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Le peggiori uscite della settimana

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Oh che dolore. Le settimane più corte sono quasi peggio di quelle normali, perché non lavorare il lunedì ti fa venire voglia di non fare un cazzo per il resto della settimana. Meno male che c'è la musica, direte, no? No! Perché il mondo è ancora pieno di dischi di merda che ci attanagliano l'esistenza, e tra le nostre mansioni c'è anche quella di ascoltare il peggio del peggio per fare sì che possiate schivare tutta la merda che lo showbiz puntualmente ci fa piovere addosso. Se volete ringraziarci mandateci degli psicofarmaci.

 

2 CHAINZ  (& Lil Wayne) - ColleGroove

Facciamo finta che questa cosa di fare un album in collaborazione, non poterlo dire per questioni legali, e fare comunque uscire l'album prima che la questione sia diramata, abbia senso. Tanto Lil Wayne in copertina ci ha messo una porzione della sua faccia e sappiamo che un'immagine vale più di mille parole. Il problema è che raramente Weezy ha messo la faccia su di peggio: è su una spirale discendente da quando ha iniziato a paragonare se stesso a una lasagna, e le sue sorti non paiono in corso di risalita, considerato anche che in metà delle tracce le sue strofe sono state cancellate. Peccato perché l'occasione era gozzissima, ma sti due l'hanno sprecata provao a fare un album trap perché va di moda, giocando a rincorrere Future che nel frattempo manco li guarda, e c'avessero messo mezza idea originale o il minimo tocco di stile... Si salvano giusto "Bounce" e un altro paio. Verrebbe quasi da dire che a sto cesso manca solo la catena, ma non sarebbe vero: ne ha già due.

 

Stephen O'Malley - End Ground

Bastaaaaaaaaaaaaaaa. Che due palle, seriamente, CHE DUE PALLE. Di roba inutile e tediosa come questa non ci capitava di ascoltarne da tipo... Boh, circa tre mesi, ovvero dall'uscita del secondo capitolo di questa trilogia di mattonelle che O'Malley ha deciso di scaraventarci sulle gonadi. E dire che Eternelle Idole, anch'esso uscito non troppo tempo fa, ci aveva fatto sperare in una carriera solista a base di composizioni minimaliste ma interessanti e suggestive. E invece no: dopo quello ti ha tirato fuori tre insopportabili dischi di SHWROOOOM chitarristico e modulazioni di feedback tutte uguali, AKA la versione misera e sfigata di quanto fatto per anni coi Sunn O))). Senza le stratificazioni e le architetture armoniche che renderebbero i droni interessanti, il disco è tanto emozionante quanto un'ora di Yngwie Malmsteen che fa gli assoli da solo.

 

TY DOLLA $IGN - Free TC Deluxe Edition

Non fraintendeteci, l'album di Ty è da paura e questo lo sappiamo già tutti. Però sapete pure che se c'è una cosa che da queste parti ci fa cacare sono le edizioni deluxe inutili che non aggiungono niente al disco in questione. Esistono solo per spillarci i soldi e cazzo raga il denaro non è mica una cosa che si può dare via così a cazzo, serve a comprare il cibo, i vestiti, la droga, pagare l'affitto. Quindi NO, DAI.


Matthewdavid - The Trust and the Guide

Un tempo credevamo in Matthewdavid e nelle sue capacità di fare bei dischi di elettronica presa bene. Però poi ha deciso che un disco ambient coi paddoni analogici fosse un'aggiunta interessante al panorama musicale contemporaneo. Effettivamente questa settimana ne sono usciti solo 3,741.

 

BONUS ROUND: COSE BRUTTE CHE SONO SUCCESSE IN QUESTI GIORNI MA NON SONO USCITE DISCOGRAFICHE.

Ci dispiace tantissimo essere portatori di catteve notizie, ma sapete anche voi che lo facciamo per il vostro bene: prima imparerete che il mondo là fuori è un posto molto brutto, prima capirete come difendervi da esso. Ecco, allora: soffrite con noi all'idea di Kiefer Sutherland che, non sapendoi più che cazzo fare dopo 24, ha deciso di lanciare una sua merdosa carriera come cantante country. Nel frattempo SoundCloud si sta trasformando nell'ennesimo inutile servizio di streaming e Steve Aoki è entrato in studio con i Blink 182. 


Ma perché stiamo ancora a sentire Red Ronnie?

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Red Ronnie contro i talent - int di Gianluca Gazzoli per Fanpage

INCREDIBILE: 1 milione 300 mila visualizzazioni per questo video in cui Gianluca Gianluca Gazzoli i chiede dei talent. Sono sommerso da mail, telefonate, testimonianze. Fra poco caricherò un video girato ieri sera sul palco di Morandi/Baglioni con la testimonianza in merito del chitarrista e arrangiatore Marco Rinalduzzi. Tutti concordano con le mie dichiarazioni. All'inizio, appena visto il montaggio su Fanpage, ero rimasto male: avevano fatto 120 tagli in poco più di 6 minuti di video. E avevo espresso la mia opinione in questo post:https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=10153280579995947&id=37645125946Poi mi sono reso conto che il senso era passato lo stesso. Chiaramente, quanto fai tanti tagli, è come se unissi tanti titoli di articoli senza la svolgimento. Però è stato davvero efficace. La frase che mi è uscita bene (e mi hanno lasciato nel montaggio) è quesra: "I nuovi cantautori sono carbonari che cantano per se stessi perché non hanno spazi per uscire ma quelli che resisteranno disegneranno la musica del futuro".Ieri ho chiamato Gianluca, l'autore del servizio, per commentare con lui questo boom totalmente inaspettato. Non ha risposto, ma poi mi ha mandato questa mail:Ciao Red, ero sul treno di ritorno da Roma e ho visto chiamata solo ora.Cmq devo dire che è successo qualcosa di pazzesco, perchè oltre al video caricato sul sito di fanpage che hai condiviso anche tu dalla tua pagina, c'è stato un ragazzo che qualche giorno dopo ha fatto una cosa scorretta, cioè se l'è scaricato così com'è e se l'è messo direttamente sulla sua pagina facebook per beccarsi likes e views.Questo però ha fatto diventare il video virale, ti giro il link Siamo arrivati al MILIONE DI VISUALIZZAZIONI (oggi 1.300.000), 25 mila condivisioni (oggi 30.000), 7 mila likes (oggi 8.200), da sommare alle 50mila views di fanpage.Io stesso ho perso il controllo del video e me lo sto ritrovando ovunque. Anche a me sono arrivati un sacco di mex di complimenti quindi il video è arrivato al cuore delle persone e ne sono entusiasta. E' un risulato incredibile.Per me era importante mantenere fede al tuo pensiero e alle tue parole ma dandogli il ritmo necessario per farlo arrivare a più persone possibili.Io stesso ci lotto pure tutti i giorni con i tagli (il mio primo video realizzato in Indonesia dura più di un'ora) ma così facendo ho trovato un compromesso che non snatura il contenuto ma ti tiene attaccati allo schermo. In questo caso poi il contenuto da te espresso era molto forte, non mi aspettavo un successo del genere ma ero sicuro che stavamo facendo qualcosa di molto figo :)Per qualsiasi altra info contattami pure anche telefonicamente o come vuoi, resto a disposizione.Ringrazio ancora Gianluca. Ed ecco il video che tutti stanno condividendo.Se ti piace questo video, amplificalo, condividilo e partecipa alla creazione del libero mondo di cultura e musica di Roxy Bar Tv Se vuoi rimanere aggiornato in tempo reale sui nuovi video che pubblichiamo tutti i giorni o sulle dirette Mentions, clicca “Mi piace” su questa pagina o su quella di Roxy Bar Tv

Pubblicato da Red Ronnie su Venerdì 25 marzo 2016

La video-intervista di Gianluca Gazzoli a Red Ronnie.

Se in questi giorni avete frequentato il salotto di Internet, vi sarete resi conto che circola un video in cui Red Ronnie se la prende coi Talent Show, che, secondo le sue parole, “distruggono la musica”. 
Ancora una volta, si prendono di mira format pensati per la televisione e non per la musica (distinzione necessaria, che non viene sottolineata a sufficienza), per risalire alle origini della crisi che l’Italia sta attraversando quanto a vendite discografiche e assenza di autori in grado di alzare l’asticella del mercato italiano. 
Ancora una volta, si dà ascolto alla crociata di Gabriele Ansaloni, 65 anni, nei confronti degli show televisivi che, a suo parere, “creano il karaoke ma distruggono la musica”

Lasciando per un attimo da parte le considerazioni sull’utilità di identificare il male (della musica) con format televisivi di successo, mi ha stupito come in tanti, tantissimi, troppi, abbiano visto nelle parole di Red Ronnie ciò che “da tanti anni volevamo esprimere e non siamo mai riusciti a fare.” Del contributo di Red Ronnie alla musica ho un ricordo vago, che coincide più che altro con le sue trasmissioni sulla fu Videomusic/TMC, e finisce in bellezza nell’amaro souvenir che il rosso mi ha lasciato quando, servo della giunta Moratti, si era riproposto di condurre una campagna di video-restyling dell’ex sindaco di Milano (operazione di lecchinaggio che ha visto il climax nel periodo precedente alle elezioni—da cui Letizia uscì fortunatamente sconfitta).

Ma chi sono io per parlare delle gesta di Red Ronnie, lasciamo la parola a Wikipedia

Quale consulente per l'immagine video del sindaco di Milano, nel 2008 e 2009 realizza i reportage delle visite di Letizia Moratti in Africa e in Sudamerica. Nel 2009 è consulente di internet e nuove tecnologie per il Comune di Milano e apre su YouTube due canali con filmati-reportage e interviste per il sindaco di Milano e commissario Expo 2015 Letizia Moratti. Nel 2009 organizza e presenta al Teatro dal Verme di Milano il concerto "Alliance for Africa". Il 30 maggio 2009 inizia a Guastalla la rassegna "Un Po di Musica", per la Regione Emilia-Romagna, di cui Red Ronnie è direttore artistico e presentatore. In estate allestisce la mostra Riccione-Woodstock nella Villa Mussolini di Riccione.

Ora, per fare un discorso attuale sulla musica, sui mali della musica e, direi, sul male in generale, si è giustamente scelto di dare la parola, anzi, di affidarsi alle parole di uno la cui iniziativa più attuale negli ultimi anni è stata una mostra Riccione-Woodstock alla Villa Mussolini. Probabilmente Ansaloni è fuori dai giochi anche grazie ad alcuni di questi passi falsi e, anziché rimediare con iniziative che possano realmente risultare alternative alla dissoluzione culturale contro cui puntano il dito, rigira quel dito nella piaga intonando un canto funebre che si potrebbe riassumere nelle costanti litanie dei vecchi: “era meglio prima” / “te l’avevo detto” / “le cose non sono più come erano un tempo” / sputo su marciapiede / “ah quando c’era lui”.

Come ho scritto in precedenza, delegare a un programma televisivo pensato per la massa il compito di modellare il gusto della massa è come chiedere a McDonalds di tirare fuori un piatto raw-vegan-gourmet. Va proprio contro ogni presupposto socioeconomico con cui il prodotto è stato pensato. Se riusciste a immaginarvi un mondo in cui nei talent show vengono riproposti brani, band e cantautori di qualità “alta”, oltre alla noia la vostra immaginazione potrebbe mostrarvi già le miriadi di polemiche e accuse di “espropriazione culturale” dell’alto nei confronti della nicchia (un po’ come è successo l’anno scorso a X Factor, quando Fedez ha assegnato “Rape Me” dei Nirvana al suo duo di ragazzini nati che Kurt probabilmente già era freddo). Ma dato che ancora se ne parla, mi sta a cuore commentare il ragionamento di Red Ronnie punto per punto. 

“Non è che uccidono, è che soffocano la musica e impediscono ai talenti veri di andare avanti, quindi fanno cambiare mestiere ai talenti veri.” 

Quest’affermazione, dice RR, gli è stata confermata da Mogol della celebre boyband Mogol&Battisti, anche noto per il successone “SIAE, ovvero come fottere dalle tasche dei giovani musicisti per mettere nelle tasche dei vecchi”. In pratica Red Ronnie, per teorizzare queste teorie estetiche innovative sulla TV che uccide l’arte, sta completamente muto di fronte agli scempi operati dalla SIAE in anni e anni di multe e mal-distribuzione delle rendite. E anzi, oltre a silenziare quel lato, usa il paggetto della SIAE come testimonial. Qualcun altro qui si sente preso per il culo?

Ansaloni continua dicendo che un De Andrè non avrebbe spazio nella televisione di oggi, nella musica di oggi. E che lo vogliamo un altro De Andrè? Mi spiego: senza nulla togliere a lui, alla moglie, alla figlia e al Criber, la dinastia De Andrè, artisticamente parlando, si è tramandata eccome, il problema è che il cantautorato di stampo Faber è quello che, nel 2016, ha la data di scadenza più breve, quello a maggior rischio di contrarre pretenziosità e saccenza, che sono, per farla breve, alcuni dei mali più eminenti del cantautorato italiano. De Andrè poteva essere De Andrè, perché di lui ce n’è uno (scusa Criber), e se qualcuno mi dicesse papale papale che oggi è impossibile che nasca un nuovo De Andrè gli risponderei pure E MENO MALE, cazzo, meno male, perché non se ne può più dei cantautori che cercano di emularne le gesta uscendosene con testi e brani che non hanno nemmeno un centesimo dell’intensità culturale dei suoi. 
Se non nascono altri sciacalli targati SIAE, poi, tanto meglio. 

“Tu prendi dei ragazzi, non li paghi, gli fai un contratto capestro”
Adesso vi spiego questa cosa del capitalismo che in pochi sanno: ad ogni livello della scala di successo ci sono degli strozzini. Se ti avvicini ai livelli in cui—oltre alla cultura e all’arte—circolano anche i soldi, più sono i soldi, più sei a rischio di incontrare gente che ti fa firmare contratti-inculata. È successo a tutti quelli che hanno iniziato a guadagnare cifre non irrisorie, si chiama sfruttamento, e non c’è molto da fare. In particolare, un artista che voglia trascendere dai metodi DIY/indie (nel senso di indipendenti) è circondato da una serie di inculate a forma di esseri umani che lavorano per agenzie/booking/discografiche/locali. La prima cosa che dovrebbe fare un artista che decide di risalire la china percorrendo la “via facile” dei talent è procurarsi un avvocato a cui mostrare i contratti prima di firmarli, per rendersi conto della sorte cui va incontro. A meno che Red Ronnie non sia a conoscenza di stanze segrete nelle cantine dei talent in cui novelli Torquemada in giacca e cravatta torturano questi ragazzini fino a costringerli a firmare col sangue contratti in cui in cambio della voce donano parti del corpo o dell’anima. La realtà è molto meno Fratelli Grimm di così: la realtà è che se decidi di metterti nelle mani di un programma televisivo, paghi l’esposizione con un controllo quasi totale di ciò che sarai, indosserai e canterai, per un periodo che varia in proporzione al successo che ottieni all’interno del programma. Niente di lontanissimo dai consueti meccanismi di sfruttamento cui molti di noi sono sottoposti, indipendentemente dai talent. 

