice per loro;
4) I PNL e i loro amici mangiano la nutella e bevono il succo di frutta, dimostrando di aver capito quale sia la colazione definitiva.

Fate sì che la vostra estate sia come quella dei PNL, mi raccomando. Altrimenti potete continuare ad aspettare che ancora un'altra ne arriverà, o potete passarla spendendo i soldi che avete preso dalla Peroni

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Se ami l'hip-hop, questo video di Gene Simmons che cade di culo ti farà felice

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Immagine via YouTube

Il 1975 era appena iniziato quando i Kiss pubblicarono quel classicone del glam rock che è "Rock and Roll All Night". Gene Simmons aveva 25 anni, la faccia permanentemente pittata di bianco e nero, e non si faceva scrupoli a cantare a squarciagola "I wanna rock and roll all night and party every day!" nel microfono—la sua celebre lingua chilometrica a dimenarsi come un enorme serpente, come sottofondo il suono di fuochi d'artificio e grida isteriche.

Ma il punto è che, come ogni cosa, il rock n' roll invecchia. Gli vengono le rughe. Gli iniziano a far male le giunture e la schiena. Non riesce a stare al passo con quello che i ragazzi di oggi ascoltano. Non sa chi è Skepta, sostiene che il rap sia morto, e sicuramente non è d'accordo con il fatto che gli N.W.A. siano stati introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame. Il rock n' roll pensa di essere in grado di fare sempre bolgia per 24 ore al giorno fino a raggiungere o le porte del paradiso o quelle dell'inferno, ma prima o poi deve rallentare. Beve una tisana e abbandona l'alcool. Si mette una vestaglia da casa e le ciabatte, e guarda la Signora in Giallo dopopranzo. E cade di culo mentre suona dal vivo.

Detto questo, eccovi un video di Gene Simmons che cade all'indietro durante l'assolo di "Rock and Roll All Night". Non è una caduta epica ma una sorta di abbandono apatico, una resa. Come se il suo corpo gli stesse dicendo, "Quando è troppo è troppo, Gene. Non voglio più fare il rock and roll tutta la notte. Andiamo a casa."

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Rilassati di brutto con il nuovo pezzo di Jan Jelinek e Masayoshi Fujita

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Guardali lì che presi bene che sono.

Ci sono un sacco di cose che stanno benissimo l'una con l'altra: il burro con le alici, il formaggio con la marmellata, il sushi con la cocaina. A volte, la stessa cosa accade in musica e la chiamiamo "collaborazione riuscita". È questo il caso di quella tra Jan Jelinek, storico produttore sperimentale berlinese, e Masayoshi Fujita, compositore e suonatore di vibrafono giapponese di casa Erased Tapes.

I due hanno un nuovo album assieme in arrivo a settembre: si intitolerà Schaum e uscirà per Faitiche, l'etichetta di Jelinek. Il primo estratto si intitola "Vague, Yet" e potete guardarne il video ufficiale qua sotto. È praticamente una compilation di tutte le volte che siete rimasti con lo sguardo fisso fuori da un finestrino o una vetrina a guardare la città e vi siete convinti, anche solo per un attimo, che fosse un posto bellissimo nonostante l'odore di piscio, l'affitto che pagate senza potervelo permettere e il caffè che costa un euro e venti. 

Schaum esce il 9 settembre.

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Mc Nill e quando le cose cambiano

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Il rap cantato in italiano è maschio ed etero e, per quanto probabilmente inutile, questa è una premessa con cui tutti quanti abbiamo imparato a convivere, salvo poche eccezioni e tendenze dell'ultimo anno. Quando scriviamo "poche eccezioni" intendiamo alcune derivazioni della generazione più giovane di rapper che sono riusciti ad andare minimamente oltre un dualismo di genere estremamente connotato e, tra gli altri, ci riferiamo ad Achille Lauro che non si fa troppi problemi e trasforma il suo stile in direzione androgina  egli ultimi mesi abbiamo visto Ghali che invece di una tipa ha deciso di mettere nel video di "Dende" una specie di surfista mascellone.

Non è che ci sia da gridare al miracolo, ma qualcosa si sta muovendo e la speranza è che il motore di questo movimento, la cui origine è sicuramente da ricercare al di fuori dei confini nazionali, continui a girare. Tutta questa lunga introduzione serve solo ad arrivare alla fatidica e (almeno nei ragionamenti di chi scrive) fatidica domanda: dove sono le rapper italiane? Al loro posto a fare rap, come sempre. Mc Nill, che alcuni conosceranno già, altri ricorderanno per la sua partecipazione a due edizioni passate di MTV Spit e altri non conosceranno affatto, ha da poco pubblicato il suo Femminill e quello qui sopra è il video, in anteprima, del suo nuovo singolo "Le Cose Cambiano", il cui video è stato girato per la maggior parte al Pride di Bologna e che, in generale, richiama molti dei temi presenti all'interno del disco (che è stato finanziato con una campagna Music Raiser ed è uscito per Mandibola Records).


La copertina di Femminill

Nill, fin dalla prima edizione di Spit ha sempre dovuto confrontarsi con una serie di stereotipi lunga un chilometro e in un settore in cui le ragazze, in generale, non sono facilitate (per usare il più ampio degli eufemismi), quando sei cis e omosessuale il tutto si complica ulteriormente: "Premesso che la nostra società è maschilista e misogina e chi lo nega è parte del problema, con un microfono in mano mi sento semplicemente un essere umano. Quando faccio rap non mi vedo come la donna che fa rap ma come una persona che lo fa in un determinato modo perché vive in un certo contesto: io parlo della comunità LGBT perché fa parte del mio quotidiano." Il video è diretto da Federica Ruozi per Thug Pug Prod, mentre il beat è di Game Hoova ed è una specie di anthem forse anche troppo ricco di tastieroni che tuttavia riesce a tenere in piedi la struttura necessaria a un brano in qualche modo motivazionale, anche se, per le capacità nel freestyle di Nill (chi dubitasse prema qui) rimane la curiosità di sentirla su un beat che prema un po' di più sull'accellaratore, in senso strettamente avanguardistico e di innovazione. "Il pezzo è ispirato al progetto "Le cose cambiano", che si occupa di ricordare ai teenager LGBT che le cose cambiano, che tutto andrà per il meglio e che non sono soli. Ho avuto modo di collaborare con questo progetto ed è stato un vero onore, anche perché tutto parte dal concetto che raccontare la propria storia possa aiutare la vita di qualcun altro, che in fondo è uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere i brani di Femminill. 

Se nel brano si parla anche di situazioni spiacevoli, di quanto a volte sia veramente dura pensare in positivo, con le immagini ho voluto mostrare quante persone sono pronte a scendere in piazza per cambiare le cose. Essendo un'attivista LGBT, scrivere questo brano è stato naturale. Oltre a voler lanciare un messaggio positivo ai giovani LGBT e a sensibilizzare anche chi non si è mai interessato alla "causa". È il mio modo per ringraziare l'attivista Flavia Madaschi (detta Mamma AGEDO) per avermi insegnato tantissime cose, per avermi dato la forza e il coraggio in alcuni momenti in cui ne avevo estremo bisogno. Flavia è venuta a mancare il 7 Gennaio 2015, nonostante ciò la sua energia e la sua forza sono ancora qui con me e con tantissimi altri attivisti, giovani e non e genitori e mi piace ricordarla con alcune frasi che ha pronunciato al Bologna Pride 2014: “Gli omofobi sono vigliacchi. È facile, in quattro o in cinque, circondare una persona. Ma quando i numeri si invertono, tutto cambia. Il Pride è un giorno. Il resto dell’anno è una battaglia continua per i nostri figli. I nostri figli non ci chiedono di venire al mondo. E’ una nostra scelta, un nostro desiderio. Questo dovrebbe farci riflettere". Il resto del discorso di Flavia lo trovate qui, mentre l'album di Nill è disponibile in vari formati streaming a questo indirizzo.

Sul suo profilo Facebook trovate anche le sue date per quest'estate, nel caso voleste andare a trovarla.

Nothing,Nowhere. è l'emo rapper definitivo

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Foto via Facebook

È ormai da un bel po' di anni che il rap non è più solo cosa di maschi muscolosi, criminali e sboroni. Questo sia a livello lirico che di approccio sonoro: Yung Lean e i Sadboys ci hanno insegnato che è ok essere tristi ma apprezzare comunque il purple drank, ad esempio. BONES ha accorciato le distanze tra emo e rap non solo nei suoi pezzi ma anche nell'approccio fondamentalmente punk/DIY con cui li pubblica e li esegue dal vivo. Ci sono poi improbabili cambi di casacca: Wicca Phase suonava nei Tigers Jaw e, andandosene, ha continuato a fare quello che faceva prima—ma con sotto la trap.

Come dimostrano i tre casi qua sopra, in quest'era moderna interconnessa e velocissima sembrare "originali" è tutta questione di ibridazioni. E se si parla di rap e/o trap, ora che l'autotune è diventato quasi la regola e le basi sognanti di Metro Boomin, Yung Sherman, London On Da Track e Whitearmor hanno influenzato mezzo mondo, il gioco si fa sempre più difficile. Bé, gente, nothing,nowhere. ha vinto, decidendo non di incorporare gli arpeggi nelle sue produzioni ma nel suonare la chitarra direttamente mentre rappa. Il risultato è praticamente i Get Up Kids per il nuovo millennio, come dimostra il video di "Deadbeat Valentine" qua sotto.

Insomma, la lezione chitarristica di Mike Kinsella ha lasciato un segno indelebile su generazioni di teenager tristi, creando orde di suoi emuli che si sono arroccati in etichette come Topshelf e Count Your Lucky Stars e da lì portano avanti la scena emo/punk americana. Mancava, però, quello che finora era l'anello mancante: il regazzino cresciuto ugualmente con "Never Meant" e "A Milli" che non prendesse solo tematiche o sonorità di un genere per portarle nell'altro ma li rendesse un tutt'uno. E ora ci siamo. Nuovo è anche il tono con cui il nostro emo MC canta e scrive: a tratti sembra di sentire Post Malone ma senza il sapore di one hit wonder, ad altri siamo in pieni territori alla Penfold. Esempio: rispettivamente l'inizio e il finale di "Weight of the Wind". 

I testi, poi, per una volta sono quasi interamente scevri da manierismi rap: se finora l'unione tra i due generi si era limitata ad un'adozione sonora delle chitarre pulite come sample e/o con una certa vulnerabilità che traspariva da testi comunque classicamente hip-hop, nothing,nowhere. abbraccia pienamente il vocabolario e l'estetica dell'emo più DIY, aggiungendoci una certa ironia: "Sono sempre stato un Sad Boy, e non per mancare di rispetto a Lean / Ma riesco ancora a ricordare tutti i testi di Where You Want to Be" è una frase che ha dentro tutto.

Il nostro ha per ora all'attivo tre album: un LP autointitolato, un EP che si chiama "bummer" e una collaborazione killer con un produttore chiamato oilcolor. Ve li potete scaricare tutti e tre aggratis su Bandcamp. Qua sotto trovate invece il video di "Don't Mind Me", che ha dentro tutte le inquadrature sgranate e i clip di giovani che si spruzzano l'acqua addosso che possiate desiderare.

Elia, un tempo, era una lonely estate. Seguilo su Twitter.

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Recensioni

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Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

 

ABRA - Princess - True Panther

 C'è una linea immaginaria che va da Etta James a Beyoncé, passando per Aretha, Whitney, Mariah Carey e Mary J Blige. È la linea che collega le gigantesse dell'R&B. In parallelo, corre la linea delle dive "minori" che da sempre hanno dato a questo genere interpretazioni meno scontate e zuccherine e l'hanno infuso di sentimenti contrastanti e giustissime deviazioni dalla matrice. Questa linea passa per Sade, Nina Simone, Grace Jones, Erykah Badu e Aaliyah. Mentre è più semplice individuare le superpotenze del soul moderno tradizionale, però, chi sceglie la strada difficile deve tenere in conto che per emergere è fondamentale delineare a modino il proprio lato edgy. L'esempio lampante, in questo senso, è FKA Twigs, che ha immediatamente imposto la sua estetica bizzarra e affascinante costruita con almeno una trentina di affluenti dell'underground che trovavano in lei la foce.  Il segreto probabilmente sta nel riconoscere  una nicchia e trovare il modo per incarnarla, cosa che per ora Abra, nonostante abbia dalla sua alcune carte interessanti tipo il fatto di essere l'unica tipa nella crew Awful Records, non è riuscita a fare. Lasciando a margine il sospetto che non sia intonatissima, mi riservo di vederla tra un paio d'anni perché al momento è esattamente all'orlo tra la gloria e l'oblio. 

