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Maoupa Mazzocchetti - Laugh Tool

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Florent "Maoupa" Mazzocchetti è un producer francese con la testa negli anni Ottanta. Tutte le sue uscite sono intrise di EBM furiosa, industrial punkeggiate sulla scorta degli SPK più ritmici, tensione funk elettrostatica stile primi vagiti detroitiani, con giusto un pizzico di disco synthetica. Finora le sue uscite erano quasi tutte state licenziate dall'avamposto technopunk franco-berlinese Unknown Precept, ma non l'ultimo EPsenza titolo, uscito per la Mannequin di Alessandro Adriani, praticamente la più importante label al mondo in fatto di elettronica radicata nell'estetica wave/post punk.

Dopo l'EP di riscaldamento, ecco che arriva un intero album, il primo della carriera di Florent. Ovviamente l'ha usata comeoportunità di ampliare le possibilità del suo suono oltre i banger da dancefloor, da passaggi più radicalmente industriali a patine di psichedelia. L'aggressività ficcante della EBM finisce a contorcersi su se stessa ed esplodere ancora una volta. È uscito oggi e ovviamente fareste bene a comprarlo, prima però ascoltatelo qua, tutto intero.


In prima linea con KGB Mafia, Fricat e 24SVN

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Vi avevamo già fatto ascoltare "Chernobyl Trees" dei KGB Mafia qualche tempo fa e il pezzo ci era piaciuto così tanto che l'avevamo infilato nella nostra playlist delle cose migliori uscite durante il 2015. Il brano è entrato anche a far parte della prima compilation di Avantguardia, Apogeo, che vi abbiamo raccontato pochi giorni fa e ha goduto del privilegio di vedere realizzato un video su misura da Pepsy Romanoff e Ok Rocco, che esce oggi e potete vedere in anteprima qui sopra.

Francesco mi ha raccontato come il loro duo, che nel 2015 è riuscito a collezionare così tanti successi, sia nato da un incontro casuale, che è stato anche ciò che li ha portati a immergersi nel progetto di Avantguardia: "Ero in contatto con Pablo perché collaboravo con Roccia Music per quanto riguardava le necessità grafiche ed è stato proprio in quel periodo, verso la fine del 2014, che ho incontrato Fabuloso, il mio collega di KGB. Abbiamo prodotto un po' di tracce e le abbiamo fatte ascoltare a Shablo. Devono essergli piaciute perché ad aprile dello scorso anno è uscito il nostro primo EP per Thaurus e nel frattempo ci siamo ritagliati il nostro spazio all'interno di Avantguardia, il cui progetto si stava pian piano delineando.

Ogni volta che Shablo ci dava dettagli in più a riguardo, come questa scelta di accompagnare ogni traccia ad un contenuto visual inedito, noi impazzivamo e ci mettevamo a produrre altra roba no-stop. Ne abbiamo messa insieme così tanta che verso l'inizio dell'autunno abbiamo completato il nostro secondo EP, la cui uscita è prevista in primavera, proprio per Avantguardia.

Il primo estratto sarà contenuto in Perigeo, la seconda compilation degli artisti del collettivo e in generale siamo convinti che in Italia servisse un contenitore del genere: è il momento storico perfetto per spaccare pur producendo musica non propriamente da classifica, qualsiasi tipo di classifica. Gli esempi sono concreti e sotto gli occhi di tutti, visto che esistono etichette indipendenti italiane che negli ultimi tre anni sono riuscite a portare i propri artisti ad un livello internazionale."

Mentre mirano alle luci della ribalta i KGB Mafia si sono portati a casa qualche bella soddisfazione, tra cui un remix di Ghetto Dance per Achille Lauro. Se volete ascoltarlo insieme ad altre bombette li trovate ogni settimana da Akeem of Zamunda dove hanno preso meritata residenza, in tutti i sensi.

Nell'ultima settimana Avant, che ormai si è appoggiata comoda sul ritmo invidiabile di tre pezzi alla settimana, è caduta da un grattacielo anche la bombetta di Fricat che potete ascoltare qua sopra, accompagnato da video one-shot di Pepsy Romanoff. 

Fricat aka Joe Antani, già metà degli Apes on Tapes, ha conosciuto Shablo qualche anno fa, quando abitava e studiava a Bologna: "È capitato che vivessimo nella stessa casa per qualche mese ed è stato naturale ascoltare le rispettive produzioni. Mi ricordo che in quel periodo tre quarti di scena hip hop passava dalla sua camera/studio.

Poi la vita è andata avanti e ognuno ha preso la sua strada, finché a settembre scorso ci siamo risentiti per caso e lui mi ha raccontato di Avantguardia e dell'idea che c'era dietro. Mi ricordo che stava cercando producer con un'esigenza di libertà d'espressione stilistica, voleva creare un contenitore di espressioni slegate dalle tendenze principali, per favorire una sorta di ricerca-evoluzione a spinta spontanea.

La cosa è suonata allettante da subito visto che riuscivo a identificarmi in quelle esigenze. Mi piace molto il carattere non-competitivo che permea tutto il progetto, dando spazio così a una libera eccellenza stilistica. La diversità, la varietà, la contaminazione, l'ibrido sono valori che oggi, pur non essendo molto condivisi, andranno digeriti poichè sono insiti nel concetto stesso di evoluzione.

Progetti come questo ne fanno un manifesto e sono fiero di collaborare per promuovere questa impostazione."

Ultima, ma solo cronologicamente, è l'uscita di 24SVN, accompagnata da una cascata di poligoni disegnata da Ok Rocco che potrebbe prendere vita in qualsiasi momento.

Little Simz è la rapper più influente d'Europa secondo Forbes

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Viviamo in un mondo ingiusto. Un mondo in cui il cappuccino di soia costa di più di quello normale, il nuovo album di Frank Ocean non è ancora comparso all'orizzonte e Tyler, the Creator viene bandito dal Regno Unito con le stesse accuse da cui Donald Trump è stato assolto.  Date queste condizioni, ogni barlume di luce è come una purga per Santo Stefano, per cui perdonateci se celebriamo con gioia la notizia che la nostra rapper preferita Little Simz è stata inclusa da Forbes nei suoi 30 Under 30.

Dopo cinque anni di classifica in America, Forbes ha pubblicato la prima edizione di 30 Under 30 Europe oggi. Secondo il sito dell'iniziativa, 30 Under 30 Europe "parte dai nostri sforzi per trovare il meglio tra i giovani" e "abbraccia dieci categorie eterogenee". La lista include l'attore di Star Wars John Boyega nel settore della fantascienza, l'ingegnera nucleare Rory O'Sullivan per la scienza vera, e Little Simz per l'intrattenimento, il che la rende la prima rapper indipendente inglese a entrare in una lista di Forbes. Altri musicisti inclusi sono FKA Twigs, Adele, Hozier, Ed Sheeran, Yannis Philippakis dei Foals e Florence Welch.

Little Simz è una tra gli artisti rap più promettenti da anni a questa parte, e il fatto che abbia soltanto ventun anni ti fa sentire un po' orgoglioso e un po' vecchio. Se non ci avete creduto prima, dovrete crederci adesso: Kendrick Lamar l'ha recentemente definita "the illest doing it right now" e Forbes l'ha chiamata "una delle migliori giovani rapper del mondo".