Un altro tema su cui RR insiste nel corso dell’intervista è quello del cantautore travisato e trattato come interprete. Mentre mi sforzavo di figurarmi uno show per cantautori, la mia testa ha immaginato un format ibrido tra il MiAmi e il talent per scrittori Masterpiece—e vi assicuro che mi sforzo sempre di pensare positivo. Con tutto il cuore, voto X Factor. Non per cattiveria, Red, ma i cantautori sai benissimo che si dividono in due categorie, quelli che non ce la fanno e quelli che magari ce la fanno ma non hanno assolutamente intenzione di partecipare ad un talent, e la loro diffidenza ad avvicinarsi ai riflettori è dovuta in parte all’esistenza di moralisti come te che dicono che quei meccanismi sono inutili, controproducenti e soffocano l’arte. E allora li vogliamo o no sti cantautori in televisione? Se ai talent partecipano solo interpreti, ci lamentiamo, se ci entra anche qualcuno che non è solo carne da macello, ci lamentiamo. Ottima strategia, Red. Oltretutto, degli artisti validi che ci sono in giro non si parla mai in televisione perché non c’è alcuno spazio per farlo, e non è che quello spazio andrebbe creato polverizzando i format televisivi che funzionano: andrebbe creato, guarda tu, uno spazio ALTERNATIVO a quei format. Se nessuno ancora l’ha fatto è perché la televisione è piena di anziani moralisti convinti che parlare di musica sia una cosa che comporta ulteriore moralismo, e tu con questi sermoni non aiuti certo a far cambiare idea ai dirigenti di rete. 

Poi Red racconta l’aneddoto di quella volta in cui ha truccato un concorso per far vincere i Negramaro sugli Zeropositivo. Che tornando indietro nel tempo sai quanti danni in meno alla musica italiana avrebbero fatto gli Zeropositivo? Solo io lo penso?

Successivamente, Ansaloni fa riferimento all’industria musicale che sfrutta questi ragazzi, senza andare nello specifico e senza fare nomi ma, vi ricordo, dopo aver nominato nell’intervista Mogol, uno dei principali oligarchi SIAE, e la Caselli, il cui figlio della SIAE è presidente. Elogiare Red Ronnie per la sua coraggiosa filippica contro programmi televisivi senza rendersi conto che i problemi veri dell’industria musicale italiana sono stati sorvolati in maniera omertosa è la versione Internet del vecchio problema del dito e la Luna.  

Se molti cantanti/cantautori/band/progetti musicali non hanno spazio di esistere è anche colpa di quelle discografiche e di quelle società per Autori ed Editori con cui Ronnie è stato colluso per decenni, è colpa dei blocchi legali e pseudo-statali con cui si impedisce ai locali di ospitare musica live senza che passino per un torchio di controlli e sanzioni, è colpa di chi impedisce la circolazione della musica nelle forme alternative a quelle istituzionali castrandola sin dai primi passi, quelli banali, elementari. Di quella burocrazia infinita contro cui tutti i comuni mortali, dai proprietari dei locali a chi ci suona dentro, devono armarsi. Questo, Red Ronnie lo sorvola con un’ingenuità che, da parte di chi per tanti anni è stato a contatto con l’industria musicale, risulta quasi colposa. 

Certo, ci sono parecchie cose da cambiare all’interno del panorama musicale e artistico italiano. La prima sicuramente è la pigrizia, sia da parte degli ascoltatori che da parte di chi, ad ogni gradino della scala, gestisce i media. L’evidenza più grave che emerge è la totale mancanza di punti di riferimento. Alla musica italiana manca una rappresentazione degna, mancano luoghi, reali e virtuali, di aggregazione. Manca la capacità di discernere, ordinare e raccontare ciò che succede oggi artisticamente in Italia, manca qualcuno che superi finalmente il divario anziano tra “mainstream” (quella roba che i vecchi pensano sia solo merda) e “underground” (quella roba che i vecchi pensano ci fosse soltanto quando Red Ronnie ne parlava in televisione) raccontando i prodotti pop nei loro significati profondi e rendendo meno frammentari e anti-sesso i prodotti confezionati senza lo specifico scopo di far bagnare i discografici.
Che poi è un processo che su Internet è già in atto, ma si sa, Internet è ancora troppo volubile e incontrollato come mezzo, tanto che appena un Ronnie qualsiasi fa un discorso grillino di questo genere ci si anima manco fosse lo stesso Grillo a farlo. La stessa sensibilità dovrebbe arrivare in televisione, ma prima ancora in radio, un altro universo piegato alle logiche parassitarie dei grandi Autori&Editori italiani. 
A tale proposito Red, la prossima volta sarebbe bello che i tuoi sermoni non contenessero più soltanto acqua calda, ma qualche riflessione sensata che riguardi anche te stesso e i tuoi amici più cari. Nel frattempo, se ritrovi il pene d'ottone degli Psychic TV, mi raccomando fanne buon uso.


Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_

 

TRANNY, l'autobiografia di Laura Jane Grace

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Ultimamente dormo male, resto sveglia fino a tardi in preda al terrore esistenziale dato dal pensiero che non posso fare nulla per impedire a mia madre di leggere la mia biografia di prossima uscita, e tanto meno di farle scoprire il titolo, che è stampato a caratteri cubitali in copertina, proprio sopra la mia faccia: TRANNY.

Ho pensato e ripensato se fosse il caso di dirle il titolo prima dell'annuncio ufficiale ma poi ho deciso di no. Anzi, non l'ho detto proprio a nessuno a parte a Dan Ozzi, che ha scritto il libro insieme a me, ai componenti del mio gruppo, al mio management e, naturalmente, alla casa editrice, che ha dovuto approvarlo. Non ero sicura che una casa editrice grande quanto Hachette avrebbe accettato un titolo così poco vendibile come TRANNY, ma così è stato, e sono grata per il supporto e la lungimiranza che hanno avuto. Che strana situazione, ho pensato, quella di dover chiedere il permesso a persone non trans e non gender-queer per poter chiamare me stessa, una persona trans, "tranny". 

Ma il titolo è perfetto per il libro. Dopo averci lavorato per mesi e aver scritto diverse migliaia di parole, ho rivelato a Dan la mia idea per il titolo. "Ora che l'ho sentito, non riesco a immaginarlo con nessun altro titolo", mi ha detto. Certo, il titolo ha un intento anche insultante, ma non ci sono arrivata per inseguire il sensazionalismo. Non è che voglia pubblicare un testo autocelebrativo. TRANNY è un'aspra critica della mia vita. Si parla di odio e violenza, anche ricevuta dall'esterno, ma principalmente dall'interno, da me stessa. Sono stata chiamata in modi orribili durante la mia carriera, e le mie risposte ad alcuni insulti mi hanno anche, come è noto, fatta finire in galera. Però ho imparato ad adattarmi, a far miei quegli insulti e a usarli come armatura, il che dovrebbe essere abbastanza evidente leggendo il sottotitolo: Confessions of Punk Rock’s Most Infamous Anarchist Sellout.

Mettiamola così: ho un braccio totalmente tatuato di nero. Se vedete qualcuno con un arto completamente nero, significa che quella persona ha preso decisioni davvero opinabili nella sua vita. Sono sincera e aperta riguardo alle mie mancanze, e le porto letteralmente sulla pelle. Per cui, nello scrivere di queste, mi è parso appropriato indossarle anche tra le pagine che si trovano oltre la copertina che riporta questo titolo provocatorio.

Quella parola ha potere, molto potere. È una parola che viene usata sicuramente nel corso degli omicidi di persone transgender che avvengono in tutto il mondo. È una parola universale per comunicare odio. Sentirla mi fa accapponare la pelle. La disprezzo, tanto quanto disprezzo la persona che ero. Ma amo l'arte e amo la libertà di parola e amo le parole. Nell'arte, la libertà di parola e di espressione dev'essere completa e totale.

Quando ho fatto coming out nel 2012, ero ben preparata a sentirmela urlare contro con ostilità. Avevo anche preparato in anticipo una risposta per quando mi ci fossi finalmente trovata davanti. Sarei dovuta essere semplicemente fredda e calma, e lasciare che mi scivolasse addosso e avrei proseguito per la mia strada. Ma caso ha voluto che la prima persona a chiamarmi "tranny" non fosse un transfobo urlante, bensì un'altra persona transgender. Non ha pronunciato l'insulto con odio, non era arrabbiata con me, lo ha detto in modo naturale. Mi parlava "da tranny a tranny", mi ha detto.

L'annuncio del titolo ha diviso la comunità trans. Ogni mossa della mia carriera si è portata dietro un po' di controversia tra fan e critici, per cui ci sono abituata, addirittura me lo aspettavo. In maggioranza, la risposta è stata positiva e la gente ha capito e ha offerto il proprio supporto alla scelta di rivendicare un termine concepito per disumanizzarmi. Ma alcuni hanno esplicitato il proprio dispiacere, sostenendo che io stia rendendo futili gli anni di lavoro della comunità trans per sbarazzarsi della parola. Ascolto e rispetto tutte le opinioni. 

La critica più estrema accusa la mia scelta di titolo di "portare direttamente al ferimento di persone trans". Un paio di fan indignati mi hanno detto che non avranno mai più rispetto per me. Pur comprendendo la reazione viscerale, il problema è che alla base ci sono dei presupposti sbagliati riguardo a me e al ragionamento che mi ha portato al titolo. Dopotutto, questo è un libro che nessuno ha ancora letto.

Nel mio ultimo album Transgender Dysphoria Blues ho usato la parola “faggot” in una canzone. Nessuno mi ha accusato di nulla, perché tutti l'hanno sentita nel suo contesto, e hanno capito che non è stata detta in senso omofobico. Nello stesso modo, uso "tranny" non per essere transfobica, ma per lanciare una sfida alla transfobia. Ma un libro è meno immediato di una canzone, quindi il contesto non si può percepire immediatamente. 

Ho pensato a come sarà la relazione della mia bambina di sei anni con questa parola. Penso spesso a quando e come la sentirà per la prima volta. Chi glielo dirà per primo? Un altro bambino a scuola? No, vaffanculo. Sarò io a dirgliela per prima. Voglio essere io a mettermi lì con lei e fargliela sentire.

Evelyn, c'è questa parola: "tranny". È la peggior parolaccia che tu possa dire a certe persone, peggio di "fuck" e "shit". Ma tesoro, devi anche capire che alcune persone—anche persone che mi sono amiche e a cui voglio molto bene—usano questa parola liberamente e anche riferendosi a se stesse e non hanno alcuno problema al riguardo, e se va bene per loro non c'è nulla di male.

Le dirò che io personalmente non vorrei mai essere chiamata tranny, che ferirebbe i miei sentimenti. Le dovrò anche spiegare che ho scritto un libro e l'ho chiamato TRANNY, e che dentro questo libro ci sono molte cose su di me che potrebbero essere problematiche da capire. Potrebbero essere tristi o sgradevoli, ma non posso cambiare il passato, posso solo tentare di essere la miglior versione di me possibile oggi. Dopo di che starà a lei decidere che rapporto vorrà avere con la parola e se vorrà usarla o no e come reagirà quando sentirà altre persone usarla. 

Quando i genitori dei compagni di Evelyn mi chiedono che cosa faccio, dico che sono una musicista e una scrittrice. Quando proseguono chiedendomi il titolo del mio libro, rispondo orgogliosamente: TRANNY. Mia figlia sentirà anche momenti come questo, e dovrà capire la differenza data dal contesto in cui la parola viene usata. La sentirà in tanti contesti nel corso della sua vita: in riferimento a me da parte di amici, usata come termine di odio verso di me da parte di estranei e, per dio, la sentirà anche se si troverà mai con me mentre parlo di cose tecniche in un garage automobilistico (facevo il meccanico prima di dedicarmi ai tour full time, ma ne parlo nel libro). Spero che tutti questi usi della parola la aiutino a sviluppare quella reazione fredda come il ghiaccio da emoji con gli occhiali da sole, per cui le scivolerà soltanto addosso e proseguirà per la sua strada. 

In fondo, questa parola rappresenta per tutti una scelta su come usarla o non usarla. E scegliere sta a mia figlia, e sta a voi, e sta a me. Per quanto mi riguarda, non voglio che abbia alcun potere. Non voglio chiedere il permesso di usarla. Non voglio averne paura. Vaffanculo. 

Mentre scrivevo il libro ho pensato molto a Dick Gregory, un attivista per i diritti dei neri, che diede alla sua autobiografia un titolo altrettanto provocatorio. Per cui mi permetto di prendere in prestito un po' della sua logica nel dire che se mai io e mia figlia ci troveremo a camminare per strada e qualcuno mi dovesse urlare contro "Tranny!", potrei chinarmi verso di lei, sorridere e dire: "Visto? Ha letto il mio libro!".

Laura Jane Grace è la frontwoman degli Against Me! e l'autrice del libro di prossima uscita TRANNY.

Rasty Kilo e Stabber sono i pionieri del grime italiano

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Un mesetto fa mi ero mostrato ottimista nei confronti di chi, nel rap italiano, assorbe e reinterpreta input esteri—inglesi o statunitensi—e li trasporta in una dimensione nuova, fatta sostanzialmente di grime. L'organicità di questi terreni consiste nel non avere un margine di vero errore o definizione, e i prodotti finali di una tale ricerca sono anzi, i più promettenti in circolazione. Rasty Kilo e Stabber sono a tutti gli effetti tra i pionieri del grime italiano, e lo si era visto con pezzi come "Crime" o "Champions League", con cui ricordo, molti affiliati all'etichetta Machete hanno avuto di che storcere il naso.

Non siamo di certo stati tra questi. È da poco fuori il loro ultimissimo video "Kilo Season", che potete vedere qua sopra, e per l'occasione ho deciso di farci due chiacchiere su Skype, giusto per confrontarmi con loro sulle riflessioni di cui sopra. Mi hanno raccontato di com'è nato tutto, la suggestione inglese, il confronto con la realtà italiana, e i limiti della scena rap "canonica", cui la loro musica si vuole opporre. È anche venuto fuori che Rasty sa quanto pesava Big Pun il giorno della sua morte.
 
Noisey: Quando avete iniziato a lavorare insieme?
Rasty: Sarà stato un mese prima dell’uscita di “Terror”. Una sera stavo con Gengis e Sine e io gli stavo spiegando che mi era venuta questa scimmia di fare grime, però non sapevo da chi farmi fare le basi. Loro m’hanno subito detto di chiedere a Stabber e il giorno dopo, coincidenza, lui mi scrive su Facebook.
Stabber: No, non è andata così. Il giorno dopo ho postato una traccia mia e ho scritto "Se avete il coraggio provate a rappare su ‘sto beat grime."
Rasty: Giusto. E io gli ho scritto ci rappo io.
 
Eravate predestinati.
Rasty: Ci siamo incontrati in un periodo in cui ero un po’ bloccato. Ricevevo tantissime basi da molti produttori, ma mi sembrava tutta roba già sentita, o comunque che richiamava tracce già uscite di altri rapper. Ero un po’ scoraggiato, ed è per questo che all’inizio gli ho detto [a Stabber] che magari ci avrei messo un po’ a capire come stare su una base grime… E invece ho scritto 16 battute di getto, e ho capito che era il mood giusto.