CAPOPALESTRA SABRINA

 

THE BEVIS FROND - ANY GAS FASTER / NEW RIVER HEADLONDON STONE - FIRE

 Oggi facciamo questa cosa strana di recensire delle ristampe. Escono tutte e tre contemporaneamente e fanno parte di un progetto di Nick Saloman insieme a Fire Records di ristampare tutto il materiale di questa incredibile band inglese entro il trentesimo anniversario della formazione, nel 2017. I tre album che escono questo mese in edizione deluxe 2LP con bonus track (67 canzoni in totale) segnano il passaggio dei Bevis Frond dalle stranezze autoregistrate e autoprodotte allo studio e alle collaborazioni esterne (in particolare l’ingresso del batterista Martin Crowley). Se non conoscete il lavoro di Nick Saloman immaginatevi una sorta di ibrido tra Arthur Lee e Jimi Hendrix, ma cresciuto in Inghilterra tra anni Settanta e anni Ottanta, il che fa suonare tutto come una specie di Screaming Trees laureati e bruciati dagli acidi. Ogni tanto fanno capolino i violini e le chitarre acustiche. A volte il sax per un’escursione in territori Funhouse . In altri punti il fattore allucinatorio sale a tremila e vi sembrerà di vedere le pareti di casa vostra sciogliersi. Tre ristampe assolutamente fondamentali per chi ama il rock psichedelico e la figura del genio stramboide.

SIGNED GS

 

CLAMS CASINO - 32 Levels - Columbia

 Erano più o meno cinque anni che aspettavamo un album di Clams Casino. Abbiamo atteso così tanto che tirasse fuori qualcosa di diverso da un mixtape, abbiamo desiderato così forte un suo disco, che nel frattempo il formato disco è diventato irrilevante. Ottimo tempismo Clams! In fondo però non è forse il costante shift da ciò che va per la maggiore uno dei tratti che rendono così speciale questo producer? Clammy ci ha abituati a percepirlo come una figura nebbiosa, defilata, a tratti mistica (tanto che con Lil B sta come marmellata e burro d'arachidi), quando avrebbe potuto benissimo credersela di più e percorrere strade meno laterali. Certo, ma a giudicare dai tentativi di hit qui presenti (i.e. il pezzo con Mikky Ekko e quello con Kelela) si intuisce che è meglio che rimanga nei territori marginali in cui può mantenere intatte le delikatessen che lo caratterizzano—perché non sono le hit a rendere epico un disco come 32 Levels. Non sono mai state le hit a rendere epico Clams. Il suo corpus di per sé non ha nulla di monumentale, se non i dettagli dell'intarsio, che si notano—come sempre—soltanto da vicino. 

THE BASED PAOLA

 

BETTY DAVIS - THE COLUMBIA YEARS - LIGHT IN THE ATTIC

 Se in un frullatore ci buttate Miles Davis e Jimi Hendrix, il risultato, contro ogni aspettativa, non sarà un coatto fricchettone, ma una donna con delle ovaie ipertrofiche. Betty Davis è infatti sempre stata l'anello mancante fra due mondi musicali antitetici, nella folgorante intuizione che il crossover sarebbe stato il linguaggio del futuro. Prese la cosa alla lettera ricamando relazioni intime "pericolose" con i due pesi massimi, portandoli a mischiare, volenti o nolenti, il loro sangue (oltre che i musicisti, come testimoniato qui). In queste preziose session ancora non c'è la Betty dalle corde vocali come artigli e del sound che odora di fregna bagnata, ma  è un grande inizio. La cosa più bella sono i dialoghi nelle outtake dove Miles (il produttore!) consiglia overdub a una Betty incredula che invece pensa gia'a un punk funk senza compromessi, che però qui si esprimerà in una punk fusion a tutt'oggi inedita: pensate alle Slits che si mettono a suonare Bitches Brew. Anzi no: loro, poverette, erano bianche e non ce l'avrebbero mai fatta!

FUN COOL

 

 

NILS FRAHM & WOODKID - Ellis - Erased Tapes

 Nils Frahm è una di quelle persone che, a quanto pare, nella vita ha tempo. Non è che si sveglia, resta cinquantacinque minuti a letto a scorrere Facebook sul cellulare e poi deve alzarsi di corsa senza fare colazione e arriva al lavoro con quindici minuti di ritardo il giorno della riunione importante. Non è che gli amici gli dicono, “Oh, bella Nils, stasera birrino?” E lui deve rispondere “No raga, sono pieno di sbattimenti, facciamo il prossimo fine settimana dai.” Il fiato sul suo collo non è quello delle lancette dell’orologio che ticchettano, è quello di uno spirito benevolo che ha il respiro caldino d’inverno e fresco d’estate. Nils si sveglia, compone un EP, prepara una colonna sonora prima per solo piano e poi dal vivo, fa la pasta a mano e pure il ragù, riunisce la band dei suoi amici d’infanzia che non vedeva da un sacco di anni, fa una corsetta tonificante mentre porta il suo cane a fare la cacca, monta da zero un pianoforte, scrive tredici pezzi per il suo prossimo album solista, spazza il pavimento e poi passa l’aspirapolvere e lo straccio, e sono solo le 17:30. Per riempire le sue giornate e continuare a sorprendersi, quindi, deve anche inventarsi qualcosa: tipo registrare tre canzoni (pure belle, tra l’altro) con Woodkid e Robert De Niro con un sottotesto sulla migrazione che arrivano in un momento piuttosto adatto. Grazie, Nils, che ci ricordi quotidianamente che non stiamo facendo un cazzo con le nostre vite e che nessuno si ricorderà di noi dopo la nostra inevitabile morte.

ROMANO CRODI

 

GUTTERMOUTH - GOT IT MADE - RUDE / BIRD ATTACK

 Lo sappiamo che la nostra è una battaglia contro i mulini a vento. Ogni settimana prendiamo un disco di mediocre punk rock/pop punk e vi diciamo che non dovrebbe esistere e a voi già non ve ne fregava un cazzo prima. Ma quando ti arriva un nuovo EP dei Guttermouth, a dieci anni dalla loro ultima uscita e ad almeno venti dalla prima, è impossibile resistere. Lo volete capire che il punk rock idiota va fatto dai giovanissimi? Nemmeno i Dwarves, che in cinque non raggiungono il quoziente intellettivo di una pianta da salotto, non continuano a registrare un Are Young And Good Looking dopo l’altro. Si evolvono, si lasciano contaminare, e soprattutto hanno un senso dell’umorismo adatto alla loro età. I Guttermouth sono il papà che ci prova con l’amica della figlia. Non riescono a essere originali neanche nel modo in cui fanno venire i brividi di imbarazzo. Sono degli idioti e dovevano smettere di fare musica tanti anni fa. Questa recensione esce anche come lettera privata che invierò personalmente al loro management. 

IL ROBERTO SAVIANO DEL POP PUNK

 

Luchè - Malammore - Universal

 Una delle discussioni meno edificanti che ho intrattenuto nell'ultimo mese ha riguardato "Quando non ero nessuno" di Luchè. Tutto è cominciato dalla premessa che, da qualche mese a questa parte, vivo il mio account Facebook più che altro come un fastidio o, al limite, una vetrina degli impegni lavorativi delle persone che svolgono più o meno la mia stessa professione. È per questo che scrivo e condivido davvero molto raramente, ma dopo aver ascoltato la prima strofa di "Quando non ero nessuno" di Luchè ero estremamente tentato di condividerne il link YouTube, se non fosse stato per quel ritornello che mi ha frenato. Il mio interlocutore mi ha dato dell'idiota ed è morta lì, finché non è uscito il disco e allora ho dovuto chiedergli scusa. Una volta avevamo impunemente scritto "È uscito il miglior disco rap dell'anno" e forse dovremmo scriverlo di nuovo.

NEDERICO FEJROTTI

 

METRONOMY - Summer 08 - Because Music

 Non so voi, ma per me l’unica estate con dopo un numerino è quella del 2006 di Vince Staples. Certo non mi aiuta a convincermi del contrario il fatto che questo album sia composto da 1) canzoni tutte funk coi tastierini di quelle che Dev Hynes fa mille volte meglio e con dei testi di cristo 2) pezzi dance-punk normalissimi che raga ci sono già un sacco di dischi degli LCD Soundsystem e dei Rapture se volete ascoltare quelle cose qua e 3) roba tutta retro-disco che ci ha già pensato Neon Indian a rivitalizzare quest’anno. Ma in fondo i grandi festival inglesi avranno sempre bisogno di qualcuno che suoni sul palco grosso alle 18:30, e la EA Sports dovrà sempre riempire le colonne sonore del FIFA di turno. 

EZIO GREZZO

 

MISTRESS - HOLLYGROVE - HALCYON VEIL

 Non so bene chi sia Mistress ma so che viene dagli Stati Uniti. Il che sta iniziando a farmi temere che non inizi un riflusso anti-appropriazione culturale da parte degli inglesi per le ritmiche e i suoni di origine grime. Grazie a Cthulhu finora sembra avere prevalso l’intelligenza e la consapevolezza che quando lo si rimpasta con cose mutanti e personali dopo ore passate a brutalizzare la carcassa del genere originario, più che rapinare si sta affermando la germinazione di una cultura nello spazio condiviso della musica mondiale. Detto questo, le deviazioni personali che Mistress fa prendere alla sua musica prendono i bassoni torcibudella inglesi e li ghiacciano sotto melodie synthwaveggianti, paddoni di Juno e DX7 e un po’ di spazialità dub techno, dando un senso di introspezione triste completamente diverso sia dallo sturm und drang cinematico di mastro Rabit che da cose più hardcore alla UK. Un po’ lascia con l’amaro in bocca, come se il groove decidesse volontariamente di non partire alla carica, la malinconia di non risolversi in una disperazione furente, le strutture di non evolversi. Ma non è un male, anzi: In questo modo genera una specie di disagio sottile che si infila nella bellezza delle melodie rendendo tutte le tracce, paradossalmente, mai noiose.

CORPO PALLOSO

 

PESSIMIST - Balaklava / Orphic - A14

 A14 è una sublabel di Blackest Ever Black che si fa viva quando Kiran Sande c'ha voglia, un po' tipo Krokodilo Tapes. Anzi, diciamo più che altro che è la sublabel dedicata ai dischi più genericamente clubby, ora che BEB sembra avere quasi completamente espurgato la musica dance dalle sue uscite, dedicandosi all'intaglio di gemme esoteriche e scuregge in faccia a quelli che la consideravano una blanda macchina da hype. Quindi Pessimist, AKA Kristian Jabs AKA 1/3 dei Ruffhouse AKA uno dei capi assoluti della darkside jungle (che fortunatamente ancora non si è messo a fare techno pallosa come qualcun altro di mia conoscenza) fa esattamente la musica che tutti pensavamo sarebbe uscita su BEB per tutti gli anni a venire. OK, sono solo due tracce, ma questo singolone mi pare la cosa più bella mai uscita dalle sue sapienti mani, specialmente perché, invece di avere quella massa sonora un po' metallara delle sue robe su Samurai Music, la sozzeria dell'EP ricorda inconsapevolmente il maestro assoluto dei breakbeat presi male: Christoph De Babalon, che magari però Kristian non ha mai ascoltato in vita sua. Mi piace soprattutto che in "Orphic" ci vogliano tre minuti interi per attaccare col beat dopo essere stati affogati da una nebbia di basse mefitiche che sgorgano dalle viscere della terra. Un noir industriale in cui l'unica fuga dal mostro interiore è l'abuso di mostri esteriori. "Balaklava" invece resta quieta, come dei Lakker nascosti in un vicolo di una citttà semideserta.

DR. MABUSE I ABUSE

 

Snoop Dogg - Coolaid - Doggystyle Records

 Vorrei profilare l'umanità in base a quante volte hanno aperto un link clickbait a tema Snoop Dogg. "Snoop Dogg fumato una canna alla casa bianca", "Snoop Dogg ha perso a un quiz sulla marijuana", "Snoop Dogg questo", "Snoop Dogg quello". Diciamo che più di tre click valgono un fine pena mai e più di cinque ammorbidiscono la mia opinione sulla pena di morte. Detto questo, il disco è davvero noioso e inutile. "Il disco di Snoop Dogg è noioso e inutile", magari dopo vediamo in quanti ci cliccano.

TESTE MOBILI IKEA

 


Giro d'Italia: il prisma Ferrara

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GIRO D'ITALIA è una rubrica in cui chiediamo a corrispondenti locali di raccontarci la loro prospettiva sulla vita musicale della propria città. Dopo essere stati a Bologna, a Trento, a Cagliari, a PerugiaLatina, VeneziaBari e Torino, oggi andiamo a Ferrara, città che sotto il livello del Grande Indie brulica di progetti unici, frutto di una scena incestuosa dove tutti si chiamano per nome e di una città universitaria in cui i fuorisede mollano lo djembé e imbracciano la chitarra elettrica.

Foto via.

L'artista Andrea Amaducci qualche tempo fa ha dipinto su un muro la scritta “500 anni fa Ferrara era New York”: potremmo stare qui a discutere quanto di effettivamente provocatorio ci sia in questa frase e alimentare il mio disturbo dell'attenzione, invece lo userò furbescamente come gancio dicendo che, per me, almeno musicalmente, Ferrara era New York intorno al 2010/2011.

Piccola premessa prima di iniziare: io dai 6 ai 19 anni ho odiato profondamente Ferrara. Per me a Ferrara non c'era niente, non era un posto da cui poteva nascere qualcosa di buono. I miei amici non capivano i miei gusti e quelli che suonavano facevano mediamente musica che mi faceva stronzare. Io non sapevo niente di quello che succedeva effettivamente nella mia città, frequentavo un giro parallelo a quello delle persone che mi sarebbe piaciuto frequentare e mi limitavo a guardare le suddette divertirsi e fare discorsi alti fuori da Zuni (RIP mecca dell'aperitivo per la Ferrara alternativa) pensando che probabilmente non mi avrebbero mai filata di striscio. Insomma, io ero quella seduta nell'angolo e loro erano quelli “too cool for school”.

