Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

Scoprire i BPM dei tuoi dischi è appena diventato più facile

$
0
0

Screenshot da Disconest

Se avete mai provato a fare un dj set di soli dischi in vinile, allora saprete che mixare due dischi a tempo non è sempre facile come potrebbe sembrare. Ci sono un sacco di ragione per cui, a volte, un cambio viene fuori molto peggio del previsto, ma ora c'è questo nuovo sito che si chiama Disconest e che vi permette di risolvere il problema grazie ad un archivio che, per ogni pezzo, fornisce tonalità e tempo in BPM.

Software come Traktor e hardware come i CDJ possiedono all'interno strumenti che svolgono questo lavoro a partire dai dati del vostro supporto audio, ma se decidete di andare per l'analogico questo sito vi renderà la vita di molto più semplice. Lo sviluppatore Karl Tryggvason in un'intervista a The Vinyl Factory: "Disconest è nato da una discussione che ho avuto comparando i dj analogici alla controparte digitale," ha detto: "Ovviamente i dj professionisti dovrebbero conoscere i loro dischi alla perfezione, ma è sempre positivo avere la possibilità di controllare se questo o quel disco era a 120 o 125 BPM".

Il sito funziona sfruttando le informazioni contenute nei database di The Echo Nest e Discogs. È ancora un work in prograss, ma dovresti comunque dargli un'occhiata qui.

 


È uscito un nuovo EP malatissimo dei Death Grips

$
0
0
Foto di Paul Sethi

Il trio noise-rap con più minacce di scioglimento della famglia Forrester di Beautiful ha pubblicato, giusto ieri, un nuovo EP su Soundcloud per il piacere di noi fan. 

Se le tracce vi suonano familiari è perché probabilmente le avevate già sentite nel loro video di 32 minuti “Interview 2016”, uscito qualche settimana fa. Nel video i Death Grips erano intervistati da Matthew Hoffman che di solito intervista i VIP per i Regal Cinemas, ma se vi ricordate quel lungometraggio, al posto dell'intervista sentivamo questo muro di beat aggressivi e infuocati (che poi sono gli stessi che sentite qui sotto). 

Ok, è un EP nuovo, ma non c'è niente di nuovo, i Death Grips si sono sciolti tipo due anni fa, ma continuano a far robe, ci prendono per il culo? Ha senso chiederselo? Se ve lo state chiedendo non siete dei veri deathgrippers. Se invece non ve ne frega un cazzo e siete solo gasati quando esce nuovo materiale di questi bruciati, sarete contenti di sapere che hanno annunciato l'arrivo del loro quinto full-length, Bottomless Pit.

Intanto ascoltiamoci Interview 2016:

 

Segui Noisey su Twitter.

 

Boring Machines X: Onga intervista i Father Murphy

$
0
0

Per Boring Machines il 2016 è un anno speciale. Il buon Onga festeggia infatti dieci anni di sudore al servizio dell'underground del nostro paese. I festeggiamenti prenderanno varie forme, ma la più importante di tutte sarà l'edizione straordinaria e post-mortem di Thalassa, il festival di Italian Occult Psychedelia che credevamo definitivamente chiuso, e che invece riprende vita (dal 31 marzo al 2 aprile al solito DalVerme) col nome di Ongapalooza. Dal canto nostro, abbiamo voluto celebrare la label facendo le cose al contrario: ovvero abbiamo mandato Onga stesso a intervistare un po' di artisti che sono stati importanti per la storia di BM, sperando che poi che non si metta in testa di rubarci il lavoro. In questo episodio: Father Murphy. 

Conosco i Father Murphy da molti anni, da prima che mi passasse per la testa di mettere in piedi un’etichetta. Anzi, frequentare il Madcap Collective di cui fanno parte è stata una specie di palestra dove allenarmi in vista della competizione. Pur volendo mantenere un atteggiamento equidistante da tutti i miei “figli”, non posso fare finta che non siano i prediletti. Sarà la vicinanza geografica che ci da la possibilità di incontrarci spesso e crescere assieme, sarà che più di tutti hanno seguito un percorso che guidava i loro ascoltatori verso territori di volta in volta più impervi, garantendo sempre grandi soddisfazioni una volta arrivati a destinazione. Sarà la perseveranza con la quale hanno continuato a camminare, sempre dritti e senza voltarsi indietro, verso l’oscurità. 

Quando e perchè avete pensato per la prima volta che Boring Machines potesse essere una casa accogliente per la vostra musica? Vi ricordate come è stato che la vostra musica è finita nelle mie mani la prima volta?
Una volta consolidatici nella formazione a tre, abbiamo iniziato finalmente a fare più live, e, molte delle volte, se non eri tu stesso nell'organizzazione del concerto, eri comunque nel pubblico. Ci hai visto via via abbracciare un percorso tutto nostro, spronandoci a seguire il Male (lo dicevi sempre, mentre Marco Damiani di Silly Boy voleva che diventassimo metal...). Penso sia stato dopo o durante il tour con Gowns e Carla Bozulich, la prima data era stata proprio per Basemental, che ne abbiamo parlato. Erano la prime volte che facevamo dal vivo alcuni dei pezzi che poi sarebbero stati inclusi in "...and he told us to turn to the Sun", insomma, c'era comunione di intenti, e unire i mezzi era semplicemente l'idea migliore.

Mi piacerebbe sapere, al di là dei classici “apprezziamo molto il vostro lavoro”, cosa ci vedevate in Boring Machines. Quali sono le cose che vi hanno attirato a me?
Dedizione, coraggio, follia, tanta follia.

Ho sempre professato e praticato una forte indipendenza, anche a rischio di perdere alcuni treni per il mio personale desiderio di non allinearmi ad ogni costo. Come ha influito sul vostro percorso di musicista questa cosa e come la giudicate a posteriori?
L'indipendenza è fondamentale, soprattutto se il tuo scopo non è produrre intrattenimento. Essere indipendenti non vuol dire però sottovalutare o sminuire l'importanza della collaborazione. Non si fa niente da soli. Penso che questo traspaia molto dal lavoro di Boring Machines. E il non allinearsi alla fine dei conti penso tu non lo decida a priori, semplicemente tu lo viva. Segui un tuo percorso, arrivando anche a contraddirti magari (Dio sia lodato per l'esistenza dei rimpianti!), ma c'è un'urgenza, una volontà di lasciare una traccia, un qualcosa, che ti contraddistingue. Sappiamo quanto tu possa essere testardo, e ti assicuro che ci è servito come esempio. Ma contemporaneamente hai sempre avuto il bel vizio di confrontarti con gli altri.
Non deve mai mancare il confronto, in modo tale che l'essere indipendenti non risulti poi nell'essere autoreferenziali. Questo l'abbiamo messo a fuoco col tempo, ed è fondamentale.

Father Murphy esiste da più di un decennio ormai, avete alle spalle molti dischi con diverse realtà nazionali ed estere e molti concerti di qua e di la dell’Atlantico. Quali sono le differenze più grandi che avete notato tra l’Italia, l’Europa e gli States per quanto riguarda il vostro lavoro?
A volte cambia il modo con cui la gente si pone nei confronti della nostra proposta. Difficilmente negli Stati Uniti, o nel Regno Unito, siamo considerati un gruppo sperimentale estremo, si concentrano molto di più sulla melodia comunque presente, magari sulla composizione atipica o sulle voci. In Italia, ma anche in altri paesi europei (non però nel Regno Unito), lo si fa spesso e volentieri. E questo mi dispiace, soprattutto quando porta al perdersi sul capire il perchè noi si faccia determinata musica, tralasciando invece il come, o anche semplicemente quale percorso noi si stia percorrendo. Allo stesso tempo però, nei due stessi paesi, USA e UK, dove senti che la musica fa molto più parte della quotidianità delle persone, in modo diverso quantomeno, dove c'è un rapporto meno legato al classico schema in cui è relegata come pura e mera hobby/passione... ecco in questi due paesi, anche per la forte concorrenza etc, i garantiti nei live son ben più bassi ( e all'inizio il più delle volte non ci sono), quindi organizzare ad esempio un tour negli Stati Uniti con la volontà/necessità che alla fine ci sia un profitto, beh diventa più difficile.

Vuoi certo per le enormi distanze, ma anche proprio per un approccio diverso dei promoter alle band in tour (cena e dormire non sono mai inclusi, qualche volta hai buoni pasto al massimo), e per la situazione visti/spese di viaggio etc... Sarei un'ipocrita se non dicessi che i nostri colleghi da quelle parti, quantomeno all'inizio e per un bel po', di soldi non ne vedono l'ombra.. rispetto ad una situazione dove, qui in Italia, almeno fino a qualche tempo fa, almeno 100 euro erano garantiti a tutti. Poi in realtà, appena band americane e inglesi riescono ad avere un paio di recensioni giuste, ci pensano tutti i promoter e giornalisti delle altre nazioni ad incensarli, invitarli a festival etc... Molte volte proprio per un'appartenenza anagrafica, più che per un valore aggiunto... E mi contraddico subito, perchè in molti casi il valore aggiunto alla fine c'è, ed è proprio la praticità e l'agevolezza con cui le band, ad esempio americane, si pongono nei confronti del suonare. Salgono sul palco, line check veloce, e via, urgenza a mille, e non c'è domani. In molti altri posti, Italia compresa, i soundcheck diventano un'ultima seduta di sala prove, dove viene ripassata tutta la scaletta. Sto buttando tanta carne al fuoco, ci vorrebbe una settimana di chiacchere.

Nessuno è perfetto, si sa. Che critica muovereste a Boring Machines? Ci sono delle cose che fareste in maniera diversa, o vi aspettereste che io facessi diversamente?
Te l'abbiamo già detto, e non smetteremo mai, anche se sappiamo le tue riserve. Noi vogliamo un Onga che si svegli la mattina non per andare in ufficio e dover perdere le successive otto ore a star dietro a calcio/macchinone/figa/produzione/tasse etc.. ma che, pur rimanendo la tua (giusta!) misantropia e tutte le bestemmie, possa lanciarsi a capofitto su questa e quella uscita. Fai già talmente tante cose in modo professionale, che secondo me sarebbe un mondo migliore se persone come te potessero almeno provare a fare quello che fai, l'etichetta, come un lavoro. Prendendo poco, stampando meno, progetti forse meno matti, ma non penso. Magari basta investire qualche soldo su di un qualcuno che riscuota i debiti...

Come artisti quanto importante è per voi scegliere con cura le persone con cui lavori, sui dischi o sui live? È una questione puramente musicale/economica o entrano in campo anche questioni etiche piuttosto che indirizzi di stampo politico? Vi sono mai capitati episodi che considerate spiacevoli con persone che considerate “brutte persone” sotto questo aspetto?
Non lavoreremmo mai con una persona che non consideriamo vicina. Anche nei rapporti dove si inizia con una collaborazione semplicemente professionale, c'è di sicuro già stima, e conoscenza minima del lavoro altrui, per poi quindi sviluppare maggiore complicità; nel caso in cui si riscontri una distanza in termini "etici/politici", sta certo che anche il rapporto professionale lì finisce. Siamo sempre stati fortunati negli incontri, il più delle volte abbiamo iniziato a fare tour come band spalla, e i vari Carla Bozulich, Deerhoof, Xiu Xiu etc si son sempre comportati come sorelle e fratelli maggiori. Abbiam sempre riscontrato una grande etica punk in queste persone, in questi musicisti, un'etica DIY a cui sottende un grande rispetto per il lavoro altrui. 

Un paio di volte magari ci siamo trovati di fronte a persone/musici ancora affascinati da una certa estetica, o soprattutto dall'idea di provocazione associata all'estetica di fascismi vari... Si son sempre rivelati poi molto vuoti e ridicoli, senza alcuna autoironia, dove la fascinazione stessa si fermava o al colore nero o poco più in là... Magari ad un bisogno più o meno inconscio di ordine e disciplina...  A livello etico comunque, in generale, alle persone con cui abbiamo a che fare, siano altre band, promoter, pubblico, amiamo citare Cobain, nel dire che "se odiate in un qualsiasi modo gli omosessuali, persone di diverso colore dal vostro o le donne, fateci un favore: (lui diceva) leave us the fuck alone (ma aggiungerei anche) uccidetevi.

Conduco spesso una mia personale battaglia contro i supermercati della musica come il Primavera Festival e simili, in favore di un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, invece che seguire sul sicuro il gregge una volta l’anno. Qual è la vostra opinione in merito, da musicista qual è la situazione ideale in cui vi piacerebbe poter lavorare?
Siamo ovviamente d'accordo con te. Non sono assolutamente contrario all'intrattenimento, e capisco (faccio l'ironico) che, in generale, la gente abbia bisogno di grandi eventi per giustificare uno spostamento o per sentirsi appagata; contemporaneamente quanto tu auspichi, ovvero un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, sarebbe auspicabile quantomeno da chi ascolta già certe proposte. Purtroppo però il Primavera, come l'ATP, si può permettere di far accadere la reunion di praticamente qualsiasi band, trend che purtroppo sta mettendo tutti d'accordo, e quindi addio. Questa cosa delle reunion ha rembicillito e massificato, se possibile, ancor di più il pubblico di festival e concerti... Non c'eri quando una tal cosa succedeva? Amen, l'hai persa. Il passato è passato, il presente è spinta verso il futuro. Guarda com'è messa l'Italia per continuare in primis a guardare il proprio glorioso passato, e concentrarsi poco sul presente e, quindi, futuro. Per quanto riguarda noi, penso che la situazione ideale non sia quella di un festival estivo, all'aperto, e con tanta gente pronta a divertirsi. Poi in realtà dipende anche da cosa uno intende per divertimento. Meglio essere precisi. Noi ci divertiamo spesso. Se vieni ad un nostro concerto però, ma come per molte altre realtà, il divertimento non sarà nelle chiacchere con amici, nel passare da palco a palco come fossero gabbie di uno zoo etc...

Abbiamo suonato lo scorso al Supernormal in Inghilterra, ed è stata una bellissima esperienza. Sono eccezioni comunque. Come il Mouth to Mouth di Gira, ospitato dentro a recipienti già ben rodati (nel nostro caso l'ottimo Le Guess Who di Utrecht),oppure il Sonic City a Kortrjik, in Belgio, dove hai ogni anno un curatore diverso. In generale la situazione ideale per noi è un luogo pensato per far suonare dal vivo, con il bar non nella stessa sala dove poi noi suoneremo. Dove la gente paghi per entrare, in modo che effettui una scelta; poi può essere una chiesa sconsacrata, una galleria, un museo, un locale. Poi ci conosci, alcuni dei concerti più belli della nostra carriera sono stati in basement americani, o in cripte inglesi con lapidi per pavimento. Diciamo che se si riescono ad unire intenzioni, dedizione e quel minimo di professionalità, è difficile scornarci. 

Vi è mai capitato un episodio davvero spiacevole in occasione di uno dei vostri concerti? Una di quelle cose che per un attimo ti fa balenare l’idea di mollare tutto?
No, per fortuna no. Abbiamo pensato si di mollare tutto, e di rintanarci in un'isola deserta, ma mai in seguito ad un episodio singolo.

Vi è mai capitato invece, al termine di un concerto, di pensare “stavolta abbiamo fatto veramente schifo”, al netto della normale autocritica che si fa dopo i live? Quando è stato e perchè?
Non penso ci sia mai successo, oltre appunto ad una sana autocritica in seguito ad un brutto concerto. Ci è però capitato di non sentirci magari dentro alla performance, di essere stati magari bravi attori nel ricreare una performance con una propria ritualità, senza però, effettivamente sentirla. Penso sia normale, in determinate annate facciamo talmente tanti concerti che a volte diventi un po arido, magari anche senza volerlo, e ti chiudi. È una sensazione strana, di disagio, ti senti un po', non so come definirlo senza esagerare, ma un po la sensazione è quella di barare. Ma forse appunto esagero. Purtroppo davvero tutta sta cosa del senso di colpa è vera, o quantomeno noi, tanto nell'infanzia e adolescenza quanto (magari meno) nella vita da adulti, ne siamo stati e ne siamo segnati. Dovremmo fare una class action e chiedere i danni. Altro che Go Frances...

Cosa state preparando per il futuro?
Stiamo lavorando alla colonna sonora di The Cadence, primo lungometraggio di Luca Dipierro. È un progetto ambizioso, dove la colonna sonora a volte arriva prima delle immagini, e quindi ne detta quantomeno il montaggio. Dove a volte sono presenti già svariati suoni, registrati dallo stesso Luca, o le immagini sviluppano una sorto di sonoro anche solo "avvenendo" che noi dovremo in primis capire se davvero serva aggiungerne altri, di suoni, e se sì, come. Lavoriamo a distanza con Luca, e ogni tot ci incontriamo e facciamo il punto. Non riesco a pensare al nostro percorso senza di lui, la nostra musica che inizialmente era per film non girati, sta diventando sempre di più la musica per film, corti o lunghi che siano, di Luca Dipierro. L'atmosfera musicale di una determinata scena, sarà poi anche, seppur rivista, presente nel nostro prossimo album. Essendo la scena un requiem, l'album potrebbe magari essere l'ultimo per il nostro Father Murphy.