Il mese scorso è uscito il video di "Gratitude", guardatelo qua sotto e inchinatevi.

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Dalhous - Methods Of Elan

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Sono ossessionati dalla malattia fin da quando si chiamavano Young Hunting, facevano video tetrissimi (ora introvabili) ambientati in ospedali. Per quanto loro vogliano cancellare quasi ogni traccia di quel passato, è impossibile non accorgersi che le radici del loro suono e delle loro fisse erano già lì. Da quando hanno cambiato nome in Dalhous, praticamente ogni loro disco ha avuto come tema la salute mentale, il rapporto tra "sano" e "malato", non solo nei titoli e nei concept dei dischi (pieni di note sibilline, di testo da ricostruire a fatica) ma anche nella fragile maliconia in cui ogni loro nota annega. Pare che il loro nuovo disco sarà più maligno e astratto, e che racconti proprio la storia di un duo che si confronta con il dolore di uno di loro. Nel frattempo, siilmente, il duo Dalhous pare essersi ridotto al solo Marc Dall... Chissà se c'è qualche relazione.

Comunque sia, il progetto Dalhous fa una dark wave esotica, contemplativa, nutritasi sia del calore triste dei migliori Eyeless In Gaza che di Mark Van Hoen quando ancora faceva il romantico disperato, appoggiandosi su una lezione isolazionista in cui ogni suono pare volersi confrontare con la propria nemesi, con la prospettiva della propria distruzione. Questo mondo inconciliabile è anche quello della "malattia", della depressione più acuta, della violenza che nasce da un intollerabile disturbo del linguaggio. Dopo An Ambassador For Laing e Will To Be Well, quindi, arriverà il nuovo (doppio) The Composite Moods Collection Vol.1: House Number 44, primo capitolo della narrativa. Esce a marzo, ovviamente per Blackest Ever Black, intanto ascoltate "Methods Of Élan", qua sotto.

Perché i pezzi dance hanno sempre testi del cazzo?

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La risposta alla domanda di cui sopra è semplice: non devono avere testi elaborati. La risposta un po' più elaborata alla stessa domanda è: non devono, ma c'è un perché, ci sono delle spiegazioni. 

Quando sei giovane, sei più impressionabile e cerchi disperatamente di stabilire una connessione tra te e il mondo, con gli altri esseri umani intorno a te, sei più predisposto a comprendere la poesia. Quando la mente non è ancora corrotta da questa vitaccia, la poesia non sembrava quella forma d'arte autoindulgente e vacua che ha smesso di interessarti quando hai smesso di pianificare l'interrail. Quando sei un giovane virgulto innocente, ti lasci pervadere dal senso del mistico, hai voglia di trovare ogni strada che ti porti a contatto con qualcosa che vada oltre l'immanenza... Poi invecchi e all'improvviso capisci che tutti i tuoi sogni giovanili si fondavano su mere illusioni e che la vita è una merda, e che tutte le colonne di polvere su cui erano edificate le tue fantasie stanno per essere soffiate via dall'alito freddo dell'età adulta. 

Quando una persona supera l'età adolescenziale ed è ancora attaccata ai testi delle canzoni, ecco, quella è una persona di cui NON FIDARSI. Di solito si tratta di individui molesti che indossano maglie di Bob Dylan al pub, che mettono riferimenti al cantautorato qua e là nelle conversazioni, il che li rende interessanti come una vecchia replica dei Simpson. La vita di queste persone ruota attorno alle nozioni, non all'esperienza. I testi delle canzoni non sono altro che parole a caso che riempiono lo strumento voce umana. Non bisogna dar loro troppa importanza, se non a livello puramente fonetico, perché è lì che lavorano, ma già un testo non cantato, un testo scritto, perde il 99% del proprio valore. Sono solo parole su una pagina. Alcune di queste parole, all'interno del contesto cui sono funzionali, sono fantastiche, riescono a centrare il punto, ma decontestualizzate perdono ogni senso. 

Ed è questo il punto. Non c'è modo di tradurre un linguaggio puramente verbale in un linguaggio adatto a un club. La dance music non ha bisogno di aderire alla struttura tradizionale della canzone pop o del cantautorato che ci ha abituato alla centralità assoluta del senso. I club sono il luogo in cui il senso perde di significato, e la musica per il club funziona con lo stress semantico dei propri termini, utilizzando parole ripetute fino a che risultano un suono, tra altri suoni, così come tu che li ascolti fai parte dello stesso flusso sonoro e del flusso umano che ne è investito. Le tracce pensate per i club lavorano a un livello più istintivo, primitivo rispetto a quelle che hanno bisogno delle parole per avere valore. Un disco pensato per il club ha la primaria funzione di farti ballare, e se non lo fa fallisce. O meglio, se non dà al proprio ascoltatore la sensazione di potercisi perdere, fallisce, e a volte il linguaggio verbale è un vincolo, un ostacolo, una distrazione. Il fatto che la dance music sia considerata, per questo, un genere privo di senso è molto riduttivo, perché non coglie l'elemento fondamentale che è proprio quella privazione di senso.

Prima di liberarci dalla condizione di semi-primati che disegnavano bufali sui muri delle caverne e mangiavano carne di mammut, o qualsiasi cosa facesse l'umanità prima che i greci e i romani inventassero la centralità della parola, il mondo di Dioniso aveva la precedenza e, a parte quelle cazzatelle sui muri, non facevamo altro che ballare. La nostra forma espressiva era quella. Ed è pensando a quel passato primordiale, martellante, percussivo, tribale, che desideriamo muovere il corpo su tracce così elementari. 

Invece la dance si ostina a darsi un senso, con tre tipi di testi, ognuno dei quali è una merda. Ci sono gli imperativi, quelli che parlano di droghe e le robe assolutamente nonsense. Vediamoli nel dettaglio.

Il testo imperativo è forse il più semplice da descrivere: quante volte in discoteca vi hanno obbligato a MOVE YOUR BODY ad alzare il braccio a battere le mani a twerkare a SHAKE THAT BOOTY e così via. Probabilmente almeno dodici volte in un'ora, solo sabato scorso. Perché è così che fanno i DJ, vogliono sentirsi potenti e fanno un uso improprio dell'autorità verbale, o anche solo della funzionalità della ripetizione: se te lo dico cinquanta volte, probabilmente mi starai a sentire. Quando Paul Johnson ti dice get down, è quello che devi fare o sei un coglione. Lo stesso quando Byron Stingily ti dice c'mon get up. E alzati, coglione! In una sola notte le tracce che hai sentito ti hanno imposto più comandamenti di una nonna molto cattolica. Ed è ancora ok per un club, mentre appena torni a casa quel comandamento ripetuto e ridondante diventa un fastidio, e le parole suonano come quelle conte che si facevano alle elementari. Molto stupide e insensate. Il che ci porta alla seconda categoria. 

Le droghe sono un tema interessante solamente per due tipi di persone: quelli che ne usano un po' troppe e quelli che non ne usano affatto. Chiunque abbia un'esperienza media con le droghe sa che sono un argomento noioso di cui parlare, le droghe si prendono e basta, chi ci fantasizza sopra, chi le mistifica in un senso o nell'altro, deve farsi due domande. Non vogliamo sentire una traccia che parla di droghe, semplicemente perché la droga non si parla, al limite si fa. Vantarsi delle droghe, sbandierarle in una canzone, è una roba da liceali gasati. Nemmeno sotto forma di metafora. Non abbiamo più 15 anni.