Ricordati di mettere "mi piace" sulla nostra nuova pagina Facebook:

 

Fortunatamente ai tempi è nata una cosa bellissima che si chiamava Sonikart, una serie di concerti DIY senza palco né pretese dentro la sede di Sonika, la sala prove comunale (ex-centro sociale sgomberato). È durata solo un anno, ma è stato un anno intenso: lì ho visto un sacco di concerti indimenticabili di gruppi indimenticabili, i più dei quali oggi non ci sono più (i gruppi, non i membri dei gruppi); lì ho visto molti di quei tizi fichi che vedevo fuori da Zuni suonare in gruppi che mi hanno spalancato davanti una Ferrara che non pensavo esistesse. Nella mia città c'erano persone che facevano la musica che avrei voluto fare io. Non solo lo shock è stato enorme, ma è stato orribile scoprire che come al solito le mie idee non erano affatto originali e che, come si dice dalle mie parti, ero arrivata dopo la puzza.

E così ho capito che a Ferrara esisteva una scena musicale e che potevo farne parte anch'io, il che è uno dei motivi per cui non mi sono ancora buttata nel fossato del Castello Estense con un bel paio di Hogan di cemento. 

Impact, foto via LoveHate80.it
 

TENTATIVO DI CENNI STORICI

Partiamo dal presupposto che il vero cancro della mia generazione è vivere in tempi mosci in cui tutto è già stato masticato e rigurgitato e, essendomi persa per questioni anagrafiche gran parte della leggendaria musica prodotta a Ferrara nei decenni passati, non so dare veri cenni storici. Però posso ricordarvi delle cose ovvie. Gli Impact, per esempio. Patrimonio storico della città al pari del Castello Estense, della Salama da Sugo e della spocchia della medio borghesia.

Aaaah, i punk! A Ferrara c'erano i punk, potete crederci?! Ed erano anche piuttosto incazzati. C'erano i Disarmo Totale, dimostrazione del fatto che il livello della cattiveria musicale spesso sale in provincia. A portare alta la bandiera della wave oscura e (a tratti bauhausiana) c'erano invece i Go Flamingo, trio tuttora attivo. Poi per me c'è un vuoto di un po' di anni, dovevo occuparmi dello sviluppo precoce del mio corpo, del punk, del dentista, dei compiti e di guardare le mie amiche alle prese con i loro primi fidanzatini mentre io leggevo Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori di Vasari (true story). Finché, nel 2007 più o meno, non ho scoperto durante un festival nel sottomura una band di ragazze mega toste. Sorelle Kraus, questo era il loro nome. Rimasi con la mascella per terra, anche perché era il primo contatto reale con delle ragazze che suonavano. 

Larsen (versione duo).

Prima di passare oltre vorrei spendere due righe su quei gruppi che purtroppo non esistono più ma hanno dato un po' di dignità al vivere nelle nebbie. 
I più grandi di tutti, i Larsen. Erano proprio spaziali. Nient'altro da dire. Sono stati due, poi tre, poi quattro, poi di nuovo due, ma ciò non toglieva il fatto che spaccassero. Se esistesse una giustizia, qualche critico con un po' di credibilità dovrebbe elevarli allo status di eroi dell'underground.
Stessa cosa dovrebbe succedere per i Big Squalo in Formalina, che nel mio cuore rimarranno sempre i Flipper emiliani. Abortiti troppo presto.
Riposino In Pace anche i The Calorifer Is Very Hot!, che poi fortunatamente cambiarono nome in Calorifero. A sentirli suonare ti sembrava di sentire una band americana o, perlomeno, sicuramente non una band formata da persone che incroci per la piazza. Ricordo di aver consumato il loro Marzapan in Zurich (2008). 
Poi ci sono stati anche i Silver Rocket, che avevano quel suono bellissimo un po' lo-fi, un po' Spacemen 3, un po' psych. Anche loro mi mancano.  

È importante sottolineare che, per quanto molte di queste band non siano più in attività, la maggior parte di queste persone suona ancora. Ma per parlarne c'è il paragrafo seguente.

 

For Food, immagine di Dead Tamagotchi.

QUI E ORA

Ho molta paura che dimenticherò qualcosa. 
Non dimenticherò di dirvi subito però che a mia volta faccio musica, quindi butterò a caso nel calderone i nomi dei miei gruppi, ma senza parlarne perchè non so gestire bene il conflitto d'interesse: per esempio io e mia sorella abbiamo un gruppo che si chiama Frown (fuori uno, è stato facile). 

Per essere una città che si regge su una delle cucine più pesanti di sempre, la gente qui non dorme mica. Vi ricordate quando ho detto che secondo me nel 2011 Ferrara era New York? La prima band che mi fatto sentire così sono stati i For Food, che a mio avviso sono di gran lunga la cosa migliore che sia uscita dalle nebbie dopo gli Impact. Trio portavoce del suono di un'altra dimensione, troppo spesso considerato sonicyouthiano (che mi sembra un po' riduttivo), i FF mi spalancarono le porte della percezione. La loro ultima uscita, Don't Believe in Time del 2014 è uno di quei dischi che mannaggialcazzo lo ascolti e dici: “È quello che ho sempre voluto fare!”. Però tu non le puoi fare, quelle robe lì, perchè non sei loro. Uno dei dischi più belli che io abbia mai sentito. Per loro funziona uno strano effetto che chiameremo Il Triangolo delle Bermuda, in quanto tre e in quanto hanno una potenza compositiva ed espressiva spaventosa mantenendo sempre gli stessi membri, ma ruotando le posizioni come in un Gira la Moda del genio. L'ordine degli addendi muta e stavolta il risultato cambia. Il risultato in questione sono i Dead Horses, branca polverosa e desertica nata dal progetto solista Zufux, che sarebbe il batterista dei FF e già fondatore dei Larsen, stufo di stare sul palco da solo con le sue ballate di vagabondi e pezzi di merda. Per inciso, spaccava tantissimo anche da solo. Giusto per farvi capire che uno rosica a ragion veduta, se sono fighi insieme ma pure singolarmente. La vita è ingiusta. 

Not the Pilot, foto di Valentina Storelli.

Per un periodo nei FF ci ha suonato una delle ex Sorelle Kraus, Eugenia: una tipa tosta, una bravissima bassista e una che c'era già quando la musica underground è comparsa in Italia. Dopo le Kraus ha avuto diversi progetti e attualmente è attiva nei Not the Pilot, duo “amante di Kevin Ayers e del vino rosso” (cito testualmente). Il loro suono secondo me ha qualcosa di romanticamente anni '90 mischiato con una buona dose di folk un po' psichedelico. Bravi ma cazzoni, non ci sono altre tracce della loro esistenza se non quelle su Soundcloud. Eugenia suona anche negli Operazione San Gennaro, ferraresi per ben due terzi e capitanati dal prode Amarezza (già Black Candy): suono potente e romantico allo stesso tempo, tipo gli Hüsker Dü, per intenderci. Duri e puri come sanno essere quelli che suonano perchè se lo sentono proprio.

Faccio un passetto indietro: nell'ultimo periodo della loro vita di gruppo, le Sorelle Kraus avevano come chitarrista una sottile ragazza dai lunghi capelli scuri di nome Sara Ardizzoni (già nei Pazi Mine), oggi in arte Dagger Moth: senza alcun dubbio una dei migliori chitarristi che io abbia mai sentito; non solo tecnicamente ma anche per il gusto elegante e vellutato con cui con la sola chitarra ed effetti riesce a creare un'impalcatura di suoni che se fossero terra e acqua avrebbero la forma della Sfinge. È appena uscito un nuovo album intitolato Silk around the marrow che segna un altro traguardo nel suo percorso d'artista, uno più vicino al viscerale ma allo stesso tempo all'astrazione sonica.

Death On/Off, foto via Facebook.

Recuperando con un gancio inesistente il discorso “persone che hanno fatto parte di gruppi storici e non hanno mai smesso di suonare”, Janz, già chitarrista degli Impact, ora suona la batteria in un gruppo grindcore che si chiama Death On/Off. Spaventosamente veloci e impattanti, propongono un muro di suono e violenza dalle venature decisamente più scure rispetto alla norma del genere. Da Reality Is Obscene del 2013 fino all'ormai prossimo split con i modenesi Grumo, è tutto grind che cola. La voce della cantante Mariya è la cigliegina sulla torta alla cicuta. 

Diego, che è stato sia negli Impact che nei Disarmo Totale, ora suona il basso e canta negli Yes, We Kill, altra formazione viulenta ma virata su toni più HC old school: dritto, secco, pugno in faccia. Così. Se vi manca Hermosa Beach, il loro nuovo disco Pronti Al Peggio fa per voi. Sullo stesso versante troviamo anche gli Overdrive Banzai, ormai certezza assoluta nel panorama punk HC. Veloci, velocissimi, dei proiettili proprio. 

Ad un gruppo neanche troppo ristretto di Ferraresi piace il punk. Un po' di questi punk nel tempo hanno messo su band su band con un incestuoso gioco di scambio di membri, che spesso sono durati il tempo di qualche concerto o meglio, non sono mai usciti. Sappiamo della loro esistenza per testimonianza orale ma nulla più. Il punk piace un sacco anche ai Problems, che attualmente sono una delle cose che preferisco in zona. Teoricamente potremmo chiamarla una all star band dato che tutti hanno militato almeno in un paio di gruppi (tra cui i già citati Silver Rocket). Non c'è ancora un vero e proprio disco, ma potete ascoltarli su Bandcamp. Poi ditemi se dopo aver premuto play non vi trasformate in Sid Vicious in mutande sulla moto in cameretta. Io sì. 

Dagger Moth, foto di Davide Menegatti.

E siccome nella nebbia si nasconde un sacco di rabbia, le band che si dedicano all'antica arte della musica pesante sono molte e se vi piacciono le sonorità più southern, per voi ci sono i Shoot the White Flag. Echi di panteriana memoria, chitarra tosta, suono greve che ti fa fare la faccia cattiva e fare headbanging. 
I Doctors in Mexico sono meno violenti all'impatto ma non meno incisivi: duo strumentale a metà tra il math rock e stoner, hanno prodotto un bel disco (nonchè il loro debutto) che si chiama Bile. Niente parole se non quelle dei testi che hanno chiesto di scrivere ad alcuni amici, ma che non sono cantati nelle tracce. Così ognuno fa un po' come si sente. I Doctors condividono un membro con i Bloss, insieme a ex-Calorifer e gente di svariati altri progetti, per suonare pezzi d'ispirazione shoegaze/new wave. 
Dalle ceneri dei Margot (che molto amai da giovane) sono nati (è nato?) Il Maltempo. Anche qua c'è una bella spolverata di math rock, post rock e tempi dispari. 
Nuovi nuovi, freschi freschi di registrazione abbiamo i NIET, due regaz parecchio incazzati che hanno messo insieme il loro primo ep, Home, che sa un po' di Melvins e un po' di Pigs ma con una componente fortemente melancolica (come un po' tutte le cose che vengono prodotte in zona).

Un sacco di persone qui decidono di suonare da sole. Suonano nei gruppi e poi se ne vanno a decomprimere lontano dagli occhi di tutti, producendo cose belle a volte. Un mio amico molto alto di nome Matteo (già Larsen) un giorno si è risvegliato texano e ha deciso di prendere la chitarra e cantare ballate un po' blues, un po' country e un po' Montedison (sì, la centrale elettrica, quella piena di luci) con il nome di King Bean (cucina un'ottima fagiolata). Non ha praticamente niente di registrato ma su Soundcloud trovate “Hold the door and go” che è un gran bel pezzo. 
Un altro cavaliere solitario e presenza fissa della scena musicale cittadina è Giacomo Marighelli (aka Margaret Lee), non solo cantautore ma anche artista performativo a tutto tondo e poeta. E' iniziata invece come duo l'avventura di Re Cane e Suo Marito, che da un cantautorato new wave dagli arrangiamenti un po' techno (li ricordo con affetto, RIP) è passato prima a formazioni dal numero variabile con cui intraprendeva veri e propri happening dal sapore teatrale, per poi approdare alla formazione odierna: trio con un'interessante incastro di voci femminile/maschile, chitarre acustiche e percussioni. E' uscito da poco il loro Scherzo sul serio

Urban Disorder 2012, foto via Facebook.

C'è stato un periodo in cui nei ferraresi si era risvegliato il fuoco sacro del clubbing: dal 2010 al 2012 il festival Urban Disorder ha visto avvicendarsi in console dj di fama internazionali e i resident. Tra di essi figurava anche Peedoo, gloria della musica balearica e fondatore della Hell Yeah! Records (che tra gli altri fa uscire Tempelhof, Crimea X e Confusional Quartet tra gli altri), specializzata in club music ultra ricercata e d'avanguardia. Grande qualità. Tra i resident dj UD c'era anche VKNG (che tra l'altro è il batterista de Il Maltempo), responsabile di uno dei miei pochi contatti con la dubstep (Skrillex era ancora là che si leccava le ferite dopo i From First to Last). La mia preferita però è decisamente Karola Hoffer, non credo di averla mai conosciuta di persona e non so neanche bene che legame abbia con Ferrara ma ci ha fatto un bel po' di DJ set e io l'ho amata. Poi ci sono gli Eternal Entropy e Natlek che tengono alta la bandiera del clubbing dalle nebbie padane nel mondo. Esperimento interessante anche quello dei neonati Black Victims, elettro-pop spudoratamente 80s, ma non posso dirvi di più perché non sono ancora riuscita a sentirli dal vivo. 