Non ci dispiacerebbe poi nel futuro provare a fare altre collaborazioni nel lavorare a colonne sonore per cortometraggi come film. Provare a prestare la nostra capacità di creare sensazioni e atmosfere sonore ad un bagaglio altrui di immagini, adattando la nostra creatività al servizio di qualcun altro, senza arrivare appunto alla simbiosi che si sta sviluppando con Luca. Se qualcuno che legge fosse interessato a proporci un progetto, o anche solo incuriosito, scriveteci! Nonostante appunto alcuni pensino che noi si sia scuri e depressi, in realtà sputiamo tutto il nero nella musica, e nella vita di tutti i giorni siamo persone solari, magari un po' misantrope, ma comunque pronte al confronto. Prendiamo sul serio solo quello che facciamo, di certo non noi stessi

Segui Boring Machines su Facebook Twitter

Avantguardia e Not For Us suonano come l'adolescenza

$
0
0

Qualche tempo fa siamo andati al cinema a vedere il film di Zac Efron che fa il DJ e si innamora di Emily Ratasakjdherucoschi e per rendere l'esperienza molto più piacevole abbiamo deciso di andarci con Not For Us, al secolo Alberto, che si è prestato alla visione del film terrificante. La verità è che fare il DJ non significa soltanto raccontare fregnacce a una ragazza bellissima e squarciare il tessuto del reale facendo comparire scritte esplicative in sovra-impressione, e Alberto lo sa. La vita è molto più triste di così, ed è con quello spirito di riscoperta certezza nello strazio dell'esistere quotidiano che ha composto la sua traccia per Avantguardia, oggi alla sua seconda settimana nei meandri di Perigeo, la nuova compilation del progetto ideato da Shablo. La sua traccia è quella che potete ascoltare qua sopra, accompagnata dal video diretto da OK Rocco e sinceramente non saprei come descriverla se non come una di quelle sere in cui il liceo ti sembra inaffrontabile, ma con lo spirito di chi si guarda indietro e capisce che, sotto sotto, non era così male. Questo + un bel giro di batteria.

"Ho semplicemente cercato di fare qualcosa un po emotional, senza stare a farmi troppe menate sui tecnicismi o su strutture complesse. Non ci ho pensato molto, è una traccia che è venuta fuori nel giro di due ore, d'istinto. Di solito lo dicono tutti, ma questa volta è vero.

Sono stato inattivo per qualche tempo e, a meno di riscoprirmi critico cinematografico, ho ascoltato tanto musica e ho cercato di capire quale sia la direzione che voglio percorrere con la mia. Nel mezzo c'è stato anche quel grande sbattimento supremo che è l'università".

Not For Us è stato coinvolto nel progetto Avantguardia da Mace e proprio per Mace ha realizzato un remix, che uscirà a brave ed è tornato attivo su più fronti: "Come dicevo prima voglio spingere il mio suono verso altri lidi, verso cose che non ho ancora sperimentato. Sono anche stufo della quantizzazione, quel processo che mette ogni suono e parte ritmica perfettamente a tempo. Ho deciso di abbandonare i dj set il prima possibile, per sviluppare un live in cui suonare davvero, strumenti. Non i pulsanti di un controller".

Il secondo nome uscito questo lunedì su Avantguardia è quello di Zef, produttore più che affermato (dai raga, ha prodotto "Brivido" di Guè, dovreste volergli bene tutti quanti anche solo per questo) e ormai membro del collettivo Roccia Music. Se scrivete il suo nome preceduto da Prod. su YouTube vi ascoltate un sacco di bellissimo rap italiano.

La sua "Pills", il cui accompagnamento visuale è curato da Emanuele Cerri e OK Rocco, è un pezzo costruito su un giro di batterie così azzeccato che la voce pitchata sopra potrebbe essere la vostra, mentre cantante di felicità (non è vero, questa musica serve a mangiarsela, la felicità).

 

Segui Avantguardia su Facebook, Twitter e Instagram.

Londra, dieci anni fa: com'erano SBTRKT, King Krule, Dean Blunt e tutti gli altri

$
0
0

Alex Hislop, aka Lixo

Dieci anni fa, Alex Hislop ha inaugurato una serie di serate che si tenevano in un piccolo pub di West London. Era il 2006. Vi ricordate quell'anno? La coppa del mondo e tutto il resto. Musicalmente, stavamo affrontando il difficile periodo nu-rave. MySpace era infuocato. Le tipe si mettevano ancora magliettine rosa. La faccia più gettonata nelle foto era quella da tigre. Che anno, ragazzi. Che cazzo di anno. Il sole splendeva ogni giorno, la birra costava di meno, tutti avevano un lavoro. Tutti vivevano in un castello e potevamo mangiare pizza e patatine ad ogni ora del giorno senza che ci uscisse nemmeno un brufolo. Oltre a tutte queste cose belle, in quell'anno è nata la serata di Hislop, GETME!

Hislop è anche conosciuto come Lixo. Con questo nome, ha visto crescere la sua label/serata da quel piccolo lurido pub fino a farla diventare un simbolo dell'underground londinese. Ora GETME! è una label e ha un suo show su NTS e le sue serate si tengono in posti molto più grandi. In sostanza, i ragazzi vanno alla grandissima.

La settimana scorsa è uscito un nuovo progetto del giovane producer Nicky Otter. Allora abbiamo pensato che forse era il caso di farci mandare un po' di materiale retrospettivo di questi dieci anni di GETME! Anzi, ancora meglio, di farci mandare foto inedite dei primissimi tempi della serata, in cui suonava gente come Dean Blunt, King Krule, Warrior Queen e un sacco di altri nomi che ora sono giganteschi.  

Pronti ad un bel carico di nostalgia?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nuovo singolo di Nicky Otter è uscito da poco. Sul sito di GETME! trovi più informazioni su questo e su tutti i loro progetti. 

Segui GETME! su Facebook // SoundCloud // Twitter

Aesop Rock si è rivolto a un orso psicologo per il suo nuovo album

$
0
0

Paradossalmente, sembra che Ian Matthias Bavitz aka Aesop Rock non abbia raccolto i frutti del boom hip-hop che abbiamo visto negli ultimi anni. Infatti il suo tipo di rap (conscious, indie, alt-, chiamatelo come volete) ha iniziato a prosperare a fine anni Novanta/primi Duemila quando l’hip-hop mainstream internazionale stava vivendo un periodo di crisi e la gente aveva bisogno che si scrivesse sulle cose SERIO a caratteri cubitali per prenderle sul serio. Oggi invece siamo in un’epoca fantastica in cui argomenti di rilevanza sociale e politica si infiltrano nel mainstream e fior fior di intellettuali analizzano testi rap (what a time to be alive), ma il suo approccio personale e complicato al rap non sembra avvicinarlo al Superbowl. Del resto, il rapper con il vocabolario più vasto del rap è destinato a non piacere proprio a tutti.

Io l’ho scoperto durante un lungo viaggio in macchina in compagnia di un artista americano in tour: lui aveva vissuto per un periodo a New York, che aveva lasciato a causa di un crollo nervoso in conseguenza di un trip di PCP, per cui capirete bene che il suo iPod doveva contenere una considerevole fetta di catalogo Def Jux. “Senti questa strofa [su "The Greatest Pac Man Victory in History"]: le iniziali di ogni verso sono L, S e D! Da paura!”. Per i mesi successivi ho imparato a memoria Bazooka Tooth di Aes, The Cold Vein dei Cannibal Ox e Fantastic Damage di El-P, il che mi ha portato a elaborare tutta una serie di teorie complottiste che non sto qui a esporvi. Fatto sta che il flow intricato e velocissimo di Aesop Rock ebbe un forte impatto su di me, come lo ebbero la sua fascinazione per l’underground e il suo ribaltamento degli stereotipi hip-hop (la retorica anti-capitalista di “Pigs” farebbe rabbrividire un gangsta old school e anticipa Kendrick di un lustro). Su “ZZZ Top”, poi, cita “i Ramones messicani” The Zeros in un pezzo che parla di storie di romantico insuccesso, le mie preferite.

Nel 2015, Aesop ha lasciato San Francisco e si è trasferito in un casolare in mezzo ai boschi della California del Nord, dove ha composto e prodotto tutto da solo il nuovo album The Impossible Kid, in uscita il 29 aprile per Rhymesayers Entertainment. L’album è preceduto da un singolo intitolato “Rings”, tutta una storia di rimpianti per aver abbandonato gli studi di arte a fine anni Novanta per seguire la strada del rap, e come sarebbe stato se avessi fatto il contrario? Forse sarei stato più bravo come disegnatore. Quando morirò la gente si ricorderà di me? Insomma, Il Pezzo Dei Quarant’anni.

Ho la sensazione che il nostro Aes sia in un momento di insicurezza esistenziale. Oltre al nuovo singolo, lo prova anche la serie di cortometraggi che sta uscendo un episodio alla settimana su Funny or Die, intitolata The Impossible Kid, che sembra che questa serie di cortometraggi ripercorra il processo mentale ed emotivo che lo ha portato a scrivere questo album. Il rapper si inoltra nel bosco e incontra animali fumettosi, tra cui un gatto rosa con un occhio solo, un daino zen e un orso psicologo, che lo fa accomodare sul suo lettino e ascolta i suoi problemi con il mondo della musica, gli amici e la propria insicurezza. 

Nel secondo episodio Aes si lascia andare a una tirata piuttosto disperata sul fatto che non si trova a suo agio con gli altri musicisti, né con la propria stessa musica. I musicisti sono “sociopaths” interessati soltanto alla fama e ai loro personaggi, mentre lui si sente intrappolato in questa vita e si chiede se ha raggiunto la fine, se ha finito di progredire. “I used to think about what was next, but now it seems like this is my next”. Certo, Ian, tutti ci sentiamo in trappola dopo una certa età, ma non tutti ne parliamo con un orso con gli occhiali. 

 

Non mi voglio lanciare in previsioni su The Impossible Kid, è possibile che si tratti di un viaggio buio e sconfortante negli abissi della sua psiche o di un assalto con il coltello fra i denti a ciò che ancora non va nella scena musicale più popolare del pianeta. Chi meglio di un outsider come Aesop Rock può mettere uno specchio davanti ai fallimenti umani del rap, in un 2016 in cui la narrazione popolare sembra affermare che la rivoluzione andrà in streaming su TIDAL

Guarda tutti gli episodi The Impossible Kid su Funny or Die e pre-ordina il nuovo album sul sito di Rhymesayers Entertainment.

Lancia Strali Dementi a Giacomo su Twitter: @generic_giacomo.

Leggi Stupidaggini Dissacranti su Noisey su Twitter e Facebook.

Certe volte anche chi parte rimane, gli amici ricordano Primo

$
0
0

Oggi, 25 Marzo 2016, all'Atlantico di Roma, si terrà un concerto in onore della memoria di Primo Brown dei Cor Veleno, scomparso il 1° Gennaio 2016 dopo una lunga malattia.

Sul palco dell'Atlantico si esibirà il non-plus ultra del rap italiano e la lineup è ricchissima. L'intero incasso sarà destinato ad un progetto dedicato a David, che probabilmente verrà svelato nel corso della serata. Nello spirito di questa iniziativa e per ricordare al meglio Primo, abbiamo voluto raccogliere dei messaggi di stima e affetto dedicati alla sua memoria da parte degli amici artisti che parteciperanno alla serata romana. Questo articolo, nel suo piccolo, vuole essere un invito a riscoprire la discografia di uno dei migliori rapper della nostra penisola, la cui cifra stilistica consiste in una scrittura tanto immaginifica quanto, all'occorrenza, pesante come un Sanpietrino a Caracalla. 

L'impatto sotterraneo che Primo ha avuto sul rap italiano è emerso drammaticamente il giorno della sua scomparsa, con messaggi di cordoglio provenienti da artisti portatori di un'idea musicale diversissima, se non addirittura antitetica (da Guè Pequeno a Ghemon, da Fabri Fibra a Jovanotti), a testimonianza della trasversalità del rapper romano. Primo, in effetti, sapeva essere ora schietto e diretto come un gancio al mento, ma anche intimo e raccolto ("Nelle Mani", "Tubi Caldi"), sempre in equilibrio tra due modi antitetici di approcciarsi a questa cosa del rap. Il vuoto che ci ha lasciato sembra incolmabile e ora è più che mai necessario ricordare uno degli insegnamenti più importanti che Davide ci ha lasciato: per il KO devi parlà con gli altri, perché qua trovi soltanto dei motivi per risollevarti.

AMIR ISSAA 


Immagine via Facebook

"Davide è stata la prima persona a cui ho raccontato che mio padre era in carcere. Non l'avevo mai raccontato a nessuno dei miei amici. Stavo chiudendo l'album Uomo Di Prestigio e mi avevano chiamato dal carcere di Rebibbia a suonare. Ho portato con me anche Primo e Tormento. Chi mi ha chiamato (a suonare) non sapeva che stavo tornando in un luogo che avevo già frequentato per tantissimi anni. Casualmente, in quel periodo, frequentavo molto Tormento e Primo; mi è venuto automatico coinvolgerli, ho sentito la necessità di dover raccontare a qualcuno questa cosa, questo macigno che mi tenevo dentro, che poi è confluito nella canzone "Cinque Del Mattino". 

Dopo il concerto ci siamo ritrovati in macchina insieme, e io dico a Primo: 'David, mio padre è sempre stato nel carcere in cui abbiamo appena suonato'. Lui si è girato, mi ha guardato e ha continuato a guidare. Questo episodio, in cui Davide neanche ha parlato, mi ha fatto capire che potevo raccontare questa cosa a tutti, mi ha lasciato qualcosa da raccontare...
Dal vivo aveva l'attitudine da punk rock, non da rapper: lui saliva sul palco e aveva dentro questa carica, questa energia... saltava da una parte all'altra. Essere in vita e poter decidere quello che faccio è per me un privilegio. Ho una foto di David che mi ha dato suo padre con dedica, la guardo ogni mattina. Te ne puoi andare a 38 anni come niente: non va dimenticato mai".

CANESECCO


Immagine via Facebook

"La prima volta che ho visto i Cor Veleno dal vivo avevo 15 anni, ed era nel 1999. Ero lì per vedere Piotta e Flaminio Maphia, trovai i Corve come gruppo d'apertura della serata. Durante l'esibizione la gente iniziò a strillare "PIOTTA! PIOTTA!", il quale all'epoca era fuori con Supercafone, che stava spopolando. Primo tra una traccia e l'altra disse: 'Siamo qui per fare uno show per le nostre tigri e finché non è finito non ci leviamo dal cazzo, se non vi sta bene levatevi voi!' Per me fu subito amore e da quel giorno i Cor Veleno divennero il mio gruppo preferito".

COEZ


Immagine via Facebook

"Fra tutte le leggende del rap romano, Primo Brown era sicuramente il più aperto mentalmente, rappava da quando le nuove leve di oggi andavano alle medie, ma allo stesso tempo ci teneva a collaborare con tutti, anche con i giovanissimi, come me, Gemitaiz o Madman. Quando non eravamo molto conosciuti, ci ha sempre dato grosso credito, andando anche contro ad una mentalità romana abbastanza ottusa, che a volte penalizza un po' tutti noi".

DANNO

"Per me Primo è David, perché quando l'ho conosciuto si chiamava solo così, poi è diventato Scheggia, e solo dopo si è fatto chiamare Primo Brown. Per cui David. Un ragazzino con le Ewing giganti ai piedi e un'energia indescrivibile che si conteneva a fatica e che riversava nella musica appena poteva. Giravamo coi mezzi perché eravamo pischelli in quel periodo, conquistavamo autobus e vagoni della metro per andare a scoprire Roma, trovare un nuovo muro dipinto, o semplicemente andare in pellegrinaggio fino al negozio di dischi più fornito. David nell'autobus rappava ad alta voce e si appendeva a testa in giù sulle maniglie per reggersi, rimanendo così a dondolarsi in mezzo alla gente. Certe volte tutto il vagone si girava a guardarlo e magari io mi sentivo pure in imbarazzo. Ma quello era e continua ad essere David per me. Uno spirito libero. Un ragazzino con le scarpe giganti, pieno di vita, che se ne fregava di tutto e di tutti, faceva quello che voleva e come lo voleva, e si appendeva a testa in giù negli autobus per avere una visione del mondo tutta sua, una prospettiva personale dell'universo che gli ha permesso di scrivere in un modo unico e bellissimo la sua vita in rima".