E proprio perché non siamo più adolescenti che subiscono ogni influenza del mondo esterno e della realtà virtuale senza battere ciglio, nessuno ha più bisogno di testi del cazzo come "It's a lovely day/and the sun is shining/everywhere I go/I see children smiling" anche se "Lovelee Dae" di Blaze è un classicone intramontabile. Non è veramente un giorno bellissimo e felice, a meno che non ci sia qualche pompa di serotonina nel tuo sangue. E se qualcuno è gasato da robe del genere senza nessun aiuto è probabile che soffra di schizofrenia.

 

In pratica, l'unico testo decente di un pezzo dance è quello di "Just the Way You Are" di Milky.

La band che si tatua mentre suona

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Fyl si tatua un semicerchio sulla faccia. Più avanti nello stesso concerto, si tatuerà anche le narici. 

La band belga Tat2noisact mescola due cose che mi mettono ansia: cantare davanti alla gente e farsi tatuare davanti alla gente. Ogni concerto, per loro, comporta nuovi tatuaggi DIY—la cui forma si basa sul ritmo dlela musica prodotta. Non importa come vengono fuori, perché a sentir loro l'unica cosa che conta è l'energia derivante dalla combinazione di dolore e rumore.

Poco dopo Natale, la band ha passato qualche giorno a Schaarbeek—una cittadina vicino a Bruxelles. Alla fine del loro soggiorno, hanno messo su uno spettacolo per una piccola cerchia di amici. Mi trovavo nei dintorni, così sono andato a fare due chiacchiere con loro.

VICE: Ciao ragazzi, come vi è venuta l'idea di tatuarvi durante i concerti? 
Kostek: È iniziato tutto più o meno nel 2005, quando ho aperto il mio tattoo studio a Bruxelles. Suonavo già con Fyl ogni tanto, ed entrambi siamo amanti dei tatuaggi, per cui abbiamo pensato: "Ci piacciono i tatuaggi e ci piace la musica, perché non mettere insieme le due cose?" Tutto qui. 
Fyl: Poi altri si sono uniti a noi, e all'improvviso eravamo un gruppo. O meglio, una performance.
Kostek: All'inizio era tanto per ridere. Pensavamo di farlo una volta sola. Il nostro primo concerto è stato in una delle vetrine del Quartiere a Luci Rosse di Bruxelles.
 

Com'è tatuarsi mentre si suona? Devi suonare o cantare in maniera diversa?
Fyl: Per me è molto naturale. Cantare e tatuarsi è una combinazione fantastica. Non ti rendi conto del dolore. Anzi, penso di cantare meglio mentre mi tatuo.
David: Io ho dovuto adattare la mia tecnica alla situazione, perché tatuarsi mentre si suona la batteria fa un po' distrarre.

Come reagisce il pubblico? Anche loro si fanno tatuare? 
Joakim: Ci piace suonare in mezzo alla gente, ma a Parigi tutti mantengono le distanze. A Bruxelles ormai ci conoscono, per cui sono più scatenati e non hanno paura di avvicinarsi. 
Kostek: A volte i componenti del pubblico vogliono farsi tatuare a loro volta, ma a noi non piace molto. Servirebbero aghi sterili, eccetera. L'abbiamo fatto una volta, di tatuare un fan sul palco, perché ci ha chiesto in anticipo di fargli un lingotto d'oro sulle palle.
Joakim: Non è sempre facile impedire al pubblico di tatuarsi, però. Una volta una persona si è tatuata il braccio usando una corda di chitarra rotta trovata per terra.

Ci sono delle parti del vostro corpo a cui non avvicinereste mai un ago?
Kostek: Sì, la mia mano sinistra. La mia ragazza vuole che rimanga vuota. È l'unica parte del mio corpo che non è mai stata toccata. Il viso non è un problema, ma la mia mano sinistra rimane bianca.
Fyl: Non per me. A volte mi tatuo in faccia, a volte no. Quando mi guardo allo specchio il giorno dopo un concerto ci vuole sempre un po' per abituarmi. Ma non lo faccio perché odio me stesso, o robe del genere—sono uno mediamente felice. Naturalmente molta gente mi guarda come se fossi pazzo, ma io rispondo con un sorriso e con un saluto. Questo sono io e questo è il mio aspetto fisico.


La schiena del frontman Fyl.

Avete un'idea specifica dei tatuaggi che farete o andate a caso? 
Kostek: A volte ho in mente qualcosa, a volte no. Dipende davvero dal ritmo della musica. Joakim ha inventato una macchina che amplifica il suono degli aghi. Per cui quando tatuiamo durante un concerto, facciamo anche musica con queste macchinette. Se il mio braccio non fosse così pieno, potrei scrivermi la musica sul corpo. 

Come descrivereste il vostro sound?
Fyl: Be', siamo piuttosto eclettici. A volte suoniamo più punk rock, a volte è più noise, hardcore, o addirittura afrobeat.
Joakim: Ultimamente il nostro sound è molto più strutturato, però. Una volta era principalmente noise—tutta una questione di energia e tatuaggi. Ma lo facciamo da dieci anni ormai, per cui siamo migliorati come autori di canzoni. Facciamo le prove tutte le settimane, ma senza tatuarci. 
 

La band ama esibirsi davanti a un pubblico poco numeroso.

E anche i tatuaggi sono diventati più strutturati?
Fyl: No. Nel mio caso, ho talmente tanti tatuaggi l'uno sopra l'altro che è difficile capire che cosa sto disegnando in ogni caso. Guarda questi segni sull'addome: risalgono a quando ho usato delle spine di rosa come aghi.
Kostek: È tutto molto naturale. A volte tatuo per cinque minuti, a volte ce ne vogliono venti. A volte amplifico il suono, altre volte no. Facciamo anche concerti in cui soprattutto suoniamo i pezzi e tatuiamo pochissimo.

Questa pratica ha ancora uno scopo dopo dieci anni? Non siete completamente coperti d'inchiostro ormai?

Fyl:
No. Ho oltre 200 tatuaggi sulla schiena, ma c'è ancora un bel po' di spazio. 
Kostek: Il mio braccio comincia a essere abbastanza pieno. Ma anche se non riesci a vedere un nuovo tatuaggio, non significa che non ci sia. Sentirai sempre il punto in cui l'ago ha toccato la tua pelle.
Joakim: E quando la tua pelle è completamente coperta di inchiostro nero, puoi sempre farla più scura. O passare al bianco o ad altri colori. Non finisce mai.


Dieci anni di Tat2noisact sul braccio di Kostek.

Il mio francese è un po' arrugginito. Di che cosa parlano i vostri testi?

Fyl:
Mi ispiro principalmente a articoli di giornali o letteratura. Leggo molto, per cui spesso leggo qualcosa al pubblico. Di solito leggo estratti di opere degli autori che ammiro, come Mykola Arkas o Allen Ginsberg.
Joakim: Una delle nostre canzoni si basa su un testo di Rober McLiam Wilson e parla dell'ironia del concetto di ritorno alla natura per l'uomo.

I vostri concerti sono piuttosto rari, per cui come vi guadagnate da vivere?
Kostek:
Io sono un tatuatore.
David: Fyl fa molte cose. Parrucchiere, attore, artista. Io sono un editor video.
Joakim: Io costruisco effetti a pedale e faccio l'ingegnere del suono. 