 
Quando ti è venuta questa passione per il grime?
Rasty: Tre mesi prima di cominciare a farlo. Il primo pezzo che ho sentito è stato di un rapper che si chiama Chronic e che ora si è un po’ defilato dalla scena. Mi piaceva quell’atmosfera e mi piaceva anche il video, mi pare di ricordare una scena in cui lui difende una vecchietta che viene rapinata nel quartiere, qualcosa del genere. Da là mi sono subito saltato all’occhio Skepta, Stormzy e tutti i leader della scena attuale.
Figurati che all’inizio Skepta mi faceva schifo, infatti dicevo a Stabber che non mi piaceva quella base troppo allegra. Poi ovviamente ho rivalutato la mia idea, e ora insieme a Stormzy è il mio rapper preferito.
Stabber: Io invece il grime lo seguo da secoli.
 
Come si è evoluto per te questo interesse?
Stabber: Molto semplicemente ho sempre seguito le sonorità UK, grime, FM synthesis… Le cose tipiche di quella roba che deriva dalla dub e dalla garage. Le ho sempre messe in produzione che si giravano un po’ più sull’hip-hop, il che è lo stesso processo su cui si basa il grime, con ritmiche più articolate. Ultimamente ero ritornato a produrre cose in quella direzione e ho anche fatto delle cose con Digi G’Alessio. Mi sono seduto con Rasty accanto e in maniera molto veloce abbiamo provato a fare qualcosa, non gli ho di certo mandato una cartella di beat con scritto "Scegline uno." Ci siamo messi lì e abbiamo provato a fare qualcosa insieme.
Rasty: Abbiamo provato ad adattare le basi per conservarne una sorta di matrice comune, ma che andassero comunque bene per quello che dicevo io. Qualcosa che non è molto comune al grime londinese.

Su questo punto: la maggior parte dei commenti (apparentemente scritti di fan), sia sotto le tue canzoni che sotto il post dell’altra volta, sostengono che i temi trattati siano un po’ ripetitivi. Io sono dell’idea che, quando c’è un percorso, i fan sono quelli che si impegnano di più per provare a capirlo, pure quando ti dicono che fai cacare. Tu come te li vivi questi commenti?
Rasty: Non me ne frega proprio un cazzo. Io ascolto rap da quando sono bambino e vivo le cose che racconto da sempre, anzi, a volte sono pure costretto a censurarmi, perché se raccontassi quello che ho fatto, quello che ho visto… Non lo posso dire. Se chi mi ascolta venisse tre settimane a Ostia capirebbe meglio quello di cui parlo. Io faccio dei riferimenti costanti a quella realtà perché vengo da lì, sarei finto se non lo facessi. E poi lo sai che c’è? Io rimango molti periodi senza scrivere per poi, ad esempio, scrivere un botto di cose concentrate in un mese, se mi esce quella roba là non posso fare altro.


 
Per te fare un genere che, in Inghilterra, ha un entroterra culturale e sociale molto forte, non rischia di diventare un’appropriazione indebita?
Rasty: Ma più di protesta del mio rap cosa c’è? Non è che si può settare uno standard per la protesta, il mio rap è più contro di ogni altro rapper da centro sociale d’Italia. Io mi sento questo e lo faccio a modo mio. Ho tradotto i testi grime, li ho studiati, perché volevo far uscire una cosa in Italia fatta bene. Allo stesso modo quando mi scaglio contro la trap non me la prendo con Sfera o con la Dark Polo Gang, che la fanno bene, me la prendo con questa moda della trap in cui tutti si mettono a seguire la stessa corrente senza le skill per farlo.
Tornando al discorso della protesta, io non vivo la realtà che vive un ragazzo londinese, io vivo come tutti quelli che stanno ad Ostia, e nella mia musica racconto quello, mi scaglio contro le mie, di guardie, ed è importantissimo che la musica sia così.
Stabber: Io penso che una cosa necessaria, tanto più nella musica italiana che è facilmente influenzabile, sia la libertà di fare un po’ come cazzo ti pare. Io ho sempre fatto il contrario di quello che sarebbe stato consigliabile fare, ma è soltanto perché non m’è mai fregato niente di seguire le mode. Io gli ho proposto delle produzioni vicine alle sonorità UK, ma era essenziale che lui si sentisse libero di affrontarle come più gli importava, anche a livello di testi, e che si differenziasse dai modelli inglesi. Non serve fare qualcosa di eclatante, ma se non c’è mai nessuno che si sente libero di fare il cazzo che gli pare nella maniera più libera, nessuno farà mai scattare quella prima pedina del domino.
 
Ad esempio?
Rasty: Ad esempio guarda Salmo, ha fatto disco d’oro senza un singolo da radio, senza ritornelli, con solo strofe a cannone. Quello è cambiare il gioco, non fare un disco con il singolo che strizza l’occhio alle radio, l’altro che strizza l’occhio alle ragazzine. Io non vorrei mai fare una cosa del genere. Anche se il nostro pubblico pare composto da una manica di rincoglioniti che non capiscono un cazzo, la storia di Salmo ci fa capire che questa roba in Italia si può fare, e si può ottenere successo facendola. In tutto il mondo l’hip-hop sta assorbendo i suoni urban del rap, mentre in Italia succede il contrario… Ma che cazzo significa?
Stabber: Per dirla molto semplicemente, noi non pianifichiamo niente a tavolino. Io faccio dei beat, lui ci scrive delle robe sopra, poi mi manda le strofe e io mi prendo una giornata per fare i miei giochetti. Fine, faccenda impacchettata. La genuinità del gioco sta proprio nel farlo in questo modo. Io credo che nel rap italiano negli anni ci si siano fatte troppe pippe mentali, ora su cosa e ora su come andava fatto. Io sono sempre stato scomodo e lui allo stesso modo, diciamo che c’è un problema cronico di ogni rapper italiano che è arrivare alla conclusione di qualcosa. Tutti i rapper tendono ad avere tempi biblici e per un produttore come me trovare una persona che stia dietro ai miei lavori, è oro.


È vero?
Rasty: Sì, se oggi esce “Champions League” io domani sto già cercando il posto per girare un altro video. Non è che ci mettiamo là a pensare quale pezzo far uscire o quando farlo uscire. Io non rompo il cazzo a lui e lui non rompe il cazzo a me, perché tanto siamo entrambi bravi nelle nostre parti: scrivo, registro e faccio il video. Ed è così che funziona anche a Londra. Il mio unico obiettivo, a lungo termine, è di riuscire a fare una cosa ufficiale nel 2017, quindi quest’anno al limite butteremo fuori una raccolta in free download. Non ne posso più della gente che sta sempre lì a chiedermi ma il disco? Quando esce il disco?
Stabber: Ma faglielo chiedere...
Rasty: È che il disco mi mette una cifra d’ansia da prestazione. Preferisco far uscire un singolo al mese e ora porterò il grime in tutte le città italiane perché aprirò tutti i concerti del tour di Noyz Narcos.
 
E nel frattempo hai creato anche una cosa che si chiama Team Kilo, dico bene?
Rasty: Sì, all’interno ci siamo ovviamente io e Stabber, mio cugino, che sto cercando di indottrinare al grime, due videomaker che mi stanno seguendo in tutti i video, Mattia Del Giudice e Luca Caruso, e un fotografo che lavora per la mia vecchia etichetta, Honiro Label. Si chiama Lorenzo Piermattei, e mi cura le fotografia. Sto cercando di costruire una squadra che lavori intorno a questo progetto a trecentosessanta gradi. Skepta ha vinto dei premi per un video che gli è costato ottanta euro, e io voglio lavorare con la stessa attitudine, circondandomi di persone talentuose. È finita la moda di fare il rap leccato, se sei pischello e vuoi fare subito i video con gli elicotteri, per me stai sbagliando.
Stabber: Io penso che ci sia un problema che prima o poi andrebbe affrontato: nella musica italiana, in generale, senza parlare esclusivamente del rap, c’è una disattenzione cronica per tutto ciò che è genuino e nostrano, e c’è un’attenzione smodata per tutto ciò che è straniero. C’è un’esterofilia incontrollata che si riflette anche nella musica, a volte ai limiti del ridicolo. In Italia ci sono produttori bravi che però diventano famosi solo quando fanno la fotocopia di cose straniere, e ci sono produttori bravi che fanno cose originali e che vengono riconosciuti all’estero, ma che nessuno in Italia ha intenzione di andare ad approfondire. Se anche i rapper si staccassero dalla necessità di fare le cose identiche a Clams Casino, o un produttore trap qualsiasi, si accorgerebbero che ci sono beatmaker italiani con riconoscimento internazionale a disposizione.
 
Hai in mente qualcosa di specifico?
Rasty: il disco di Johnny Marsiglia, che ha un concetto, che ha un mega flow, ma non è stato filato abbastanza.
 
Intendevo se hai in mente qualcosa di negativo.
Stabber: Intendo che proprio da un punto di vista musicale, il rap cambia quando qualcuno crea degli ambienti sonori tali che si definisca un culto intorno a determinati gruppi o artisti. Penso ai Wu-Tang, a DJ Premier, ai Mobb Deep. Si sono definiti degli universi grazie a persone che hanno detto sticazzi, io lo faccio così. Dire sticazzi in Italia a me sembra difficile, perché nessuno riesce mai a staccarsi, nessuno vuole mai provare a sparigliare le carte su cui stanno giocando tutti gli altri.
Rasty: E questa è una cacata per me, è come se in Italia ci fosse il terrore di fare qualcosa di diverso dagli altri. Hai capito quello che ti voglio dire?
 
In un certo senso sì, e per me è apprezzabile che le vostre cose vengano fuori. La speranza è che importare qualcosa di nuovo, reinterpretarlo per primi, portare al confronto due correnti diverse, permetta ad un certo punto di creare una terza via originale e nuova.
Rasty: Ma se vuoi io posso mettertelo per scritto già adesso, non ci sarà un cazzo. Come è andata bene a Sfera una roba, e tutti hanno iniziato a copiarlo, se va bene la roba nostra, sarà tutta una copia di nuovo, e io lo puntualizzerò sempre.
Stabber: Io capisco il discorso di Rasty e da un lato c’ha ragione, però contestualmente, come dici tu, questa cosa è intrigante, perché forse finalmente riporta lo scontro su un terreno di battaglia creativo e non soltanto di chi c’ha il cazzo più grande. Se si dovesse creare qualsiasi tipo di scontro dal punto di vista musicale finalmente si riuscirebbe a fare chiarezza su chi sono i produttori e chi sono… dei salami, fondamentalmente. Questa è una cosa sulla quale punto. Ad esempio per me è assurdo che io e Crookers abbiamo prodotto due tracce sull’ultimo disco di Roots Manuva, che non è l’ultimo arrivato, e non se ne sia accorto nessuno. C’è una situazione davvero troppo poco attenta e se tu dici che questa cosa che stiamo facendo porterà uno scontro, o comunque spariglierà un po’ il gioco, io rispondo: tanto meglio. Io sono sicuro che se prendo un ragazzino qualsiasi, tra quelli che vengono osannati, scopro che non sa utilizzare un campionatore. Non dico che lo deve saper fare per forza, ma è innegabile che sia un tipo di approccio troppo superficiale.
Rasty: Lo sai che c’è? La cosa bella dell’hip-hop per me, da quando sono bambino, è che ognuno è diverso, originale: ogni persona che arriva apporta una cosa nuova in più e fa crescere la scena e il movimento. In Italia invece… Sono usciti i Dogo, e tutti a rappare come i Dogo, è uscito Noyz, e tutti a rappare come Noyz, negli anni Novanta tutti come i Colle. È una merda, ed è pure brutto per noi, perché dopo un po’ ti passa la voglia.
Stabber: Oggi non c’è più gente che ha una cultura di quello che sta ascoltando.
 
Dici che è così?
Stabber: Sì è palese, l’età media degli ascoltatori del rap mainstream ha meno della metà degli anni che ho io. E con questo non voglio dire che sia per forza negativo, però sicuramente non è gente che ha un’interesse ad approfondire la cosa più di tanto, ma vuole solo stare dietro all’hype del momento, che probabilmente durerà solo due settimane. Nessuno si mette a fare un disco o una canzone pensando che questa cosa possa durare più di una parentesi e andare a costruire una cultura reale. Quando negli anni Novanta ero ragazzino io non c’erano i quattordicenni di adesso che si scrivevano le frasi sul diario, non c’era Instagram, non c’erano le frasi dei loro rapper preferiti sotto le immagini del profilo.
Rasty: In tutto il mondo il rap se lo sentono anche i bambini, ma non capisco perché in Francia sfonda uno come Lacrim se lo ascoltano dai 12 ai 35-40 anni. Qua invece non c’è evoluzione, non succede mai che un adulto si ascolti ‘sta roba. Quando io ho cominciato dopo due mesi ho mollato i Flaminio Maphia e Piotta, ho voluto scoprire cosa ci fosse dietro ed era la cosa più bella: ho voluto capire e sviscerare quello che stavo ascoltando.
Stabber: Io gestendo un’etichetta mi accorgo che l’attenzione sulle cose si è davvero abbassata, tenere l’attenzione su un EP è davvero complicato perché per cinque tracce ci vogliono cinque premiére, per riuscire a tenere un’attenzione di due settimane su quest’EP, che magari ha richiesto quattro mesi di lavoro.


 
Eppure questo non è per forza negativo, è solo indice di una maggior disponibilità di informazioni.
Stabber: Quello che dico io è che ad un certo punto uno deve tirare i remi in barca e decidere se preferisce seguire gli altri con la sua canoa verso il precipizio o fermarsi un attimo e inventare un’altra cosa, che magari non cambia il corso dell’acqua, però aiuta qualcuno a non gettarsi di sotto.
 
E questo direzione diversa è stata facile da seguire, ad esempio per te Rasty, è stato diverso l’approccio alla scrittura?
Rasty: L’unico bucio de culo che ti devi fare è che dopo trenta barre che scrivi stai ancora a 10 secondi di beat e ti chiedi ma quante parole devi dì? In ogni caso il grime mi stimola, se tu ora ascolti gli altri rapper e poi ascolti me, ti accorgi che Stabber ha lavorato davvero sodo al mio sound, che è riconoscibile e unico. Non mi fa solo dei beat, crea un sound che nella mente delle persone diventa il sound di Rasty Kilo. Non ho mai avuto un produttore che curasse così bene la parte che c’è dietro la mezz’ora in cui si registrano le strofe.
Stabber: Il grime nasce in modo molto rozzo ed è evidente che alcune sonorità sono riprese pari pari da altri generi urban dell’epoca.
 
Anche perché erano le stesse persone a fare grime, dub o garage.
Stabber: Esatto, e inizialmente non c’era molta distinzione tra le cose e i suoni sono sempre gli stessi, ma un minimo più articolati e storti, che più o meno è il contrario di quello che un rapper vorrebbe sentirsi sotto. Dopo tanti anni di produzione ho imparato che ai rapper le cose strane non piacciono, perché lo distraggono dal suo pensiero.
Rasty: E invece questo è quello che mi piace, perché io non mi ci sento nemmeno un rapper. Sono tutto quello che non è un rapper, non nei canoni italiani almeno. Quando mi ha mandato “Terror” la cosa che mi ha affascinato di più era che ad un certo punto la base cambiava completamente.
 