GEMITAIZ


Immagine via Facebook

Il 13 Luglio 2012 feci uscire Quello che vi consiglio volume 3 e dentro c'era anche "Ti piacerebbe", un pezzo con Ensi e Primo Brown. Ero felicissimo perché era la prima volta che collaboravo ufficialmente con lui per un mio progetto solista. Nei mesi precedenti realizzai la base del pezzo con Flavietto (Mixer T); avevamo campionato una chitarra elettrica e fatto un beat molto semplice ma che spaccava tutto, basso sample e batteria, crudo. Mentre lo realizzavamo abbiamo pensato immediatamente a Primo perché era proprio il suo sound, l'heavy metal, il rock 'n roll sui quattro quarti, casa sua. Ricordo che lo chiamai e gli dissi: 'Brother, ho questa traccia per il tape e sarei onorato di ospitartici', lui accettò senza pensarci due volte. Nonostante ci conoscessimo da un po', per me era ancora un mito, un esempio e un professore, quindi ero al settimo cielo. Lui era impegnato in quel periodo, non mi ricordo se per concerti o per registrare in studio e quindi riuscì a venire a registrare la strofa soltanto pochi giorni prima dell'uscita del mixtape. Ovviamente la sedici era una sassata e si fondeva perfettamente sul pezzo, che spaccava (come quello di Ensi, che aveva già registrato). Il giorno dopo l'uscita del tape io lo presentai a Roma, al Parco delle energie; il giorno stesso chiamai Primo e gli dissi che, se aveva piacere a fare il pezzo dal vivo, per me era top. Lui mi rispose: 'Bro, non so se me la ricordo, l'ho scritta da poco e in questi giorni so' stato impicciato, comunque passo lì e poi vediamo'.
La sera arrivò e io lo beccai lì insieme agli altri, lo salutai e gli dissi 'Fratè, non ti preoccupare, c'hai ragione, t'ho avvertito troppo tardi, è colpa mia'. Lui tirò fuori dalla tasca un foglio con la sua strofa scritta a mano e mi disse sorridendo: 'Sticazzi bro, salgo col foglio e la famo'. Sorrisi, gli diedi il 5 e così fu: salì sul palco col foglio in mano e spaccò tutto pur di accontentare un ragazzo di 24 anni che voleva diventare come lui. Questo era Primo Brown, una persona vera, umile, speciale".

HYST


Immagine via Facebook

"Feci un viaggio di 11 ore di treno, una volta, per andare a girare un video dei Cor Veleno da qualche parte sulle Alpi. Cercavo di comportarmi come se fosse scialla, ma in realtà che loro avessero bisogno di me era un privilegio. Tornando in hotel dopo le riprese in macchina io e Primo parlammo. Della luna e delle montagne. Della solitudine in natura che è diversa dalla solitudine nella metropoli. Dei maschi alpha nel branco di lupi della tundra che tolta la pelliccia sono piccoli, rosa e fragili. E parlando di altri parlavamo di noi. Capii che Primo faceva spesso così e imparai a leggerlo nelle sue strofe. Primo mi diede la chiave per David e io gliene fui grato".

JOHNNY MARSIGLIA


Immagine via Facebook

"Io sono cresciuto ascoltando il rap italiano e i Cor Veleno stavano nella mia top 5. Ho avuto la fortuna di vederli dal vivo più volte nella mia Palermo quando avevo più o meno 18 anni, ricordo che ero impressionato da come stava sul palco Primo. Qualche anno dopo ho avuto la fortuna di fare delle date con loro e non dimenticherò mai quella sera a Verona in cui Primo mi invitò nella sua camera e mi fece ascoltare un paio di pezzi di quello che poi sarebbe diventato El Micro de Oro. Dentro di me dicevo cazzo sono in stanza con Primo Brown che mi fa sentire i pezzi nuovi... Incredibile! Abbiamo fatto una bella chiacchierata quella sera. Abbiamo parlato di un bel po' di cose, anche personali, una chiacchierata intima e speciale, perché non solo ero lì con un mio idolo ma scoprivo che era una persona umile, spontanea e di cuore".

LUCCI


Immagine via Facebook

 "C'era un contrasto incredibile tra la forza, l'arroganza (nell'accezione più positiva del termine) e la coattanza di Primo sul palco e la gentilezza, la cortesia ed una sincera disponibilità di David come persona. Roma tradizionalmente richiede posizioni nette, drastiche sul rap a costo anche di sorvolare sull'aspetto umano. David invece mi sembra abbia sempre messo l'aspetto umano davanti al resto, collaborando con le realtà più disparate, cercando di fare un lavoro di unione e aggregazione che storicamente è riuscito a Milano ma resta incompiuto da noi. Ecco, quell'apertura mentale sulla musica unita alla gentilezza per me sono un lascito importante e molto difficile da portare avanti".

MASITO


Immagine via Facebook

"Nel 1992 ho conosciuto David, ci aveva presentato Giorgio (Grandi Numeri) che avevo incontrato insieme a Simone (Danno) girando vicino P.zza di Spagna a Roma; lo avevamo fermato con Simone per la fibbia col nome che portava sulla cintura, al tempo era una cosa rara da vedere in giro e solo i più old-school ce l’avevano. Eravamo quattro rapper a Roma e così abbiamo fondato gli FDC (Facce da Culo) e passavamo le giornate provando i pezzi a casa oppure al Flaminio o davanti al negozio Babilonia in via del Corso. Quando stavamo da David, lui attaccava il microfono e ci rappava le sue strofe, scriveva come un treno già al tempo, a volte arrivava da noi il pomeriggio e ci leggeva tre strofe che aveva scritto la notte prima e mi meravigliava il fatto che appena scritte già sapeva come farle sul beat mentre io ci impiegavo parecchio a trovare la metrica e ad essere fluido. Provava i pezzi in camera fino a farli alla perfezione, correggeva e ripeteva come un professionista sotto contratto anche se non avevamo prospettive di uscire con il disco o concerti da fare. Non vedevamo l’ora di rappare da qualche parte e quando si presentava l’occasione in qualche club romano del tempo a fine serata era il più carico quando salivamo, stava tutta la sera col vinile in mano della strumentale che dovevamo usare e quando toccava a noi gli brillavano gli occhi e dava il massimo anche per un pubblico "clubbarolo", poco interessato al rap italiano, che ci guardava come alieni. David era bravissimo, voce dolce e bella e rap da combattimento come nessun altro, in sala voci era uno spettacolo e al primo take tirava fuori la bomba con una facilità disarmante. Penso a lui tutti i giorni, mi manca".

NITRO WILSON


Immagine via Facebook

"Sono contentissimo che sia stato organizzato un evento così. Anche perché penso che David avrebbe voluto essere ricordato con la musica, con la presa a bene che dimostrava quando la faceva. Ho visto poche persone con la stessa passione incondizionata per qualcosa. Per me è stato sempre un esempio da seguire, sia artisticamente che personalmente, anche se lui non si è mai posto come tale".

PIOTTA


Immagine via Facebook

"Il punto non è raccontare un aneddoto su David. Di aneddoti ce ne sarebbero centinaia. Il problema è sceglierne uno che possa dare una visione d'insieme di David, pur raccontandone un solo dettaglio. Quando si passa tanto tempo con una persona è normale avere la fortuna di coglierne molteplici sfumature, a volte anche apparentemente in contrasto, nel divenire del tempo e della crescita. Come fosse un romanzo di formazione. Questo, però, non è un romanzo, è vita vera vissuta. La prima immagine che ho di David, non in senso assoluto avendolo conosciuto già tanti e tanti anni prima, è di una calda notte d'estate del 2000. Lui è sul divano di casa mia. Posso vederlo, come fosse ora e per questo ve lo racconto coniugando i verbi al presente, come fossimo in questo preciso istante. Stiamo scrivendo insieme il ritornello di "Eurocontanti", uno dei miei pezzi - col senno di poi - che mi convinceranno meno. Ma questo ora è un aspetto del tutto marginale. Quello che ci affascina più di ogni cosa è lo stimolo nello scrivere un brano che sappiamo sarà spinto in radio, così da arrivare sulla bocca di tutti. Sono anni difficili per il rap in Italia, ma, noi restiamo i sognatori di sempre. E così, in una di quelle lunghe notti tra amici, spesso a casa di Ivan o in seconda battuta da me o da Chicco o a Trastevere con Giorgio, cominciamo a giocare con le parole e la melodia. Perché David se vuole è un ritornellaro nato e canta meglio di tanti altri. Per timbro e per intonazione. Lui è fatto così. La parte che più propone di sé, sul palco e sui dischi, è hardcore allo stato puro, ma non è snob, anzi. Ascolta anche la roba mainstream e persino un certo pop. È educatissimo. È gentile. Scherza e ride. Noi della crew siamo tutti un po’ così. Il rap è un grande gioco e per questo lo amiamo. Il problema semmai, è spiegarlo a tutta quanta la gente. E questa mentalità aperta ci lega molto, noi tutti. Una mentalità che ci porta e porta David a collaborazioni variegate e, solo apparentemente, lontane. Idem per le sue cose. Avrò già 10 inediti di un David più morbido e solare che lui sta realizzando come una sorta di sfida con se stesso. Per dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che se vuole può farlo e che quel suo essere così hardcore è invece una scelta mirata, persino fisica a volte. Ai live David dà tutto di se, e la gente lo percepisce. Sul palco, lui e i Cor Ve, sono una macchina da guerra. E lo so caro David che quei 10 pezzi alla fine resteranno qui. Dentro un hard disk o su un vecchio DAT. Che non vorrai mai pubblicarli e che dirai agli amici più intimi di tenerli solo per sé. Per quando magari saremo lontani e avremo voglia di ascoltare qualcosa di noi che la gente non conosce ma che racconta comunque una parte di noi, un pezzo di noi, un momento del nostro cammino. Ora si è fatto tardi e ci salutiamo dentro ad un bar appena aperto, tra un cornetto e un cappuccino. E non sarà certo un addio ma l'ennesimo arrivederci. Ciao Dà".

SALMO


Immagine via Facebook

"Da ragazzini se ascoltavi rap e non conoscevi Primo dei Cor Veleno, voleva dire che non capivi un cazzo. Era il tipo di rapper che faceva sognare ad occhi aperti. Quel tipo di rapper di cui sai tutte le rime a memoria. Quello che ti insegna a registrare le strofe tuttedunfiato".

STOKKA & MADBUDDY


Immagine via Facebook

"Per noi è molto difficile vivere questo momento, immaginare Primo artista senza obbligatoriamente ricordare ogni momento che abbiamo vissuto insieme a Primo uomo. David ha sempre creduto in noi sin dal primo giorno, e ci ha trasmesso una attitudine nell'approccio a questa musica di cui abbiamo fatto tesoro. Fuori dagli schemi e dalle pippe discografiche, lui si è sempre approcciato a questa cosa come un fiume in piena che travolge le case, senza curarsi delle regole ma finendo per dettarne di non scritte, restituendoci un fottuto immaginario hardcore senza bisogno di nessun artefatto per delineare un personaggio che facesse vendere i dischi. L'MC più Heavy Metal in circolazione, ed è così che lo terremo nel cuore".

TORMENTO


Immagine via Facebook

"David, questo mondo è un po' più povero senza la tua limpida sincerità, piango spesso per questo, anche adesso. Provo tanta compassione per chi non ha il coraggio di fare della propria vita un esempio di coerenza. Non comprano i tuoi dischi neanche oggi che dovrebbero renderti omaggio, pensa che povertà. Ti voglio bene, mi manchi... a presto amico mio!"

TURI


Immagine via Facebook

"Al di là della stima reciproca dal punto di vista professionale (ho sempre invidiato la sua iperproduttività e il suo continuo entusiasmo) con David avevo anche un ottimo rapporto umano. Mi divertiva un sacco il fatto che ogni qualvolta ci si incontrava, l'argomento principale dei nostri dialoghi non era la musica, ma bensì le donne. Si, perché nonostante quella sua attitudine da macchina mangia-palcoscenico,era una persona tremendamente sensibile ed emotiva, capace di mettere a nudo le proprie debolezze senza un minimo di vergogna".

 

Come affrontare un DJ set di dieci ore

$
0
0

Alcuni raver alla recente serata di 36 ore organizzata da Bunker e Unter a New York (Tutte le illustrazioni sono state disegnate sul posto da Howl)

Patrick Russell, cresciuto a Detroit ma con base a Brooklyn, è uno degli ultimi resident del Bunker, un locale che per soli tredici anni ha tenuto alto lo standard delle feste techno più selvagge del panorama elettronico di New York. Membro della label e collettivo di Detroit Interdimensional Transmissions, il DJ ha suonato per la prima volta con la famiglia del Bunker nel 2009, durante uno dei famosi party No Way Back di quella città. Da allora, Russell ha collaborato più spesso con la crew di New York, e per suggellare la sua appartenenza al circolo che comprende anche il co-fondatore del Bunker Bryan Kasenic, Derek Plaslaiko e Mike Servito, ha di recente affrontato la prova con cui solo i DJ più scafati (e resistenti) sono in grado di interfacciarsi: suonare per dieci ore di seguito.

Questa performance-maratona—o se preferite chiamarlo rituale, dipende da che punto di vista lo si guarda—stava a chiusura di un party di 36 ore che il Bunker con Unter hanno organizzato al Market Hotel di New York. Il tutto è anche servito per celebrare l'uscita dell'ultimo EP di Russell, in cui ha remixato tre tracce storiche affiliate al Bunker. "Mi piace fare remix perché mi piace lavorare con un set di parametri prestabiliti," ci ha raccontato Russell. "Quando scrivi roba tua lavori col cuore, ed è fantastico, ma è un'operazione che scava completamente a fondo della tua anima. [Con queste tracce invece], ho approfittato dell'opportunità di prendere materiale che già esisteva e trasportarlo in una direzione non necessariamente legata agli schemi della cassa dritta. In questo modo ho potuto sperimentare una libertà diversa." Qui sotto potete ascoltarvi il suo EP, e di seguito vi riportiamo alcune considerazioni di Russell su come affrontare un set quasi infinito—e farlo con stile. —Michelle Lhooq

Patrick Russell: È un cliché pensare che un DJ set debba essere un viaggio. Una cosa che sento dire a tanta gente. Io però credo che ci siano DJ che suonano secondo schemi precostituiti—solo perché hai le tue belle cartucce house e techno da sparare non significa che stai facendo viaggiare il dancefloor. A me piace raccontare storie, partire da un punto e ritrovarmi da tutt'altra parte, se ho un po' di tempo a disposizione. Mi piace tirare fuori dischi che forse sono anche difficili da mixare, e creare un dialogo assurdo con chi ho davanti. Mi metto alla prova strenuamente, e pure se è parecchio stressante è dieci volte più gratificante. Potrei mettermi a suonare le tracce techno più fighe del momento, che sono anche facili da mixare, ma è molto più figo cercare di tenere insieme dischi di generi diversissimi tra loro. A volte funziona benissimo, a volte invece viene una ciofeca, ma che importa.

Non sto a pianificare come debbano andare i miei set. Di solito vado a orecchio, perché mi affido quasi completamente alle sensazioni che mi arrivano dal pubblico che ho davanti. Credo che parecchi DJ pensino troppo a quello che devono fare, e forse non si rendono conto che la fedeltà al BPM non è fondamentale. Anche quando suonavo i miei primi set, nel '93-94—più che altro a feste in casa in una città più piccolina, in cui suonavo discacci perché ero alle prime armi—non ero male da quel punto di vista: ho sempre avuto una sensibilità molto attenta all'energia che mi si crea attorno, durante un set. In passato ho suonato miliarde di volte utilizzando controller che non avevano nemmeno l'ombra di un pitch control. Questo mi ha obbligato a farmi le ossa in un modo più concreto.

Oggi non mi alleno più a casa per suonare. Arrivi ad un punto in cui non devi più pensarci su tanto, diventa qualcosa di istintivo—lo fai per un riflesso incondizionato, come quando sei mezzo addormentato. Oggi posso trovarmi in mano un gruzzolo di tracce a caso e riuscire a mixarle in modo decente. Il tempismo è sempre la parte più difficile: sta andando un pezzo che dura più o meno quattro minuti, e tu lo mixi con un altro tenendoglielo sotto per uno o due minuti. In questo modo hai poco più di un minuto per trovare la traccia successiva tra il tuo archivio di circa 700 tracce, metterla a tempo e farla partire giusta.

Amici bear che danno quel tocco fetish al dancefloor

Prima della festa al Bunker x Unter non mi era mai capitato di tenere le redini della consolle per dieci ore di fila—nel 2014 avevo suonato per otto ore filate. Un set di dieci ore richiede molta più preparazione e devi pensartelo veramente bene. Quando ho suonato per tre ore al Berghain il mese scorso, anche se mi ero preparato, dovevo fare i conti con i DJ che suonavano prima e dopo di me, entrambi mostri della techno. Con una line-up del genere non puoi certo andare dove ti pare, anche perché un locale gigantesco di quel genere ha bisogno di roba potente per stare su, è anche il motivo per cui la gente ci va. Non è complicato mantenere il tiro per tre ore, ma non è la stessa cosa quando le ore sono dieci. Con tutto quel tempo, hai l'opportunità di dar mostra delle tue abilità in lungo e in largo. 