Suonate insieme da dieci anni. Che progetti avete per il futuro?
Joakim: Non abbiamo quasi mai registrato. Ora abbiamo messo online alcune canzoni, per cui vorremmo registrarne ancora.
Kostek: Continueremo a suonare, ma ancora non sappiamo che direzione prenderemo.
Joakim: Vorremmo lavorare anche con degli oggetti. Conosciamo uno che si è offerto di forgiare una gabbia di metallo sul palco. Per cui potremmo incorporare questo tipo di cose con la letteratura e la nostra performance in futuro.
Kostek: Io conosco anche un ragazzo che suona il flauto, per cui chissà dove andremo a finire.

Guarda alcune foto della performance dei Tat2noisact a Schaarbeek qui sotto.


Kostek è un tatuatore professionista.


Joakim si concede un tatuaggio su una gamba.


 


 


 


 


 


 


 

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Che cos'è la Dark Polo Gang?

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Tutte le immagini sono tratte dai profili Facebook e Instagram della Gang.

Per i quattro gatti che ancora non ne avessero sentito parlare, Dark Polo Gang è un collettivo romano formato da DarkSide, Pyrex, Tony e Wayne. Da giugno è disponibile in free download il loro album d'esordio Full Metal Dark, primo prodotto ufficiale della Gang, interamente prodotto da Sick Luke, quel Sick Luke figlio di Duke Montana, che, se si esclude una traccia prodotta in collaborazione con un tale Nino B., si è occupato interamente delle basi del progetto. Nel mix sono completamente assenti i featuring e i ragazzi sciorinano rime sul crinale tra ermetismo e incomprensibilità a tema droghe, vestiti e soldi: "Se non si tratta di soldi, lascio perdere". 

Internet scarseggia di informazioni a riguardo e, volendo saperne un po' di più su di loro, provo a mettermi in contatto con Pyrex, che a sua volta mi rimbalza verso Sandro (ALXSSVNDROMAN, il loro videomaker, ndr) e di lì a due giorni riusciamo ad organizzarci per fare quattro chiacchiere. Ho appuntamento con la Dark Polo Gang in un appartamento in cui si appoggiano, proprio sopra lo studio in cui registrano la loro musica. È un posto a Lungo Tevere, non molto lontano da dove è stato girato "Neve A Settembre", singolo uscito pochi giorni fa e che anticipa Crack Musica di Tony Effe e DarkSide, di prossima pubblicazione; durante il corso del 2016 sono in arrivo vari progetti solisti diretti dagli altri membri del gruppo, con titoli programmatici come Succo di Zenzero di Wayne o The Dark Album di Pyrex.

Per provare a capire cosa si celi dietro il fenomeno Dark Polo Gang, un piccolo caso partito da Roma e che si sta diffondendo fino (o forse soprattutto) a Milano, in culo a tutti gli antagonismi di bandiera. Saluto i ragazzi e ci sediamo in circolo, distribuiti su due divani di pelle nera e un paio di sedie. Alle nostre spalle c'è un balcone, ma la finestra rimarrà rigorosamente chiusa per tutta il tempo, finché la stanza non si sarà strasformata in una specie di bagno turco senza vapore.

Iniziamo a far girare la porra e partiamo con le domande.La prima cosa da mettere in chiaro quando si prova a parlare della realtà Dark Polo Gang è che ai ragazzi non frega un cazzo di ciò che puoi pensare o dire della loro musica, con tutte le conseguenze positive e negative che questo comporta. Una forma di arroganza che, per qualche aspetto, può ricordare da vicino l'attitudine di Bello Figo Gu. Naturalmente anche a loro fa piacere quando popolarità e seguito aumentano, ma ciò che gli interessa è continuare a fare le loro cose coerentemente con un'estetica fatta di rime scritte di getto, a modo loro: "La cosa è che facciamo sta robba e non ce ne frega un cazzo del resto. È un po' come quando tratti male una pischella e quella ti chiama", mi spiegano mentre ridono. Non riesco bene a capire se stiano ridendo di me.

È proprio la spontaneità con cui sono scritte le strofe a rappresentare il tratto distintivo della Dark Polo, e chi ascolta la loro musica percepisce che sono e suonano esattamente come appaiono, senza filtri, censure o processi creativi particolarmente articolati. A puntargli addosso l'attenzione nazionale è stata "Cavallini", che è uscita in anteprima su Noisey, quando ancora nessuno sapeva chi fossero. Il pezzo è costruito su un beat di Charlie Charles e la strofa di apertura è affidata a Sfera Ebbasta, nonostante sia un pezzo accreditato a loro. Già la scelta di non aprire il loro singolo più celebre potrebbe dare il via a molte dietrologie (basti pensare a tutte le critiche che ha dovuto sucarsi in passato Earl Sweatshirt quando ha deciso di aprire il suo album di debutto con una strofa di Vince Staples), ma probabilmente non ci hanno nemmeno pensato.

"Quando scrivo una canzone dico solo quello che sto pensando sul momento. Oggi posso dì che mangio il pollo al curry e non mangio sushi, e domani il contrario. Siamo tutte teste diverse: a Tony per esempio je piace er sushi, ma a me me fa proprio schifo", mi dice DarkSide, quando provo a chiedergli dei loro testi. L'immaginario della Gang è composto anche riferimenti calcistici, Totti e De Rossi, e poi Fendi, Gucci, Brooklyn, pezzi e grammi nei nei jeans. Nella intro di Full Metal Dark Pyrex lo dice proprio, lo sai che sono G-Star, e queste scelte li rendono forieri di una certa romanità che, anche inconsapevolmente, rimane appiccicata addosso e arriva a frange di pubblico che fino ad ora il rap se l'erano inculato solo perché durante l'intervallo all'Olimpico di Roma fanno sentire Radio Italia.

Il concerto a Milano, andate a 2.20 per una piccola perla.

Il punto è proprio questo, che la Dark Polo Gang potenzialmente può arrivare al ragazzino che la domenica è in Curva Sud a preparare gli striscioni per la partita e ha creato un nuovo pubblico ibrido che fino ad ora questa cosa del rap non se l'era mai cacata di striscio, o che è fermo a "In Da Club" di 50 Cent. Si è creata, insomma, una nuova frangia di ascoltatori; un pubblico ibrido attratto più dall’immaginario che dalla musica in sé che si incastra all'interno di un processo in atto già da da tempo, forse addirittura (iconofraficamente parlando) da "PES" dei Club Dogo. Magari questo nuovo pubblico, il pubblico di Sfera, del nuovo Achille Lauro, di Ghali, ha già iniziato un processo di modificazione dei gusti generali e magari nel giro di un altro anno ribalta del tutto il mercato del rap italiano, che ne sai? Loro di sicuro non lo sanno: "Abbiamo agito senza un vero e proprio schema: molte cose ce le ritroviamo dentro anche se non c'è una ragione così esplicita". Forse sono proprio questi riferimenti tutt’altro che elaborati a permettere alla Dark Polo Gang di arrivare a un pubblico fatto di ragazzini (e non) privo di basi propriamente hip-hop. Tutto si trasforma in un calderone di basse e concetti base, in un mix puramente stilistico in cui l'estetica dei loro video diventa una parte integrante, se non addirittura fondamentale.