Infatti è divertente pure da ballare, cioè superati i vent’anni ho iniziato a fare un po’ fatica a star dietro all’immaginario del concerto rap, questa cosa invece riesco a fruirla in modo diverso.
Rasty: Io voglio che il mio sia un concerto punk: voglio vedere la gente pogare. Un concerto grime è una cosa differente, non devi stare là con la mano alzata a tenere il tempo.
Stabber: Per chi come me ha ascoltato anche viene naturale questa attitudine.
Rasty: E lui mi ha aiutato a capirla quest’attitudine, perché io ad esempio sono un nerd per quanto riguarda la storia dell’hip-hop classico, so anche quanti chili pesava Big Pun quando è morto.
 
E quanto pesava?
Rasty: 308 o 309 chili. Pure Biggie era bello grosso, tanto che quando gli hanno sparato era così grasso che il sangue non usciva dai fori dei proiettili, si fermava nei tessuti adiposi. Non sapevo un cazzo del grime, ma lui mi ha insegnato tutto.
Stabber: Diciamo che è stato bravo a lasciarsi affascinare da un certo immaginario, che è anche quello che ha conquistato me al principio: quell’approccio cafone, da campetto da basket con tutti quanti dietro a saltare. Anche nel video di “Shutdown” c’è solo della gente vestita di bianco con quattro palle così di stare davanti a una telecamera armati soltanto della propria attitudine. Il grime è più divertente, ecco cosa: è semplicemente più divertente.

 

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Fermi tutti! A maggio inizieranno le riprese del sequel di Trainspotting

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I sequel delle pietre miliari del cinema, spesso, sono un'idea di cattivo gusto—specie se arrivano a distanza di anni. Nessuno si sognerebbe mai di far riapparire un Mean Girls 2 dal nulla, né Carrie, e se mai qualcuno dovesse asserire che preferisce Grease 2 all'originale si tratterebbe sicuramente di un errore del sistema.

Detto ciò, siamo abbastanza sicuri che Trainspotting 2 sarà una bomba, principalmente perché godrà dello stesso sceneggiatore, regista e cast, e stando a quanto ha detto Ewan McGregor a Vice, “Sarà incredibile”, e si sa, Ewan McGregor ha sempre avuto un grosso appeal nel dire le cose. Non sono le uniche parole uscite dalla sua bocca, però. In un'intervista per Collider  ha rivelato che le riprese inizieranno a maggio di quest'anno. Cioè fra poche settimane.

“Inizieremo a girare a fine maggio," spiega, aggiungendo: "la sceneggiatura è arrivata da poco, ed è davvero fichissima. Se non fosse così nessuno di noi sarebbe più qui. Siamo tutti ben consapevoli di cosa significa Trainspotting per il pubblico, e soprattutto di cosa significa per noi.”

E poi ecco, se ancora non foste convinti che un sequel di Trainspotting sia una potenziale figata, ha continuato a ripetere: "Nessuno di noi vorrebbe mai che al film sia associato un sequel scadente. Se non ci si fosse presentata davanti una sceneggiatura eccellente, quale è questa, non ci sarebbe stato alcun modo di farci tornare tutti quanti. Ma siamo qui, e un motivo c'è." 

Fino ad allora non resta che riguardarci fino alla follia il trailer originale del primo Trainspotting.

I Wire continuano a spaventare e affascinare con il loro nuovo singolo "Internal Exile"

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Foto via Facebook.

I Wire sono uno dei pochi gruppi la cui musica, a quasi quarant'anni dal primo album, rimane fresca e interessante e avvincente. A differenza di vari artisti loro contemporanei, prigionieri di un personaggio o di un suono o di una serie di hit, il quartetto londinese sembra avere sempre qualcosa da dire e poco da dimostrare a fan che hanno imparato ad aspettarsi una certa imprevedibilità, ma soprattutto un certo stile. 

Annunciando un nuovo album in uscita il 22 di aprile per l'etichetta pinkflag, dal misterioso titolo Nocturnal Koreans, la band ha lanciato un nuovo singolo intitolato "Internal Exile". È una breve traccia che riprende lo stile dell'ultimo album omonimo, arricchendo il suono nervoso e frammentato tipico delle chitarre Wire con morbide bordate di synth e una slide guitar malinconica, dando al tutto una patina pop irresistibile, resa come al solito inquietante dalla voce distaccata e sottile di Colin Newman. A tal proposito, se non desiderate assorbire immediatamente il suo accento vuol dire che vi manca il pezzo di cuore deputato al linguaggio e alla musica. Peggio per voi. Good afternoon

Ascolta "Internal Exile" qua sotto e pre-ordina Nocturnal Koreans dal sito pinkflag.

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Sexy x sexy = sexy al quadrato: The Weeknd ha remixato "Rambo" di Bryson Tiller

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Se c'è una cosa che si sa per certo di The Weeknd è che si tratta di un noto amante del sesso. La sua musica si adatta perfettamente alle luci rosse, tanto che mette quasi a disagio ascoltarla nella fredda luce del giorno mentre stai cercando di assemblare il menù più abbondante ed economico possibile in pausa pranzo al supermercato, indossando pantaloni macchiati di caffè. Allo stesso modo, Bryson Tiller—che probabilmente non conoscete altrettanto bene (a meno che non vi siate studiati il nostro profilo di qualche mese fa)—è un rapper tanto sensuale che ha chiamato la sua musica "trapsoul", e questo neologismo gli è piaciuto così tanto che l'ha usato come titolo del suo primo album. Era logico aspettarsi che i due si sarebbero incontrati prima o poi. Sexy trova sempre sexy.

Dopo la comparsa online di un breve assaggio qualche giorno fa, The Weeknd ha pubblicato il remix completo di "Rambo" di Bryson Tiller, che comprende barre che vanno molto a fondo—tipo, se Kanye West ci era "dentro" nel 2013, allora The Weeknd adesso ha stabilito il punto di riferimento per quanto riguarda l'esserci "dentro" oggi. Ci ricorda, nel caso ce lo fossimo scordati, perché ci siamo tutti innamorati della sua voce fin dall'inizio; è veloce, ansimante e abile tecnicamente. Ma testimonia anche la bravura di Tiller, che va talmente forte da costringere The Weeknd a levare tutte le pause per potergli stare dietro. 

Ascoltalo qui sotto.

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Andy Stott è andato a New York

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Andy Stott ama viziarci. Tra i suoi lavori solisti e quelli con l'amico di sempre Miles Whitaker a nome Millie & Andrea, non fa mai passare tanto tempo tra l'elargizione di una delizia musicale e l'altra. Da We Stay Together all'ultimo Faith In Strangers non ne ha davvero sbagliata mezza. Il 2016 sarà l'anno del suo ritorno solista: Too Many Voices esce tra un mese ed esce ovviamente per Moden Love.

Il primo estratto è "Butterflies", che piana fragile e oscura come sempre, accompagnata da un video in cui una New York spettrale si muove lenta ma come rapita.

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Diamanda Galás l'immortale

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Foto di Austin Young

Quando il Roadburn Festival, il tempio celebrativo della musica extra-generi che è iniziato nel 1999 in Olanda, ha invitato il frontman dei Cathedral e capo della Rise Above Records Lee Dorrian a curare un evento chiamato Rituals Of The Blind Dead, nessuno si aspettava l'ordinario. Del resto, lui è famoso per la sua devozione alla speleologia discografica che lo spinge nelle più profonde caverne del punk, del rock e dell'heavy metal, e per essersi preso il grande rischio di pubblicare sulla sua etichetta DIY band come Electric Wizard, Sunn O))) e Ghost... ah, e poi ha anche cantato nella prima formazione dei Napalm Death. Seguendo le orme di David Tibet dei Current 93, di Tom G. Warrior dei Celtic Frost e di Mikael Åkerfeldt degli Opeth, è la seconda volta di Dorrian al timone (nel 2008 il Roadburn ha ospitato il ventesimo anniversario della sua label) e vede la convocazione dell'artista noise concettuale Russell Haswell, delle leggende punk giapponesi G.I.S.M. e dei pionieri del death metal Repulsion. Ma il gioiello più brillante della sua direzione artistica è l'inquietante pianista e cantante Diamanda Galás.

“Ho scoperto Diamanda Galás sulla famosa trasmissione del venerdì a ora di cena The Tube, su Channel 4, intorno a metà anni Ottanta. L'intensità terrificante di quella performance mi ha portato a voler scoprire di più", spiega Dorrian. "Dire che Diamanda è unica è un vero eufemismo, e il suo primo concerto che ho visto nel 1990 rimane uno dei più viscerali cui abbia mai assistito. 'Cupa' sembra una parolaccia da usare per descrivere la sua musica, ma lo è senza dubbio, cupa al livello più estremo.”

Pur essendo nata in California nel 1955 da genitori greci ortodossi, non c'è nulla di ortodosso nel viaggio di Diamanda che l'ha portata a diventare una delle musiciste più importanti della nostra epoca. Dopo aver studiato da cantante operistica, si è esibita per la prima volta nel 1979, in un'opera a cui ha lavorato insieme a Vinko Globokar e Amnesty International, sull'arresto e la tortura di una donna turca per alto tradimento. Nel 1982 ha pubblicato il suo album di debutto, The Litanies Of Satan, uno scarno paesaggio sonoro fatto di urla agghiaccianti, formule magiche e poesia che faceva sfoggio delle sue note acrobazie vocali e comprendeva un brano performativo di diciotto minuti intitolato Wild Women With Steak Knives. Ha cantato e creato lavori privi di compromessi su temi come salute mentale, femminismo e AIDS. Nel suo album del 1994 The Sporting Life, inciso in collaborazione con John Paul Jones dei Led Zeppelin, ha dato forma a una sadica fantasia di castrazione, stupro maschile, tortura e omicidio. La sua carriera è stratificata e impressionante per la sua varietà; ha esplorato i mondi rock, blues, jazz e opera, e i diversi medium di spoken word, cinema e letteratura, sempre imponendo le proprie condizioni. 

Senza paura di addentrarsi in territori scomodi, tanto per le materie con cui lavora e per il puro estremismo delle sue composizione, abbiamo ottenuto di parlare con l'innovativa artista la cui lingua è tanto tagliente e brutale quanto la sua arte. Ride sonoramente nel parlare di età, di disonestà dell'industria musicale e dei musicisti mediocri che si attaccano a lei come sanguisughe in cerca di una briciola di credibilità. È diretta, caparbia e molto, molto acuta. Oltre a una piccola anticipazione su cosa dobbiamo aspettarci da lei al Roadburn e dai suoi progetti futuri, ci ha parlato con fermezza di integrità nel comporre musica, delle sue influenze, del suo rispetto per Kesha e della sensualità di Peter Steele. Come ha detto perfettamente Dorrian: "Dire che Diamanda è unica è un vero eufemismo".



Noisey: Presto ti esibirai al Roadburn, uno dei festival più vari e più estremi, in termini di lineup: ma è pronto ad affrontare Diamanda Galás?
Diamanda Galás: Non conoscevo il festival prima. Le persone che lo organizzano sono molto gentili e ho visto e sentito soltanto buone cose al riguardo, per cui non vedo l'ora. Non so che tipo di pubblico ci sarà, ma, guarda, il pubblico è il pubblico e una fa quello che può, è l'unica cosa da dire. Una volta ero a un festival punk o qualcosa del genere, e volevo iniziare con quest'aria operistica. Non mi interessava se a loro sarebbe piaciuta o no, perché ero ossessionata da quel brano in particolare. La reazione fu, be', li mandò fuori di testa. "Che cazzo? Dove mi trovo?" Sono molto interessata nella musica che faccio, e se al pubblico non piace, be', sono un'eremita, mi piace lavorare solo sulle cose che mi interessano. 

Che cosa si deve aspettare dalla tua performance il pubblico del Roadburn?
Comincerò con una poesia sul suicidio di Cesare Pavese, cantata in stile operistico. L'accompagnamento sarà suonato con un synth analogico, è una cosa piuttosto incredibile. Le parole sono incredibili e richiedono questo stile di canto, lo esigono. Per questo festival, farò anche Henri Michaux, un poeta belga molto famoso. È una maledizione per voce e piano. La sua idea era che la musica dovesse essere martellante per la maledizione; doveva essere precisa, le parole comunicate in molti modi diversi per farle agire come proiettili. A lui interessava farla come una poesia, e come una poesia era recitata ai tempi o nelle culture in cui gli atti magici erano importanti e rispettati. E poi farò "O Death"—faccio la mia versione, come tutti. Dicono sia stata scritta da Ralph Stanley ma non è vero, è tradizionale. A dir la verità, le parole vengono dalla Scozia, e poi arrivarono in America, e poi finirono per trasformarsi in una canzone da cowboy. Si tratta letteralmente di cowboy che cantano per la luna; ululando, gridando verso la luna, ma per lei è molto bella da sentire. Potrei anche fare qualche cante jondo, che è un canto della Spagna Meridionale. Ci saranno anche alcune canzoni francesi, ma non lo definirei un concerto rock. 

Proietterai anche il tuo film Schrei 27, una collaborazione con Davide Pepe. Viene descritto come "urla di dolore gutturali e penetranti, crescendo di suoni umani crudi, richiami primordiali viscerali ed espisodi di silenzio che formano l'aria prolungata del dolore" e gira attorno al concetto di tortura dentro gli spazi ristretti di un istituto medico. Molte delle tue composizioni trattano temi strazianti di natura psicologica o politica, mentre sono pochi gli artisti che decidono di esporre il proprio pubblico a queste esperienze oscure e indigeribili, prediligendo l'intrattenimento. Sarebbe il caso di mettere un avviso fuori dai tuoi concerti che metta in guardia per un'esperienza potenzialmente traumatica? 
Non lo so, penso che quello che faccio intrattenga [ride]. Mi sento molto malata, fisicamente e mentalmente quando sento i canti di Natale. Mi sento così arrabbiata che mi viene voglia di tirare fuori un fucile di precisione appena sento quel tipo di musica. E i musical di Broadway con le loro canzoni sentimentali, quel tipo di cosa è terrificante per me perché mi fa rivivere ricordi di tanto tempo fa e non so esattamente cosa siano ma mi distruggono, mi spezzano il cuore, l'anima. Iannis Xenakis, il grande compositore greco, ha detto la stessa cosa. Non riusciva ad ascoltare la musica che gli aveva fatto sentire sua madre quando era giovane, perché era una sensazione simile a pensare a una persona che viene squartata. Ed è così anche per me, se faccio una canzone convenzionalmente bella, la mia interpretazione la porta da un'altra parte perché mostra la morte della vergine, l'animale che esce in primavera e viene ucciso da un cacciatore. La bellezza convenzionale mi mette in allarme, per cui tendo a creare una giustapposizione tra una cosa che può essere bella e una cosa molto dura, solo perché mi sembra che nella vita vadano sempre insieme. Lo faccio per salvarmi, per proteggermi e non sembrare una specie di Bambi. Ho troppa paura e preferisco restare in guardia.