Un'altra componente importante è quella dei fuorisede, che normalmente in quanto autoctona chiamerei maledetti fuorisede, ma è innegabile che in alcuni casi abbiano portato un contributo musicale importante alla città. 
 

I FUORISEDE

Ferrara è una città universitaria. Non c'è molto da aggiungere. Una di quelle città in cui c'è un giorno DELLA SETTIMANA, non del weekend, in cui è concesso suonare gli djembé in piazza fino alle 5 del mattino.
Non fraintendetemi, alcuni dei miei migliori amici non sono autoctoni, compresa l'altra metà delle Glass Furs, il secondo dei gruppi in cui suono (conflitto d'interesse numero due). Prendo in prestito il termine solo per identificare quella strana razza che decide di venire ad abitare a Ferrara pur potendo scegliere. 

Glass Furs, foto via Facebook.

Ci sono esempi celebri in proposito: Giorgio Canali, Alfio Antico. Nei rari casi in cui il fuorisede di oggigiorno non si ritrova in gruppo solo per bere le birre, fumare le canne e urlare di notte disturbando il vicinato, capita che suoni. Uno degli esempi più calzanti di questa cosa sono stati i Mirrorism: nessuno di loro era di Ferrara eppure sono arrivati, hanno formato una band, hanno fatto un disco e se ne sono andati. Ricordo il loro debutto live come uno di quei momenti di folgorazione di cui parlavo all'inizio di questo articolo; facevano post punk? Facevano art punk? Non lo so. Però erano molto groovy e hanno fatto anche un bel disco omonimo che è gratis su Bandcamp, non siate pigri. Speriamo ancora nella reunion.

Mirrorism, foto di Zufux.

Il batterista dei Mirrorism, Dived, suona anche da solo, chitarra acustica e voce, sotto il nome Gorn. In un'ipotetica lista dei miei dischi preferiti partoriti da queste parti, Fish cannot carry guns sarebbe di sicuro almeno nella top 3. A parte avere una voce bellissima, è proprio uno che ti smuove roba dentro quando suona. Ho sempre avuto l'impressione che in realtà di questa cosa non gliene fregasse niente, e forse è per questo ce la fa. È uno alla Syd Barrett.

 

OLTRE IL CASTELLO

La musica la fanno anche i luoghi.
In piena tradizione emiliano-romagnola a Ferrara hanno giocato un ruolo importante i circoli Arci. Molti ce ne sono stati in passato e... Be', non molti ne sono rimasti nel presente. Dopo la chiusura di Zuni nel 2015, che nel tempo ci aveva portato band che altrimenti difficilmente avrebbero messo piede in questa zona, i concerti si sono accentrati in quel dell'Arci Bolognesi, rimasto l'unico locale a proporre una costante (e interessante) programmazione all'interno della mura. La sua parte, al di fuori del circuito Arci, la fa anche il Centro Sociale La Resistenza, spesso sotto la minaccia di un vicinato ostile, che oltre ad essere fulcro di quasi tutti i collettivi cittadini, riesce a mantenere viva tra le sue attività anche quella concertistica (nell'ultimo anno quasi totalmente in acustico). Se la vita in centro città si sta trasformando, nemmeno troppo velocemente, in un desolante tiro al piattello Comune vs locali, poco al di fuori delle mura cittadine fioriscono altre realtà: la menzione d'onore va sicuramente all'Arci Zone K, la cui programmazione dalla sua apertura ad ora ha visto alternarsi sul palco super nomi internazionali, giovani di belle speranze e realtà sotterranee.  

I Jesus and Mary Chain al festival Ferrara Sotto Le Stelle, foto via.

Ragazz* indie, non esiste solo Ferrara Sotto le Stelle sai? Che, per carità, è un'istituzione eh. Insomma, io ci ho visto i Sonic Youth. Credo che ci sia più gente che conosce Ferrara per questo festival che per l'Addizione Erculea, ma ci sono anche tante altre manifestazioni che vale la pena conoscere, che chiaramente si tengono fuori dal centro cittadino, dove “ok, chiamiamo i Jesus and Mary Chain, ma mi raccomando facciamoli suonare come se stessero bisbigliando nell'orecchio di uno a caso nella prima fila”.

Ma usciti dal gioiello medievale del centro, dove le parole d'ordine sono "inquinamento acustico" e "mezzanotte", la gente provvede in prima persona all'organizzazione del proprio divertimento. 
Portomaggiore porta alta la bandiera con il What is rock?, festival organizzato dai ragazzi della Banda del Coltello (BDC), collettivo attivissimo sulla promozione di eventi musicali in zona; anche qui la missione diventa la promozione della musica italiana alle masse. Mi piace molto andarmi a sbronzare lì, potrete farlo anche voi dato che sarà dal 30 Luglio al 7 Agosto. 
A portarci la musica viulenta ci pensa il Distruggi la Bassa, dove in mezzo alle zanzare si può pogare con la creme de la creme della scena punk e HC italiana e internazionale. L'anno scorso ci hanno portato i Million of Dead Cops, mi spiego? Quest'anno come headliners c'erano Adolescents e TSOL, mi spiego?  

Contro le malsane politiche dettate dalla SIAE si staglia fiero e cazzuto Borderline – festival delle etichette e delle produzioni indipendenti, che riunisce sotto lo stesso tetto molti di quei collettivi che durante l'anno si ritrovano al Centro Sociale La Resistenza. Non solo concerti, ma anche tavoli di discussione sullo stato dell'arte in Italia, sullo stato dell'indipendenza della musica, esposizioni e proiezioni di artisti che nascono, crescono e lottano nel cosiddetto underground. E banchetti su banchetti su banchetti di dischi a cura delle migliori label dello stivale, poster, magliette e tutto quello che si può produrre indipendentemente. Quest'anno sarà il 3 e il 4 settembre.

Ferrara vive nell'eterno limbo dell'essere non una città di provincia vera e propria, ma neanche una grande città e questo limbo si ripropone su diversi piani esistenziali, creando quello che mi piace chiamare "l'effetto Balto" ("non è cane, non è lupo, sa soltanto quello che non è"). Secondo me, in alcuni casi, la particolarità e la complessità delle cose che vengono prodotte qui dipende anche da questo. Dentro di noi non sappiamo cosa siamo esattamente, e nemmeno ci interessa. Ci basta sapere che non stiamo dormendo.
 

Ludovica suona in Frown e Glass Furs, va a più concerti che può e disegna. Puoi seguirla su Tumblr.
 

Drake ha condiviso una lettera che ha scritto a sua mamma nel 2006

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Nella foto: Drake e mamma Drake sparlano dei loro vicini di posto su Whatsapp per non farsi sentire.

Tutti, arrivati a un certo punto della nostra infanzia e/o adolescenza, facciamo una cazzata clamorosa per cui ci sentiamo, immediatamente e inesorabilmente, colpevoli. Magari facciamo cadere l'acquario contenente la coppia di pesci rossi a cui nostro padre si è affezionato tantissimo. Oppure, mentre siamo soli a casa, rispondiamo al telefono e accettiamo di ricevere un'edizione completa della Treccani per posta. O, ancora, spendiamo una barca di soldi su eBay senza rendercene conto mettendo a serio rischio la stabilità finanziaria della nostra famiglia.

Indovinate quale di questi tre casi è successo ad Aubrey Graham, in arte Drake, nel 2006? Spoiler: l'ultimo, come rivela la lettera che ha postato lui stesso ieri su Instagram. 

 

Una foto pubblicata da champagnepapi (@champagnepapi) in data:


"Cara mamma", scrive il nostro Champagne Papi allora ventenne, "Ho cancellato l'abbonamento a WireImage [un sito di foto di VIP, nda] dato che ho speso su eBay più soldi di quelli che credevo. Sappi che ti rimborserò pienamente con diversi metodi di pagamento. Grazie per aver alimentato temporaneamente la mia musica e il mio guardaroba. Il tuo compagno d'affari, Aubrey."

Che cosa possiamo imparare da tutto questo? Innanzitutto che è sempre buona cosa non avere una carta di credito, per evitare di spendere soldi a cazzo, ma piuttosto una bella PostePay. Poi, che l'onestà con i propri genitori è un valore fondamentale per crescere bene. Infine, che Drake spendeva soldi non solo per comprarsi dischi e vestiti ma anche per guardare foto di gente famosa. Era proprio il 2006, eh?

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Insomma, pare che il concerto di Beyoncé abbia fatto schifo

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Non è vero, sciocchini! Il concerto è stato incredibile. Talmente incredibile che addirittura eventi fuori dalla portata dei suoi tour manager—come la luna piena—convergevano per rendere speciale la serata di ieri e dare alla nostra Miss Carter l'apparenza e la sostanza di una divinità. 

Non suda, non stona, non prova sentimenti negativi, è semplicemente orgogliosa di te e tu dovresti essere fiero di te stesso quanto lo è Queen Bey, perché te lo ha detto lei. In sostanza, il concerto di San Siro è stato la prova, per tutti i presenti (statisticamente pochissimi uomini eterosessuali—cosa si sono persi), che il matriarcato se ci fosse funzionerebbe alla grande. 

Ecco le cose decisamente più fiche successe ieri:

LA SCENOGRAFIGA:

In pratica, tutto usciva dalla sua fica, inclusa lei stessa. 
I riferimenti all'organo genitale femminile erano talmente presenti e costanti che alla fine di tutto anche lo stadio di San Siro sembrava una grossa, enorme vagina di Beyoncé. 

INSTANCABILE E IMPECCABILE



Mentre noi comuni mortali sentivamo il peso del caldo e dell'affaticamento già dopo tre o quattro canzoni—tanto che abbiamo più volte costretto la coppia di ragazzi entusiasti di fronte a noi a sedersi perché era giusto ogni tanto prendersi una pausa dalle quasi due ore di concerto (e c'è da dire che Queen Bey ci concedeva gentilmente alcuni intermezzi relax in cui potevamo ad esempio guardare lei con un'orchidea in bocca, lei con una lametta in bocca o le sue vacanze con la famiglia)—Beyoncé non sembrava sentire la stanchezza. A un certo punto è uscita da una scatola che sembrava appena comprata in negozio, di plastica. Incredibile anche come i suoi capelli siano rimasti perfetti anche dopo che si è sbattuta come una carpa nella piscina che aveva giustamente fatto montare in mezzo allo stadio. 

Un modo come un altro per reagire all'afa milanese.

TEORIA DEL COMPLOTTO: Alcuni sospettano che in realtà Beyoncé sia semplicemente una testa che viene applicata ogni volta su corpi diversi, altrimenti non si spiega come possa non risentire minimamente delle cose che di norma danno fastidio agli umani. 

UNA SELVA DI CULI



Nessuno aveva dubbio che il culo sarebbe stato un altro grande protagonista della serata, così come nessuno dubiterà mai più del potere delle calze contenitive. Le tipe col culo secco ieri si saranno sentite parecchio in difetto. 

LOVE ON TOP

Questo momento è stato talmente epico che ha fatto scordare al pubblico di San Siro che in scaletta non fosse presente "Single Ladies"... Male, ma non malissimo dato che appunto in molti se ne sono resi conto soltanto a concerto finito, quando sono stati svorticati fuori dalla vagina di Beyoncé. 

Ma ogni meraviglia ha i suoi lati negativi e non sarebbe corretto ometterli:

1. Qualcuno dovrebbe ridimensionare questa sua mania di mostrarci le diapositive di famiglia, ora conosco più cose di Blue Ivy e delle vacanze dei Carter di quante ne sappia della mia stessa vita. 

2. Quelli che stavano nel golden pit e hanno pagato 600 euro dicono che non si vedeva un cazzo.

3. La tristezza dei titoli giornale che la paragonano a Rihanna. Per prima cosa GRAZIE AL CAZZO che non è lo stesso concerto, secondo: state tranquilli che se paragoniamo la nostra stampa a qualsiasi starnuto dei giornali esteri ci fate la stessa figura. 

Ringrazio comunque chi NON mi ha concesso gli accrediti stampa per darli invece a questi bravi giornalisti

Ultima nota di demerito, il maledetto Jay Z che non si è nemmeno degnato di uscire a dire ciao. Lo sapevamo tutti che eri a Como con Bey ieri l'altro, maledetto. 

D'altronde però si è capito una volta per tutte chi comanda in casa Carter e oltre.

 

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Perché dovete smetterla di andare a Ibiza

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Immagine via Wikimedia Commons

Vicente Torres, direttore del Dipartimento del Turismo di Ibiza, ha spiegato in una recente intervista a Pulse che l'isola ha una "capacità limitata" e che non può quindi sostenere un flusso di turisti in costante aumento. Insomma, Ibiza è grande 572 km², ed esistono quindi limiti realistici rispetto a quanta acqua potabile può produrre, all'uso di "infrastrutture come strade e centrali di desalinizzazione", e all'impatto che chi passa per l'isola può avere sul suo ambiente. THUMP aveva già investigato gli eccessivi consumi di acqua potabile riscontrati sull'isola l'anno scorso—un problema creato in parte dalla gente che va lì per fare casino, che però resta anche il motore della sua economia.