Il primo DJ che ho visto suonare per otto ore di seguito è stato Donato Dozzy. Mi ha mostrato che c'è un modo preciso per mettersi a proprio agio con tempi del genere: se l'è presa calma, ha avviato un set ipnotico che tenesse agganciata l'attenzione della sua audience senza tirare troppo, utilizzando piuttosto alcuni trucchetti, come quello di tirare fuori classiconi senza tempo che fanno sballare tutti di sicuro. Anche per questo ci vogliono un bel po' di skill. Qualche mese fa, poi, mi è capitato di assistere ad un set di nove ore di Theo Parrish in una vineria di Brooklyn. Lui è praticamente l'opposto di Dozzy, quanto a tiro, e non sai mai con che disco ti spiazzerà. Da tracce acid di Chicago al jazz, Theo ha giocato non solo coi generi, ma anche con l'attrezzatura. Un vero fenomeno. Donato Dozzy e Theo Parrish rappresentano due polarità opposte, ma ugualmente potenti, due fonti d'ispirazione incredibile, ognuno a suo modo.

Amiche che si abbracciano e si complimentano a vicenda mentre l'ecstasy fa il suo corso.

Al party di Unter al Bunker, sapevo solo con che brano avrei iniziato e da lì in poi ho suonato tutto a orecchio. Mi ero portato 700 tracce, di cui credo di aver suonato circa 200. Era anche la prima volta che suonavo in digitale per così tanto, ho anche tentato di organizzare le mie tracce in cartelle. Quando ascolto un brano, me lo dice lui dov'è giusto che stia in un set—se all'inizio, al momento di punta o alla fine. Nella settimana precedente a quel party ho passato una o due ore al giorno a scandagliare il mio archivio musicale, e negli ultimi due giorni mi sono fatto un'idea della direzione che volevo dare al mio set. Potevo pure prepararmi più a lungo, ma se ti prendi troppo in anticipo rischi di cambiare idea all'ultimo minuto. Quindi ho preferito affidarmi alle mie sensazioni nei giorni imminenti al set, lavorare su quelle emozioni e basarmi su quello.

Non ho iniziato a freddo—la festa era iniziata da circa 26 ore quando ho attaccato io—quindi dovevo solo mantenere alto il livello di energia per il resto della notte. 

La mia prima traccia è stata "Riots in Brixton" di Todd Terry (sotto il suo alias English Friday). Mike Servito, che è mio amico da molti anni, suonava giusto prima di me, e so che di solito mette roba house upbeat, quindi con questo tipo di mood andavo sul sicuro.

Ho suonato almeno sei ore di roba sulla stessa linea, bella gasata, tutto materiale upbeat. Poi ho iniziato a passare a tracce più retrò, vicine allo stile delle vecchie uscite Warp.

Per un'ora e mezza ho suonato vecchi dischi di Chicago e cose con parecchie percussioni, portando la mia audience verso territori più marcatamente acid.

Nel momento più peso della serata ho iniziato a tirar fuori chicche degli anni Novanta di acid tedesca. Qualcosa di Wolfgang Voigt, uno che aveva all'incirca trenta alias, tra cui questo Love Inc.:

Da lì in poi, ho cercato di buttarmi su cose più strane e astratte, il che mi ha poi condotto verso una sezione a base di acid ed electro, alternate una all'altra. Verso le 6 o 7 ho iniziato ad accelerare il tempo delle tracce electro, finché non ne ho messa una di Like-A-Tim, uscita su Djax-Up-Beats nel 1996. È un pezzo molto upbeat intitolato "Scale", che a un certo punto cambia tempo. Lo stavo suonando a 136 BPM, mi piaceva l'idea di incasinare il senso del ritmo di tutti, e lo stacco che c'è a metà traccia era una buona opportunità per permettere a tutti di prendersi una pausa dopo sei o sette ore di set ultra-energetico. Sono quindi tornato sui 120 BPM, decisamente più lento, suonando tracce tipicamente più dilatate per un altro paio d'ore. Ogni volta che suono roba lenta, c'è questa che regna sovrana:

Verso le 9 mi è parso di dover ridare un po' di vita al party: bisognava tornare sui binari giusti, per cui ho messo un po' di italo disco e qualche pezzo dei primi dischi di Aphex Twin. Suonare roba più positiva e leggera verso fine set mi è sembrata una scelta felice. A un certo punto ho provato una cosa un po' strana: ho messo un sample che avevo registrato qualche ora prima di un tizio che dice "This is a bonus track", e l'ho suonato prima di mettere "Cosmic Dancer" dei T-Rex.

In quel momento non ci ho pensato, ma il testo di "Cosmic Dancer" parla parecchio di ballare, e io ero davanti a personew che lo stavano facendo da più di venti ore entrandoci davvero dentro, non importa quanti anni avessero e chi fossero. Penso che prendersi la briga di riaccompagnare giù la gente e lasciarli con qualcosa di bello e significativo serva a farli andare via con l'idea di avere ricevuto più del solito da un tuo set.

Certo, suonare per dieci ore è una roba fisicamente molto impegnativa: stare nella stessa posizione e fare le stesse mosse per dieci ore è durissimo, dopo un po' ti intorpidisci. Ho passato tutto il tempo a piegarmi in avanti, specialmente verso la fine, ma in realtà è tutta una questione mentale: mantenere la concentrazione e l'attenzione, e gestire tanti pensieri contemporaneamente, continuando comunque ad affidarti all'istinto e a non pensarci troppo. Per renderlo davvero speciale, devi crearti qualcosa dentro, e alla fine dipende anche tutto da come ti rapporti con la gente. Devi sapere cosa vogliono prima che lo sappiano loro.

Questo racconto è stato trascritto da Michelle Lhooq con l'aiuto di Alexander Iadarola. Follow Michelle and Alex on Twitter.

 


Guarda in anteprima il nuovo video di "CC" della Dark Polo Gang

$
0
0

Qualche mese fa vi abbiamo fatto ascoltare per la prima volta una crew di cavallini che viene da Roma, ma spinge fino a Milano. Un paio di mesi fa abbiamo provato a spiegarveli, per andare oltre i loro incastri metrici (che forse capiremo nel duemilaemai) e capire cosa si nasconde dietro l'attitudine che mettono in mostra.

Qualche giorno fa abbiamo benedetto il loro Crack Musica e oggi siamo qui a ringraziare i ragazzi di No Text Azienda, perché domani sera riportano la DPG a Milano dopo un concerto, lo scorso gennaio, che ha lasciato tutti a metà tra il ferito e l'estasiato). L'appuntamento è alle 22.30 al Saint Club, ma nel frattempo se hai qualche dubbio ti puoi sparare l'anteprima che c'è qua sopra... Se per qualche motivo non l'hai già fatto.

Il video, come al solito, è stato girato da Alxssvndroman. Tutto il resto scoprilo da solo, se ce la fai.

Segui Dark Polo Gang su Facebook.
Segui Noisey Italia su Facebook.

Noisey e Club To Club presentano: The Italian New Wave a C2CMLN

$
0
0

Pochi preamboli: che il prossimo aprile Club To Club completerà la sua campagna di invasione di Milano per conquistarla definitivamente lo sapete già tutti. C2CMLN, durerà dal 7 al 9 aprile, il che vuol dire che manca davvero pochissimo, che siamo a ridosso di una delle date più importanti del calendario musicale della città. La line-up comprende gente come Animal Collective, Arca, M.E.S.H.... Oh Vabè, davvero, che ve lo diciamo a fare? Tanto lo sapete già sicuramente. Quello che invece forse non sapete è che Noisey parteciperà alla giornata conclusiva del festival, sabato 9 aprile con un contributo tutto suo.

Lo scorso novembre, infatti, siamo stati all'edizione torinese del festival con l'idea di riprendere in video, per una volta, non tutta la line-up del festival ma solo gli italiani, i componenti di quella che Club To Club chiama da tempo The Italian New Wave. Abbiamo quindi deciso di accompagnarli nel chiamare a raccolta chiunque oggi in Italia faccia musica elettronica con personalità e capacità di dialogare con artisti e pubblico di tutta Europa (e oltre), chi si sgola da anni per far sentire la propria voce e la forza di una scena che sta prendendo sempre più piede. Abbiamo parlato con Lorenzo Senni, Not Waving, Vaghe Stelle, Shapednoise, Gang Of Ducks, Bienoise, Simbiosi e Furtherset, aggiungendo una piccola comparsata di Oscar Powell, che ci ha a sua volta rivelato cosa ne pensi della scena italiana.

Ne abbiamo fatto un documentario, che proietteremo e presenteremo proprio sabato 9, accompagnando e precedendo sia l'esibizione di due begli esponenti della INW—Grand River e Bienoise—che lo showcase di compleanno (5 anni!) di Diagonal, che non solo è una grandissima label ma è co-gestita proprio da Powell e produce le fatiche viniliche di Alessio "Not Waving" Natalizia. Il cerchio si chiude, o meglio si chiuderà se verrete tutti sabato 9 al Santeria Club di Milano. Ci trovate lì.

Segui Club To Club su Noisey e su Facebook.

Storia della Gqom e dei suoi pionieri, i Rudeboyz

$
0
0

Una delle realtà elettroniche più stimolanti in quanto a inventiva e rottura con il paradigma dance convenzionale ha sede in Sudafrica, per la precisione in una città (una sola): Durban. Tale realtà risponde al nome di gqom, e se i più svegli ne hanno già sentito parlare è perché i media occidentali e non, negli ultimi tempi, ci sono andati quasi tutti sottissimo, un po' come i sottoscritti d'altra parte. Si tratta di uno strano e crudo sottogenere della house 4 step, a cui è stato innestata un'impalcatura sbilenca di kicks, vocals e percussioni dai connotati tribali, che rendono il prodotto finale una perfetta manifestazione di apocalisse afrofuturista tutta da ballare. A Durban i producer locali irrorano di gqom ogni possibile angolo di strada, e gran parte di questi—Mafia Boyz, Citizen Boy, Emo Kid, Cruel Boyz—sono stati raccolti in The Sound of Durban, uscita ufficialmente lo scorso febbraio su Gqom Oh!, ampliamente coperta da The Wire nel cartaceo di dicembre scorso. La gqom, ad ogni modo, va ben molto più in là di così. 

I tre ritratti nella foto poco più in alto, sono Menchess, Massive Q e Andile-T, meglio noti come Rudeboyz. Anche loro fanno parte della gqom wave, e poco importa se non sono apparsi in Sound of Durban, assieme ai colleghi dai nomi che finiscono in -boyz. Hanno rilasciato il loro primo e omonimo EP sull'inglese Goon Club, sono stati inseriti nella prima compilation ufficiale di NON Worlwide nelle vesti di veri pionieri della gqom, e Dazed ha dedicato loro questo bell'inserto con tanto di mix esclusivo.

Arrivati a questo punto non potevamo essere da meno, e visto che tutto sommato su come è nata la gqom e perché sappiamo molto poco, abbiamo deciso di chiedere a loro direttamente, sia a parole che in musica. Nell'oretta di chiacchierata su Skype, Menchess e Massive Q mi hanno raccontato la storia della gqom, la sua diffusione internazionale, l'impatto su Durban e la sua difficile composizione sociale, e il rischio di sfociare nel mainstream più snaturante. Durban e gqom sono la stessa cosa, ma come al solito, i processi di assimilazione culturale sono sempre più difficili dentro casa, che fuori. 

I Rudeboyz hanno saputo imprimere Durban in un cinquantatré minuti di mix, senza tracklist perché pieno zeppo di inediti. Le foto che seguono sono state scattate dagli stessi.

Noisey: Cosa state facendo e dove siete?
Menchess: Siamo qui a Durban, ci stiamo rilassando nel soggiorno.

So che magari siete stufi di questo interesse morboso da parte dei media esteri—prevalentemente occidentali—nei confronti di Durban e della sua gqom wave, ma per quanto mi riguarda è una delle realtà musicali più interessanti degli ultimi tempi. Mi raccontate un po' com'è nato tutto?Menchess: La gqom è nata qui a Durban all'incirca nel 2010. È nata nel giro undeground, e si è sviluppata a partire da generi e stili che già esistevano. Tutti si sono ritrovati a suonarla in giro, dai locali ai taxi con la musica a volume sparato, gqom per l'appunto. Gli strumenti usati sono sempre diversi, e quello che abbiamo fatto qui a Durban è stato lasciarci contaminare. Prima di tutto nel clubbing. C'è stato un grosso cambiamento nel modo in cui la gente vede i club, adesso. La gente di Durban è una categoria a parte, non assomiglia a nient'altro qui in Sud Africa.
Massive Q: La gqom è stata creata da e per le persone che escono la sera a ballare. A ispirarci e spingerci a fare sempre di più sono stati quelli che hanno reagito positivamente alla nascita di questo "genere." 

In che modo gli elementi che lo contraddistinguono sono legati alla conformazione della città stessa di Durban? Ve lo chiedo perché è sempre più raro e speciale assistere alla nascita e allo sviluppo di sonorità elettroniche di questo tipo, in cui le percussioni attingono da una certa ritmica tradizionale, rese perfettamente compatibili con l'immaginario dance attuale.
Massive Q: Gqom è il suono della nostra cultura, è qualcosa che vibra dentro di noi in ogni momento. Lo sentiamo nostro, l'abbiamo osservato a lungo e coltivato. Il sound classico africano è molto standardizzato al giorno d'oggi; c'è una vibe ben precisa. La gqom nasce da questi input, ma se ne allontana allo stesso tempo perché combina un sacco di altre componenti. Hip-hop, r'n'b, house, kwaito, ritmi "rotti" e  e mille altri sottogeneri che apportano informazioni da altre aree del paese. Ad esempio, in "Get Down", nel nostro ultimo EP, tutto questo è evidente. Forse è più kwaito contaminato con house, mentre "Mitshubishi song" è già più africana, così come "Sambuka Dance". È una traccia pensata per il dancefloor, anche se ingloba un po' tutti gli elementi di cui sopra.

Una traccia gqom è pensata per far ballare tantissimo, per essere un bangerone. Ci sono tanti elementi urbani al suo interno, che a loro volta prendono ispirazione da tante realtà cittadine diverse. C'è un'esplorazione ben profonda in ogni produzione gqom.

Ci sono un sacco di stereotipi sulla musica africana oggi, e credo che la gqom sia un'ottima dimostrazione di come le cose possono davvero cambiare. Come viene vissuta questa transizione dall'interno?
Menchess: Qui a Durban la gente non si rende tanto conto di quello che succede, in realtà. La gqom è ancora molto undeground, non la passano in radio. È un esperimento che conduci in casa, per conto tuo, e cerchi di tirarne fuori un senso. Cerchi di creare qualcosa di mai sentito prima, e lo proponi nei club per vedere come reagisce la gente. È nata così, qualcuno ha avuto quest'intuizione e noi ci siamo solo adattati.
Massive Q: Le connessioni tra producer poi avvengono tutte su Internet, Facebook, Soundcloud e Whatsapp aiutano un sacco.
Menchess: Prima c'era la house con kicks a 4 step, che era tutta uguale. Qom-qom-qom-qom. Abbiamo provato ad aumentare le possibilità e le tipologie di kick, creandone di nuove, anche sghembe. Quando è uscito era quello l'aspetto innovativo, ma sempre ben radicato nell'underground. Molte radio si rifiutano di passare tracce gqom. È accessibile a tutti ma per altri mezzi. Tutti possono fare gqom a casa, e se esci e vai a lavoro o a scuola stai sicuro che da qualche parte la sentirai di sottofondo. In questo modo si è appropriata della città intera, eppure come dicevo, il grado di accettazione non è sufficiente ancora per farla arrivare alle radio. Però ecco, l'attenzione arriva dal resto del mondo, quindi è ok.

Etichette europee come Gqom Oh!, o la vostra Goon Club hanno già fatto molto in questo senso.
Menchess: Non conosciamo personalmente i ragazzi di Gqom Oh!, ma sappiamo di cosa si sono occupati, molti degli artisti della loro compilation sono di Durban come noi. 

E fuori Durban che situazione c'è?
Menchess: Al momento la gqom è ovunque, tutti la fanno e ne sono entusiasti, anche a livello internazionale e più mainstream. Non è più un fenomeno solo sudafricano. Il mese scorso si è tenuto un festival di musica elettronica a Cape Town in cui per la prima volta la gqom ha avuto una sua visibilità al suo interno. È stato bello perché in larga scala non si era mai visto un simile traguardo. Sta davvero diventando internazionale.

Non temete la mercificazione ad opera dell'industria musicale mainstream?
Menchess: No, assolutamente. Anzi siamo felici se più persone nel mondo ne vengono a conoscenza e la ripropongono a loro modo, l'onda si amplifica ed è un bene. È anche vero però che se non fossimo stati esposti alle realtà di Durban, non saremmo mai stati in grado di produrre niente del genere. In altre parti del sudafrica si è provato a creare derivazioni del genere, ma non sono così riuscite come la gqom prodotta da chi vive a Durban. Anche se diventa mainstream è importante che le radici rimangano a Durban. È una specie di eredità, nessuno ci può rubare la nostra bambina, no? [Ride]

Vero. Cosa significa di preciso la parola gqom?
Menchess: È una parola zulu che riproduce il suono di qualcosa che cade in terra, o colpisce un altro oggetto... qqq'om! Si è sviluppato da lì, la gente usava il termine senza associarlo alla musica. Quando è subentrata l'elettronica, l'intento è stato dare un'accezione molto più intensa a questo nuovo genere che rapidamente si stava impadronendo di ogni angolo di città. L'origine però, come dicevo, è zulu.