Quando provo a farli parlare della realtà da cui provengono, mi rispondono che la vicinanza dei loro quartieri gli ha permesso di affiatarsi e unirsi fin da ragazzini: una realtà di provenienza che una volta tanto non ha nulla a che spartire con le periferie, perché loro sono tutti ragazzi del centro: "Rione Monti, Trastevere, Campo de' Fiori. Il contesto romano ci ha uniti, le serate e le droghe ci hanno reso parte di un movimento, qualcosa così. Non veniamo dalla povertà o dalla merda, abbiamo una base culturale che ci ha spronato a fare delle cose".

Sono proprio le esperienze comuni a essersi trasformate in un collante e la musica è stata soltanto il modo più facile di esprimere e raccontare la realtà che li circondava: "Ci conoscevamo tutti da pischelletti; siamo sempre stati fratellini. Abbiamo sempre creato situazioni un po' al limite di quello che se pò fà a st'età, e avevamo capito di poterne parlare attraverso il rap", mi dicono. Determinante, in questo senso, è stato l'incontro con Sick Luke: "È lui che ci ha dato le prime produzioni vere ci ha fatto capire che potevamo fare sul serio; prima era una cosa così, un po' campata per aria, ma da quando è arrivato lui è cambiata storia, da lì in poi si è concretizzato tutto. Quando abbiamo iniziato a fare i primi video con Sandro abbiamo capito che c'era un filone a unirci tutti".

Sick Luke mi parla un po' del processo creativo che sta dietro a ogni strumentale e di come sia difficile riuscire ad accontentare quattro personalità diverse per riuscire a trovare un compromesso che sposi al meglio le caratteristiche peculiari di ognuno. "Di solito stiamo in studio a fare il beat sul momento, ma dipende un po' dal tipo di disco che dobbiamo fare. Io mi baso abbastanza sul progetto intero, su come dovrebbe suonare, così se ti senti un disco di Pyrex sai che suona in un certo modo, se senti un disco di Wayne suona in un altro e così via. Full Metal Dark suona diverso da questi altri progetti proprio perché ogni disco deve avere certe sonorità. E poi in studio facciamo veramente un sacco di roba, tante cose alla fine neanche escono".

Pur non volendo "essere contro nessuno", come ribadiscono più volte mentre parliamo, ci tengono a prendere le distanze dalla rassicurante figura tradizionale del rapper italiano. "Quella del rap classico è un'altra corrente, è qualcosa che non ci appartiene in alcun modo. Tantomeno vogliamo suonare come il rap romano, perché quella roba fa parte di un'altra generazione. Noi non siamo avvelenati con la vita: scopiamo, ridiamo, fumiamo e ci divertiamo a farlo. Si sente nei nostri pezzi", sostiene Wayne.

Le loro influenze maggiori provengono dal rap americano, più che da quello nostrano e i loro rapper preferiti hanno solo una cosa in comune: "I soldi. Rispetto per chi fa i soldi. Ci piacciono quelli che spaccano: Young Thugh, Gucci Mane, Justin (Bieber, ndr)". Da ragazzini, comunque, si sparavano il Truceklan: "Soprattutto Noyz Narcos perché ai tempi a Roma girava molto".

Glielo butto lì, il nome di Bello Figo. "Rispetto per chi brilla", mi rispondono.

Il fenomeno Dark Polo consiste proprio in questo: hanno allargato il bacino d'utenza di questa musica, e questi cavallini arrivano ovunque (come testimoniano i commenti che inneggiano ai cavallini ovunque compaia una Polo Ralph Lauren su Facebook; vedi sotto la voce "accappatoio Polo di Guè Pequeno"). 

L'humus culturale di Roma, del resto, non permette a sonorità lontane dal canonico boom bap di diffondersi così liberamente, e chi vuole provare a cimentarsi su tappeti sonori atipici o incongruenti con la romanità spesso rimane spiazzato e deve rivolgersi altrove. I primi a discostarsi da tradizionalissimo cassa e rullante scena romana, con percorsi molto diversi da quello della Dark Polo, sono stati Gemitaiz & Madman, più recentemente (e similmente) Achille Lauro. Eppure anche per loro il consenso è arrivato a fatica, dopo una serie di aspre critiche piovute più o meno da ogni direzione, sia dagli addetti ai lavori che dalla feccia annidata tra YouTube e i forum. Il successo di Achille ha in qualche modo spianato la strada a sonorità più trasversali, più lontane dalla classica impronta romana. In questo momento La Dark Polo Gang si distacca da tutto ciò che proviene da Roma e il fenomeno Dark Polo si basa quasi esclusivamente sul carisma delle teste che la compongono e che hanno costruito un'estetica caricaturale, sboccata e ricercatamente senza filtri, qualcosa che li rende immediatamente riconoscibili: "Ci sta parlare di fenomeno, però poi noi non se n'accorgemo. C'abbiamo questa robba che funziona da sola perché siamo tutti diverse e mo continueremo a fà sta robba. La Dark Polo Gang è Gucci, come tutti sanno. 'sta roba costosa piace a tutti: vestisse bene, sta' freschi. Pure prima de fà il rap siamo sempre stati in fissa coi vestiti. Coi soldi, senza soldi, abbiamo sempre stilato. Semo i più fashion del mondo."

Vesto rosa salmone Kenzo, dice Tony Effe nel singolo "Super Sayan", che anticipa il nuovo Crack Musica di prossima uscita. Sulla collaborazione con Sfera e Charlie i ragazzi mi dicono che tutto ha funzionato, oltre che per la stima reciproca, per il fatto di condividere il medesimo binario musicale: "Abbiamo conosciuto Sfera a Milano, siamo stati un paio di giorni insieme e poi è sceso a Roma in estate; siamo stati qualche giorno insieme e ad Agosto abbiamo fatto un po' la traccia, il video e tutto. Aveva 'sto ritornello e abbiamo fatto 'sta traccia in pochissimi minuti, un flash." mi intima Tony, detto Il Fantino.

Il video è stato girato in una trap-house di Roma centro. Peraltro, Sfera Ebbasta e Charlie Charles sono recentemente entrati nel roster di Roccia Music. A conferma di un'estraneità proprio territoriale a certe sonorità, non possiamo dimenticare come, un po' di tempo fa, quelli di Roccia Music furono costretti ad annullare un concerto a Roma per scarsa affluenza di pubblico pochi minuti prima dell'inizio. 

Appare più che ovvio, allora, che prima di suonare a Milano i ragazzi della Dark Polo non si fossero mai esibiti dal vivo; a quanto pare, Roma è una città che non scommette sui suoi talenti. "A Roma abbiamo fatto solo due serate. Ma erano più mezze feste private tra amici... a Milano invece c'era un pacco di gente. Addirittura trecento persone sono rimaste fuori, non sono riuscite a entrare per quanta gente è venuta!"; gira voce, poi, che qualcuno sia svenuto e rimasto su un tavolo a collassare per tutto il concerto.