Ora come ora, il governo locale sta pensando di introdurre qualche cambiamento in modo da placare gli effetti a lungo termine del problema. Torres spiega ad esempio, che in gennaio è stata approvata una moratoria che impedisce di costruire nuovi edifici in determinate parti dell'isola. Inoltre, a partire dal 1 luglio è stata introdotta una tassa sul "turismo sotenibile", applicata a tutti i turisti dai sedici anni in su. Nello specifico, significa un sovrapprezzo di circa 50 centesimi a persona al giorno, se si parla di un soggiorno in ostello, fino a 2 euro per gli hotel di lusso e gli appartamenti di fascia alta. Il totale da pagare viene però dimezzato se si resta a Ibiza per più di otto notti.

Morale: prendere un Ryanair per Ibiza e spaccarvi a merda pagando 100 euro a serata solo per entrare al Pacha potrebbe non essere l'idea incredibile che sembrava quando vi è venuta. Ma non preoccupatevi: se doveste decidere di andare lo stesso, abbiamo preparato una comoda guida per permettervi di sopravvivere al volo. Altrimenti, a un prezzo decisamente inferiore, potete acquistare una comoda lattina di Aria di Ibiza ©. Che saranno mai 5,90€ per potersi sentire a Playa d'en Bossa anche a Casorate Primo? Niente, ecco cosa.

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Quella volta che Snoop Dogg ha fumato così tanto da far arrivare i pompieri

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Foto via Instagram 

Una volta ho fatto un quiz su Buzzfeed a tema "Con quale vip dovresti fumare". Onestamente, speravo mi uscisse Rihanna. Invece mi è toccato Snoop Dogg, e questo mi ha fatto pensare che, al pari che se ti chiedessero di andare a una partita di basket con Beyoncé, fumare con Snoop mi manderebbe un po' in sbattimento. Probabilmente la sua maestria e il modo in cui padroneggia l'arte del giunto mi metterebbe addosso un'ansia da prestazione che di solito col fumo non ha molto a che fare. 

Comunque non è il caso di porsi il problema ora, anzi, per sedare le ansie è bene ricordare quella volta in cui il nostro si trovava in Australia e, per puro caso, nel suo hotel fece irruzione una squadra di pompieri arrivati lì per un "falso allarme". Come c'era da aspettarsi, dopo aver smentito il primo falso allarme, qualcuno di loro notò del fumo sospetto uscire dalla camera di Snoop. 

"Fu abbastanza divertente," raccontò Trevor Bowen, uno dei pompieri a capo di quel dipartimento, a The Guardian. "Ci diede l'opportunità di conoscere il signor Snoop, il quale ci chiese di fare una foto insieme e ci confessò che avrebbe sempre voluto fare il pompiere." 

Ecco, questa è la tipica avventura in cui si può imbattere il nostro Snoop in una giornata di normale amministrazione. Fortunatamente l'unico incendio in zona era quello sul joint del nostro eroe, il quale comunque approfittò dell'occasione per postare una foto e commentarla, ironicamente: "Aiuto, pompieri, spegnetela!!!"

Mi piacerebbe a questo punto essere abbastanza fumata per andare a visitare una caserma di pompieri e tentare di rimettere in scena quella gag. Nel frattempo, cari pompieri, sappiate che vi rispettiamo e che speriamo che ogni tanto vi godiate anche voi un "fuoco amico". 


 

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Il Punk Rock Raduno è un ritrovo per fanatici dei Ramones

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Tutte le foto sono di Stefano Bevilacqua.

Non è la prima volta che parliamo di varie sfumature di punk e di come questa sottocultura sia stata interpretata in tanti di quei modi nel corso della sua storia da rendere quasi impossibile parlarne. Fuori dalle nostre fissazioni e dai nostri editoriali, però, il punk continua a succedere. 

Lo scorso weekend, per esempio, un manipolo di invasati si è incontrato a Bergamo per il Punk Rock Raduno, una celebrazione del lato più rock'n'roll e americano della musica punk, un festival di quattro giorni con band come Manges, Chixdiggit, Jimmy Vapid e Deecracks, tutto all'interno del centro giovanile Edoné, dove già da anni si organizzano concerti su concerti, e con il pubblico stipato in un ostello affittato per l'occasione.

Una specie di resort dei tre accordi, con tanto di hamburger, squadra di Roller Derby e mostra di memorabilia ramonesiana, il festival ha fatto divertire un sacco di persone, e noi abbiamo le foto per dimostrarlo. Ci sono la gente che fa stage diving, la gente che compra i dischi, le maschere di gomma e i gruppi di amici. Quanto basta per mangiarsi le mani per non esserci stati.

Ora dobbiamo solo studiare per essere promossi alla Rock'n'Roll High School e avere il permesso di andare in punk rock vacanza nella punk rock Bergamo l'anno prossimo.

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Quel diavolo di Ambra Angiolini

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“Non sono una qualunque che scompare nella folla”

Una frase del genere potrebbe averla detta… Che so, Jo Squillo periodo Kandeggina Gang? E invece esce dalla bocca di un’icona giovanil/ista Italiana dei Novanta: Ambra. La sua "T’Appartengo", dalla quale questa frase è estrapolata, ha maciullato le sinapsi degli adolescenti che nel 1993 rimanevano attaccati alla TV per ammirare le gesta delle fatine di Non è la Rai, la creatura forse più riuscita di Boncompagni seconda solo allo splendido horror vacui di Macao.

In poche parole, Gianni riempiva uno studio di minorenni a giocare e ballare, stile ninfe nell’antica Grecia, riprendendole con le telecamere. Giocando sul filo dell’ambiguità che collega la bellezza acqua&sapone delle giovinette ai pruriti sensuali di un’età che sboccia (ma soprattutto al voyeurismo degli attempati spettatori da casa), la sua operazione non era dissimile da quella che portò Malcom Mc Laren a fondare i Bow Wow Wow. E giù svariate accuse di pedofilia: in effetti Malcom era decisissimo a distruggere il tabù—quel tabù che aveva disintegrato Jerry Lee Lewis—e in fondo anche Boncompagni, anche se in maniera più bonaria e light, ovviamente con un furbo occhio al portafogli. Al posto di Annabella Lwin mettete Ambra e il gioco è fatto.

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Inutile nascondersi dietro un dito: l’edizione di Non è la Rai con Ambra era seguita da TUTTI: volenti o nolenti il tormentone musicale della nostra eroina risuonava in testa anche quando ti trovavi in saletta, pronto per suonare una cover dei Misfits. Tanto che è da poco uscita una ristampa in vinile del primo album: se la Sony si è presa la briga di impelagarsi in quest’operazione vuol dire che sì, Ambra ci ha rivoltato come dei calzini. E infatti ancora adesso nella classifica dei vinili più venduti si trova al sesto posto, dopo essere entrata a gamba tesa direttamente al secondo.

Come ha fatto?

Presto detto: nel mondo alternativo Ambra era vista come un pericolo, ma nello stesso tempo aveva un fascino particolare che, a differenza delle sgallettate sue colleghe, rivelava qualcosa di sotterraneo. Un piglio che te la faceva immaginare a sparare i growl con i Naked City a farle da backin’ band: aveva anche il gonnellino stile punk '77, parliamoci chiaro. Questo almeno era il mio sogno, tanto che per un periodo accarezzai l’idea di contattarla col mio gruppo d’allora per un’operazione che avrebbe potuto anticipare gli Hatsune Kaidan. Ma Ambra era, suo malgrado, una star che metteva soggezione, anche se aveva la tua stessa età e faceva tutto sommato le tue stesse stronzate—in altre parole passare dall’hardcore al mainstream, con la testa alla rivoluzione e il cuore alle coccole. Perché comunque frequentavi una scuola in cui nessuno la pensava allo stesso modo, dove Nietzsche e Marx si davano la mano, per parafrasare Venditti, e i Nirvana e i Technotronic pure.  

Alla fine Ambra è sempre stata la ragazza della porta accanto, una specie di Madonna meno arrivista e meno glamour che si divertiva e basta. In questo modo arrivava anche in zone in cui si consumava più di un dramma: nei miei ricordi, ad esempio, ho nitida l’immagine di me in un casermone a La Spezia, durante i tre giorni. Ammassati come bestiame in attesa della visita medica e dei test, sullo schermo televisivo al centro della sala spiccava la nostra eroina intenta a fare i quizzoni, unica àncora di salvezza allo schifo di quei giorni. Qualcuno esclamava un flebile "Ambraa ...fammi un bocchino….” che sapeva di voglia di fuga di mezzanotte più che un insulto: nelle cuffie intanto ti sparavi gli Ustmamo’, che poi erano la versione “punkettona” dello stesso lolitismo. Altri invece nel quartiere natìo della nostra eroina (ovvero Palmarola, una borgata romana nata abusiva e poi riconosciuta nel 1976) scrivevano sui muri motti eloquenti come “Dio creò la musica poi disse Ambra, continua tu”. E forse chi faceva questo era probabilmente anche avvezzo a un’altra eroina, quella da iniettarsi. D'altronde negli anni Ottanta c'era Alice, nei Novanta Ambra.



Ambra fu anche uno dei primi casi conclamati di manipolazione televisiva, visto che Boncompagni le suggeriva interi monologhi tramite fonac, tanto che per un periodo ci fu la clamorosa scesa in campo in politica: nelle orecchie le diceva chiaramente che Occhetto era il DIAVOLO, e subito la sinistra insorse accusandola di propaganda pro berlusconiana. Cosa che all’apparenza era vero, ma la sinistra non si accorgeva che, pronunciate da lei, quelle parole erano interpretabili al contrario. Con quell’incoscienza, le risate a cazzo in mezzo al discorso e le allusioni colorite che facevano pensare a un’ironia serpeggiante... Un normale adolescente dopo una visione del genere va subito a votare comunista. Ragazzi, IL DIAVOLO: che c’è di più peccaminoso e attraente per un giovane? E poi stranamente sto diavolo a cartone animato che gli appariva sulla spalla non aveva forse i colori e le fattezze del Milan di Berlusconi, in un perfetto cortocircuito contro il Padrone? E non era forse vero che le ragazze di Non è la Rai erano tutte vestite uguali, che non si sapeva se mancava più il libretto rosso di Mao o la casa dei Puffi? Il fatto poi che l’Angiolini equivocasse spesso i suggerimenti in cuffia (che a volte erano infarciti di parolacce per creare più casino) implica un plagio solo di facciata: era più una roba cyberpunk, o per essere meno intellettuali era il gioco del telefono paro paro. Ad ogni modo l'influenza straniante dell' Ambra politica è stata tale che anche oggi la sindachessa di Roma Virginia Raggi è armata di fonac, emulando Ambra in maniera imbarazzante (d'altronde lei è di Ottavia, una borgata a due passi da Palmarola).

Comunque. Neanche le dichiarazioni esplicite di Boncompagni  “Ho sempre votato comunista, frequentavo Giorgio Amendola, ed ero amico di Giorgio Cingoli, direttore di Paese Sera. Laureato comunista. Ma non facevo le manifestazioni» servirono a smascherare la provocazione. E infatti solo gli anziani si allarmarono, ancora una volta confermando l’ipocrisia di chi guardava quelle fatine con la bava alla bocca del maniaco, ma cercando (chissà perché) una coerenza militante ovviamente impossibile in chi voleva solo “Vivere una favola”, per citare Vasco che (stranamente, vista la sua passione per le minorenni) le criticò aspramente con la sua canzone “Delusa”. Anche se nelle mani di un situazionista paraculo, erano comunque delle quindicenni che sapevano in cuor loro che il gioco sarebbe presto finito. Come la scuola, no? Infatti, a format concluso, le lacrime in studio non mancarono, simili a quelle in un qualsiasi 100 giorni quando si volge al desio.



Ambra nel frattempo sfornava pure musica incredibile: incredibile perché difficile credere al successo di una cosa simile. Hip hop melodico scippato al Jovanotti degli esordi, con testi perfetti tanto per le turbe sentimentali di un sedicenne medio che vuole solo essere amato, quanto per chi è nel pieno del profumo della primavera e degli ormoni in fiore. Roba che di per sé sarebbe pure la solita cazzata, che cantata da qualcuno che non fosse Ambra avrebbe ottenuto solo ortaggi scaduti in faccia. Lei invece buca lo schermo come fosse una dea bambina. Bella, piena di energie in eccesso, priva di freni a mano, ma comunque scaltra nel distruggere le convenzioni senza darlo troppo a vedere. L’immagine di lei, disinvolta, con un vestito attillato nero e un cuore disegnato sul vestito a incorniciare la pelle nuda proprio sotto il seno appena sviluppato è dirompente: un messaggio più antisistema in una televisione del genere era impensabile. Era un “siamo giovani e non ce ne frega un cazzo”.