Fichissimo. Non mi ero mai imbattuta in un genere musicale descritto perfettamente da un termine della lingua nativa di un posto.
Massive Q: Esatto. Non c'è stata una persona specifica che ha coniato il termine legandolo alla musica, poco a poco è entrato nel linguaggio e immaginario comune e basta. A quel punto la bambina era nata, e ormai tutti la conoscono per come è.

E voi come vi siete conosciuti?
Menchess: Abitiamo nello stesso vicinato, quasi nella stessa via, a Mount Moriah. Abbiamo iniziato a produrre musica individualmente nel 2010, poi un giorno mi hanno presentato Massive, che ai tempi studiava già ingegneria del suono. Nel 2012, dopo aver fatto esperienza di produzione, Massive decide di fondare un gruppo. Da allora abbiamo sempre lavorato insieme.
Massive Q: Io studiavo per diventare fonico, e sapevo un po' di più degli altri come si usavano gli strumenti e i programmi per fare musica, così li ho introdotti lentamente al campo. Sono partito dalle nozioni più basilari, e poco a poco guadagnavamo dimestichezza. Ci piacevano tante cose di quello che ci circondava a livello musicale, ma diciamo che principalmente volevamo dare vita a qualcosa che coinvolgesse i giovani. Volevamo creare qualcosa di nuovo e in continua trasformazione, che stesse dietro alle esigenze di ragazzi come noi, in costante crescita. Era già il 2011 e le nostre produzioni non erano ancora gqom a tutti gli effetti, e non avevamo un gruppo vero e proprio, perché ognuno si arrangiava come poteva per conto proprio. Solo nel 2012 siamo arrivati a trovare un sound gqom vero, con delle tracce rappresentative pronte ad essere rilasciate. È così che sono nati i Rudeboyz.

In che modo la gqom influenza la società a Durban? C'è in qualche modo aggregazione, livellamento di eventuali disparità o dal punto di vista sociale è ancora qualcosa di circoscritto?
Menchess: La gente qui è davvero pazza. Il clubbing qui è prevalentemente a utenza giovane, ma ha tante nature, anche più radicali di questa. Ci sono molte altre cose, spesso illegali, che aggregano le persone, in questi contesti... [Ride] In ogni caso no, non credo che la gqom agisca sulla società livellando disparità. Unifica coloro che si interessano al genere, ma viene comunque suonata in circuiti underground, mai nei locali fichetti per gente bianca. È più pensata da e per noi neri. È molto raro trovare musicisti bianchi che si interessano in questo genere, a Durban. A loro piace la techno, la house, i generi convenzionali che tutti conosciamo. A suo modo la gqom qui ha aggregato una comunità di giovani neri che però fanno musica considerata "di nicchia". So che può sembrare strano visto il successo che invece sta avendo in Europa e in occidente, ma è davvero così qui. La gqom è nera, ed è per i neri. È vero anche che sta diventando sempre più internazionale e mainstream, come dicevamo prima, e forse un giorno proprio grazie a questa cosa anche i bianchi ricchi la suoneranno e ci si appassioneranno. Magari si renderanno conto che questa musica è sempre stata qui, e non è venuta fuori dal nulla, solo perché i media occidentali ne parlano. C'è un grosso gap sociale tra chi fruisce davvero di questa musica.

Peccato, speravo fosse uno strumento con cui far fronte a questo gap. È questione di tempo però, e l'attenzione mediatica occidentale sta già facilitando questo processo. Parlatemi del mix che ci avete preparato, adesso.
Massive Q: Un bel po' di nostre tracce inedite, altre edite, e qualcosa di nostri amici che fanno gqom.
Menchess: Sì, un quadro esaustivo della scena gqom a Durban.
 

Segui i Rudeboyz su Facebook e su Soundcloud.

Segui Sonia su Twitter

Se hai mai detto una di queste frasi sulla musica, ti meriti una sberla

$
0
0

Foto via Nappi-Corradini

Sappiamo tutti che ci sono due modi di parlare di musica: uno giusto e uno sbagliato. C'è una linea sottile che separa un fan della musica da un individuo socialmente disturbato, e se c'è una cosa che la società moderna ci insegna è che a volte un bello schiaffone atomico risolve i problemi. Quindi, se avete mai pronunciato una di queste frasi preparatevi perché potreste incontrare qualcuno a cui prudono le mani.

“Forse tipo quattro anni fa avrebbe avuto senso andarli a sentire.”

“Puoi mettere il mio nome in lista con un più uno?”

“Mi pare che gli LCD Soundsystem ci abbiano tradito.”

“Mi piace solo il primo disco.”

“Il vinile suona più caldo.”

“Andrai al MiAmi?”

“Per me ogni giorno è il Record Store Day.”

“Non prendo i biglietti per il concerto perché tanto il mio amico organizza l'after-party.”

“Col cazzo che gli do trenta euro di biglietto, li ho già visti in un garage quando non li conosceva nessuno, cinque anni fa.”

“I Beatles sono sopravvalutati.”

“[in un bar fighetto] Questo posto era molto più figo quando non ci andava nessuno!”

“Se ne parla il Times, ha fatto il suo tempo.”

“Il mio moroso è un influencer.”

“Non mi è piaciuto Master of None, però il cameo di Father John Misty ci stava.”

“Sono tipo un msto di shoegaze e black metal.”

“Probabilmente non li avrai mai sentiti nominare...” 

“Certo, il bassista di quel gruppo è amico mio.”

“L'ho letto su Pitchfork.” 

“[una battuta presa da Almost Famous]”

“Molto meglio che Kanye faccia il producer perché non sa rappare.”

“Questo quartiere è cambiato.”

“Certo, ho il numero del suo manager, gli mando un messaggio.”

"Certo, ho il numero del loro ufficio stampa.”

“Certo, ho il numero della loro etichetta.”

“Certo, ho il numero del tipo del merchandising.” 

“Certo, ho il numero del loro fonico.”

"Certo, ho il numero del loro batterista."

“Perché nessuno parla mai di quanto è influente Chief Keef.”

“Li ho fatti suonare a una festa quando ancora non li conosceva nessuno.”

“Ho mandato il CV a quelli di Noisey perché è ora che qualcuno scriva in italiano su quel sito.”

“Mi piace la musica di Kanye ma lui è davvero un coglione.” 

“Tu segui Father John Misty su Instagram?”

“Li ho sentiti suonare a Macao e mi han fatto cagare.”

“I Deafheaven hanno reso il black metal roba da fichetti.” 

“[qualcosa su Lester Bangs]”

“Blood Orange? Bo, sì, Dev Hynes non è male come autore.”



“Venti euro per un disco dei Crass? Mi sembra parecchio in contraddizione con la loro filosofia.”

“Torino è la nuova Seattle.”

“Teramo è la nuova Seattle.”

“Macerata è la nuova Seattle.”

“Ravenna è la nuova Seattle.”

“Pescara è la nuova Seattle.”

“Sì ma l'impianto di quel posto è una merda.” 

“Non mi fanno impazzire musicalmente, ma ho letto il libro su di loro e non era male.”

“Ultimamente non ascolto molta musica, sarà che mi sono abbonato a Netflix.”

“Il cantante dell'Officina Della Camomilla era in cumpa con me.”

“Basta festival, me ne sono fatti troppi.”

“Questa roba esce solo su cassetta.”

“Mi piacevano un sacco, ma il loro ultimo album mi ha talmente deluso che adesso non me ne frega un cazzo di loro.”

“Come diceva Ian Mackaye…”

“Non ho ancora dimenticato lo stupro auditivo di quel disco degli U2 che mi sono ritrovato nel telefono.”

“I miei amici organizzano questa serata Emo che spacca.”

“L'anno scorso al Primavera…”

“Ci facciamo un giro in quel negozio di dischi dopo il brunch.”

“Il concerto era carino, ma il loro fonico è un cane.”

“Se vai su Discogs lo trovi a meno.”

“So come trovarti un paio di Yeezy a un prezzaccio.”

“Li ho scoperti quando facevo l'erasmus, prima che fossero conosciuti anche qui.”

“Sono caduto in un k-hole di Soundcloud.”

“Mi piace ogni tipo di musica.”

“Ho ancora il mio vecchio iPod da 64 giga.”

“San Salvario è la nuova Williamsburg.”

“il Pigneto è la nuova San Salvario.”

“NoLo è il nuovo Pigneto.”

“Quell' aeroporto abbandonato in provincia di Bologna è il nuovo Pigneto.”

“La gentrificazione farà andare via tutti gli artisti.”

“Quest'app mi serve per scoprire nuova musica.”

“Venerdì faccio un DJ set.” 

“Ci sono i Vampire Weekend che fanno DJ set.”

“Non sono come i Death Grips.”

“Credo che Noisey sia un sito problematico.”

“Aspetta aspetta, questa la Shazammo.”

“Credo che Meow the Jewels sia un po' lontano dal messaggio della band.” 

“Non so se sono contento per la reunion degli At the Drive-In, ho l'impressione che lo facciano solo per i soldi.”

“Aspetta, ti spiego io cos'è l'accelerazionismo.” 

“Quando mette i dischi si fa chiamare DJ Windows 98.”

“Ok Milano, ma la vera scena è quella pugliese.”

“Hai il pass VIP?”

“Posso avere un pass VIP?”

“Che pass ti hanno dato?”

“Hai visto il concerto di Florence and the Machine in area VIP?”

“C'è il tipo de I Cani in area VIP.” 

“Hai visto che l'ho Snapchattato?”

“Tutti i migliori festival sono in Europa dell'Est.”

“Ho scoperto quel gruppo su Bandcamp.”

“So che dopo c'è un after.”

“In realtà si pronuncia DÀIV.” 

"In realtà si pronuncia BON IVÈR."

“In realtà si pronuncia SUFYAN.”  

“Il punto di Young Thug è…”

“Sì, queste scarpe me le hanno date perché sono amica dello sponsor.”

“Era una festa di VICE ma è stata carina lo stesso.”

“Sì, l'ho twittato ieri.”

“Fanno parte della scena emo revival che adesso va forte.”

“Lana del Rey mi segue su Twitter.”

“Il libro di Jessica Hopper ha un nome un po' inappropriato.”

“Mi scrivo messaggi privati su Twitter con Marracash”

"Mi scrivo messaggi privati su Twitter con Mondo Marcio"

“Mi scrivo messaggi privati su Twitter con Vasco Brondi…”

“Non ho Twitter.”

“La Dark Polo Gang manco una rima chiude.” 

“Questo devo snapchattarlo.”

“In realtà il punk è morto nel 1979.”

“Hanno fatto la première del mio disco su Rockit.”

“Il mio gruppo è andato a suonare a Babylon.”

“Se non conosci questi rapper non sai cos'è il rap:”

“Di questi tempi l'hip hop è una merda.”

“Sì, Vinyl è carino, ma l'industria musicale è un'altra cosa.”

“Ho distrutto quell'album sul mio blog.”

“Rimpiango i bei tempi in cui i rapper dicevano cose sensate.”

“No ma hai sentito che ne ha detto Anthony Fantano…”

“No, ma sono molto bravo a suonarla a Guitar Hero.”

“I Run the Jewels sono più punk di tutte queste finte punk band di oggi.”

"Calcutta è un genio."

“Onestamente, è un po' presto per decidere su quest'album.”

“Non vedo l'ora che _____ scriva un editoriale su sta storia…”

“Leggo tutti gli editoriali.” 

“Oddio, senti, in questo bar c'è il disco dei Magnetic Fields.”

“Senti, in questo locale hanno messo il disco dei Radiohead.”

“Aspetto sempre di sapere che ne pensa Valerio Mattioli.”

“Non ho nemmeno ascoltato la roba nuova di Justin Bieber.”

“Anche la musica è cambiata dopo i fatti di Parigi.”

“Prima del concerto fa un instore da Propaganda” 

“Se hai le cuffie della Beats sei solo un poser.”

“Mi spiace che BrooklynVegan sia un po' scaduto ultimamente.”

“Era un figo, ma ora è diventato una specie di meme.”

“Odio quando ai concerti vedi solo schermi. Mettete giù quei telefoni.”

“Hanno fatto uno showcase sul mio terrazzo.”

“Mi sono accaparrato la scaletta.” 

“Il gruppo spalla inizia alle nove, quindi non sarò lì fino alle dieci e mezza.”

“Quando vado ai concerti e la gente affianco a me limona vorrei tornarmene a casa.”

“Ho scoperto quella band grazie a Broad City.”

“La gente dovrebbe imparare a togliere il flash quando fa foto ai concerti”

“Ho già prenotato una casa per l'anno prossimo al Coachella.” 

“Mi piacciono di più i festival piccoli.”

“Ho il pass.” 

“Mi ricordo quando al Club To Club andavi davvero in tanti club diversi.”

“Comunque i Sex Pistols erano solo una boyband sponsorizzata da un fashion designer.”

“Come cazzo si fa ad ascoltare il jazz?”

“Bellissimo e verissimo il racconto Perdere La Verginità al MiAmi.”

“Il primo album dei Coldplay era una figata, invece.” 

“I primi pezzi di Kreayshawn spaccano il culo a Nicki Minaj.” 

“Ho condiviso il thinkpiece di Soundwall.”

“Ok, sarà pure un progetto branded, ma è carino.”

“È tipo VICE, ma solo per robe di musica.”

“La so suonare con l'ukulele.”

“C'era un articolo interessante questa settimana su Bastonate.”

“Cosa direbbe Lester Bangs di una roba così?”

“David Bowie si sta rivoltando nella tomba.”

“Dì quello che vuoi di Rolling Stone, ma i lettori che hanno loro voi ve li sognate.”

“Jay Z è il Berlusconi del rap.”

“Jay Z ha fatto solo tre album carini.”

“Non è che impazzisco per la musica di Beyoncé, ma la rispetto come artista.”

“So che stanno per firmare con Carosello.” 

“Non posso credere siano passati 10 anni da 'La Guerra è Finita' dei Baustelle.”

“Quella band è un crimine di guerra.”

“Quantomeno le band italiane sono autoironiche.”

“Dai, alla fine Rockit ha dei bei thinkpiece.”

“Ho un sacco di amici che scrivono recensioni per Deerwaves.”

“Fondiamo un sito di musica?”

“È diventato quello che anni fa lui stesso criticava.”

“Red Ronnie alla fine ha ragione…”

“Conosco di persona quelli che hanno fatto la colonna sonora di Gomorra.” 

“Questa musica va bene per la palestra, ma non me la ascolterei per i fatti miei.”

“PC music sta decostruendo il pop.”

“Le chitarre oramai sono una roba marginale.”

“È un mixtape, ma nell'approfondimento ne tratteremo come fosse un album.”

“È stato un concerto fighissimo, ma il pubblico non l'ha apprezzato.”

“Ti va di essere l'ospite del mio podcast settimanale?”

“Hai i file FLAC? Non ascolto robe in bassa qualità.” 

“C'è un bel documentario di VICE sull'argomento.”

“Chi l'ha prodotto?”

"Bologna non è più la stessa."

“Red Ronnie.” 

"Talent Show."

“È la brutta copia di Young Thug…”

“Nessuno come Kaos, lui sì che è uno vero.”

“Ok, faranno pure cagare, ma sui social vanno fortissimo.”

"Ma vi pagano per fare questo?"

"Lavoro per Noisey."

 

Aloha! Sono uscite due tracce di Drake

$
0
0

Si avvicina aprile, e con lui si avvicina la data in cui dovrebbe uscire Views From The 6, e le aspettative nei confronti del nuovo album di Drake si impennano. Negli ultimi mesi abbiamo avuto l'onore di ascoltare nuovo materiale di Drizzy nella forma della traccia "Summer Sixteen" o di collaborazione con Rihanna per "Work", ma del nuovo album ancora si sa poco, troppo poco. Le cose non sono cambiate, e dell'album ancora non sappiamo un cazzo, ma abbiamo un paio di nuove tracce del signorino, intitolate rispettivamente "These Days" e "Controlla". 

Non si sa bene da dove arrivino questi pezzi, dove e quando siano stati registrati, se saranno contenuti in Views From the 6, tutto quello che sappiamo è che sono stilisticamente molto diversi tra loro. "Controlla" (in cui compare Popcaan) è più o meno dello stesso tenore della collabo di Drizzy con Rihanna, mentre "These Days" è un omaggio ai Velvet Underground dato che il sample viene dalla traccia omonima di Nico. 

UPDATE: Le tracce sono state prontamente rimosse da YouTube. Per il momento potete ascoltarle su The 6 Track, ma è assai probabile che non avranno vita lunga neanche lì.

 

La relazione complicata tra gay e musica italiana

$
0
0

Umberto Bindi, 1970, immagine via Wikipedia.