I miei argomenti sono estremamente psicologici e so che dicono che la psicologia è politica o roba del genere, io questo non lo so, ma in Schrei 27 creo suoni polifonici, a volte tre suoni allo stesso tempo in diverse estensioni su una scala, per me questa è una cosa bella. Non concepisco che qualcuno la veda come una cosa brutta. Per me, una cosa brutta è una cosa grossolana, ripetitiva, squallida, semplice, non come una ballata country ma come una versione amatoriale della musica noise. Bleah, è come prendere una scorciatoia. "Stai prendendo di nuovo la scorciatoia, la via più semplice. No, no, no. Torna nel vicolo stretto e vedi cosa succede". 

Collaborerai con altri musicisti al Roadburn?
No, da anni ormai lavoro da sola, e il problema di lavorare da sola è che trovo sempre più obiezioni a portarmi altra gente in tour. Questo succede perché chi mi vede fare i concerti da sola pensa: "Oh, non ti serve nessun altro allora". [ride] Non mi puoi dire cosa devo fare, bello, sono io a decidere. Al momento mi sento molto più libera di fare quello che mi pare. La mia prossima produzione avrà sicuramente bisogno di altri musicisti, percussionisti in particolare. Ci sono molte cose che sto cercando di fare in questo momento e non posso fare tutto allo stesso tempo. Non posso tenere le redini di tutto, non è possibile fisicamente e mi sto avvicinando a un punto in cui sento che devo essere più sociale [ride].

L'idea di una "prossima produzione" ci rende felici, ma ci permettiamo di chiedere, avendo appena compiuto sessant'anni, sei tentata di andare in pensione? Ti preoccupano cose come l'età e il tempo?
Mi preoccupo di finire il tempo, quello sì. Vivendo a New York basta che io esca di casa e non veda l'autobus che arriva, qualunque cosa potrebbe ammazzarti in ogni momento. Mi preoccupo perché ho un sacco di lavoro da fare e mi serve tempo per farlo. Sì, ci sono volte in cui dico che non voglio lavorare, che non ho più voglia di lavorare, ma cos'altro posso fare? Non posso giocare a bowling perché ho le mani fottute dal suonare il piano. Le mie mani sono come la geografia di una suonatrice di piano. Rido quando le guardo.

Mi preoccupo di non riuscire a fare tutto ma per quanto riguarda il ritirarmi, io non ci credo e penso che quando la gente smette di lavorare si becchi la demenza senile. Prendi un meccanismo attivo che ha bisogno di essere oliato, se lo fermi lo uccidi, per cui non è possibile per me. Perché dovrei fare una cosa così insensata solo perché l'ha detto qualcuno? Gli artisti dovrebbero sopravvivere secondo regole diverse. Questo tipo di lavoro è molto intenso, dico sempre che è come piantare le unghie nella carne, non è come un lavoro normale. Il modo perfetto di uccidere qualcuno è renderlo completamente inutile a se stesso, a ogni società, a parte quelle che vivono sui campi da golf. 

La gente si preoccupa tanto dell'età. Io dico sempre che sono più giovane della primavera e più vecchia di Dio. Quando ero molto giovane, mi sentivo molto vecchia perché ero completamente disconnessa da tutti quelli che mi circondavano. A noi donne dicono che diventiamo vecchie quando compiamo vent'anni. È una vera crudeltà. Mi sono sempre sentita più giovane della primavera e più vecchia di Dio lavorando; se non lavoro mi sento come tutti gli altri, come se non sapessi dove sto andando. Non so cosa sono, è orribile.

Tornando alla rivelazione del fatto che lavorerai con altri musicisti per il tuo prossimo progetto: sei sempre stata fieramente indipendente e hai raramente collaborato con altri. Hai una lista di artisti con cui desideri lavorare, o sono loro a cercarti?
Sono loro a cercarmi. Ho tantissime richieste e non riesco ad assolverle tutte. Sono troppo occupata a lavorare alle mie cose e a dir la verità alcune di queste sono senza dubbio interessanti, ma molte devono prima imparare qualcosa sulla musica. Ho ascoltato alcuni demo e, dio mio, siete sotto antidepressivi? Be', non dovreste. Dovreste sapere quanto siete tremendi prima di mettervi in testa queste belle idee e chiedermi di suonare con voi. Dovreste imparare la musica e poi farvi fare le foto. Non viceversa. C'è questa ambizione molto strana, è come se la gente facesse musica apposta per farsi fotografare.

È facile supporre che molti musicisti sarebbero felicissimi di lavorare con te per darsi un tono; una collaborazione con Diamanda Galás è una bella spinta per il cachét.
Quanta pigrizia. E sai cosa, mio padre mi diceva semrpe che c'è un solo metodo, quello Socratico, e che è un metodo di prima classe. Dice chiaramente che non ci sono scorciatoie. Ornette Coleman diceva: "Voi pensate che io suoni free di qua e free di là, ma siete pazzi? Io vengo dal blues, ho imparato un sacco di altra musica molto bene, ed è per questo che sono stato in grado di arrivare fin qui". L'ha detto. "Sono stato in grado di arrivare fin qui grazie a quello, non perché ho preso in mano uno strumento a fiato e improvvisamente ho deciso che ero un genio". 

Che cazzo di atteggiamento è? Gente che suona per un anno, prende in mano la chitarra e tutti gli dicono che sono geniali. Lascia perdere tutte quelle medicine che ti rendono così felice, man. Lascia perdere gli antidepressivi, mettili via e ascolta quello che stai facendo. Ascolta i grandi musicisti, di ogni campo, non solo del campo a cui aspiri. È facile dirlo per me perché ho passato così tanti anni a imparare e continuo a imparare, sempre.

Hai citato Ornette Coleman: ci sono altri musicisti che ti hanno ispirata? Non hai mai voluto rivelare questa informazione, arrivando perfino a prendere in giro la stampa e mandarla fuori strada citando una cantante jazz come Patty Watters. Che cosa ascolta Diamanda Galás a casa per radio?
[Ride] L'unica cosa che si può sentire per radio è Beyoncé, penso che abbia comprato la stazione radio. Spesso non mi va affatto di ascoltare musica perché ce l'ho già sempre in testa. Se sto lavorando su qualcosa, mi serve il silenzio perché nella mia mente ci sono tutte queste note, è claustrofobico. A volte vorrei essere in grado di scuotermi il cranio per svuotarlo e non sentire più niente.

Ma capita che ti imbatti in qualcosa e dice "Oh, questo è straordinario", ma sono pessima con i nomi. Un giorno scriverò una lista di tutti i cantanti e musicisti che adoro, perché la gente rimarrebbe scioccata di sentire che una delle mie cantanti preferite è Carmen McRae. I suoi fraseggi sono straordinari e la gente non si aspetta di sentire una cosa del genere. Si aspettano di sentirmi nominare Patty Waters e sono io ad averglielo messo in testa [ride].

Parlavo di lei in continuazione perché mi offendeva il fatto che nessuno la conoscesse. Mi sono inventata una dichiarazione al riguardo intenzionalmente, così la gente si sarebbe accorta di lei e io ho detto, senza Patty Waters non ci sarebbero Diamanda Galás o Yoko Ono. Ammetto che ho inventato questa dichiarazione e che non è vera nel mio caso. Non so se sia vero nel caso di Yoko, ma il fatto è che la stampa, essendo la stampa, l'ha ripetuta circa cento volte e io rido ogni volta che la vedo.

È vero che Yoko Ono ha visto un tuo concerto e poi ha detto in un'intervista che tu ti ispiravi a lei? Ricordo che tu dicesti di esserti arrabbiata moltissimo.
Quello è il motivo per cui nominai Yoko Ono in quella frase, per darle una lezione. Yoko, consigliata dal figlio, venne a vedere due miei concerti che erano completamente in nero. Mi invitò a una sua performance e, guarda un po', era tutta al buio. Oh, vaffanculo, per favore. Non sa cantare, sa giusto usare un po' la voce, ma devi usarla quattrocento volte meglio se vuoi arrivare su marte. Ci sono milioni di cantanti che hanno creato opere straordinarie e lei non ci si avvicina minimamente. Ho sentito tanta di quella musica e le mie influenze sono così tante che Patty Waters non ci rientra esattamente, ma di sicuro mi ha aperto gli occhi. Adoro lei e adoro Annette Peacock e, dio mio, la lista di cantanti che amo è lunghissima. Hendrix è stato la mia prima vera ispirazione, oltre a Chopin. Oh, e ti dirò chi è il mio cantante maschio preferito di tutti i tempi: Peter Steele. Oh dio mio. La sua voce non è sexy. È il sesso

Quali artisti contemporanei sono assimilabili a te, secondo te? Le tue performance sono così varie che è difficile categorizzare la tua musica; come dice Lee Dorrian, sei davvero unica.
Non so cosa significhi contemporanei, perché, questo è sempre un problema per me, significa in un raggio di trent'anni, vent'anni, una generazione, intendi persone che sono attive al momento facendo lavori di voce incredibili? È difficile a dirsi. Io faccio un sacco di cose diverse, specialmente con il pianoforte. Il piano è stato il mio primo strumento, ben prima della voce, per cui io non dico di essere una cantante, ma ci sono molte cantanti nel mondo che stanno facendo cose molto interessanti. Come artista, il motivo per cui devo mantenere la mia voce così flessibile e forte è che le cose che sento richiedono una certa forza e un certo vocabolario sonoro. Non sento altri cantanti che hanno un vocabolario vocale così ampio, e non è il loro compito. Ester Phillips non aveva certo bisogno di un vocabolario di suoni particolarmente ampio, il fatto è che io ne ho bisogno; più di quanto abbia bisogno di strumenti elettronici o di amplificatori. Ecco perché ho studiato così a lungo e continuo a studiare. Ri-imparo in continuazione, prendo una lezione o due e penso: "Porco cazzo, chi ti ha messo in testa che sei una cantante? Che viaggio ti eri fatta?".

Ho intervistato moltissimi musicisti e nella mia esperienza i grandi virtuosi dello strumento sono gli unici che ammettono di stare ancora prendendo lezioni, mentre i mediocri pensano di essere i migliori in circolazione. 
Molti chitarristi non vogliono mai parlare di queste cose per non rovinare la loro reputazione per cui sarebbero nati con una cazzo di chitarra infilata nel culo. Quando sento una chitarra, ecco cosa penso: "Baby, ce l'hai fatta di nuovo, sei riuscito a infilarti di nuovo quella chitarra nel culo ed è per questo che stai suonando note orribili invece di quelle giuste". Cristo, che dio ce ne scampi. Non sopporto di andare ai concerti dove ci sono questi cantanti maschi orribili che camminano in giro per il palco come se stessero facendo una sfilata. Baby, prova a fare il modello intanto che impari a cantare, perché io non sento nulla qui. La tua band si sta sbattendo tantissimo a suonare e tu te ne stai lì, a fare le mosse o a saltare in testa al pubblico. Qualunque cosa tu stia facendo per me va bene, fa' quello che ti pare ma mostrami qualcosa. 

Un altro esempio di quanto tu sia impossibile da confrontare è che non ti sei mai piegata alle convenzioni dell'industria musicale. Hai infranto tutte le regole dei big boys suonando sempre quello che ti pare, affrontando tematiche controverse senza compromessi. È stato difficile?
Non ho mai voluto seguire le regole dei big boys, so quali sono e so quanto sono idiote. Mi sono trovata ad annullare tour all'ultimo minuto senza poterci fare niente perché non avevo i soldi per assumere un avvocato, sarei finita totalmente in bancarotta. Conosco quelle regole, esistono, ma io proprio non ce la faccio. Non è un problema morale. È un problema musicale. È quello che sento. Riesco a suonare solo quello che sento. Non posso suonare qualcosa che non sento. Mi annoierei, lascia perdere. Non è la loro musica, è la mia musica. Mi fa davvero in cazzare. Andassero affanculo. Voi brutti maiali grandi e grossi avete una fonte di reddito sicura, ma non sapete nulla di musica. Non sanno nulla di che cosa interessa davvero al pubblico e propongono sempre la stessa merda. Questa gente non mi interessa.

È interessante che tu ti esprima in questi termini proprio nel momento in cui un'artista pop come Kesha si vede negato il diritto a creare dalle "regole dei big boys". Anche se immagino la sua musica non sia proprio per te.
Questo non importa. Non importa. Quei bravi ragazzi, dovrebbero mettersi in cerchio con il cazzo di fuori e un rasoio in mano e lavorare di lama. È una storia vecchia come il tempo, e ci sono così tante idee che attirano la mia attenzione quando ci penso, ma è parte integrante di quasi ogni campo lavorativo. È la cazzo di cultura dello stupro. Sarebbe un tuo diritto prendere un fucile e poi farti la tua galera, per quello che queste donne devono affrontare. Nessuno crede loro. Anche la gente più comune riesce a inventarsi le bugie più fantasiose sulle donne. La situazione mi fa molto arrabbiare. E quello ceh dicono sempre è che cerca solo di far parlare di sé. Per quale stramaledetta ragione qualcuno dovrebbe voler finire in prima pagina in questi termini? Una persona non va in cerca di notorietà dicendo che un'altra persona ha abusato di lei. Non è un titolo particolarmente attraente.

Ti dico una cosa, voglio lodarla infinitamente. Ho un enorme rispetto per lei perché questa non è una mossa che piace alla gente. Non è il tipo di cosa che fai per farti degli amici e per questo l'ammiro davvero. Penso sia notevole. È un'antica verità che continua ad aggiornarsi, e non va bene.

Diamanda Galás si esibirà al Roadburn Festival a Tilburg, Olanda, il 15 aprile, nel contesto dell'evento "Rituals Of The Blind Dead" curato da Lee Dorrian. Il suo film Schrei 27 sarà proiettato il 16 aprile.

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Boring Machines X: Onga intervista Von Tesla

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Per Boring Machines il 2016 è un anno speciale. Il buon Onga festeggia infatti dieci anni di sudore al servizio dell'underground del nostro paese. I festeggiamenti prenderanno varie forme, ma la più importante di tutte sarà l'edizione straordinaria e post-mortem di Thalassa, il festival di Italian Occult Psychedelia che credevamo definitivamente chiuso, e che invece riprende vita (dal 31 marzo al 2 aprile al solito DalVerme) col nome di Ongapalooza. Dal canto nostro, abbiamo voluto celebrare la label facendo le cose al contrario: ovvero abbiamo mandato Onga stesso a intervistare un po' di artisti che sono stati importanti per la storia di BM, sperando che poi che non si metta in testa di rubarci il lavoro. In questo episodio: Von Tesla.

 

Von Tesla prima era Be Invisible Now! e anche Be Maledetto Now!, in coppia col cugino Giotto "Maledetto" di Squadra Omega. È stato il secondo musicista che si è azzardato a fare uscire della musica sull’allora neonata Boring Machines ed ha percorso un bel po’ di anni e di chilometri col sottoscritto. Ho sempre detto che se il mondo musicale, anche underground, si basasse un po’ meno sull’hype e più sulla sostanza, sarebbe probabilmente una superstar dell’elettronica nel nostro piccolo, microscopico mondo. Un giorno, riuscirò a mettere le mani sulle SD dei suoi strumenti e a rubargli tutti quei suoni incredibili che ha registrato finora, ma che per un eccesso di autocritica ha sempre ritenuto non degni di essere fatti sentire fuori dal suo studio. 