Le varie critiche a Boncompagni in questo senso sono insensate: Rita Pavone nei Sessanta sì e Ambra nei Novanta no? Mi sembra chiaro che, sotto a questo risentimento, ci fosse il solito gioco schizofrenico dei matusa che quando non tocca a loro insorgono e invocano i vari Torquemada di turno—e infatti Boncompagni, non a caso, eliminerà l’ultimo presentatore over diciotto, l’odiato Bonolis, per lasciare tutto in mano alle ragazze in un’operazione, a suo modo, anche femminista. Il “prometto-prometti” di "T’Appartengo", d’altronde, riecheggiava involontariamente le esperienze fluxus di Yoko Ono, il “Promise Piece” messo in scena nel 1966 a Londra, in cui si chiedeva agli spettatori di promettersi l’un l’altro determinate azioni: il testo di “Lunedi, Martedi” potrebbe essere nato dalla penna dei New Order in zona Blue Monday con quella frase "arriva il lunedì / e cresce martedì / quando sono vuote strade e vuota è l'anima". E infatti presto la nostra ninfetta getterà la maschera.

Subito dopo l’esperienza di Non è la Rai, infatti, Ambra si cimenterà con altri programmi dal titolo impegnativo tipo “Generazione X” (ovvia la citazione a Douglas Coupland, che nel 1991 pubblicò appunto Generation X: Tales for an Accelerated Culture), in cui cercava di fare il punto della situazione a proposito di sesso droga eccetera, con l'aiuto di duecento ragazzi e ragazze in studio. Ospiti della trasmissione furono anche personaggi come Marco Pannella e ospiti musicali tipo i Babylon Zoo, il gruppo industrial pop “one hit wonder" che si esibì in una versione di “Spaceman” che, per quanto commerciale, sicuramente era lontana dagli standard dei pezzi di Ambra in quanto a stranezza.

Già qui risuona una campana diversa, anche se il disco nuovo della soubrette del 1996, ovvero Angiolini, sarà ancora permeato da sentimentalismo: o meglio, mascherato da. Almeno a giudicare dall’opening track “Tu Sei” dove, dopo una sfilza di aggettivi rivolti all’amato in linea secca con il Daniele Silvestri di “Le Cose in Comune” uscito un anno prima, ci piazza un bel “sei sei sei” nel quale si conferma la passione di Ambra per belzebù. Il disco stranamente, vista la proposta ancora troppo leggera, vende meno del precedente, ma tiene botta al numero 10 delle classifiche. Ambra piano piano scende nel limbo dell’underground.

“In quel momento, da una parte stava nascendo la televisione di Ambra, Non è la Rai, e dall’altra c’era Berlusconi che scendeva in campo. Non mi piace chi giudica, detesto chi dà nelle canzoni soluzioni o consigli per vivere, però nella canzone c’è un’empatia strana, perversa, tra il mio modo di crescere e soffrire in quel 1994 a 24 anni. Non avevo lavoro e decisi di fare le produzioni di Niccolò Fabi eccetera: c’era uno strano senso di comprensione, di immedesimazione nei deliri di onnipotenza dei personaggi televisivi. Mi ricordo Ambra bambina che faceva, con Boncompagni in cuffia, quelle cose e provavo un imbarazzo incredibile e quasi un amore folle. Ero combattuto tra queste due cose. C’era un motivo per cui quella televisione penetrava in maniera un po’ distorta nelle coscienze di così tanta gente. Anch’io non riuscivo ad andare avanti. Quello era il dio del male, che però aveva un qualcosa di attraente.” 

Chi parla non è uno spettatore qualsiasi del programmone di Boncompagni, bensì Riccardo Sinigallia, noto per la sua militanza nei Tiromancino, o a fianco di Frankie Hi Nrg Mc in "Quelli che Benpensano", sempre come cantautore e autore incensatissimo (Gazzè e Fabi fra i suoi clienti). E parla con cognizione di causa poiché il nostro firmerà uno dei migliori brani di Ambra, ovvero “Io te Francesca e Davide” contenuto in Ritmo Vitale del 1997. Una canzone ipnotica e ostinata che parla di un foursome destinato alla rovina (o meglio, probabilmente a un finale lesbo a sorpresa), con venature darkwave francamente irresistibili. Unico neo di tutta questa storia è che Sinigallia non ammette ufficialmente questa cosa, fa sparire nelle sue biografie le tracce di questa collaborazione, come se si vergognasse. E non è l’unico, sebbene dalla composizione sia chiarissima la sua mano e la sua vena melodica.

Se leggiamo appunto nei credits di Ritmo Vitale, il penultimo album della nostra giovane star, troviamo altri autori che si nascondono nell’abbreviazione. Ad esempio un certo M. Messina, che risulta parte attiva di molte realizzazioni. Costui ci sembra proprio sia il M. Messina pseudonimo dietro il quale, a giudicare da quello che dice Discogs, si nasconde un personaggio ben preciso. Avete capito bene: potrebbe trattarsi di Marco Messina dei 99 Posse. Anche in questo caso regna il mistero, dato che costui non cita mai l’esperienza con Ambra nel suo curriculum e avendo poche notizie a riguardo a parte una sospetta partecipazione di Roberto Ferrante (il capoccia del latin dance e collaboratore del gruppo napoletano) nel disco, che collega direttamente i 99 Posse con Ambra.

Anche se non fosse lui, però, quelle produzioni simil trip-hop / jungle / esotico / hip-hop a base di campioni e svisate elettroniche sembrano proprio ricordarci “quella roba là”. Un anno prima, infatti, esce Cerco Tiempo dei 99 Posse: bene, togliamo la voce di Meg mettiamoci quella di Ambra e ci troviamo di fronte allo stesso prodotto. O meglio, onestamente preferisco Ambra: ok, lei non fa testi politicizzati (apparentemente... e meno male), ma neanche scade nelle ballate zuccherose tipo “Quello Che”, dai. Alla fine trattasi comunque di due prodotti di facile presa sui giovani medi (il medio militante e il medio borghese), entrambi preda del successo di massa. E appunto per questo Ritmo Vitale dell’Angiolini non ha niente da invidiare a certe produzioni dell’epoca se non l’assenza di una“pubblicità militante” a volte però molto più costruita. Nei Novanta d’altronde hanno venduto schifezze assolute sotto la targa “indie”, con i giornalisti pronti a dare 5 stelle per partito preso, e non si capisce perché Ambra non avrebbe dovuto provare a rifarsi una vita artistica.

In questo disco, in cui ambra parla esplicitamente di sesso e la copertina sembra una versione pop di Reproduction degli Human League, la nostra prode decide di firmare tutti i testi dando un taglio finalmente personale alla faccenda. Il risultato sono testi ovviamente “borgatari”, a volte ingenuamente naïf intrisi di pace amore e musica, a volte più velenosi tipo “Guardati Alle Spalle” che sembra la risposta di Ambra agli Assalti Frontali. Ebbè stateci, questa era la musica che sentiva l’Angiolini, quella che girava nell’aria, quella che dopo la fine del grunge avvolgeva i teenager tutti (e che grazie ai rave sdoganava l’MDMA).

Con lo zuccotto in testa da vera “possettara” dedita al crossover, Ambra sfoggiava dei musicisti che sembravano usciti dai centri sociali e una batterista donna che non perdeva un colpo. Questo ovviamente le alienò i vecchi fan e anche i nuovi, che non si ritrovarono in questo ibrido che invece, nonostante le imperfezioni, sembra una verace weirdata. Forse anche per colpa dei collaboratori che magari le riservavano ingenerosi scarti musicali fatti col culo, tanto per pagare le bollette?

Per tanto tempo sì, fu tacciata di essere di destra (probabilmente per il “diavoletto gate” di cui sopra), ma la militanza da volontaria al circolo Mario Mieli e le sue continue provocazioni a sfondo LGBT (storico il bacio in bocca a Daria Bignardi con seguito di “e ti è piaciuto!” in una successiva intervista) direi che facciano piazza pulita delle dicerie da sé. Come fu per la breve liaison di Re Nudo con Lucio Battisti, la crociata contro Ambra portò personaggi insospettabili a sostenerla, come Marco Giusti di Blob per la trasmissione Carosello, in cui lei fu invitata a fare da presentatrice. Nello stesso programma, fra un dialogo con un Calimero virtuale e un altro, c’erano anche Elio e le Storie Tese e c’era anche la Guzzanti: diciamo che non era un programma di neoliberisti.

Insomma, come dice l’Angiolini, l’ha mossa il caso: il caso ha voluto la sua popolarità, il caso (per quanto riguarda la musica) gliel’ha tolta, e lei ha avuto la prontezza di ritirarsi con dignità. Si è subito rifatta col cinema, non prima di aver sedotto un ex pezzo grosso del rock italiano, ovvero Francesco Renga dei Timoria: nel suo passaggio da erede di Demetrio Stratos al pop, Ambra ha un ruolo fondamentale. Potremmo anche supporre che abbia influenzato Francesco nell’ibridare le formule: pratica che in Ritmo Vitale è chiarissima e possiamo dire sia spontanea. È di base quello che succedeva a Non è la Rai: hai quattordici anni e ti piace la musica, non ti frega un cazzo dei generi, delle catalogazioni. Vai magari il pomeriggio al Piper e senti gli Arrested Development come la peggiore stronzata house, alla fine ecco qui che non ti fai tanti problemi: così erano i momenti di danza collettiva nel programma, durante la classifica dei brani più amati, in cui non era difficile vedere ballare “Short Dick Man” con una certa stupefacente leggerezza. Insomma, più che superficiale, era roba SPENSIERATA, tanto che potrei scommettere che poi, tornate a casa, le ragazze si buttavano a studiare Gramsci. E, seppure probabilmente i ragazzi di PC Music non sanno chi sia Ambra, di certo è stata fra le precursori delle icone accelerazioniste come QT.

È chiaro, l’altra faccia della medaglia di Non è la Rai è stata chi quel mondo lo prendeva sul serio, mentre Boncompagni lo voleva proprio distruggere, svalutarlo. Da là i devastanti provini per i reality e i talent, da lì l’assoluta incoscienza di gente che si dà in pasto all’industria dei vari X Factor per poi finire la carriera in un mezzo secondo. In un mondo in cui, soprattutto nell’underground, si creano da sempre misteri che non esistono e si studia a tavolino come invadere la Polonia del mercato, la roba di Ambra sembra anche oggi un getto di acqua fresca nelle fauci oramai arse vive dalle puttanate imbellettate.

Paradossale? Beh a fare schifo non ci vuole poi molto, è dargli un senso che è difficile: per questo “guardati le spalle da chi / finge amore e teme un’emozione”.


Demented ha in serbo tante altre sorprese per tutti noi, seguilo su Twitter: @DementedThement
 


Le 26 canzoni del rap italiano per limonare

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L'estate è la stagione in cui si fanno un sacco di promesse perché il clima è favorevole e vi permette di passare un sacco di tempo sul lungomare eccetera, eccettera. Non è niente da biasimare e anzi, la maggior parte dell'industria discografica mondiale si basa solo sulla speranza che, con regolarità annuale, andiate a farvi la settimana a Pietra Ligure per innamorarvi.

Quando era ancora febbraio abbiamo compilato una classifica delle 30 canzoni più tristi e deprimenti del rap italiano, alcuni di voi potranno obiettare che più o meno tutte vanno bene anche per limonare, e avrebbero ragione, ma quando abbiamo messo insieme quella classifica faceva freddismo, quindi non ci saremmo mai sognati di perdonare i Gemelli DiVersi, o gli Huga Flame.

Nota Bene: le canzoni di questo elenco non sono in ordine di gradimento.

DARGEN D'AMICO – LA BANANA FRULLATA

Tutti, a un certo punto della vita, abbiamo desiderato di tirare un limone di quelli epici, sudati, gioiosi, interamente consensuali e spensierati. E l'unico tipo di persona che può darceli veramente è una fata come quella che canta Dargen in questo pezzo. 

HUGA FLAME - 3 MINUTI

Pensavate di esserveli dimenticati per sempre, gli Huga Flame? E invece no, perché in tutti i lettori MP3 che ho posseduto c'era una cartella nascosta con "3 Minuti", "Troppo Complicato" e "Stupida Scuola". Tra l'altro gli Huga Flame esistono ancora, ma sono giustamente oscurati dalla gloria di questi tre pezzi.

CANEDA – SCRITTO NELL'ACQUA

Quando il materasso è tutto bagnato di sudore, dopo una notte assieme, la cosa perfetta da fare prima di andare a fare colazione assieme e poi magari non rivedersi più è tirarsi un ultimo, disperato, splendido limone. "Scritto nell'acqua" racconta esattamente quel momento: "Due corpi nudi, il sole farà un'indagine / Copriti il collo, guarda che mordo, orco."

GEMELLI DIVERSI - UN ATTIMO ANCORA

Dai, è ora di rivalutare anche i Gemelli DiVersi e questa cosa a metà tra una cover dei Pooh e un pezzo rap romantico e adolescenziale è la cosa migliore che sia mai capitata alla musica italiana.

MECNA – A MODO MIO

Ve lo ricordate il vostro primo amore? Quando vi facevate gli squilli e uscivate in bici per lasciare le lettere nelle caselle della posta del vostro/a tipo/a per fargli sapere che era l'unica cosa che importava al mondo per voi? Con "A modo mio" potete tornare esattamente a quel mood e tirarvi un limone sulla panchina del parchetto sotto casa.

GUE PEQUENO – COME PIACE A ME (FEAT. T-MEZ)

"Come sei carina con la caipirinha / Come sono merda con la birra media" è una frase che contiene tutta la presa bene dell'aver trovato una persona capace di trovarti sessualmente attraente nonostante ti senti la panza gonfia e la testa già spaccata sul materasso senza cuscino.