La legge sulle unioni civili in Italia, come tutti ben sappiamo, è uscita a cazzo. Ma nonostante lo zoccolo duro dei tradizionalisti incartapecoriti, la recente notizia che a Roma il tribunale dei minori ha concesso l’adozione di un bambino a due padri gay mi ha fatto pensare che, se il governo tentenna, la gente non sta a guardare. E la musica pop italiana neanche: se ricordiamo per l’ennesima volta Sanremo e il fioccare di braccialetti arcobaleno sfoggiati da buona parte dei cantanti in gara possiamo dire (o almeno ci piace pensarlo) che queste piccole rivoluzioni passino anche attraverso le sette note, e in Italia da questo punto di vista non siamo secondi a nessuno. Non tutti lo sanno ma, a parte i brani espliciti sul tema, un buon ottanta percento del pop italiano di tutti i tempi (anche quello di solito sfacciatamente etero) contiene messaggi LGBTQ a stecca, soprattutto criptati. Italian Folgorati in questo speciale in due parti tenta di tracciare una parziale mappa di questo fenomeno (perché la letteratura è nutrita) che ci ha portato al plebiscito di solidarietà sul palco dell’Ariston. Fiato alle trombe!

I PIONIERI

Prima di tutto una premessa: in Italia le canzoni a sfondo “ambiguo” esistono dagli anni Venti, l’unico problema è il loro essere principalmente di varietà, quindi con tutti gli sfottò del caso—il più delle volte omofobi. Ad ogni modo, che fosse in buona o in cattiva fede, si trattava di roba a sfondo cabarettistico. Sarà solo negli anni Sessanta che le cose inizieranno a cambiare: pochi ma buoni, i pionieri del genere non erano certo underground, anzi. Il primo in assoluto a rompere le righe del ben pensare è Ghigo, uno dei primi rocker in Italia che nel 1957 incide la celeberrima "Coccinella", dedicata al travestito francese Coccinelle, fra i primi uomini a cambiare sesso. Il 45 giri sarà venduto nei negozi solo nel 1960, per ovvi motivi che potete immaginare, ma fa il botto (oltre un milione di copie vendute). Ragion per cui la cultura dominante rimane spiazzata da tanto successo e la Rai saboterà il cantante da lì in poi. In maniera abbastanza inutile, tra l'altro, perché Coccinella sarà spesso coverizzata (tra l’altro anche da Ivan Cattaneo) e consegnata ai posteri, mentre Ghigo continuerà nelle sue provocazioni con l’altra hit “Banana frutto alla moda”, fonderà il partito estremista dell’urlo, sarà uno dei padri del rock demenziale e lo ritroveremo addirittura con i suoi Black Sunday Flowers nei festival di Re Nudo e nel catalogo Bla Bla (pare tra l’altro che sia stato amicissimo di David Aellen dei Gong). Insomma se si piegò a novanta gradi, fu solo per il suo piacere.

Nello stesso periodo, ecco affacciarsi un maestro di quella conosciuta come “la scuola di Genova”: Umberto Bindi è la storia della musica italiana, gay dichiarato a differenza di Ghigo, ebbe un successo mirabile nel 1960 con “Il Nostro Concerto”, brano che trattava della morte del suo compagno. A causa  del tema universale, il brano non è esplicito ma a conti fatti è un inno omosessuale. Non solo, dopo il grande exploit, il nostro Umberto sarà emarginato nel settore, quasi perseguitato: già nel 1961 sul palco di Sanremo la stampa parlava solo dell’anello che portava al dito più che della sua musica e nel 1989 fu allontanato da quei palchi sempre per il suo essere troppo scomodo. Nonostante le collaborazioni di pregio (un disco con Bill Conti, Chet Baker che fa una cover di "Arrivederci", un disco interamente prodotto da Renato Zero nei novanta) Bindi avrà una vita difficile morendo in povertà e con infiniti problemi di salute. Ci lascia però delle canzoni eccezionali, una bibbia in musica che trascende i generi sessuali—nonostante Umberto sia stato un pioniere della visibilità gay, pagando la sua coerenza ovviamente a caro prezzo.

Ma ci sono anche stati musicisti etero che hanno preso a cuore la causa omosex: Gian Pieretti detto Perry è uno dei primi cantautori beat italiani: braccio destro di Ricky Gianco e il primo a imporre un colore “colto” al genere grazie alla sua amicizia con Jack Kerouac. Nel ‘63 esordisce col singolo “Perduto Amor” (da non confondere con l’omonimo di Adamo), il cui lato B è la seconda canzone italiana di sempre dedicata all’omosessualità, “Uno strano ragazzo”.  Nel ‘72 oserà ancora di più incidendo il primo album in assoluto in Italia a trattare l’argomento, “il vestito rosa del mio amico Piero”, prodotto da Ricky Gianco.  A quanto pare la storia vera di un suo amico, trattata però con una paranoia allucinante (musicalmente analoga), tipica di una dura realtà di un gay di provincia. Insomma, Pieretti ci prova ma dalla denuncia in buona fede cade nel luogo comune dell’infelicità necessaria alla condizione gay: ci vorranno ancora un po’ di anni per scrollare di dosso al pop italiano il pietismo della “solidarietà”, ma è già un primo passo coraggioso ( nessuno in Italia  sarebbe mai riuscito a pubblicare un disco simile).

Doveroso citare anche Claudio Lolli con “Michel” canzone del ‘72 in cui si narra di un’amicizia "particolare" fra due ragazzini: "Ti ricordi Michel di come a me dispiaceva / quando parlavi sempre di ragazze / e delle voglie che avevi / con due occhi un po' sottili che non conoscevo più.” Lo stesso Lolli confessò il tratto autobiografico del testo, poiché si era innamorato follemente di questo ragazzo francese dagli occhi azzurri. Nello stesso anno, anche Aznavour con “Quello che si Dice”, scrive un classico narrando dell’amore impossibile di un travestito per un eterosessuale, trattato con una grande empatia per il personaggio. A causa di questo (ovviamente) la Rai bandì il pezzo ovunque. Da segnalare anche una serie di dischi “anomali” fra il '65 e il '69, quali “Repressione” del Rossissimo Paolo Pietrangeli, un pezzo che parlava della condanna di Aldo Braibanti—intellettuale accusato di plagio nei confronti di due ragazzini—caso clamoroso di criminalizzazione dell’omosessualità nell’Italietta conservatrice di allora. Poi Silverio Pisu, meglio conosciuto come il narratore delle Fiabe Sonore che, nel disco del '65 Canta i Poeti d’Oggi, musica quattro poesie di Sandro Penna, poeta dichiaratamente omosessuale: anche Herbert Pagani con “Albergo a Ore”, cover di Edith Piaf che tratta un fatto di cronaca (due amanti gay suicidi a causa dell’odio della società), riceverà l’ennesimo interesse della censura. C’è anche un disco praticamente introvabile di Rita Monico, “Quelli”: un pezzo pro omosessualità del 1969 scritto a quattro mani da—udite udite—Paolo Limiti (personaggio ambiguissimo!! Altro che nostalgia per ziette) e Umberto Bindi. Forse andato distrutto, rappresenta uno dei primi tentativi di dare una spallata alla morale comune visto che riuscì a passare la censura della Rai. Dal '73 in poi le cose cominciano, però, a prendere un’altra piega. E la censura non potrà quasi più nulla.

I PEZZI GROSSI

Ebbene sì, dal 1973 cominciano a entrare in campo i pezzi grossi del pop italiano, quelli che possono far davvero breccia nel pubblico con temi sociali o almeno “reali”. Manco a dirlo, il prime mover nel mainstream italiano anni Settanta è Lucio Battisti: ne Il Nostro Caro Angelo troviamo almeno due brani di sicuro interesse. Il primo è “La collina dei Ciliegi”, segnalato addirittura da Vladimir Luxuria come un inno LGBT ante litteram con la sua frase “Le anime non hanno sesso né sono mie”. Prosegue con la provocatoria “Io Gli Ho Detto No”, storia di un uomo indeciso fra la sua orgogliosa omosessualità e il desiderio di nascondersi dietro una compagna considerata come “madre e amica” prima che il resto. Spaccato di un’Italia in cui gli “etero” nascondevano sovente scheletri negli armadi sfogandosi di una vita normale andando a puttani, “il color di mille Lire” della canzone parla chiaro come anche il “ma io non vado via” conclusivo, in cui forse il nostro prende di petto la situazione e rinuncia all’ipocrisia di negare i suoi gusti. Anche in “Confusione” de Il Mio Canto Libero, un inno all’amore free, c’è il verso “Ma perché non dovrei liberare qualunque sentimento per chiunque sia / tanto sai io non ti sentirei certamente per questo meno mia / Ma chi mai disse che si deve amar come se stessi il prossimo con moderazione” che non specifica genere alcuno. Mogol, vedremo più avanti, scriverà altri testi più o meno riusciti sull’argomento. Mentre il Battisti periodo Panella ci riserva vere e proprie perle: innanzitutto dal ghost album con Pappalardo, Oh Era Ora!Questa Storia” in cui un ragazzo confessa alla sua lei una sua vecchia relazione omosessuale con un amico che ora ha cambiato sesso e che lui dimostra di amare ancora “posando da dea / in fotografia, / da ladro, da dio / e da amico mio" uno dei migliori brani di sempre sul tema. Secondo poi, “Cosa Succederà alla Ragazza” dall’omonimo album di Battisti del '92, in cui la protagonista transessuale si rade ed esce nel mondo facendo slalom fra le voglie e le morbosità pruriginose della gente “Che la vogliono un po' scoperta per accertare; che la vogliono nell'ascensore, per implorarla da che piano a che piano, acquetta, fuochino". Insomma, Lucio come al solito sta avanti.

Tornando al 1973, i Pooh iniziano qui  il loro percorso attraverso le canzoni “diverse”. “Lei e Lei”, contenuto nello storico Parsifal, narra di un uomo che all’interno di una tresca lui / lei / amica di lei ha la peggio. È la prima canzone a sfondo lesbico della storia d’Italia, che aprirà poi le porte alla conosciutissima “Pierre” del 1976, dedicata a un travestito, e le talmente esplicite da essere paradossalmente criptiche “Cercami” e “ Dove sto domani”, testi sulla necessità di fare outing e sulla convivenza silenziosa omosessuale, brani di cui già parlammo tempo fa in quest’articolo. Incredibilmente riescono a non farsi censurare, ma chi vuol capire…

All’incirca nello stesso anno anche Battiato, dopo una vita di gavetta, entrerà in zona “ambigua”. All’inizio già con un look al limite del camp (famosa la sua pubblicità per i divani in cui ultra truccato con zeppe trampolate e leggins chiosa “Che c’è da guardare”?), poi collaborando alla musica di “John” di Yuri Camisasca, sottolineando col suo Vcs3  la storia di un muratore che di notte fa il travestito per poi finire ucciso da un suo stesso cliente: brutale descrizione della vita da marciapiede. Come se non bastasse, nel 1977 i due partecipano in prima persona al confezionamento del capolavoro di Alfredo Cohen Come Barchette dentro un Tram, primo disco in assoluto a trattare l’omosessualità in chiave liberatoria. Battiato addirittura arrangia e produce tutto il disco insieme a Giusto Pio, donando un tappeto orchestrale minimalista alle canzoni incredibili di Cohen (tra i primi attivisti del Fuori!. Quindi gay dichiarato) veri spaccati di vita omo in Italia senza fare sconti: i nostri collaboreranno ancora fino al 1979, anno dell’uscita del singolo "Valery", dedicato al transessuale Valerie Taccarelli. Le masse conosceranno questo pezzo molto più tardi, interpretato da Milva e trasformato in “Alexander Platz”. Il testo è modificato, ma la storia sembra della stessa pasta (il titolo tra l’altro ricorda il celebre telefilm di Fassbinder). Anche perché la voce di Milva è perfetta per interpretare un trans in una Berlino disastrata e il “ti piace Schubert” finale non può che richiamare alla mente i costumi sessuali del compositore (da sempre icona gay). Tuttavia, prima di leggere un testo con allusioni omoerotiche di Battiato dovremo aspettare il 1980, anno in cui le tematiche omo sembrano interessare a tutti e sono quasi sdoganate: con Patriots e la stupenda “Prospettiva Nevskij” in cui è descritto esplicitamente il rapporto fra Nijinsky e il suo impresario. Nello stesso album in “Venezia Istanbul” si cita Socrate che “parlava spesso delle gioie dell’amore” tanto che gli alunni poi gli offrivano il corpo, si consta (prendendosi gioco degli omofobi) che la morale cambia in fretta e due uomini possono abbracciarsi in un cinema. Altri indizi in La Voce del Padrone dove si parla chiaramente della lotta pornografica dei greci e dei latini in “Il Sentimiento Nuevo”, ode all’eros senza frontiere. Anche in “Chanson Egocentrique” Battiato sembra parli di andare a fare battuage nei parchi con oggettistica inclusa. “My life in the park… do you smile for arabian style? I like it..children with toys”, ma è molto più esplicito in “The Age of Hermaphrodites” da Campi Magnetici con la sua “autonomia dell’infertile”. Di base le canzoni di Battiato tendono, però, ad essere neutre: Franco non è mai chiaro rispetto alle sue tendenze sessuali, ma bisogna capire che il nostro è un mistico. Di conseguenza il “genere” per lui è totalmente indifferente, a volte anche lo stesso impulso sessuale (come dimostra la splendida “Tra Sesso e Castità”). L’unica cosa certa è il suo antimachismo e l’apertura mentale di un saggio d’altri tempi.

Un altro personaggio che ha pensato bene di farsi la sua vita senza entrare nel mirino dei gossip è Lucio Dalla: la sua geniale follia gli permetteva qualsiasi cosa tanto da risultare “oltre” senza dovergli chiedere troppe spiegazioni. Ora sappiamo che era gay (almeno nel suo ultimo periodo), ma dalle sue canzoni nulla traspariva se non in “Balla Ballerino”, con quel “ragazzo al finestrino” il fatidico finale di “Quale Allegria” in cui si allude a un marchettaro di quindici anni e alla sua disperazione, la beffa di “Disperato Erotico Stomp” in cui la ragazza del protagonista lo abbandona per “Una sua amica, quella alta grande fica”. Oppure lo sberleffo di “Ciao a Te” in cui con irriverenza sbatte in faccia la realtà ai perbenisti del PCI (ciao a te e ai tuoi figli finocchi) e l’ironia antimilitarista di “Ma come fanno i marinai a baciarsi fra di loro e rimanere veri uomini però”. L’interesse per i giovani uomini, quelli dipinti in canzoni come “Denis”, lasciano trasparire un amore “particolare”. Vero è che però Dalla si è sempre sentito aperto a ogni esperienza, quindi non amava essere etichettato: peccato per questo suo legame col cattolicesimo nel suo ultimo periodo di vita, quasi un’abiura, se non fosse che alla morte sono usciti gli altarini. Cosa talmente surreale da poter essere interpretata come una vera e propria “perversione beffarda”, per cui glielo perdoniamo.
 

GLI INSOSPETTABILI

Molti sono i cantanti pop che mai penseresti trattino un tema simile: più che altro per il repertorio, tra machismi di facciata e amorazzi. Ma anche in questo caso si trovano spunti interessanti. Iniziamo da Cocciante, il quale è ricordato principalmente per le sue grida primitive contro le belle senz’anima, quando in realtà cantava una certa impotenza del maschio “etero” (ad esempio in “E Lei Sopra di Me”). E quindi si trattano anche argomenti omo: in “Il Treno” da …E Io Canto del 1979 viene narrata una sospetta fuga in treno del protagonista, che passa attraverso una serie di esperienze anche masturbatorie finché si arriva “sopra le notti spese in cerca di puttane/ sui versi di Pavese / sulle promesse vane”. Ecco che si dipinge uno scenario alla “Smalltown Boy” molto prima della sua uscita, un ragazzo che fugge dal suo paese perché hanno scoperto la sua diversità, parte per ricominciare. Cesare Pavese era un personaggio che voleva essere “uomo”, ma non ci riusciva, e lui stesso scrive così: “un giovanotto che entri nella vita cercando sistematicamente compagnie femminili, non per farci all’amore ma per farsene un modello, è un omosessuale che s’ignora”. La citazione è dunque chiarissima.

Altri due pezzi in un certo senso espliciti sono opera di Mogol, i due inni alla "amicizia degli uomini" ovvero “Tu Sei il mio Amico Carissimo” e “Per Un Amico in Più”, che sembrano abbastanza chiari nella frase “né soldi né donne né politica potranno dividerci” oppure in versi come "Capelli grigi se qualcuno ne hai /è meglio avremo un po' più tempo vedrai/ divertendoci come non mai...ancora insieme noi”. Insomma vere e proprie canzoni d’amore più che di amicizia. Cocciante diventerà più esplicito col passar del tempo tanto da scrivere “La Fenice” per Rodolfo Santandrea—in pratica una specie di Klaus Nomi italiano: storia che fa pensare a cruising notturno e vizi eccedenti “il suo viso consumato / da una vita inopportuna / mi confonde fra i vapori delle ceneri di lei”.  E anche in tempi recenti scrive un pezzo per Silvye Vartan, la musa dei gay francesi con testo di Jouveaux, dal titolo palese di “L’Altro Amore”: insomma sgamato. Cocciante, non è il solo, però, a raccontare l’amicizia virile che diventa amore: storica è la “Ci Vorrebbe un Amico” di Venditti, che senza mezzi termini rivela che l’unico modo per dimenticare la donna è avere una relazione con un uomo (Venditti già in “Giulia” narrava di una cosa simile, solo che la sua lei se ne andava con l’amica, appunto). Stessa cosa dice Zucchero, il macho Zucchero, in “Hey Man”: "guardo dentro gli occhi della gente / cosa cerco non so forse un uomo”. Un abbordaggio gay in piena regola che Zucchero aveva già ipotizzato in “Stasera Se un Uomo", abbandonandosi alle avances gay perché sfiancato dai rifiuti di una lei.