Onga: Quando e perchè hai pensato per la prima volta che Boring Machines potesse essere una casa accogliente per la tua musica? Ti ricordi come è stato che la tua musica è finita nelle mie mani la prima volta? 
Von Tesla: Credo che il primo contatto sia avvenuto via web dopo aver sentito delle mie tracce uploadate (quello che sarebbe stato poi l’embrione di Neutrino). Ci ha poi presentato qualcuno forse? Comunque quando ci siamo incontrati c’è stato un "ah, ma sei tu?". Ci saremo incrociati un sacco di volte, ero già stato a dei tuoi DJset ed eventi. Da li a poco c’è stata la decisione di pubblicare il disco.

Mi piacerebbe sapere, al di là dei classici “apprezziamo molto il vostro lavoro”, cosa ci vedevi in Boring Machines, che allora era appena nata. Quali sono le cose che ti hanno attirato a me?
Neutrino è stata la seconda uscita di Boring Machines, era l’inizio, così non sapevo cosa aspettarmi di preciso. Personalmente è stata la mia prima release ufficiale in solo e da li si sono aperte un sacco di possibilità tra live, recensioni, altre uscite per Boring Machines e, oltre al piano musicale, un mio piccolo supporto sul lavoro grafico.

Ho sempre professato e praticato una forte indipendenza, anche a rischio di perdere alcuni treni per il mio personale desiderio di non allinearmi ad ogni costo. Come ha influito sul tuo percorso di musicista questa cosa e come la giudichi a posteriori?
Almeno nella musica vorrei non avere vincoli e potermi sentire libero. Qui siamo al di fuori delle rotte commerciali, non ho nessun peso e nessuna responsabilità. Se dovessi fare musica per un tornaconto economico o di ego di sicuro non suonerei quello che suono ma cercherei altrove. E così non devo rincorrere nessun hype. Faccio quello che mi piace e cerco di farlo nel miglior modo possibile.

Nessuno è perfetto, si sa. Che critica muovereste a Boring Machines? Ci sono delle cose che faresti in maniera diversa, o ti aspetteresti che io facessi diversamente?
No, niente davvero. Spero tu possa gestire l’etichetta a tempo pieno, ma è più un augurio. Poi, lo dirò qui, ma anni fa volevo proporti un sottolivello di Boring Machines che si occupasse solamente di elettronica. Una cosa che uscisse anche dal formato disco ma che cercasse canali alternativi di riproduzione e diffusione, qualcosa che spingesse le frequenze al di fuori del taglio del vinile. Ma conoscendo la mia totale incapacità nel gestire le cose meglio sia rimasta un’idea tra me e me.

Negli anni, nelle diverse pubblicazioni che hai avuto su Boring Machines, hai utilizzato setup molto diversi tra loro, iniziando da ingombranti e pesantissime macchine vintage, passando per l’uso del computer per poi tornare a diverse soluzioni solo hardware. Hai trovato il tuo setup ideale o sei sempre in continuo cambiamento? Quanto influisce la scelta delle macchine sul tipo di suono che proponi?
Nel live ho un set up stabile da un paio d’anni ormai ed è la sintesi di tutta l’esperienza fatta. I grossi e pesanti sintetizzatori li uso all’occorrenza in studio. Mi piacerebbe tornare al computer per gestire in maniera più dinamica alcuni sample che suo ultimamente, ma sono un pessimo programmatore, così rimango tra i bottoni e i knobs.

Come artista quanto importante è per te scegliere con cura le persone con cui lavori, sui dischi o sui live? È una questione puramente musicale/economica o entrano in campo anche questioni etiche piuttosto che indirizzi di stampo politico? Ti sono mai capitati episodi che consideri spiacevoli con persone che consideri “brutte persone” sotto questo aspetto?
La musica non è il mio lavoro quindi non si basa su un piano economico, così le interazioni e collaborazioni nascono naturalmente senza nessuna forzatura e nessun vincolo. Di sicuro non sarò io a fare la prossima base a Rihanna, a meno che non voglia dire addio alla sua vita pubblica. Nonostante questo, ho sempre cercato di tenere fuori il più possibile la politica dalla mia musica, ma comunque vi ci vedo riflesso tutta l’ansia, il panico e il forte sovraccarico che percepisco nella società. E forse già questo è di per sé un pensiero politico, senza essere troppo espliciti. Comunque mai nessun intoppo, finora c’è sempre stata fiducia di base che permette di fare le cose fatte bene.

Conduco spesso una mia personale battaglia contro i supermercati della musica come il Primavera Festival e simili, in favore di un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, invece che seguire sul sicuro il gregge una volta l’anno. Qual è la tua opinione in merito, da musicista qual è la situazione ideale in cui ti piacerebbe poter lavorare, visto che hai avuto modo di suonare sia in grossi festival che in piccoli eventi?
Preferisco sicuramente gli eventi nei locali da uno o due live a sera. Da musicista la prospettiva è diversa: i grossi festival per loro struttura sono macchine enormi e quindi c’è la possibilità di suonare in impianti enormi con molta precisione. Di contro c’è che non si crea empatia con la situazione e così, tra il lato emotivo e quello pragmatico, preferisco i club dove c’è un riscontro diretto, quasi fisico.

Ti è mai capitato un episodio davvero spiacevole in occasione di uno dei tuoi concerti? Una di quelle cose che per un attimo ti fa balenare l’idea di mollare tutto?
No mai. Nei club a volte capita la fila di persone che ti chiede di cambiare traccia, chiede un genere musicale o la cassa per ballare. Li rassicuro: cinque minuti e ho finito. Non è vero, tolgo i beat così imparano a gestire l’MD anche di fronte a più layer di sequencer schizofrenici. Lo faccio per loro. L’insicurezza invece sale in studio, quando una cosa non vuole proprio uscire e ho sotto mano tutti i portali web per vendere tutto quanto.

Hai avuto modo di suonare in compagnia dei Cluster e di fare una settimana in giro con Sonic Boom, immagino entrambi nel tuo pantheon più o meno. Che ricordi hai di questi eventi?
Con Pete sono stati giorni incredibili, difficile pensarlo una persona iperattiva ascoltando la sua musica: un mutante ad alta potenzialità neanche preso in considerazione per le produzioni di massa. Spacemen 3 e EAR sono sempre stati alla base dei miei ascolti ed è strano ad un certo punto averci a che fare ventiquattro ore su ventiquattro. Comunque abbiamo capito che l’antipatico deve essere Jason Spaceman. Con Cluster era per Netmage nel Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo. Campioni assoluti di magnetismo e vodka liscia a tarda notte.

Cosa stai preparando per il futuro?
Niente di certo per il futuro, come sempre. Però mi piacerebbe chiudere un LP completo. Di quei album da 12/13 tracce che compri nel negozio di fiducia e torni a casa per ascoltarli. Oppure probabile che confluisca tutto in una soundtrack per una gioco basato sulla virtual reality experience. Domani nessuno sa.

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Chicoria recensisce il nuovo disco di Elisa

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Per questo speciale di Chico Of The Pops ci siamo stufati di leggere e scrivere e abbiamo chiesto al nostro recensore pop preferito, Chicoria, di diventare vlogger e raccontare, come un novello Anthony Fantano, le sue impressioni a caldo sull'ultimo album della cantante Elisa. Il disco si intitola On e ha un gattino molto tenero in copertina, cosa che comunque il nostro Chico ha apprezzato fino a un certo punto. Ma non vogliamo darvi altre anticipazioni. Prendetevi un attimo e schiacciate play. 

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Domani uscirà un album a sorpresa di Beyoncé???????

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Da quando nel 2013 Beyoncé ha deciso di sparare fuori il suo album omonimo a sorpresa, i fan di queen B (conosciuti come Bey-hive) stanno con le antennine dritte aspettando che ne esca un altro da un momento all'altro. A Miss Carter non piacciono tante cerimonie, si sa, e pure il suo ultimo video, "Formation", è uscito a sorpresa come piace a lei. 

D'altronde è chiaro a tutti che Beyoncé è l'essere umano più potente sulla faccia della Terra, almeno in termini musicali, e di conseguenza è chiaro come non le cambi davvero niente se il suo disco esce domani o tra un anno, basta che la sua volontà sia ben predisposta. Secondo alcune voci di corridoio che circolano da qualche mese su Internet, il giorno del giudizio per il Bey-hive è più vicino di quanto crediamo. Quindi anche voi state all'erta, perché può darsi che il nuovo album della regina esca prestissimo, in questi mesi, in questi giorni, anzi... Può darsi che esca anche domani!

Il 27 aprile inizia il Formation World Tour, e vuoi che la signora ci lasci a secco di nuova musica prima di allora? La cosa più interessante, probabilmente, è che gira una foto su Internet da cui si può sbirciare la tracklist del disco, la cui data d'uscita è proprio quella di domani (ovviamente per gli abbonati Tidal, cosa credevate? I comuni mortali dovrebbero, se fosse vero, attendere una settimana in più.)

Per chi non avesse l'occhioo allenato, sono documenti di questo genere che vanno allegati quando vuoi pubblicare un album vero, e questo non sembra nemmeno così farlocco, dato che il logo in alto a destra è proprio quello del management di Bey, Parkwood Entertainment. 

E poi c'è la lista dei featuring, una roba imbarazzante da quanta gente c'è, che nemmeno il Glastonbury. D'Angelo, Kendrick Lamar, Nicki Minaj, Rihanna, FKA twigs, JAY Z, A.G Cook, Arca, AK Paul, Timbaland, Grimes, Dev Hynes e... (cazzarola) una manata di altri artisti della madonna nei credits. Se il foglio qui sopra è reale e non è un pesce d'aprile, dovranno iniziare a tremare le gambe a un bel po' di gente—a noi per primi. 

Ma non vogliamo cascare nei trabocchetti—d'altronde chiunque, con un po' di fantasia, un account snapchat e una stampante avrebbe potuto inventarsi questa gag. Fatto sta che una tracklist totalmente diversa, benché con un aspetto simile (il logo Parkwood Entertainment in cima, la lista dei feature in mezzo e le stesse date di pubblicazione) è apparsa online nei giorni scorsi. Dato il potere di Beyoncé nello starsystem, la pletora di nomi della tracklist non è nemmeno implausibile, tuttavia ci sono dettagli che sembrano architettati apposta dalla fantasia di un fan accanito. Ad esempio c'è un pezzo, "The Other (Other) Woman (Feat Rihanna)" che salta subito all'occhio. Detto questo, siamo pronti a rimangiarci ogni dubbio quando domani sera ce ne andremo a bere una birra in onore di Beyoncé (ricordatevi che se l'album esce davvero il primo giro ce lo offrite voi). 

Indipendentemente dalla veridicità di questi fogli, comunque, è praticamente certo che il sesto volume dell'antologia Beyoncé è lì, all'orizzonte, e ci stiamo avvicinando. Cosa ne sappiamo finora, davvero?  Il suo collaboratore Boots ha sicuramente lavorato anche a quest'album, dato che ha dichiarato a Buzzfeed che si tratta del "disco più incredibile" cui abbia messo mano. Nel frattempo la regina è stata beccata a filmare video in diverse location, e si presume che fossero per un nuovo video. Poi ci sono Future, Sia, e D.R.A.M: tutti quanti hanno dichiarato di aver lavorato con Beyoncé negli ultimi mesi.

E per finire, in molti hanno la sensazione che il prossimo album di Queen B possa essere una vera pietra miliare della sua carriera, musicalmente e politicamente. Vi avevamo detto che dopo "Formation", Beyoncé non è più la stessa, ed è così, perché quella non era soltanto una traccia pop, ma una riflessione complessa sul ruolo e il potere della donna nera. Secondo le ultime voci, pare che B voglia includere i genitori di Trayvon Martin, Tamir Rice e Michael Brown nel suo prossimo video, mentre tengono in mano le foto dei loro figli deceduti. E poi c'è stata la performance al Superbowl, con riferimenti palesi a Malcolm X e ai movimenti per i diritti civili. Beyoncé non parla molto con la stampa, preferisce che siano le sue canzoni, i suoi video e le sue performance a parlare per lei. 

Quindi, che sia domani, la prossima settimana o tra un mese, sappiamo che un'altra mina di Beyoncé è lì lì per arrivare. Fino a quel momento ci accontenteremo di saltellare sulla sedia mentre ascoltiamo, di nuovo, "Formation" e aspettiamo che la Regina arrivi a darci uno sberlone in faccia con il suo prossimo album. 
 

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Vi presentiamo "Nature of the Clown", il nuovo pazzo video di Adam Green

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È un grande anno per il mattacchione art-pop preferito di Noisey Adam Green. Qua sopra potete ammirare la première esclusiva del suo nuovo video "Nature of the Clown", ma lasciamo la parola ad Adam per il resto. 

Hey lettori di Noisey!

Ho girato un film che uscirà tra qualche settimana che si intitola Adam Green's Aladdin. Questo è il secondo video tratto dalla colonna sonora e presto partirà anche un tour mondiale per cui sarò sempre vestito da Aladino. La canzone si chiama "Nature of the Clown" e sono abbastanza sicuro che la suonerò dal vivo! Ecco qualche parola sul suo significato...

Sono sempre stato affascinato dalle relazioni non convenzionali, specialmente quelle in cui la coppia rimane vicina e le persone sono sincere tra di loro. Ero amico di un duo di ragazze, una band, e abbiamo sperimentato con l'idea di avere una relazione tra noi tre assieme. All'improvviso ero una specie di Hugh Hefner punk! È stata un'esperienza davvero incredibile, ma non si può dire che sia andata bene per tutto il tempo che è durata. 

Penso che la canzone "Nature of the Clown" venga dalla voglia di rompere con la normalità e parli di trovare l'equilibrio tra la natura leggera e spensierata della lussuria con le responsabilità educative di essere un adulto maturo—tipo cospirare e fare piani con un amante per ottenere quello che si vuole senza rompere la schiena al cammello (forse è per quello che nel video sto su un cammello). Non pensate che non conosca la monogamia! Sono stato su tour abbastanza degenerati riuscendo a restare sempre fedele.

Ho registrato questa canzone a LA con il produttore Noah Georgeson. Abbiamo messo in piedi la band definitiva: Rodrigo Amarante (Little Joy, Solo) alla chitarra, Josiah Steinbrick (Devendra Banhart, Cate Le Bon) al basso e Stella Mozgawa (Warpaint) alla batteria. Sentite che roba, sono dei pazzi!

Il video è stato girato per la maggior parte nel museo della Fondazione Beyeler a Basilea, Svizzera. Ho tenuto lì una mostra di oggetti di scena e scenografie del mio film. Il singolo "Nature of the Clown" esce domani, primo aprile, e il film e l'album usciranno in quest'ordine:

Adam Green’s Aladdin, il film: 15 aprile US/Canada, 12 maggio resto del mondo (su iTunes, Amazon VOD, Vimeo e www.AdamGreensAladdin.com. Il film sarà sottotitolato in Tedesco, Francese, Spagnolo e Italiano).