Le collaborazioni dei Dark Polo si contano sulle dita di una mano: tra queste, menzione d'onore a "Pezzi" di DarkSide e Ketama126, un earwurm potenzialmente ancora più letale di "Cavallini". Altrettanto ovvio è che i ragazzi, nati e cresciuti in un contesto culturale del genere, abbiano dovuto fare affidamento pressoché esclusivamente sul loro affiatamento: "Non siamo mai stati nel giro di nessuno. Giochiamo con le nostre regole. Sandro, quando ci fa i video, sapendo chi siamo può riprodurre al meglio la nostra estetica. Il nostro beatmaker è uno dei migliori nella scena. Siamo su un altro pianeta: Avatar!" E scoppiamo di nuovo a ridere, questa volta per autocompiacimento, credo.

Una soluzione autarchica, la loro, e praticamente obbligata, date le premesse di partenza. Le cose a Roma sembrano iniziare ad andare diversamente adesso e la città, pur continuando a rimanere una prigione, che usa il silenziatore (così viene descritto l'ambiente romano in "Nascere e Morire a Rione"), sembra che stia allentando le sue sbarre. Il dissenso non è più aprioristico o politico e qualche spiraglio si sta aprendo verso nuove contaminazioni sonore, se sia positivo o negativo non ci è dato stabilirlo.

Altra cifra stilistica del collettivo sono i ritornelli - li ascolti una volta e non li scordi più: se siete riusciti a smettere di ascoltare la sopra citata "Pezzi", date un ascolto a "Backflip" di Side e Wayne. Le vostre storie finte come wrestling. Lo so che il significato della parola backflip te lo sei andato a cercare su Google.

A proposito del triplo sette che i nostri ripetono spesso, anche nel ritornello sopra citato, "777 è come il jackpot alle slot machine; ricchi per sempre, vincere. Fanculo il pareggio", mi dice Side. Si preannuncia un anno pieno di trap, insomma, e chissà che qualcuno non decida di scommettere anche su questi Cavallini: i ragazzi potrebbero aver inconsapevolmente oliato le consolidate dinamiche di questo stupido gioco del rap (italiano), esaltando ed esplicitando la componente ludica, fino a costringere un'intera città a sbattere la testa contro tutte le ipoteche culturali che si è faticosamente costruita nel corso degli anni; ipoteche che iniziano ad essere sempre più ingombranti per la sua crescita e per il suo sviluppo, non solo musicale.

Quando mi trovo già in metropolitana per tornare a casa, Sandro mi chiama per avvisarmi che ho dimenticato il caricabatterie del telefono nell'appartamento dei ragazzi. Questa città non ti perdona nulla.

Segui Matteo su Twitter: @realmattycon
 

Killing Joke - Euphoria

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Killing Joke, AKA l'inarrestabile storia del post punk dal 1979. Si potrebbe pensare che dopo trentasette anni abbiano le armi scariche, mentre invece continuano a rinnovarsi, a mietere vittime. Pylon, il loro ultimo LP, è intenso e potente come le cannonate fegli esordi. Da quel disco, uscito a ottobre scorso, è tratta "Euphoria." una diapositiva dei loro live mista ad animazioni strane, nonché una delle tracce più bomba dell'album.

Se vi piace, compratevi Pylon qua.


Frank Zappa dice che Gerry Scotti è gay

Il viaggio di Shablo tra Mate e Spirito

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Shablo mi spiega che per il video di "Superstition", che potete guardare qua sotto in anteprima, si sono voluti ispirare a Fargo e che è stato girato da Pepsy Romanoff in Alaska. Alaska... In effetti gni volta che ci si trova a parlare con il produttore originario di Buenos Aires è quasi come fare un giro del pianeta, e non si può mai sapere di preciso in quale posto nel mondo si trovi quando gli telefoni dal grigiume del tuo ufficio nella periferia Sud di Milano.

Mate y Espìritu è soprattutto un viaggio, durato quasi dieci anni e cominciato prima ancora che il suo disco da solista precedente vedesse la luce: "Le idee per i primi pezzi mi sono venute dieci minuti dopo aver chiuso The Second Feeling, quando ancora vivevo in Olanda, ma il disco ha fatto tappe ovunque, dal Perù a New York", mi racconta Shablo, che questa volta è a Milano a occuparsi degli ultimi sbattimenti prima dell'uscita del disco, che avverrà il 29 gennaio sulla neonata Avantguardia, un'etichetta e un progetto, che puntano a dare una possibilità di respiro creativo alle schiere di produttori italiani. È in quest'ottica che si può inquadrare anche la sua carriera da solista, a cui nel corso degli ultimi otto anni e con un'apice nell'album Thori & Rocce realizzato con Don Joe nel 2011, si è affiancata quella del produttore o beatmaker. Questo non significa che occuparsi di rap italiano sia necessariamente una limitazione alla creatività o che le case discografiche impongano delle scelte che limitano le aspirazioni artistiche dei musicisti, semplicemente "quando lavori come produttore con un rapper, devi imparare a rispettare le visioni del tuo committente, che magari non coincidono perfettamente con quelle che tu avresti per il rapper con cui stai lavorando".

Questo disco è una valvola di sfogo, la cui pressione è aumentata mese dopo mese, finché non ha iniziato a fare un fischio che ha fatto capire quando era il momento giusto di allentarla e lasciare che si azzerasse, ma non prima di averla fatta passare attraverso un altro centinaio di metri di tubature. Probabilmente è sbagliato definire travagliata la storia di un progetto che si sviluppa lungo un arco di tempo così lungo, ma la verità è che lo stesso Shablo, per un periodo, ha pensato che il titolo più corretto per questa raccolta fosse Timeless: "Ero convinto che quei pezzi avrebbero mantenuto un significato forte anche se seguivano correnti e mode passate, quei suoni new soul, se vogliamo dargli un nome, che in The Second Feeling erano attuali, ma che oggi, se escludiamo eccezioni come D'Angelo, non esistono più". Quell'ultimo centinaio di metri infatti è intrecciato a forma di rete e i tubi sono fatti di produttori e collaborazioni: "Ormai avevo già ascoltato il mio materiale diecimila volte ed era fondamentale uno sguardo nuovo, per questo ho coinvolto altri musicisti, da Mace a Big Joe e Charlie Charles. Ognuna delle persone accreditate in Mate y Espìritu mi ha aiutato a trovare quelle prospettive che io non riuscivo a intuire".

Non deve essere facile condensare otto anni di musica in undici tracce e da quel punto di vista l'assistenza di Mace è stata fondamentale, oltre che per un motivo puramente tecnico e compositivo (come ad esempio nelle batterie di "Miss You", o nel drop di "Superstition"), anche per una sorta di direzione artistica naturale che è riuscito a dare al disco, visto che ai tempi dell'uscita di The Second Feeling, nel 2008, era proprio lui a ricoprire il ruolo di label manager dell'etichetta Barely Legal Records. Mace si è preso anche l'ingrato compito di aiutare Shablo nella dolorosa selezione di queste undici tracce, di modo che risultassero organiche e rappresentative di un percorso che ha tante radici in comune con i suoni dell'hip-hop, anche se alcune hanno scavato la terra in direzioni imprevedibili.