FRANK SICILIANO – BUONGIORNO

Già la voce di Frank Siciliano è di per sé morbida e comoda come un batuffolo di cotone. Se si mette anche a cantare "Buongiorno, è uno spettacolo averti qui nel letto con me" il limonometro impazzisce.

NEFFA, AL CASTELLANA – NON TRADIRE MAI

Essere in una relazione monogama e, al contempo, fidarsi completamente l'uno dell'altra è una di quelle cose che capitano una volta nella vita, e spesso il risultato è il matrimonio. Per tutte le altre eventualità, quando sei megafelice di essere con qualcuno ma ti caghi anche un po' sotto e allora cerchi di dare il più limoni possibile prima di essere inesorabilmente sostituito, c'è "Non tradire mai": "Dimmi che è vero e che tra noi non ci sarà mai più, più nessun dolore se tu non vuoi."

ACHILLE LAURO – CENERENTOLA

Tutti abbiamo avuto delle relazioni impossibili, o per palese incompatibilità emotiva, o per tempistiche sbagliate, o salcazzo. Ma non ci sono solo gli American Football e i Mineral per cantare i limoni tristissimi, quelli che poi chissà se te ne dai un altro ma intanto ci credi un botto: c'è anche Achille nostro, che canta "Un giorno verrò a prenderti su un Porsche, giacca Givenchy / Proprio sotto quei palazzi lì / Ti porterò via da sta città, da quei palazzi lì." Quando neanche la Metro B bastava a colmare le distanze.

BRESH – GASTON

Lettori con più di vent'anni: con "Gaston" potete vivere il romanticismo come i regazzini di oggi, veloce e indolore, chiuso in una frasetta all'inizio del ritornello perfetta per convincere la tipella di turno che vi meritate un limone. Lettori con meno di vent'anni: continuate come sempre, grazie.

NOYZ NARCOS – MY LOVE SONG (FEAT. TORMENTO)

Non è che è tutto cenette assieme, mani nelle mani e regalini stupidi a sorpresa. C'è anche il limone sanguigno, potenziato dal THC e dalle Moretti da 66. "Vieni siedi, prendi un pacco di birre da sei / Accucciati sopra di me e schiaccia play", canta Emanuelino Frasca, per poi esplodere nella dichiarazione d'amore più bella dai tempi di Leopardi: "Tu non c'hai idea quanto mi mandi in fissa / Quando te presenti così fica pari la madonna crocifissa."

YOSHI – SWEETY

Yoshi aka Torme è il king della riflessione sulle cose dell'amore, e "Sweety" è perfetta per quei limoni che partono appena dopo che hai passato due ore a litigare per qualche stronzata e arriva il punto in cui è chiaro che entrambi non avete manco per il cazzo di continuare a darvi contro e volete solo scambiarvi un po' di saliva giurandovi amore eterno (fino al prossimo sbattimento).

DARGEN D'AMICO – BERE UNA COSA

"Ora che le tue labbra riflettono il mondo intero io lo esploro bevendo una cosa con te / Tu che sei la vita ma senza i tempi morti, non mi par vero di rifare l'amore con te.In fondo stiamo giocando tutti al gioco del sentirci bene con noi stessi tramite l'approvazione di qualcun altro, e uno dei casi in cui questa sensazione è più acuta è quando pensavi che una relazione fosse persa per sempre e invece, dal nulla, siete ancora lì ad attaccarvi al muro, entrambi felici come la merda.

TEDUA – CHINO

Negli anni Novanta c'erano Pezzali e gli Eiffel 65 ad alimentare i limoni di provincia nelle sere d'estate. Adesso c'è Tedua, che si lancia in una descrizione onirica della sua villa in un'immaginaria Orange County e scioglie la sua tipella con un "Bella così non ti ho vista mai." Prendete appunti, raga.

BELLO FIGO – SALVATE LE DONNE

"Salvate le donne" è la "More Than Words" del 2016, la "Siamo la coppia più bella del mondo" dei giovani d'oggi, la "I Don't Want to Miss a Thing" del nuovo millennio. "Non accetterò che nessuna figa viene trattata male / Perché loro sono, sono le cose più belle": quant'è vero, Bello Figo. 

CLUB DOGO - NO MORE SORROW

Sì, dobbiamo proprio infilarla da tutte le parti.

GUE PEQUENO - ROSE NERE

"Rose nere" è il pezzo da cantarti in testa mentre limoni nel parcheggio della discoteca, alle quattro e mezza del mattino, quando sei convinto di essere quello un po' maledetto e un po' paranoiato che però cucca comunque. L'unico problema è che probabilmente chi sta ricevendo il limone ha in testa "Una notte e forse mai più", ma senza il forse. Quindi goditi 'sta saliva finché puoi, ecco.

DJ GRUFF - SENZA TE

C'era questa mia amica che aveva una specie di fetish per i ragazzi che piangono, ma purtroppo erezioni e lacrime non vanno per niente d'accordo. Così le ho consigliato di provare questo pezzo come colonna sonora di ogni momento di intimità. Sinceramente spero non abbia funzionato.

LUCHE - O' PRIMMO AMMORE

Il disco di Luchè, che è uscito solamente cinque giorni fa e abbiamo recensito qua, è un gioiellino che per qualche strano motivo non riesce a fare presa come meriterebbe sul pubblico del rap italiano, ma questa contingenza vi offre la possibilità di usare "O' Primmo Ammore" per rimorchiare i pischelli.

ARTICOLO 31 - SOLO PER TE

Queste classifiche sono gli unici posti in cui perdoniamo gli Articolo 31, soprattutto perché questo pezzo ci permette di avere un po' di Puff Daddy in un elenco di pezzi rap in italiano.

CANEDA – MICKEY & MALLORY

"Morire con te è stato il top, ti amo". Ma quand'è l'ultima volta che avete sentito un rapper dire "Ti amo" in un pezzo senza suonare sdolcinato a merda? Meno male che c'è zio Cano che ha ancora le palle di suonare più vulnerabile di un cucciolo di Shiba Inu abbandonato sulla Tangenziale Ovest in cerca di un padrone.

SOTTOTONO, JASMINE - DIMMI DI SBAGLIATO CHE C'È

Anche qui si vince con una mano dietro la schiena grazie ai campioni, che subito dopo quell'intro (più celebre per C'è posta per te, che altro) si affida su un bel giro di "A Woman Need Love (Just Like You)" di Ray Parker Jr. ed è davvero incredibile come questo elenco contenga due lati di Big Fish così sideralmente opposti.

FABRI FIBRA, AL CASTELLANA - COME TE

Ripeterlo è sempre utile: questo disco è la cosa più vicina al Neffa che, come esseri umani, ci meritavamo.

COCO - PERSO CON TE

CoCo è il Drake italiano, davvero e questo beat di Haru ha dei giri di batteria che probabilmente vi faranno venire i brividini lungo la schiena, per usare un eufemismo. In generale tutta la melodia del pezzo sembra costruita su un ipotetico amplesso_soddisfacente_generico, quindi è perfetta anche senza ascoltare una sola parola del testo, che pure è assolutamente a tema. Se questo elenco fosse una classifica, "Perso Con Te" sarebbe la Numero 1. 

BIG FISH, EL PRESIDENTE, RETNEK - RESTA ANCORA

Ecco l'altro faccia di Big Fish, quella caciarona, a partire dal video e fino ad Esa El Presidente che prova a fare la hit dell'estate. Insomma, se vi siete invaghiti di qualcuno e non riuscite proprio a rimorchiarlo, storditelo e sparategli questo pezzone nelle orecchie.

ARTICOLO 31 - ARIA

Non fatevi ingannare da questa versione: se sembra cantata da un castrato è solo per fregare le regole di YouTube. In ogni caso, tutto in questo pezzo vi farà venire voglia di limonare a riccione, a partire dal ritornello campionato di "Nell'Aria" di Marcella Bella ai feels da tramonto sulla riviera durante una qualsiasi estate prima dei diciotto anni.

 

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Il nuovo pezzo di Lil Yachty suona come il sogno più bello che hai mai fatto

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Foto di Daniel Brothers

Niente raga, siamo arrivati a un punto in cui la musica di Lil Yachty non è neanche più rap. È il suono di un sogno calato nella realtà. È la ninna nanna che i vostri genitori non vi hanno mai cantato. È la frescura di una fonte d'acqua dolce sotterranea in cui finisci mentre fai il bagno a ferragosto. 

Ma sto divagando. Ieri Zane Lowe ha trasmesso il suo nuovo pezzo, "So Many People", durante il suo programma su Beats 1. Facendo ciò, Zane ha risolto un dubbio che attanagliava gli internets: perché Yachty qualche tempo fa aveva fatto un tweet chiedendo ai suoi fan di lasciare messaggi sulla segreteria del suo studio di registrazione? Bé, li voleva inserire in una canzone. In questa canzone. C'è un bambino che grida, felicissimo, "lil boat!" E un tipo che dice "Che cosa può non piacere di Lil Yachty?" Niente, amico. Niente.

E poi: non è bello che ormai il rap sia diventato anche questo? Cioè, già su Lil Boat c'erano cose che trascendevano completamente gli stilemi del genere: sample di SuperMario e Zelda, voci così filtrate che sembravano scendere dall'empireo, un immaginario colorato e vitale che prendeva a manciate ugualmente da Steve Zissou e dal seapunk degli esordi. Ma una canzone come questa ci aggiunge un sentimento tutto di comunanza e presa bene e pacche sulle spalle di cui abbiamo tutti un po' bisogno, ora come ora. :'-)

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Il peggio della settimana

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Che noia e che sbadigli questa settimana, ragazzi. Non è che non sia successo niente di figo, solo che le cose non-fighe ci hanno ricordato quanto possa essere tediosa e pesante l'esistenza possa essere. O meglio: quanto possano volersi rendere la vita schifosa anche degli esseri umani che hanno la fortuna di non vivere in quella parte del mondo martoriata dalla guerra e/o dalla povertà. Sbadigliamo assieme mentre aspettiamo e speriamo che venga la guerra pure qui.

 

La band della Convention Repubblicana ha ucciso "Station To Station" di David Bowie

Se ancora non credete che il RUOCK possa essere dichiaratamente piegato all peggio del potere, alla politica più conservatrice e di destra che la società occidentale ha da offrire, be'... Vi presentiamo il caso di G. E. Smith, chitarrista veterano che negli anni si è fatto un curriculum non indifferente, suonando con, tra gli altri, Bob Dylan e Roger Waters. È stato anche il direttore musicale del Saturday Night Live per circa dieci anni, suonando di fisso nella band dello show (di fatto accompagnando decine di musicisti strafamosi). A forza di fare il gregario senza pretese artistiche, però, si è ridotto a suonare alla convention in cui una specie di mostro-Berlusconi sotto steroidi con una maschera di gomma arancione e un covone di paglia in testa viene nominato potenziale persona col potere di distruggere il mondo intero. No, non si tratta di un qualche rituale satanico, ma solo della National Republican Convention di Cleveland. Come riporta Dangerous Minds, Smith, in quanto leader della band di casa, ha deciso bene di martoriare "Station To Station", nonostante il testo problematico. Praticamente l'hanno ridotta a uno scialbo accrocchio country-rock, privata di tutto il soul stralunato che Bowie ci aveva messo dentro. Insomma, l'hanno resa una pena da ascoltare e da vedere.

 

 

Il Rimpiattino patetico di Kanye e Taylor Swift sul testo di "Famous" 

"Oh zia, ma ti avevo avvertito". "Sì ma non mi avevi detto che mi davi della troia". "No ma guarda che Kim ha registrato tutto". "Sì ma lì non dici che mi dai della troia". Frega a qualcuno? Vabbé che nella gara tra sti due a chi è più ridicolo vince sicuramente Kanye perché ha cominciato lui, è comunque chiaro che dietro la diatriba c'è solo un mal calcolato uso da parte dello staff di Taylor della opportunità di una "ricucitura" mediatica con Kanye, fino magari... chissà... alla collaborazione? Mah, inutile specilare, al momento pare proprio che a Taylor roda che mr. Kardashian stia utilizzando la cosa più a vantaggio personale che comune. Sembrano Stanis Larochelle e Corinna Negri che si insultano telepaticamente, solo che non lo stanno facendo in maniera silenziosa, ma chiassosissima, a mezzo stampa. Onestamente: al netto della rottura di ovaie coglioni e tutto il frantumabile, state riuscendo definitivamente nel rendere inappetibile a chiunque la vita da popstar, nel farla emergere come il micragnoso gomitolo di lagna infantile, ego malriposto e paranoia da uffici stampa/marketing che veramente è.

 

I Pizza Underground hanno annunciato il loro primo album

Pizza Underground è il progetto di Macaulay Culkin nato per fare cover dei Velvet Underground a tema pizza. Non abbiamo mai voluto infierire troppo sulla povera band dato che è abbstanza chiaro cosa ne ha determinato la genesi, e non vogliamo certo infierire sui traumi di un povero ex-bambino milionario che non ha fatto un cazzo della sua vita negli ultimi vent'anni (OK, a parte Party Monsters). Sta di fatto (haha, "fatto"...) che la band più inutile dai tempi dei Dogstar di Keaunu Reeves, le cui esibizioni live vengono normalmente interrotta a bottigliate dal pubblico, ha annunciato il suo primo album. Non so se è più triste il fatto che ne questa cosa è un fatto (hahahaha, "fatto"...) o che ne stiamo parlando. Però il tema del peggio di questa è il tedio dell'inutilità, ragion per cui... 