La colonna sonora: 15 aprile US/Canada, 29 aprile resto del mondo.

Adam Green Tour and Movie Dates:

April 6 - NYC, Anthology Film Archives - Screening Moviea at 11:00pm

April 7 - NYC, The Hole NYC, Artshow of the Props and Sets from the Movie

April 9 - Brooklyn, Nitehawk Movie Theater - Midnight Movie Screening

April 12 - Brooklyn, Nitehawk Movie Theater - Screening Movie at 7:30

April 14 - Los Angeles, West Coast Movie Premiere at Cinefamily Theater

April 15 - Los Angeles, Satellite (Full Band Concert,  Album + Movie Release Celebration)

April 19 - Brooklyn, Baby’s Alright (Full Band Concert)

April 23 - Zurich, Riff Raff Cinema - Swiss Movie Premiere

April 26 - Paris, Silencio (French Movie Premiere)

April 29 - Berlin, Il Kino Cinema (German Movie Premiere)

May 2 Berlin, Lido  (Concert + Movie)

May 4 Vienna, Flex  (Concert + Movie)

May 5 Zurich, Papiersaal  (Concert + Movie)

May 6 Frankfurt, Zoom (Concert + Movie)

May 7 Koln, Gebaude 9 (Concert + Movie)

May 9 Paris - Le Gaite (Concert + Movie)

May 11 London - Movie Premiere at Prince Charles Theater (Private Event)

May 12 London - Electric Ballroom (Full Band Concert)

May 14 Bristol - Thekla

May 15 Leicester - The Cookie

May 16 Nottingham - Rescue Rooms

May 18 Norwich - Waterfront Studios

May 19 Cambridge - Portland Arms

May 20 Brighton - The Great Escape

May 23 Leeds - Brudnell Social Club

May 24 Liverpool - Academy 2

May 25 Manchester - Gorilla

May 27 Glasgow - CAA (Concert + Movie)

May 28 Newcastle - Riverside

May 30 Hull - Fruit (Concert + Movie)

May 31 York - The Duchess

June 1 Birmingham - The OOBleck

June 10 Stockholm, Sodra Teatern, Baba Sonic

Jun 12 London - Field Day Festival  

July 30 - Standon, Standon Calling Festival (Concert and Movie Screening)

Aug 10-13 - Luhmühlen, A Summer’s Tale Festival

Abbiamo parlato con Don Cheadle di razzismo, Miles Davis e del suo nuovo folle biopic

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Nel corso di quasi trent'anni, Don Cheadle si è ritagliato un ruolo come presenza fondamentale, versatile e appassionante del grande schermo, immedesimandosi in ruoli estremamente vari come lo psicopatico dal grilletto facile Mouse in Devil in a Blue Dress (1992), il cowboy/pornoattore depresso Buck Swope in Boogie Nights (1997) e l'eroe realmente esistito Paul Rusesabagina nel drammatico Hotel Rwanda (2004).

Cheadle continua a dominare lo schermo nel suo debutto alla regia, Miles Ahead, in cui recita la parte della leggenda del jazz Miles Davis durante il suo ermetico e drogato "periodo silenzioso" alla fine dei turbolenti anni Settanta. Costantemente incazzato, capelli ricci stile jheri e un armadio di abiti barocchi e coloratissimi, il Davis di Cheadle è uno di quei tipi che usano "motherfucker" al posto della punteggiatura. 

Giocando velocemente e liberamente con la realtà documentata, la trama in stile giallo segue i tentativi di Davis e dell'affascinante—e, tra parentesi, del tutto inventato—giornalista di Rolling Stone Dave Braden (Ewan McGregor) di recuperare un nastro di registrazioni che viene tenuto sotto chiave dalla sua casa discografica. Il peso emotivo della storia è arricchito dal grande amore perduto di Davis Frances Taylor (Emayatzy Corinealdi, ancora non sfruttata al massimo delle sue possibilità) che continua a ritornare nei ricordi del protagonista in flashback degli anni anni Sessanta a fianco di un Davis/Cheadle dall'aria molto più pulita. 

Pur viaggiando a ritmo serrato, Miles Davis non coglie sempre nel segno dal punto di vista drammatico: il tono slitta verso il grottesco, la narrazione a volte ricorda una specie di versione estesa della scena di Boogie Nights in cui Dirk Diggler strafatto e Chest Rockwell cercano di recuperare i loro nastri "magici" da un produttore.  

Nonostante i difetti, Miles Ahead resta un lavoro energico che vanta un'ottima performance centrale, e si distacca in modo rinfrescante dallo schema lineare e mortifero che spesso condanna i biopic alla mediocrità. Ci sono voluti dieci anni a girare il film, parzialmente finanziato tramite una campagna IndieGogo (che ha raccolto la notevole cifra di 344.582 dollari), ed è chiaramente un lavoro fatto con passione dal suo regista-protagonista. 

Ho contattato Cheadle al telefono per parlare del suo amore per Davis, le origini del suo film e la rivelazione che scritturare McGregor, un attore bianco famoso, sia stato un "obbligo economico". 

Noisey: Il grande teorico britannico Stuart Hall ha detto: "Quando avevo diciannove anni, Miles Davis mi ha toccato l'anima con un dito, e non se n'è mai più andato". Puoi raccontarmi che cosa significa per te, e come ti è venuta l'idea di girare un film su di lui?  
Don Cheadle: La sua musica si ascoltava a casa mia anche prima che io sapessi che cos'era. Arrivai a Miles Davis tramite Cannonball Adderley, perché quando ero giovane suonavo il sax alto. Cannonball mi piaceva un sacco. I miei genitori avevano i suoi dischi, per cui notai che aveva suonato con Miles Davis e dissi "e questo chi è?". Questo mi ha aperto la porta verso la sua musica. Avrò avuto dieci o undici anni. Quella frase che hai riportato–"mi ha toccato l'anima con un dito"—è proprio così.

Andando avanti di molti anni arriviamo a Vince Wilburn, il nipote di Miles, alla cerimonia di ammissione di Miles alla Rock'n'roll Hall of Fame nel 2006, che annuncia che si farà un film sulla sua vita, e che io farò la sua parte. Mi sottoposero alcune idee su come volevano raccontare la storia, e non erano male, ma io volevo fare qualcosa di più impressionistico, selvaggio, imprevedibile e fuori dagli schemi, vista la mia esperienza con la musica di Miles e fin dove lui l'ha spinta. Bisogna dire che loro hanno capito: "Pensiamo che Miles avrebbe preferito una cosa del genere, invece di una cosa che si limita a toccare tutti i punti base della sua vita". 

Hai detto di aver suonato il sax da bambino. Hai dovuto studiare bene la tromba per Miles Ahead?
Quando ho capito di voler davvero mettere in piedi questa cosa, mi sono procurato una tromba e ho iniziato a suonare, ho iniziato a imparare. Mi dà molto fastidio vedere gli attori che interpretano i musicisti nei film ed evidentemente non hanno alcuna confidenza con lo strumento. Non volevo buttarmi in questo film senza capire bene lo strumento.

E poi, volevo fare quello che ha fatto Miles. Volevo mettermi nei suoi panni, ed essere più vicino possibile a lui. È stato importante per me imparare a suonare e seguire più o meno sulla sua timeline. Probabilmente sono riuscito a diventare tanto bravo quanto lo era lui a undici o dodici anni, ma suono comunque gli assoli nel film. Mi sono tirato giù gli spartiti e ho imparato tutto.

E poi Miles Davis dodicenne è pur sempre Miles Davis, no?
Esatto! E a un certo punto è stato pessimo quanto lo sono io adesso [ride]. Volevo solo trovarmi da qualche parte su questa linea del tempo. Suono tuttora più o meno ogni giorno.

Al Festival del Cinema di Berlino ha parlato di come assumere un co-protagonista bianco fosse un "obbligo economico"—una condizione necessaria per portare a termine il film. Hai trovato una differenza tra la semplice coscienza di questo problema all'orizzonte, e l'effettiva realizzazione pratica della cosa?
È stato un po' di tutte e due. Lavoro in questo campo da trent'anni, e da qualche anno mi occupo anche di produzione. Capisco cosa serve per far funzionare un film, perché alcuni film non ce la fanno. Il cast è una componente fondamentale, specialmente se vuoi assicurarti una componente straniera per il tuo film americano. Se avessimo ambientato il film in Giappone, avrei potuto scritturare un attore giapponese, tentando di raccogliere fondi in Giappone. Avrei potuto scritturare un attore francese se avessimo girato il film in Francia. 

Avresti potuto fare come fecero con Shaft, girando Shaft in Africa. Potresti fare dei sequel con Miles Davis che gira il mondo.
Se devi cercare soldi in tutti questi posti diversi, dipende da come stai cercando di mettere insieme il film. Dopo che Ewan McGregor ha firmato il contratto, le cose hanno cominciato a succedere [economicamente]. E comunque la sua partecipazione è stata una fantastica aggiunta ed espansione per il film, mi fa molto piacere che abbia voluto salire a bordo. 

Come regista, come ti poni nei confronti di ciò che accade nella vita di Miles? Si prende il suo tempo e lasciarsi trasportare dal suo flusso creativo così com'è, ma le forze di mercato e l'etichetta gliel'hanno reso pressoché impossibile.
Ci sono sempre queste domande quando c'è di mezzo un confronto diretto tra quello che è tuo e quello che è di qualcun altro, o la proprietà intellettuale, il valore che trai da ciò che produci o come ti mantieni grazie alla tua creatività. Non è così semplice, non puoi avere sempre una risposta pronta. Specie se sei uno come Miles Davis, che non sta cercando di fare le stesse cose fatte in passato per star sicuro che stavolta funzionino. È difficilissimo avere un pubblico affezionato a ciò che fai a cui dire "Grazie a tutti ragazzi, adesso cambio direzione. Se volete seguirmi siete i benvenuti, ma devo seguire il mio percorso." È molto raro che gli artisti lo facciano. Molti si trovano un posticino comodo dove sedersi a vita, ed è fatta. Nessuno ti sposta da lì se non lo vuoi. Lui se n'è andato perché sentiva un bisogno interiore di farlo.

Nell'industria cinematografica ce ne sono alcuni, compreso Paul Thomas Anderson, che sembrano avere la totale libertà di realizzare film bizzarri e d'avanguardia con budget altissimi (come The Master and Inherent Vice). Non è così comune, no?
No. Di solito devi sbatterti. Ci deve essere un fondo comune, qualcosa di allineato all'approccio che si vuole avere, di modo che la gente capisca che ti stai prendendo un grosso rischio prima di permetterti di fare qualcosa di davvero creativo e innovativo. Altrimenti è lecito credere che sia solo una squallida corsa all'Oscar, e avrebbe piena ragione.

Hai parlato di corsa all'Oscar. Due mesi fa hai twittato per scherzo al futuro conduttore della serata Chris Rock: "Ehi Chris. Passami a salutare agli #Oscar quest'anno. Mi hanno preso come parcheggiatore ufficiale di macchine." Ho paura che la "diversità" stia diventando una parola svuotata come tante altre. Quali pensi siano le lezioni che l'industria può prendere, e in che modo questa può cambiare dopo le recenti controversie in materia?
Mi piace che hai detto "recenti," perché è ciclico, no? Vedremo se le cose che l'Accademia ha provato a fare per sottolinearlo avranno un qualche effetto, un giorno. Credo ancora che si tratti più di quello che succede dentro le sale, dove è la gente a decidere se un flm funziona o meno. È tutta un'altra cosa dall'avere un tizio in giacca e cravatta su un palco che ti porge una statuetta. 

C'è anche una componente economica, naturalmente.  Ricordo che ero con quelli dello studio quando stava per uscire Hotel Rwanda. Eravamo ai SAG awards, e uno dei direttori ha detto, "Beh, se questo film non riceve neanche una candidatura all'Oscar, smettiamo immediatamente di investire nel marketing." E io ho pensato"Zio, ti ho sentito!" È stata la prima volta che ho capito che non si tratta mai di vanità, o di guardatemi e applauditemi: questi tipi di riconoscimenti sono la linfa vitale del cinema. 

Non so se la "diversità" avrà ancora un significato in futuro, una volta che l'ondata di interesse calerà, o se c'è qualcos'altro in arrivo su cui focalizzarsi. Non c'è da fidarsi. Di questi tempi è difficile portare a termine la realizzazione di un film in generale.

Hai lavorato con un sacco di registi strabravi. Ce n'è stato qualcuno che ti ha preparato a lavorare da solo?
Fa tutto parte del processo, a suo modo, e uno cerca di appropriarsi di tutto ciò che può tornargli utile. Ma una cosa che hanno in comune tutti questi grandi registi è che capiscono che si tratta di un'industria collaborativa; sono permeabili, e se ti coinvolgono non è solo per essere parte dell'arredamento, ma perché credono nel tuo talento. Sono sempre i giudici finali di tutto, ovviamente, ma non sei tenuto a prendere ordini da loro e basta. Specialmente quando ho dovuto girare io, stare dentro all'ingranaggio, e coprire un sacco di ruoli diversi, ho voluto arricchire il mio team per farlo sentire parte del processo, di modo da renderlo una sorta di terzo occhio. 

Come ultima cosa, ho notato che sei molto attivo politicamente su Twitter, perciò ti devo chiedere: come vedi la fine del mandato di Obama, alla luce dell'ascesa di un'eccellenza come Donald Trump?
Sì. [L'ascesa di Trump] va oltre la soglia del tollerabile, davvero. Specialmente oggi [L'intervista si è svolta nelle ore successive all'attentato di Bruxelles]. C'è una piena mercificazione della paura. Fa davvero paura che la gente stia davvero ripiegando su questi frangenti. Non avrei mai creduto che si sarebbe arrivati a questo punto di annebbiamento. Ogni minima traccia di razionalità è stata spazzata via. Per certi versi sono grato a Trump per aver scoperchiato questo apparato e averci permesso di individuarlo distintamente nel prossimo, vedi quelli che lo sbandierano fieramente ai quattro venti, identificandocisi del tutto. Bene così, voglio vedervi in faccia. Non voglio che ve ne stiate nell'ombra. Dovete uscire allo scoperto. Magari così un giorno la luce del sole vi brucerà vivi tutti, come formiche sotto a una lente di ingrandimento. Sono solo spaventato dal fatto che siano serviti così tanti idioti, in questo paese, per dare prova di cosa sta davvero succedendo al nostro quotidiano. 

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Un neurologo ci spiega perché andiamo in black-out quando ci sbronziamo

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Pensa a quelle volte che ti sei svegliato sul pavimento del bagno dei tuoi, o tutto nudo in un prato, o nel letto di uno sconosciuto oppure—se sei un pro—in una stazione di polizia, senza avere la minima idea del perché o di come ci fossi arrivato. Il fenomeno del black-out da sbronzi è qualcosa di sociologicamente rilevante, ma le sue cause sono neurologiche. Le cause psicologiche per cui un essere umano dovrebbe volersi ubriacare fino a perdere coscienza sono le più disparate, e un bravo analista ve le sa elencare, ma per molti resta ancora un mistero il processo neurologico per cui ad un certo punto non vediamo più niente e abbiamo dei crateri nella nostra memoria che accompagnano il nostro hangover.