Per non parlare di Enrico Ruggeri, di solito restio a entrare in questi territori, che invece nel ‘91 scrive “Trans” un atto d’accusa contro l’ipocrisia dei perbenisti e nel 2005 firma per Dario Gay un paio di pezzi (ricordiamo che quest’ultimo è uno dei primi a scrivere un pezzo sul matrimonio omo come “Ti Sposerò”). Enrico stesso parteggia per le unioni civili (“Io e Andrea Mirò abbiamo gli stessi problemi di una coppia gay", dichiarerà), perplesso sul fatto che i suoi colleghi non facciano outing. E che dire di Concato? Fabio nonostante le sue canzoni apparentemente  rassicuranti e “per famiglie”, nasconde anche dei sottotesti chiarissimi. “Ti Ricordo Ancora” del 1984 ad esempio, è una canzone su un amore omosessuale giovanile nato a scuola, oppure ancora prima “Vito" del ‘78 in cui ricorda di essere stato scoperto a fare giochi strani con un suo amichetto e preso in giro dai compagni, rivendicando la cosa senza vergognarsene. O ad esempio “Porcellone”, un pezzo del 1979 dall’album Zio Tom che narra di un macho deciso a pestare il vicino che gira nudo alla finestra quando poi invece, una volta faccia a faccia, gli si getta nelle braccia: "Mi prende per la vita, mi aggredisce, mi bacia sulla bocca. / Io sto perdendo dolcemente i sensi, è mano sapiente che mi tocca". Concato è uno dei pochi ad aver scritto canzoni omoerotiche con una naturalezza tenerezza e tranquillità che, appunto, non si vede lo scandalo. È solo amore e così sia.

A volte può essere che certi messaggi siano “involontari”, ma percepirli è la dimostrazione che l’eccezione conferma la regola. Il discorso è radicato nella musica pop italiana tanto che anche un apparente omofobo come Celentano (ricordiamo il terribile pezzo “Quel Punto”, contro il lesbismo) riesce a contraddirsi da solo inventandosi un personaggio androgino come Joan Lui (il Gesù cristo secondo Adriano, ambiguo uomo col nome da donna) e trovandosi una figlia lesbica in casa come Rosalinda, con la quale è recentemente tornato d’amore e d’accordo... Che altro dire quando anche un “vero uomo del sud” come Al Bano si fa scrivere i pezzi da ricchioni tipo Ivan Cattaneo?  Lo scoprirete nella prossima puntata in cui saranno rivelate altre categorie di cantanti italiani in odore arcobaleno... Gay tuned mi raccomando!    
 

Se volete insultare Demented per "Gay Tuned", fate pure: @DementedThement

 

Citizen Kanye

$
0
0

Per una curiosa coincidenza di eventi, proprio in questi giorni i Primal Scream hanno fatto un album intitolato Chaosmosis: il termine l’hanno preso da un libro di Franco Bifo Berardi, che a sua volta lo aveva ereditato da Felix Guattari. Il libro di Bifo si intitola Heroes, e fondamentalmente si interroga sul perché questa epoca stia producendo una serie continua di suicidi, ma anche di omicdi di di massa dallo spirito narcisista fuori controllo 3.0. “Caosmosi” sarebbe per Bifo il modo in cui incameriamo le informazioni oggi, assorbendole in una maniera multidirezionale, confusa e contraddittoria. Questo genera panico e sgomento, e alimenta le psicopatologie di cui sopra. Ma in questo articolo non si parla di omici di massa. No, vogliamo riflettere su un tipo completamente diverso di psicopatico: Kanye West.

Non stiamo però cercando di psicanalizzarlo, o almeno non ci interessa farlo secondo un metodo “classico”. La maggior parte delle analisi su Kanye che si leggono in giro, infatti, sembra insistere su uno stesso dubbio amletico: ci si chiede se sia più giusto catalogare l’artista sotto l’etichetta di genio o sotto quella di coglione venditore di fumo&merda. Come tutte le dicotomie, questo genere di riflessioni non serve veramente a niente. Il concetto stesso di “genio” è assolutamente inutile per quanto è irrilevante: è solo un’etichetta che qualcuno sente di dover affibbiare agli altri per poterli totemizzare e difendere dagli attacchi delle tribù nemiche, ovvero, oggigiorno, per litigare su Facebook con altri scemi. 

Lo stesso vale per il “coglione” anche se si tratta tutto sommato di una categoria molto più sincera e verace. Fino a un certo punto, però: che ci vuole a liquidare qualcosa o qualcuno con sciatteria al primo segno di stranezza o atteggiamento sopra le righe? In particolar modo, è facile essere irritati da qualcuno che si pone con un atteggiamento decisamente sfacciato, arrogante, per non dire assurdo. È piuttosto normale che i modi del personaggio in questione facciano a un certo punto da schermo per quello che lui o lei ha effettivamente da dire, generando una scusa per la sufficienza tramite le sue presunte motivazioni. È quell’atteggiamento che ci portò, per dire, a perdonare Richard Pryor per essersi presentato in TV strafatto di PCP o Madonna per essere andata da Letterman col solo intento di scassargli il cazzo. Perché loro erano dei geni, o semplicemente erano persone di cui apprezziamo il lavoro.

Questo ha portato anche qualcuno a elaborare teoremi su come quelli che normalmente archivieremmo come imbecilli megalomani in realtà siano degli incompresi scientificamente rintracciabili: gente il cui lavoro non siamo ancora in grado di capire. Sarò cinico ma mi pare una stronzata. Dai, siamo chiaramente di fronte a categorie arbitrarie che non hanno alcun valore se non per chi le appiccica su questo o quel personaggio. Come sempre, più che cercare di capire se il soggetto che ci incuriosisce (in questo caso Kanye) sia colpevole o meno di un qualche relativissimo crimine, è interessante provare a ricostruire il genoma dei suoi atteggiamenti. Perché una cosa su tutte è davvero innegabile, al netto dei giudizi che qualcuno vi potrebbe accompagnare: Kanye è matto. Col botto.

Ripeto e sottolineo: “al netto dei giudizi che qualcuno vi potrebbe accompagnare”. Voglio infatti dire che nel definirlo tale non intendo minimamente fare dell’ablismo: non ritengo che Kanye West o il suo lavoro debbano essere sminuiti a causa della sua problematicità psichica. Anzi, se possibile credo che questo lo renda un individuo più interessante e onesto di tanti altri. Lo definisco psicotico perché sfoggia in tutte le occasioni un comportamento incoerente, apertamente contraddittorio e fortemente autocentrato. Yeezy è narcisista, dimostra spesso sintomi paranoidi e una volontà di affermarsi che va anche a discapito della sua stessa credibilità (e quindi, paradossalmente, della sua stessa possibilità di affermarsi… Capito come?). È incredibilmente aggressivo nel modo di porsi, e pronto a manipolare fatti e narrazioni a suo favore, ma spesso anche a suo sfavore, secondo una logica inaccessibile ai più e che ci lascia regolarmente basiti.

Ad ogni modo, per quanto si possano affermare questi punti che sono un po’ alla portata di tutti, di  davvero importante c’è il fatto che che la psicopatologia di Kanye sia paradossalmente quella che lo rende funzionale. Qui sta la differenza con i tanti “geni” sregolati a cui ci siamo abituati nel tempo: essere fuori di testa non è un limite al suo successo, non è un eccesso ingestibile della sua personalità vulcanica, ma una delle caratteristiche che lo rendono un uomo di successo.  In questo senso, Kanye fa un po’ da cartina al tornasole per una delle più forti contraddizioni del contemporaneo. Ho scritto tante volte di come la società digitalizzata ci costringa produrre e vendere un “io”, e allo stesso tempo ci mostri quanto è inutile affermare chi siamo. Mr. West è riuscito dove tanti hanno miseramente fallito: guadagna dollaroni (soldi liquidi o crediti sociali/virtuali, è comunque ricco sfondato) vendendo un sé che non ha una vera struttura, che può essere tutto e il contrario di tutto, che se ne fotte di voi e allo stesso tempo vi implora di amarlo. Tenete a mente soprattutto questo ultimo punto, tornerà utile più avanti.

Prima è importante infatti affermare una cosa: a differenza di tanti altri, Kanye non ha smattato con la fama né, se preferite, è stata la fama a fare strada alle sue psicosi latenti. A frenargli la bocca, prima di un certo periodo, era forse solo un sano e furbissimo istinto di sopravvivenza, che comunque all’occorrenza poteva pure sparire. Ci sono un sacco di aneddoti che confermano questa teoria, il mio preferito è quello riportato qualche tempo fa da David Chapelle a Jimmy Fallon, che racconta di un Kanye ancora molto poco famoso che risponde al telefono dicendo “Sono occupato a guardare gli outtakes di Chapelle… Perché ho una vita da paura e faccio roba da paura!!!”. Anche volendo non potremmo dargli torto: chi può azzardarsi a dire a qualcun altro che la sua vita non è da paura? 

Se possibile, un'affermazione del genere dimostra infatti che la realtà di Kanye West appartiene solo e soprattutto a Kanye West, che è un mondo virtuale le cui regole del gioco sono note solo a lui, anche se forse non è stata proprio la sua parte cosciente a stabilirle. Quello sarebbe perfino troppo facile, e io non voglio assolutamente rischiare di dare l’idea che la sua natura interiore non sia in conflitto. Come per tutti, la psiche di Kanye emerge dal contrasto tra strati diversi. Neuroscienziati come Thomas Metzinger spiegano che il sé non è un oggetto ma un processo infinito, e quello di Kanye si volge sotto gli occhi di tutti, sia perché è famoso che perché è un (ahimé) “artista”. Questo comporta che parte di quel processo si svolga dentro i suoi lavori: dentro i suoi dischi, dentro le sue canzoni.

La differenza è che, come dicevamo, la sua funziona, la sua psicopatologia occupa un posto molto fertile all’interno del malatissimo capitalismo cognitivo che ci intrappola tutti. Ma questo, di nuovo, non perché è un “genio” ma perché è talmente inetto alla vita “normale” da essere adattissimo alla vita dis-umana del business ipercapitalista. Quelli che lo considerano un “genio”, se stesso compreso, non fanno altro che lodarne la creatività e le doti di “innovatore”. Ecco, chiunque conosca un po’ di musica sa che questa è una cazzata madornale. Di innovativo nei dischi di Kanye West non c’è assolutamente niente, c’è semmai parecchio di lungimirante: più simile a un curatore e a uno stilista che a un songwriter, Yeezy è abilissimo a portare a galla tendenze dell’underground che possono funzionare, e a organizzare le doti altrui in una think tank di successo. In questo non ci sarebbe niente di male: da Andy Warhol a Micheal Jackson a Beyoncé, la storia della cultura pop è zeppa di figure simili. Però, di nuovo: non è per questo che Kanye è il fenomeno che è. La differenza tra lui e un Prince o un Bowie "qualsiasi", è che Kanye ha avuto il fegato di andare da Jimmy Kimmel a dire al pubblico “Io sono UN GENIO CREATIVO. Non c’è altro modo di dirlo.”

Quell'affermazione faceva parte di una stranissima autodifesa dai legittimi sfottò del comico. Il resto di quella conversazione, almeno dal lato di West, non si può davvero definire altrimenti che delirante. Il rapper afferma di volere aiutare il prossimo, ma tale servizio consiste perlopiù nello spiegare agli altri cosa è cool e come renderlo acquistabile. Seguono poi vari imbruttimenti machisti indirizzati al povero Kimmel, che non deve dimenticare neanche per un momento che Kanye è di Chicago, e quindi è anche un cattivone della strada (no, non lo è). 

Ecco, evitiamo però di cadere nell’ennesima trappola e di giudicare troppo in fretta: West sa benissimo di essere uno stronzo e di poter risultare insopportabile. La sua stessa megalomania non gli è per niente un mistero. Se sull’evidente antipatia ha basato tematicamente gran parte di My Beautiful Dark Twisted Fantasy, il successivo Yeezus gioca a dimostrare che la portata del suo stesso ego non gli è per niente sconosciuta. Nessuna delle due condizioni gli dispiace: riflettere su se stessi è per i deboli, meglio che sia il mondo esterno a riflettere se stessi. Mattate come quella combinata a Taylor Swift non gli pesano sulla coscienza, anzi, quando può ci torna su e calca la mano dopo averla illusa che si potesse fare pace. In realtà lui vuole che lei lo perdoni, ma vuole anche che lo odi a morte. Sembra illogico, ma dovete sempre tenere a mente che le regole del suo linguaggio schizoide non sono le stesse a cui è abituata la massa. La contraddizione gli appartiene e lo rende ricco di significati. In quel caso avrebbe pure avuto qualche ragione a denunciare il boicottaggio degli artisti neri, ma ha trovato comunque il modo per renderla tutto un discorso su di sé.

È proprio lì che si vede la “follia”. Matteo Pasquinelli, curatore della raccolta di saggi Gli Algoritmi Del Capitale riprende un neurologo di nome Kurt Goldstein, e spiega che il disagio mentale interviene in maniera del tutto simile alle malattie fisiche. Ci ammaliamo quando il nostro corpo non è in grado di riequilibrare le sue funzioni dopo avere subito qualche scossone, e usciamo di testa quando il nostro cervello non è in grado di produrre un sistema che soppesi traumi e confusione. Ma dicevamo prima che la condizione contemporanea ci mantiene tutti un po’ squilibrati: questo perché ci troviamo costantemente nella necessità di dover essere creativi per sopravvivere, in un mondo in cui, (spiega sempre Pasquinelli) il capitale astratto ha però privato tutti della possibilità di esserlo davvero, di creare in maniera libera.

Nella stessa raccolta Psychopathology Of Cognitive Capitalism, invece, lo studioso Jonathan Beller racconta di un altro mitico folle di successo: Charles Foster Kane, l’iconico protagonista di Citizen Kane / Quarto Potere di Orson Welles (se non l’avete visto siete delle bestiacce). Beller racconta di come la ricchezza di Kane—ricchissimo e potentissimo magnate dell’informazione—lo abbia praticamente intrappolato in un mondo virtuale, in cui l’amore e la stima possono essere comprati, un mondo in cui procedere come un treno, travolgendo gli errori del passato. La tragedia e la fine di Kane saranno proprio qua, e lo vediamo morire solo e privo d’amore. Kanye lo ha superato perché dell’amore non gliene fotte un cazzo.

In un sistema del genere, quelli come Kanye riescono contemporaneamente a fottere e farsi fottere dal sistema. In comune con Kane ha questa inconscia convinzione che il mondo sia il suo (video)gioco. Nel profondo della loro psiche, entrambi sanno che il capitalismo produce narrazioni talmente irreali che tanto vale comportarsi come se fosse il mondo intero a non essere reale. Entrambi hanno trovato il modo di fingere di creare liberamente, stando in realtà saldissimi sui binari del sistema, e in comune hanno anche l’immagine perfettamente contraddittoria. In una delle scene madri del film, infatti, il socio di Kane gli rinfaccia di avere sempre trattato il mondo e le persone come se le possedesse, di avere detto di essere tutto e il contrario di tutto, ma di non essere mai stato davvero niente. In un'altra, una delle sue mogli gli rimprovera di avere sempre voluto comprare il suo amore ma di non averle mai dato niente. Kanye è uguale. Entrambi si pongono come uomini del popolo, ma nessuno dei due il popolo l'ha mai visto.

Una cosa su cui il signor K non si è mai deciso, infatti, è se vuole sedersi alla tavola dei potenti o vuole rovesciarla. In più occasioni ha tuonato contro le multinazionali: “New Slaves” racconta di come gli afroamericani siano passati dall’essere schiavi nei campi a schiavi di un consumismo studiato ad hoc per tenerli buoni; nel suo incomprensibile discorso agli MTV Awards del 2015 ha urlato esagitato che nel futuro non ipnotizzeremo i nostri figli con i brand. Nello stesso momento, però, stava preparando la sua ennesima collezione in collaborazione con Adidas, e indossava abiti di vari designer di lusso. Ha più volte sputato sopra le corporation per poi implorare pubblicamente Mark Zuckerberg di investire sulle sue idee e coprire i suoi cinquantatré milioni di dollari di debiti (che poi manco si è capito se ce li ha davvero sti debiti… boh). 