In effetti "Remember" (di cui abbiamo già raccontato la storia in maniera approfondita) è nata nel momento in cui è morto un beat per Marracash e ha fatto il percorso inverso, tanto per fare un esempio, di "No More Sorrow", che nel 2007 avrebbe dovuto far parte di The Second Feeling e alla fine è diventato uno dei pezzi più romantici e melodici nella discografia dei Club Dogo. Le continue contaminazioni tra il mondo del rap e quello della musica strumentale sembrano quasi creare due personalità nella figura di musicista di Shablo, che a volte si toccano, altre volte si limitano a confrontarsi: "In realtà in The Second Feeling non c'erano molti nomi legati alla scena rap e la stessa Poopatch non sarebbe mai stata accreditata sul loro disco, se non fosse stato per quel pezzo, inizialmente previsto per il mio album". Poopatch che è presente anche su Mate y Espìritu con lo pseudonimo di Mica Ela e la voce abbassata di cinque semitoni nell'ultima traccia "In Your Mind", realizzata con la partecipazione di Charlie Charles.

Una delle immagini scattate da Shablo durante il viaggio sul Rio delle Amazzoni.

Forse, dal punto di vista del tema del viaggio, il pezzo con Charlie e Mica Ela è uno dei più infiniti, dato che è cominciato in Perù, dove Shablo ha scritto i testi per la cantante per poi registrarlo nella Foresta Amazzonica, durante un viaggio di un mese nell'ormai lontanissimo 2009. Il brano, che inizialmente non doveva far parte di Mate y Espìritu, era arrivato ad un punto morto in cui la produzione non incontrava più il gusto del suo produttore, che però continuava ad essere convinto da quella linea vocale registrata dall'altra parte del mondo: "A quel punto ho contattato Luca Mauceri, un appassionato compositore di musica classica e polistrumentista per ripartire da un arrangiamento totalmente differente. Ho utilizzato tutte le sue registrazioni come dei samples e ho rifatto tutto da capo, di modo che suonassero omogenei con quella voce pitchata verso il basso, ma mi mancava ancora la batteria e ho deciso di provare a mettere insieme questa suggestione di un brano orchestrale che si incastrasse su una batteria trap". La programmazione di quella batteria viene affidata a Charlie Charles e il disco improvvisamente passa da dieci a undici tracce. "Charlie a volte mi fa morire perché ci mettiamo a parlare e ci sono tutta una serie di artisti e rapper americani, così come italiani, che lui non ha mai mai sentito nominare e che, tanto per specificarlo, restano fondamentali per la mia formazione. Il valore del suo contributo è stato quello di poter includere nel brano una pagina artisticamente bianca, per certi versi. È anche questo il bello di lavorare con lui, che è totalmente libero dai condizionamenti del passato".

Anche le idee primordiali di molti degli altri pezzi sono nate poco dopo l'uscita di The Second Feeling e uno dei pochi brani a conservare gran parte delle forme con cui è stato composto inizialmente è "Who I Am", realizzato ad Amsterdam insieme alla cantante Ninthe: "Nel 2008 girava voce che Pharrell avesse convocato questa voce bellissima nella sua suite d'albergo, dopo che l'aveva scoperta durante un tour, per farsi fare un concerto privato. Lei alla fine è effettivamente andata a farsi produrre un disco negli Stati Uniti dai Neptunes, e quando ho sentito quelle voci ho avuto una grande curiosità di conoscerla e di fare musica insieme".

Altri pezzi dal periodo olandese sono quelli con Raffaella Herbert e Caprice, ma nel corso degli anni sono stati ribaltati e stravolti più volte, fino a meno di tre mesi fa: "C'è stato un grosso lavoro di aggiornamento e, in qualche misura, di confronto con me stesso". In questo senso la collaborazione con Big Joe assume un significato ancora più profondo, dato che il beatmaker palermitano, oltre ad aver fatto un percorso per qualche verso simile a quello di Shablo (nell'amore per i suoni di Detroit e J Dilla), ha affermato in più interviste che uno dei dischi ad averlo formato, o addirittura ispirato a produrre, è stato proprio The Second Feeling: "Per me questa cosa è stata una specie di passaggio di testimone e mi è piaciuto molto coinvolgerlo in questo lavoro, oltre che nei progetti legati ad Avantguardia, per un discorso umano e di rispetto reciproco".

La copertina di Mate y Espìritu

Artisticamente parlando Shablo è evidentemente affascinato dalle figure che dirigono l'orchestra, dal ruolo del regista, dalla direzione dei progetti e la sua musica, così come tutte le iniziative legate ad essa, acquista tanto più valore quanto più sono numerosi i nodi della rete che riesce a tessere intorno a sé. Questo disco è solo l'ultima delle dimostrazioni: "Io so sempre dove voglio andare, ma è fondamentale avere una squadra che ti aiuti ad arrivarci e quella è la parte del mio lavoro che mi piace di più. Sono convinto che, a meno di rarissime eccezioni e spunti di genialità assoluta, in questo ambiente sia fondamentale circondarsi di fantasia e creatività, anche se c'è il rischio che tutte le persone che ti aiutano a compiere il viaggio", mi spiega mentre si rammarica della scarsa attenzione che il pubblico presta ai crediti, un po' come quando tutti si alzano appena partono i titoli di coda.

Quella del pubblico è un'altra questione che non è facile affrontare, quando la tua personalità artistica firma sia Thori & Rocce che Mate y Espìritu: "Quello che ho notato nel tempo è che la maggior parte del pubblico che mi conosce, quello che è arrivato a me grazie alle produzioni del rap italiano, non è interessato a questo discorso musicale. Se dovessi azzardare una percentuale direi che di quel pubblico solo un venti percento può essere intrigato da queste sonorità. Allo stesso tempo, paradossalmente, c'è un altro venti percento a cui interessa solo questo mio aspetto creativo, e non ha alcun gusto per il rap. Quindi a volte becco hating da entrambe le direzioni, ma va bene così. È normale quando dai al pubblico cose completamente diverse e finisci per creare un po' di confusione. Dal punto di vista del marketing non è la mossa più furba di tutte, ma mi permette di sentirmi realizzato".

Anche tra cinque, dieci, vent'anni Shablo si immagina impegnato in progetti da solista: "Farò sempre dei dischi di questo tipo e, anche se fare la produzione rap mi diverte, voglio continuare a dare un senso a quello che faccio e coprire un altro lato della medaglia. Mate y Espìritu punta a chiudere un capitolo sulle derivazioni dalla black music e quei suoni new soul dell'r&b che sto affrontando da molti anni e oggi è il momento perfetto per farlo: in giro c'è una grandissima fusione tra i generi e, rispetto a The Second Feeling, questo lavoro ha un respiro molto più ampio.

Non credo che cercherò di risolvere il problema di convivenza tra le mie identità artistiche, anche perché questo disco, così come tutto il progetto legato ad Avantguardia, deve soprattutto soddisfare un'urgenza creativa profonda. Chi sarà in grado di abbracciare questo multiverso è benvenuto nel mio mondo, nella sua totalità, altrimenti puo prendere solo l'aspetto che preferisce. Il bello dell'arte è proprio questo".

Mate y Espìritu è disponibile in preorder e, fino al 29 gennaio, allo stesso prezzo del disco si può ricevere in regalo anche The Second Feeling, il primo lavoro da solista di Shablo.