Fortunatamente gli scienziati migliori del Pianeta, negli ultimi anni, si sono impegnati per risolvere questo grandissimo mistero del nostro universo cerebrale. Nel 2011 alla Washington University sono arrivati alla conclusione che i black-out non avvengono per via della distruzione di cellule cerebrali, piuttosto perché le terminazioni nervose del cervello sono indebolite e non reggono ulteriori informazioni. In altre parole, le cellule in questione smettono di comunicare tra di loro, portandoci a quel senso di vuoto e oscurità che molti di noi ben conoscono.

Ma noi volevamo saperne ancora di più, quindi abbiamo contattato il dottor Roland Mader, neurologo presso l'Anton-Proksch Institute di Vienna. Mader lavora con un bel po' di dipendenze, tra cui quella nei confronti dell'alcol, quindi sa bene come questa particolare sostanza lavori per sabotare il nostro cervello. Di seguito, ci spiega la scienza del blackout e alcuni metodi per prevenirli, nel caso non siate affezionati.

Noisey: Buongiorno dottore, andiamo al punto: come mai andiamo in blackout?
Dr. Mader: L'effetto dell'alcol sul cervello è un effetto sedativo, dato che inquina le cellule cerebrali. Quando bevi troppo, le cellule del tuo cervello smettono di comunicare in modo veloce e preciso le une con le altre. Questo significa che vengono trasmesse meno informazioni, ed ecco perché andiamo in blackout. 

Ci sono alcolici in particolare che facilitano i blackout? Forse quelli economici?
I blackout non hanno nulla a che vedere con la qualità dell'alcol. In linea di massima, più concentrazione alcolica c'è in una bevanda, più è pericolosa. Quindi i superalcolici sono quelli che facilitano i blackout maggiormente, ma non c'è differenza tra gin o vodka, ad esempio. La qualità di ciò che bevi non ha alcuna influenza sugli effetti, e l'attività del cervello ne è influenzata comunque. Dopo che il nostro corpo metabolizza l'alcol assunto, le cose tornano alla normalità. 

Foto via Flickr

Le condizioni fisiche di una persona hanno qualcosa a che vedere con il potenziale blackout a cui si espone?
Sì, l'alcol ha effetti diversi a seconda del fisico di chi lo assume, in base ad elementi esterni. Se sei stanco o stressato probabilmente avrai effetti più pesanti. Anche bere a stomaco vuoto può portare più facilmente al blackout, perché il tuo corpo assorbe l'alcol più in fretta. 

Ci sono altri fattori che facilitano i blackout?
Ad esempio è sconsigliato bere tanto velocemente, perché il corpo deve reggere una maggior concentrazione di alcol. La cosa peggiore che puoi fare è saltare il pasto e bere molto in un breve lasso di tempo. Se l'alcol nel tuo sangue supera lo 0.15 è molto probabile che tu vada incontro a un blackout.

Alcuni di noi sono geneticamente più predisposti al blackout?
Sì, le differenze genetiche giocano un ruolo nella nostra tolleranza agli alcolici—che varia da persona a persona. Più del 50% della tolleranza all'alcol dipende dai geni. Ci sono anche differenze fisiologiche tra uomini e donne nella gestione dell'alcol. Per esempio le donne possono reggere un terzo di quanto solitamente regge un uomo. In più, se una madre beve durante la gravidanza, il figlio avrà più possibilità di essere soggetto a blackout. 

Foto via Flickr

Mischiare diversi tipi di alcolici influisce?
Dipende sempre dalla concentrazione dell'alcol in ciò che bevi. Mischiare non è influente per quanto riguarda i blackout, bisogna stare attenti agli zuccheri presenti nelle bevande che assumiamo. I cocktail, ad esempio, sono pericolosi perché lo zucchero aiuta ad assorbire più rapidamente l'alcol.

Come si può prevenire un blackout?
Ad esempio, intervallare l'assunzione di alcolici con l'assunzione di bevande analcoliche. La cosa migliore è accompagnare sempre gli alcolici a un buon bicchiere d'acqua. E poi la cosa migliore è preferire alcolici più diluiti e dilazionare nel tempo la loro assunzione. Più importante ancora, comunque—anche se suona come un consiglio da padre—è non bere troppo.


Augurandovi un buon weekend senza blackout, vi invitiamo a seguirci su Facebook e Twitter.
 


Guarda il video di "Serpente" il primo singolo di Sante dal film di Cosimo Alemà "Zeta"

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Zeta è la nuova sfida cinematografica di Cosimo Alemà, in uscita ad aprile su tutte le sale italiane, cioè un nuovo modo di raccontare il rap nostrano attraverso voci e volti dei protagonisti che la differenza la fanno sul campo. Il film vede il debutto come attore di Diego Germini, meglio noto col il moniker di Izi, e Irene Vetere, che vanno ad affiancare due pezzi un po' più grossi come Jacopo Olmo Antinori e Salvatore Esposito, il Genny Savastano di Gomorra. Tanto per fare qualche altro nome che il regista ha deciso di coinvolgere: Salmo, Baby K, Clementino, J-Ax, Fedez, Lowlow, Noyz Narcos, Briga, Rancore, Shade, Tormento. 

Quello che vi presentiamo in esclusiva oggi, è il video di un brano tratto dal film, "Serpente", interpretato da Salvatore Esposito nel ruolo di Sante, con una piccola sorpresa che i fan più aficionados sapranno riconoscere: la voce di quale famoso rapper (trovate la risposta proseguendo nella lettura)? l video è tutto per noi e non sarà incluso nel film. La produzione vede l'eccellente mano di Shablo con la coproduzione di Giovanni Cellie, e su di esso—e in generale sulla composizione e interpretazione del brano contestualizzata al lungometraggio—il rapper si è espresso così:

 "È stata un'esperienza nuova, divertente e folle allo stesso tempo. Cosimo Alemà e Shablo sono stati molto diretti. Mi hanno detto: 'Sai meglio di noi come si sente oggi un rapper della vecchia scuola, vedendo questa nuova scena del Rap che è nata con le nuove generazioni.' Il personaggio Sante, interpretato da Salvatore Esposito, è proprio questo. Ha ancora il fuoco che brucia dentro, non ha dimenticato la strada ma sa anche cosa vuol dire gestire un grosso successo discografico. È un po' come mi sento anch'io. Dopo tanti anni sulla scena mi piace vivere situazioni più underground, senza per questo escludere il mainstream. Mi ispira confrontarmi con i più giovani, cercare un dialogo e magari dargli qualche dritta, se posso.

Salvatore Esposito ci ha invece raccontato questo sulla sua interpretazione:

"Nella costruzione del personaggio di SANTE è stato fondamentale l'apporto del mio doppiatore per creare un personaggio credibile e forte allo stesso tempo mentre i consigli si Shablo sul Mood da avere , sull' interpretazione e soprattutto sul futuro di questo personaggio sono stati utilissimi . Passare da Gomorra a Zeta è stata una grande sfida per me poiché non avevo mai cantato ma soprattutto non avevo mai rappato!! Zeta è un gran bel film e spero sia stata per me una scommessa vinta!!!"

Avete indovinato di che rapper si tratta? Siete abbastanza esperti per avere sgamato che dietro Sante c'è nientepopodimeno che Tormento? Comunque sia, non dimenticatevi di andare a vedere Zeta appena potrete.

 

Regia: Cosimo Alemà
Fotografia: Edoardo Carlo Bolli
Montaggio: Matteo Stefani
Prodotto da: 999 Films \ Panamafilm

 

YouTube e Snoop Dogg hanno vinto il primo di aprile

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Il primo di aprile è il giorno in cui tutti fannos cherzi crudeli al prossimo, provando a iluderli di cose che non esistono in modo da manipolare le loro emozioni in maniera malvagia, è un giorno in cui tutti abbiamo il permesso di fare gli stronzi con la scusa della simpatia. Google non è da meno: tutti quanti amiamio e apprezziamo il colosso informatico per la capacità di partorire fantastiche idee giocose e meravigliose easter eggs per far dimenticare a tutti la sua vera natura di impero del male nonché complice volontario di manipolazioni colonialiste del governo USA. Li amiamo ancora di più dopo questo pesce d'aprile.

Un pesce che tira in mezzo Snoop Dogg., infatti, è sicuramente il pesce del'anno. Anche se... Beh, tecnicamente hanno detto la verità: oggi si annunaica il lancio di Snoopavision, una funzione che aggiunge ai video di YouTube la possibilità di vederli a trecentosessanta gradi con Snoop Il video di presentazione è tipo un dono all'umanità di bellezza e forza, ma provate a usare la Snoopavision (l'iconcina a forma di testa di Snoop) su uno di questi video qua sotto per godervela davvero. Grazie Google, per oggi possiamo anche non parlare del fatto che stai già progettando di monopolizzare l'internet di Cuba. Anzi, nel caso volesse lanciare anche una versione italiana di questa opzione, noi consigliamo molto sentitamente di coinvolgere il Chicoria.

Noisey Mix: Diagonal

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Al giorno d'oggi le cose non durano molto: tutto si sfascia, per cui per una label è già tanto arrivare al quinto anno di esistenza, per cui concluderlo è oramai un traguardo per cui stappare lo spunta che vostro nonno teneva da parte. Ho già scritto la stessa cosa quando abbiamo festeggiato il quinto compleanno di Stroboscopic Artefacts, e siamo altrettanto contenti di poter festeggiare Diagonal: la nostra crew di hooligan elettronici e caciaroni techno preferiti. La label è stata fondata da Oscar Powell e Jaime Williams esattamente un lustro fa, inizialmente per dare sfogo alle produzioni di Powell, via via includendo menti e caratteri simili, gentaglia dall'approccio punk accomunata da un gusto per i beat sparati in faccia o per le iniezioni di rumore irregolare in territori dance completamente sconvolti. Il gusto di tutta la cricca sembra attingere in parti uguali da acid techno, EBM e noise rock americano, anche se, come si sà, la benedizione di Steve Albini non è mai arrivata. Anzi.

 Jamie (sx), Oscar & Russell Haswell (dx)

Tra i partner in crime di Oscar & Jaime ora si contano anche Not Waving, Russell Haswell, Blood Music, Consumer Electronics, Shit & Shine...  Una compagine acida che oramai tutto l'underground elettronico conosce e rispetta, della quale una delegazione (Powell e Not Waving accompagnati dal DJ set di Jaime) verrà mandata a Milano la prossima settimana, il 9 aprile, per festeggiare l'anniversario durante la serata conclusiva di C2CMLN. Noisey sarà lì a presentare il documentario su The Italian New Wave che abbiamo realizzato a Torino lo scorso novembre, ma anche a farsi distruggere di beat diagonali. 

Non potevamo comunque non farci preparare un antipasto: Jaime ci ha quindi confezionato un mix furibondo, pieno di inediti e di asprezze eclettiche che coprono tutto lo spettro crmatico della label, includendo anche una badilata di inediti che non potrete non apprezzare. 

TRACKLIST:

NO ONE / UNTITLED [unreleased]

POWELL / SO WE WENT ELECTRIC (RICHARD H KIRK DUB)

RUSSELL HASWELL / NO!SE RAVE

DEATH COMET CREW / CRUSTACEAN LIVE

IN THE MOUTH OF THE WOLF / A SEARCH FOR NEW REALITIES

NMO / ABHAENGEN [unreleased]

SHIT & SHINE / VALUE

RUSSELL HASWELL / WHOLLY UNAWARE

NHK y KOYXEN / 234

UNKNOWN / FOR PROMOTIONAL USE ONLY

ELON KATZ / THE HUMAN PET [unreleased]

RUSSELL HASWELL / HARDWAX FLASHBACK (POWELL COV MEGAMIX)

SHIT & SHINE / ASTRO'S HAT

PROSTITUTES / I I LUV U BRUV [unreleased]

EVOL / RIGHT FRANKFURT [unreleased]

GREEN GUMS / TAP DANCING GOAT MAN

POWELL / KICKIN' [unreleased]

BLOOD MUSIC / SHARKING

ELON KATZ / IMMOVABLE [unreleased]

NOT WAVING / BELIEVE 

RUSSELL HASWELL / IN MEMORIUM OF ELPH

CONTAINER / INSULATION [unreleased]

NMO / DOUBLE ARM [unreleased]

PROSTITUTES / HOT KEY MOTHERFUCKER [unreleased]

POWELL / UNKNOWN [unreleased]

RUSSELL HASWELL / HEAVY HANDED SUNSET (AUTECHRE CONFORMITY VERSION) 

NOT WAVING / TOMORROW WE WILL KILL YOU

 

Anche i DJ sono profondi: le frasi più filosofiche dei nostri angeli della consolle

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Ok, lo sappiamo, i DJ a volte ci sembrano individui così superficiali, vacui, buoni solo a schiacciare bottoncini e fingere di girare manopole (perché lo fate?). Invece Twitter ci dimostra che i più noti disc jockey del mondo in realtà non parlano soltanto di chi ha fatto più sold-out, di tatuaggi, twerking, yatch o cagate del genere. No: i DJ sono anche, raramente, profondi e qui di seguito ne avrete le prove. 

Occhio perché se soffrite di vertigini vi troverete di fronte a baratri di profondità da parte dei vostri eroi: da Ben UFO a Calvin Harris fino a cervelloni sperimentali come Holly Herndon. Ci siamo permessi di organizzare i pensatori per categoria, come messaggi motivazionali, riflessioni religiose e persino diete salutiste alternative. Chi ha bisogno di Galimberti quando ci sono i DJ?

Messaggi Motivazionali

 







 

Scoperte assurde e incredibili riguardo all'Universo



 

Dichiarazioni apparentemente a caso

 

 

Riflessioni Religiose

 

Consigli salutari alternativi



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Novelist è pronto a rivoluzionare il grime

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Foto concessa dall'artista.

L'MC e producer Grime londinese Novelist ultimamente sta facendo alcuni numeri mica male: la scorsa settimana ha pubblicato, così all'improvviso, due tracce nuove di zecca e ha passato una mano di grime su una base di Chase&Status.

La prima delle tracce nuove si intitola "Hoax," è co-prodotta dal nostro e dal suo socio PREM, ed è una scazzottata tra lui e il beat che lo incalza. Nella seconda, "Casper Riddim," il tutto è più calmo, e la produzione più al centro della scena, come se lanciasse una sfida silenziosa a qualche MC rivale. Entrambe le tracce sono comparse sotto l'egida della nuova cricca di Novelist, Ruff Sound Movement, che è il nome della sua crociata per creare una nuova era del grime (come ha scritto su Twitter).

 

“When I spit bars the people dem jump, I bring vibe to make you get hype, I’m a lyrical guy, shower down mic inside, might hear me inside your ride,” invece, è quello che le parole di Novelist sentenziano sulla fucilata di beat confezionata dal duo di producer inglesi Chase & Status per la loro traccia "NRG".

Non è la prima volta che il principino del grime collabora con Chase & Status, a dir la verità. Alla fine dello scorso anno, Novelist ha prestato la sua voce per “Bigger Man Sounds”, pezzo incluso nella serie London Bars, in cui c'erano anche Frisco, Giggs e Bonkaz.

Ascoltatevi tutto quanto, qui sotto.

 

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