E poi ancora: afferma che il suo è il lavoro di un genio e non potete capirlo, eppure torna continuamente sui suoi passi per giustificarsi e crearsi degli alibi. Vuole apparire sia buono che stronzo, uno per cui la morale si applica ma anche no, a seconda di come si è svegliato quel giorno. La questione razziale ha sicuramente giocato un ruolo nel forgiare la sua volontà di affermarsi, ma è anche cosciente di quanto questa stessa volontà sia sfruttabile dal sistema: l’industria americana si è arricchita sull’hip-hop e la cultura nera senza però mai davvero preoccuparsi delle condizioni dei neri. Kanye questo lo sa, e in qualche modo la cosa lo fa incazzare, ma anziché sabotare la macchina sceglie di alimentarla ancora. Grazie a lui la macchina ha anzi imparato come succhiare e sfruttare meglio e da settori ancora inesplorati. Avremo forse uno Steve Jobs nero o un Ralph Lauren nero, ma ci sarà ancora qualcuno che muore ai margini dell’impero. 

Ma le persone, si diceva, per Kanye sono solo giocattoli: anche il rapporto pubblico con sua moglie Kim Kardashian appare proprio assurdo: la sfoggia come se amare una figura controversa (quasi quanto la sua) sia una sfida all’establishment. In ogni occasione pubblica i due si preoccupano più di mettersi in posa che di guardarsi negli occhi, lo sguardo dell’establishment è più importante di quello dell’amata. Lo stesso corpo di lei viene in qualche modo sfruttato da lui, tant’è che nel video di “Bound 2” la sua nudità le viene rubata e riutilizzata come elemento estetico. In quel contesto non crea nessuno scandalo, mentre quando sceglie liberamente di mostrare il suo corpo nudo su Instagram tutti a darle della troia. Questo non succederebbe se in cima alle catene alimentari non ci fossero personaggi come Kanye West. 

Avrete notato che qui di musica si è parlato poco o niente. Questo perché la musica è la cosa meno interessante e meno importante del lavoro di Kanye. Io personalmente ho sempre trovato i suoi dischi fastidiosamente brutti, sciacquati dell’energia autentica dell’hip-hop. Nel caso di Yeezus, si tratta di un lavoro talmente incasinato da farmi scoppiare a ridere in più occasioni. Mi ha però sempre affascinato il modo in cui è riuscito a far passare una roba così grottescamente pretenziosa per un disco rilevante. La sua non è musica del futuro ma del presente, la sua schizofrenia è un riflesso della schizofrenia del consumo, specialmente del consumo "artistico", che messo davanti a un'affermazione evita di farsi davvero delle domande, nonostante non si stia davvero affermando nulla.

L’ultimo in ordine di tempo è ovviamente The Life Of Pablo. Non ha per niente importanza che musicalmente si una palla inascoltabile e l’artwork un ripoff malriuscito di Dean Blunt. Del disco in sé non ce ne frega niente e non ce ne deve fregare niente. È Kanye stesso a dimostrarci quanto il contenuto musicale sia volatile e fluido, fino quasi all’irrilevanza. La sua tracotanza mediatica ha già smarginato dall’oggetto-album. È quindi più interessante che lo abbia presentato al mondo in maniera così disordinata, attraverso una specie di tragedia in diretta, un “fallimento” incasinato. Quando è uscito, infatti, non era manco finito, e infatti poi non è uscito. Anzi è uscito solo su Tidal. Però intanto lo avevano già scaricato tutti. Però poi “Wolves” è cambiata tre volte (o forse di più, ho perso il conto). Però dovevano esserci Vic Mensa, Sia e Björk. Però poi non c’erano.

Un gran macello, insomma. I fan sono sempre più confusi, e non sanno più se amarlo o odiarlo, ma il vero lavoro di Kanye come artista sta proprio in quello stesso macello, in quella confusione tra amore, odio e pena. È lì che sussiste il suo impero: non ha visto il futuro della musica e non l’ha nemmeno plasmato, ha solo agito secondo la fisica volubile e revisionista dello spettacolo di oggi. Kanye può essere tutto e il contrario di tutto, è in grado di mettersi a rincorrerti e poi convincerti che sei lì davanti solo perché lo vuole lui.

 Potevano star parlando di Kanye, invece parlano del Joker.

La sua perfetta nemesi è Kendrick Lamar: un “grande artista pop” in senso classico, una star più gestibile ed empatica, a cui il trick del disco a sorpresa è riuscito bene. Uno che ancora dice di parlare con gli altri e non da solo. Kendrick ancora prova a raccontare di essere libero e creativo, ma non si rende conto di starlo facendo un po’ più a vantaggio altrui che proprio, come tutti i cantanti famosi. Come tutti i veri rivali, i due signori K a malapena si considerano, fingono di ignorarsi a vicenda. Provare simpatia per uno dei due è una perdita di tempo, però Kanye, nel suo essere talmente costruito da non avere più un volto dietro la maschera, è in qualche modo più onesto. Ha superato persino una figura mitologica come Kane, in una assurda operazione di fiction applicata alla realtà. 

Sì, si potrebbe anche pensare che tutto questo non ci riguardi, che sia una roba come le altre cagate massmediatiche che ci attraversano tutti i giorni. E invece le meccaniche del suo delirio sono le stesse con cui ci troviamo costretti a confrontarci ogni giorno. Che qualcuno abbia chiamato Donald Trump “il Kanye bianco” non è PER NIENTE UN CASO. Ma da lui possiamo imparare qualcosa e a tratti persino stimarne il coraggio: a osservarlo possiamo capire come è fatto oggi il potere e imparare come sabotarlo. Possiamo imparare a essere ancora più schizofrenici, ripulendoci dai modi in cui la follia può essere sfruttata e riconvertita in valore, fino a far crollare finalmente tutto il manicomio.

Se vuoi dire Francesco di darci un taglio col post-strutturalismo, seguilo su Twitter — @FBirsaNON

 


Guarda il nuovo video dei Babyfather "Shook / Motivation"

$
0
0

Il musicista londinese Dean Bluntha da poco condiviso i video di "Shook" e "Motivation," due tracce tratte dal nuovo LP in arrivo per Hyperdub per il progetto Babyfather, BBF Hosted By DJ Escrow. Nel video c'è uno dei due Hype Wiliams che rappa e si fuma una canna di fronte a un muro grigio, entrando e uscendo dall'obiettivo con una faccia stortissima del tutto pregevole. 

Le due canzoni, nei video, partono con la stessa variazione di barra, che fa, "Shorty fell in love with a hustla/Shorty fell in love with a G."

Riascoltati "Meditation" coprodotta dal producer venezuelano Arca qui, e ascolta l'ultimo nuovo LP dell'altro membro di Hype Williams Inga Copeland, per l'occasione rinominatosi Lolina, Live in Paris, qui. L'LP dei Babyfather comprenderà anche una collaborazione con l'inglese Mica Levi. BBF Hosted By DJ Escrow suscirà il primo aprile.

Le migliori uscite della settimana

$
0
0

Le migliori uscite di questa settimana arrivano con un giorno di ritardo a causa dell'unica festa comandata dell'anno sula quale, per qualche bizzarro motivo, nessuno ha mai nulla di cattivo da dire. Ora, dato che, a quanto abbiamo capito i più hanno trascorso la pasquetta a digerire, bere e farsi dei gran selfie, coi più coraggiosi imbottigliati in autostrada, ci scommettiamo che ve ne siete fregati di ascoltare musica, se non per cullare i vostri sonni postprandiali e finire in coma da bravi bambini. Non vi sarete quindi accorti che da venerdì a oggi sono arrivati nei negozi (LOL) dei dischi della madonna. Meno male per voi che ci siamo noialtri. Eccovi le migliori uscite di questa settimana in ordine di come ci pare a noi.

 

AMNESIA SCANNER -  AS

;

Ci è giunta voce che inizialmente l'EP degli Amnesia Scanner sarebbe dovuto uscire su una nuova sussidiaria di Young Turks dedicata ai suoni (ouch) accelerazionisti, ma dato che alla fine il disco è uscito per la Young Turks normale dovrebbe voler dire che la detta sublabel non esisterà. Chi se ne frega, la realtà è che nessuno si aspettava un vero e proprio disco da questo duo, che ci aveva abituati a misteriosi progetti internet-only, a pagine randomiche incomprensibili e ad apparizioni live in streaming. Dentro c'è un po' di roba sentita negli ultimii tempi ma anche altra ancora nuova che ci ha lasciati con la mascella a terra: questi hanno portato il sound design da cinema verso nuove vette di astrazione magica, e ci fanno piovere addosso una cascata di informazioni luminose tipo tuffarsi in un torrente di nanomacchine liquide. Un  po' tipo i Coil di Musick To Play In The Dark ma persi nell'internet. Non è solo l'uscita della settimana, ma potrebbe anche esserlo del mese e persino dell'anno. Vedremo tra poco.

 

ZAYN MALIK - Mind Of Mine

Non ci possiamo credere. Metà della redazione di noisey si sta ancora strappando i capelli e incidendo "ADDIO" sui polsi con la lametta per la fuoriuscita di Zayn dagli One Direction che questo ti fa il suo primo disco solista. Ovviamente stiamo scherzando: la nostra reazione alla notizia è stata più tipo "Chi è Zayn? E tu chi sei? Dov'è la pipetta?" Comunque, dopo avere ascoltato la sua prima fatica possiamo dire che il ragazzo ha davanti a sé un futuro in cui la maturità potrebbe persino renderlo un essere umanio tollerabile. Non è cosa da poco, pensateci: mentre scriviamo c'è chi, per provare a dimostrare al suo pubblico di avere capito di essere a Seattle, si mette due camicie di flanella, una addosso e una in vita.

 

DEDEKIND CUT - American Zen

Sto ragazzo ci confonde. Anzitutto ha cambiato inspiegabilmente nome all'inizio dell'anno nuovo (vi siete scordati che prima si chiamava Lee Bannon?), poi ha anche cambiato stile un po' di volte: dalla collabo con Rabit che era una specie di maelstrom spaesato di suoni psichedelici e trap masticata da Cthulu, a un EP solista in cui flritava con la breakcore. Ora ne è uscito uno nuovo su Hospital, che suona cupo e cavernoso come... be', come un'uscita Hospital. Buon per lui che ci piace venire confusi, e che in generale il disco è una bomba.

 

LOW JACK - Lighthouse Stories

Parlando ancora di sorprese: Philippe Hallais su Modern Love non se lo aspettava nessuno, ma è un'associazione che solo a dirla fa emergere aspettative interessanti. Però, cazzo, non ci aspettavamo mica che Philippe le superasse! La sorpresa vera è infatti che, almeno per questa uscita, Low Jack ha mollato la techno in favore di un suono storto che sa un po' di Footwork e che pare spesso e volentieri andare dove cazzo gli pare a lui. Una roba rinfrescante e originale di cui, non stentiamo a dire, avevamo proprio bisogno.

 

BONUS ROUND: COSE BELLE CHE SONO SUCCESSE IN QUESTI GIORNI MA NON SONO NUOVE USCITE

Dato che è appena passato il coniglio pasquale, eccovi una bella sorpresa dentro l'uovo, AKA un giro di belle cose che vi consigliamo di andarvi a spizzare anche se non si tratta di consigli discografici. C'è ad esempio in giro un video con Prince che fa una bellissima cover di "Heroes" di David Bowie. Poi c'è ne è un altro in cui Rae Sremmurd cavaca dinosauri che sparano laser e uno di Neon Indian che salva un tizio col potere della musica, ma difficilmente vi potremmo dare notizie migliori di Avicii che smette "per sempre" di suonare dal vivo. Gioite. La vita è bella.

 

Guarda il primo live degli LCD Soundsystem in cinque anni

$
0
0

Foto via YouTube

Ieri notte gli LCD Soundsystem si sono riformati per suonare dal vivo per la prima volta in cinque anni alla leggendaria Webster Hall di New York. L'assenza di James Murphy & soci è stata una realtà con cui ci siamo dovuti confrontare negli ultimi anni. L'ultimo live della band è stato un vero spartiacque per la comunità indie e i biglietti per le serate a Madison Square Garden sparirono in tempi record. Ognuna di queste è consistita in una full immersion di ventinove canzoni, tutte a ricordare come mai la loro combo di rock ed elettronica, a metà anni Duemila, aveva mandato fuori di testa l'intera città, e oltre. 

La reunion alla Webster Hall, invece, è stata molto più intima. Si tratta di un posto che ospita un massimo di milleduecento persone, ed è stato ottimale anche come rampa di lancio per la band, che quest'estate sarà tra gli headliner del Coachella, al Bonnaroo, e suonerà pure al Panorama di New York. Ma la band non ha voluto essere da meno neanche stavolta, con James Murphy a sgolarsi su tutti quei synth, accompagnato da chitarristi e percussionisti. Il pubblico era un'unica massa frenetica e danzante, cosa mai successa alla band fino ad ora, nonostante tutto. Qua le prove.

"Get Innocuous"

"Dance Yrself Clean"

"Daft Punk Is Playing at My House"

"All My Friends"

"Home"

--

 

Le creature degli abissi di Mike Parker

$
0
0

Da circa vent'anni, Mike Parker è una delle voci più prolifiche e stimate nel panorama della deep e abstrat techno internazionale. Il producer, un professore di belle arti di Buffalo, NY, ha collaborato con artisti a lui affini come Donato Dozzy, Sleeparchive e Audion, oltre che gestire la label Geophone su cui pubblica il proprio materiale.

Nel 2014, Parker ha pubblicato uno split EP con Sleeparchive per la label techno berlinese REPITCH Recordings, e ora torna, sempre su REPITCH, con "10inch 03," un singolo di due tracce di quella techno ipnotica e astratta di cui è maestro. Questa è la terza uscita della serie "10 INCH" della label, che prima di questo ha pubblicato singoli di altri artisti del suo roster, tra cui Marcus Suckut e Marcelus. Parker distilla melodie e costruisce loop che si espandono ed evolvono in continuazione, come è chiaro in "Ketos Troias", la traccia B-side della sua ultima release, che oggi vi presentiamo. Sotto allo streaming, trovate la nostra intervista a Parker.

Noisey: Ketos Troias sarebbe il mostro marino che abita le profondità dei mari nella mitologia greca—puoi raccontarmi come questa creatura ha ispirato te e la tua musica?
Mike Parker: Ho sempre amato le antiche civiltà del Mediterraneo, la loro arte, i loro monumenti e la loro narrazione mitologica. Alcuni sanno che insegno arte all'università, e se hai a che fare con l'arte sai che figure mitologiche di quel genere continuano a tornare in varie epoche e ispirare vari artisti, come fanno con me. In "Ketos Troias" volevo evocare questa creatura degli abissi potentissima.

C'è qualche strumento in particolare che ti ha avvicinato ad atmosfere del genere?
Ultimamente sto giocando con un nuovo phaser modulare della Roland. Sono sempre alla ricerca di strumentazione nuova che mi dia una mano ad ampliare le dinamiche spaziali della mia musica.

I loop sono un elemento centrale delle tue produzioni, li costruisci e li modelli con il procedere dei pezzi, e raramente si interrompono. In questo modo un DJ da una parte è facilitato a suonarli, dall'altra però forse risultano un po' ostici per un club. Hai mai pensato alla condizione ideale per fruire della tua musica?
Dicono che le mie cose abbiano suonato al massimo al Labyrinth festival in Giappone. Personalmente, potrei trovare il momento giusto per mettere una mia traccia in qualsiasi club. L'importante è rispettare gli elementi della traccia e farli andare d'accordo con il resto del tuo set, e il gioco è fatto.


Puoi procurarti il "10 INCH" di Mike Parker sul Bandcamp di REPITCH.
 

Michael Stipe ha cantato "The Man Who Sold The World" al Tonight Show

$
0
0
Grab via.
 
A quanto pare Michael Stipe ha smesso per un attimo di scattarsi selfie e ha accettato di partecipare a un tributo a David Bowie che, per quanto sia stato concepito con intento benefico (gli incassi dei due spettacoli già sold-out andranno a finanziare l'insegnamento della musica ai bambini), sarebbe stato più appropriato per una crociera che per la Radio City Music Hall. Tra i partecipanti notiamo Amanda Palmer, Anna Calvi, Kronos Quartet, J Mascis, Pixies, Blondie, e altri. Sono sicuro che in giro per il mondo ci sono delle cover band di Bowie che riproducono fedelmente le sue canzoni da anni e anni, magari con anche gli (appropriatissimi) cambi d'abito per evidenziare il passaggio dall'epoca Ziggy Stardust a quella Let's Dance, e non sono state nemmeno consultate per questa grande occasione.
 
Live al Tonight Show di Jimmy Fallon, invece, Micheal Stipe ci regala una versione intima, solo per pianoforte e voce, di "The Man Who Sold The World", tutta gesti drammatici, espressioni intense e vocalizzi fuori luogo. Non vediamo l'ora di scoprire cosa combineranno i Mumford & Sons! 
 
 
Segui Noisey su Twitter e Facebook
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>