 

Fedez e J-Ax non hanno fatto niente

Ecco, appunto. Neanche una soddisfazione dal nostro duo di bambini speciali preferito. Sarà la calma prima della tempesta (l'album, con o senza calcutta), però dai, che palle... Per punizione li infiliamo comunque nella rubrica. Sia mai che a una loro tregua corrisponda una nostra.

 

Fermi tutti, a settembre arriva un nuovo album di Mykki Blanco

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Foto via Facebook

Un paio di settimane fa ho visto Mykki Blanco al Festival Moderno, a Milano. Non ero mai stato a un suo concerto e non sapevo bene cosa aspettarmi: me ne sono andato con un sorrisone che non è ancora finito. Nonostante la sua DJ avesse scordato la chiavetta in albergo e il set sia durato solo venti minuti, in quei venuti minuti Mykki mi ha fatto arrivare una gioia di quelle che solo una persona pienamente felice di essere nel suo corpo ti sa trasmettere. Poi, probabilmente, il fatto che sia stata più a sudare e ballare in mezzo alla gente che sul palco ha aiutato.

Ad ogni modo: la sua voce è una delle migliori quando si tratta di mettere in musica che cosa significhi essere transgender nel 2016. Dopo diversi tape e progetti, ora Mykki ha annunciato il suo primo album a tutti gli effetti: si intitolerà Mykki e uscirà a settembre per !K7. Qua sotto potete ascoltarne un estratto, "The Plug Won't". La produzione è di Jeremiah Meece

Il pezzo è una bomba, una dichiarazione di vulnerabilità bruciante: "Le droghe non mi vogliono bene come mi vuoi bene tu / Il club non mi vuole bene / La vita non mi tratta bene / Mi sento così confusa / Perché ho bisogno di amore? / Perché abbiamo bisogno di amore? / A chi cazzo serve l'amore?" Non ho una risposta, Mykki. Ma sono sicuro che finché andrai avanti a raccontarci come ti senti non ti faremo mai sentire sola.

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Rotta di collisione: alla scoperta dell'Alan Vega solista

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C’è qualcosa di strano quando muore un’icona: che spesso ci si ricorda solo quello che si vuole. E va bene, d’altronde l’immaginario collettivo è sempre pilotato da qualcosa di diretto, che si stampa facilmente nei ricordi. Nel caso di Alan Vega, scomparso recentissimamente, la maggior parte degli omaggi verte sul suo lavoro con i Suicide. Ma neanche tutto: ci si concentra SOLO sul primo disco omonimo del 1977, in quanto seminale rispetto a tutto quello che verrà dopo in campo punk, synth pop, industrial ecc e bla bla bla. Siamo d’accordo, ma di dischi i Suicide ne hanno registrati CINQUE. Concentrarsi solo su primo che cosa vuol dire, che gli altri dischi sono una merda? Facciamo attenzione… Perché ad esempio i Kraftwerk nella loro carriera di pionieri vengono di solito valutati in blocco (cito loro perché di base sono degli zombie oramai, come se fossero già deceduti in vita). Dobbiamo davvero dare la colpa all’ingombrante peso del primo geniale disco del duo, come se avrebbero tranquillamente potuto sciogliersi nel 1977 stesso e nessuno ne avrebbe sentito la mancanza?

E no cari: la verità dei fatti è che il resto dei dischi dei Suicide è ancora da studiare. Per dire, il seguito dell’omonimo pachiderma del ‘77 è uscito nel 1980 con un titolo quasi identico al predecessore, ovvero Suicide / Alan Vega e Martin Rev, è un disco eccezionale, di una classe unica. Tutto l’astio del primo disco è incanalato in un synth pop che farà scuola (vedi i Soft Cell), in un certo senso prendendo a modello (appunto) i Kraftwerk e trasformandoli in una serie di nenie malate basate su loop micidiali, ampliando il discorso della ripetizione intrapreso nel primo album e perfezionandolo per un possibile “gradimento” di massa. O meglio, un suicidio di massa come suggerito dalla copertina in cui un lavandino ospita una mano agonizzante e una bella colata di sangue, virata però in una versione pop art che la rende (ohibò) piacevolissima. Nonostante sia stato all’epoca fra i top album dell’anno, non successe assolutamente nulla a livello commerciale. Una costante che accompagnerà il duo praticamente per sempre: duri e puri non per coerenza ma proprio per destino da loser. Volendo, anche per il loro caos interiore: tipo che Vega decide di concentrarsi solo sulla voce e i testi lasciando al produttore (Rick Ocasek dei best seller Cars, altro geniaccio) e a Rev il resto.

Rev praticamente si fa dare tutta la strumentazione da Ocasek (da vero barbone qual era, figurarsi se la comprava) e ovviamente nessuno dei due è contento del risultato, lamentandosi della cattiva distribuzione o dell’orientamento “dance” della faccenda. Il terzo album dell’88, A Way Of Life, è invece quello maggiormente industrial: preceduto da alcuni live veramente massicci in cui vengono sfiorate addirittura la jungle e la drum & bass, si passa ai samplers digitali suonati ovviamente in modo rozzo e ripetitivo. Diciamo un invito a nozze per una pratica (quella del loop campionato), che loro avevano intuito molto tempo prima, praticandola senza averne i mezzi. A volte si sentono echi dei Clock DVA, a volte, come nel singolo “Surrender”, delle mega ballate anni Cinquanta per giovani nati vecchi (d’altronde Madonna, che due anni prima sparava True Blue, andava punita).

È senza dubbio un passo in avanti, ma è con Why Be Blue? che i nostri due paladini tentano di fare a pezzi Stock, Aiten & Wakeman e l’eurodance, cogliendoli proprio nel momento del declino esplorando il lato più pop dei Suicide, ovviamente sbrodolandolo con schizzi di sperma nero. Casualmente, erano stati proprio i loro migliori pupilli, ovvero i Sigue Sigue Sputnik a servirsi del team SAW molti anni prima, ottenendo con quel sound un timido ingresso in classifica che invece i Suicide, ovviamente, non videro neanche col cannocchiale per la loro operazione di per se già retro-maniaca, avanti pur essendo indietro e con un leggero retrogusto di vendetta.

E poi l’ultimo album del 2002, American Supreme, controversissimo e totalmente kitsch, un allucinato viaggio nell’America della spazzatura, un disco fatto con resti di ossa di pollo fritto, una discarica di suoni e di stili veramente indigesti in qualche modo in linea con i vari collage sonori dei terroristi elettronici degli anni Duemila ma nel cuore c'è un flipper degli anni sessanta, ovviamente. Vidi il live di quel disco all’epoca e sembravano veramente due fattoni incapaci di reggersi in piedi: ovviamente fecero storcere più di un naso, qualcuno fra il pubblico apostrofava Vega come “A Renato Zerooooh”. Poi però i due geniacci erano capaci, tempo dopo, di altri live devastanti, da incorniciare fra i classici di sempre: ad esempio al Primavera sound del 2011 furono capaci di riproporre il loro primo album interamente MASSACRATO. Proprio per fare screzio a chi continuamente gli ricordava l’importanza di tale opera, la calpestarono letteralmente come una merda sotto degli stivaloni di noise inascoltabile, con clusteroni di tastiera a cazzo di cane e dei bassi da farti cagare nelle mutande. Purtroppo non diedero seguito su disco a questo meraviglioso esperimento, ma d’altronde i Suicide sono sempre stati una band da live, di strada: e questo è chiarissimo se vediamo la frequenza delle loro uscite, centellinate a più non posso.

Alla luce di questa riflessione, vediamo invece l'Alan Vega solista. Molto più prolifico da solo che nella band, ci ha deliziato con dei grandissimi capolavori che si distanziano moltissimo se non del tutto dal lavoro con i Suicide. Innanzitutto per lo stile, devoto a un rockabilly del futuro, e poi per l’approccio col pubblico. Se infatti i Suicide avevano in qualsiasi situazione un seguito “hardcore” di fans che applaudivano a qualunque loro scoreggia, Alan invece riusciva a creare stupore e disagio nell’audience, che il più delle volte sembrava non capire che cazzo stesse facendo il nostro uomo. Nelle varie performance live documentate, Vega è spesso spazientito da un pubblico che non balla, che sembra inebetito, mentre lui sta regalandogli del vero rock'n'roll e non del punk preinscatolato dall’industria o roba del genere, quindi s’incazza e gli sbrocca. Ed è verissimo: il suo primo album omonimo è un capolavoro assoluto in questo senso. Come un Elvis Presley proiettato nel futuro, Vega fa scivolare la sua voce mossa da onde pelviche su loop devastanti di rock'n’roll a volte minimalissimi, in un avvincente chiaroscuro, usando, a differenza dei Suicide pochissima elettronica e concentrandosi più sulla sensualità che sul malessere.

Questa è la cosa più spiazzante del disco, come se si trattasse di un caldo robot degli anni Cinquanta che si ritrova a confrontarsi con la freddezza dei computer. I già citati Sigue Sigue Sputnik gli copieranno ahimè il concept, perfezionandolo ma comunque plagiando (ascoltate "Kung Foo Cowboy" e poi "21st Century Boy" e ditemi se non è vero), e lo stesso Adam Ant sa chi ringraziare per la sua "Apollo 9". Il disco d’altronde riceverà una bella nomination fra le migliori uscite del 1981 segnalati da NME, ma a questo favore della critica non corrisponderà alcun successo commerciale, come prevedibile. Il nostro non si dà per vinto e l’anno dopo si ripete con Collision Drive: qui il suo rock'n’roll mutante si orienta verso lo psychobilly in una maciullata versione di "Be Bop A Lula" che pare un mashup con Peter Gunn (gli Art Of Noise più tardi ringrazieranno…). Anche qui si produce tutto da solo: la voce sembra cercare la trance kitsch cavalcando le chitarre gonfie di chorus distorti e batterie ossessive che saranno d’ispirazione per altri epigoni del genere, conducendo all'apice commerciale del revival rock'n'roll anni Cinquanta / Sessanta, nel 1986. Ci regalerà però anche un brano proto noise/doom, l’allucinata "Viet Viet", che sa di Doors presi rallentati e tagliuzzati con le lamette dal riverbero e dai feedback.

Tecnicamente una formula vincente del genere non andrebbe cambiata: e invece con Saturn Strip dell’83, il nostro eroe torna all’elettronica, pur continuando col R'N'R ossessivo. Il risultato è eccellente: Alan usa la New Wave smontandola a suo piacere con chitarre metalliche e organetti stile Stranglers naufragati nello spazio: alla produzione c'è il solito Rick Ocasek, ma soprattutto Al Jourgensen dei Ministry che co-firma e partecipa al singolo "Saturn Drive" (non è chiaro se compaia anche nelle altre tracce dell'album o no), coadiuvato dal batterista Stevo George. Solo che i Ministry sono ancora nella fase new romantic e si sente, però Alan, con la sua voce spappolata, metterà su un ibrido inedito riequilibrante che potrebbe essere considerato anche la risposta di Vega a Zombie Birdhouse di Iggy Pop. Lì i Blondie, qui i Ministry: Alan scomette sicuramente più del suo collega nel futuro, c’è da dirlo.

Forse anche troppo: tant’è che sulla scia della meravigliosa e ultrapop “Je t’adore”, il successivo album Just A Million Dreams dell’85 vedrà una produzione troppo puntata sullo sdoganamento prima del tempo. Il "colpevole" è Chris Lord Alge, già remixatore di Bruce Springsteen, come ben sappiamo grande fan e coverizzatore dei Suicide da tempo immemore (ascoltate Nebraska e vi accorgerete di alcuni “omaggi” al duo). Il nuovo produttore non è certo un cretino, ma il tentativo francamente improbabile di far fare il botto a Vega e di ripulirlo dalle asperità si trasformerà in un’implosione. Sembra quasi il Mick Jagger di “She’s The Boss” solo un po’ più stordito e sintetico. Nonostante questa grossa pecca, che vedrà Alan disconoscere il prodotto, i pezzi ci sono, O almeno, se vogliamo dirla tutta, ascoltando tutti e quattro i dischi di fila si diventa completamente deficienti: quindi anche se non piace da solo, Just A Million Dreams preso nel blocco risulta anzi una via d’uscita necessaria in un tunnel spesso e a zig zag. Qui finisce l’avventura solista di Vega: non citiamo i suoi successivi album per motivi di spazio ma soprattutto perché collaborazioni, sebbene preziose: con Liz Lamere, Rick Ocasek, Alex Chilton, Marc Hurtado, Lydia Lunch e soprattutto grandissimi dischi con i Pan Sonic. Il suo tentativo di uscire ed entrare dall’underground e la sua sperimentazione a trecentosessanta gradi anche e soprattutto nei testi intrisi di cattolicesimo marcio, romanticismo e passione cocente, morte disastro e luce, non ha eguali. Ma appunto non ricordiamolo come una “one hit wonder” per piacere. La prima volta che ho ascoltato Power On to Zero Hour del ‘91, ad esempio mi sono detto: qui ci sono tutti gli anni Nvanta e oltre. Poi è arrivato lo Zoo TV Tour e purtroppo non c’era nei credits Alan Vega. “Sucker”, come direbbe lui.

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