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Non avete idea di quanto fosse bravo Bowie come imitatore

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Foto via Wikimedia Commons

Dopo la morte di David Bowie, in molti si sono prodigati in tentativi di celebrare al meglio la sua immensa portata artistica, dimenticandosi a volte di specificare che quest'uomo era una vera bestia di comicità. Ne è esempio il fatto che The Talkhouse ha tirato fuori una registrazione in cui David si esibiva in una serie di imitazioni di altri artisti, tra cui Iggy Pop, Lou Reed, Bruce Springsteen, Tom Waits e tanti altri. La registrazione risale all'epoca in cui Bowie stava registrando parti per il musical di Julien Temple Absolute Beginners. Finora il producer Mark Saunders l'aveva tenuta per sé, ma dopo la morte di Bowie ha deciso di condividerla, ed ora eccola qui su Internet.

Date un ascolto alla meraviglia di quest'uomo, che si misura anche in quanto fosse in grado di far scassare dalle risate. E se volete approfondire la storia, vi rimandiamo a The Talkhouse

Consigliamo un rapper italiano ai candidati del PD

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Mancano poche ore all’inizio del rush finale verso le Primarie del PD per la corsa a candidato sindaco di Milano. Il 6 e il 7 febbraio si voterà per scegliere il prescelto, ma già dai prossimi giorni inizieranno gli incontri e i confronti. Con la destra allo sbando e le balle su Expo che hanno riempito i Milanesi di speranza, salvo tragedie che determinino una deriva xenofoba di tutta la città, è assai probabile che uno di questi diventi il nuovo sindaco di Milano.

Nell’ultimo periodo il mio massimo interessamento per la politica è stato il riascoltare i Run The Jewels, il che mi ha fatto sentire vicinissimo a Bernie Sanders. Guardandomi allo specchio stamattina, poi, ho notato un incipiente fiorire di capelli bianchi, il che mi ha fatto pensare di essere vicino alla trasformazione in Bernie.

Come Bernie Sanders, anche Sala & co non sono voluti sembrar da meno, mettendo in piazza la loro ampia conoscenza musicale che si ferma alle Vibrazioni, tramite delle playlist tematiche su Spotify, una a testa. Roba incredibilmente giovane e sicuramente condivisa con chi nei primi giorni di febbraio probabilmente perderà del tempo prezioso per inserire la scheda nell’urna. Una trovata pressoché incredibile quella del PD, che non felice di avere una non proprio ottima fama, mette in mostra tutti i limiti musicali senza nascondere l’aspirazione a un raggiungimento di livello giovanile epico.

Guardando le playlist dei quattro cavalieri dell'apocalisse però, la cosa più rap che ho trovato è stata “Happy” di Pharrell, per cui ho deciso che avrei consigliato ai quattro un rapper italianp, per farli sembrare ancora più vicini ai giovani e ai social. Chissà che poi non nasca un sodalizio vero e proprio e qualche rapper si ispiri a Young Jeezy per mostrare il proprio supporto al futuro candidato sindaco.

 

Francesca Balzani: Hyst

Guardando la prima playlist proposta, si entra subito in un territorio che trasuda PD da ogni dove. Attuale vicesindaco e assessora al bilancio, Francesca Balzani ha la fissa per il rigore fiscale, la legalità,  La playlist vanta numerosissime canzoni di Vasco Rossi, qualcosa delle Vibrazioni, poi spunti un po’ raffazzonati, senza davvero nessun picco, un elettrocardiogramma piatto. Non c’è nessun tipo di qualità che emerga da queste 10 canzoni, c’è forse un minimo tentativo di alzare il braccio sinistro, goffo, mettendo in mezzo “Rehab”, buttata lì probabilmente per il titolo, ma per il resto è tutto molto… boh.

Poi, sulle note di Amy Winehouse, me la vedo partire in un discorso incredibile sui massimi sistemi del mondo con Hyst, parlare, battersi, dimenarsi, avere un’opinione e poi… influire zero.. ahem... TVB Hyst, no hating.

 

Beppe Sala: Guè Pequeno

Beppe. Già solo il primo nome fa capire quanto potente possa essere un solo uomo. L’unico diminutivo di un politico che mi viene in mente è quello di Pippo. Provate a ripetere velocemente in sequenza Beppe e Pippo, Beppe e Pippo, Beppe e Pippo. Quanto risulta più forte quella “B” iniziale?

Sala è l'unto dai poteri forti, l'uomo di Expo, dei soldoni, della crescita a tutti i costi e dei numeri che valgono solo quando lo dice lui. Un misto di vecchio ammanicamento democristiano e pretese europee. Lo strapotere machista è palese anche dalla playlist: Doors, Miles Davis, Rolling Stones, Vasco, il buon Beppe ama i grandi classici e ce l'ha duro. Una rapida disamina del tutto ci mostra quanto sia un uomo tutto d'un pezzo. Però è anche un tenerone, infatti sul finire c’è un “Apriti Cuore” che fa capire il buono in ognuno di noi, poi però perde his religion e tutto va a puttane. 

Per promuovere la  sua campagna vedrei benissimo una bella foto cosparso di bling bling nella gioielleria di Lugano di Guè Pek, entrambi con un bel Rolex sul cazzo mentre se ne fottono dei debiti post-Expo.


Pierfrancesco Majorino: Sfera Ebbasta

Ne a l'ustaria ne in lecc se diventa vecc. E infatti: quanto è indie Pierfra? Quanto è milanese Pierfra? Ma quanto è di sinistra quella buona Pierfra? Ah i bei tempi ad ascoltare la vera Milano popolare, ah Jannacci e la sua comicità che arriva fino a Elio. Ah la wave milanese un po’ punk dei Decibel. Ah la vita agra versione Baustelle. Ah i Clash, ah Patti Smith. Un po' di snistra, un po' di gioventù, ma soprattutto milanesità da tutti i pori. Nuovo e revoluciònario, però pure compagnone da ustaria, appunto.

In pratica, questo vorrebbe fare a gara con l'ex-compare Pippo Civati per chi è il più indie, ma sapendo di non poter vincere, punta più su una roba tipo vecchie foto del quartiere isola. Però ecco, invece potrebbe darsi una svecchiata e osare: anche se Ciny non è proprio la vera Milano dura e cruda, mi sogno una foto di Pierfra su un hooverboard con Sfera Ebbasta, che urlano entrambi di essere partiti da zero, di essere la rivoluzione nel sistema, brindando con ganja e lean. Al momento, invece, il suo tradizionalismo lo porterebbe solo dalle parti di gente tipo Esa


Antonio Iannetta: Vacca 

Giuro, io ho provato a capire chi sia Antonio Iannetta. Ho anche googlato il suo nome, ma escono fuori solo foto di gente che gioca a baseball. Boh, mi son detto, sarà un tipo riservato, tutto introverso, vediamo che musica ascolta: De Gregori, Pavarotti, Mario Biondi. Niente, Iannetta è tipo il grigio più grigio. Poi ho visto Pharrell, mi sono esaltato. Ho letto “Happy” sono rimasto esaltato, ma un po’ meno. Poi ho pensato che l’avrà sentita all'Esselunga mentre comprava pane senza sale e acqua povera di sodio e ho pianto. Tanto. L'unico rapper che gli si addice è Vacca, e mi pare di aver detto tutto.

 

Tommaso è di Genova e non può votare a Milano, tu però seguilo su Twitter @TommiNacca

 

A scuola di rock'n'roll con i Giuda

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Foto per gentile concessione dei Giuda.

Siete pronti a roccheggiare? Questa domanda sembra inconcepibile nel 2016, se non in un contesto ironico, eppure scommettiamo che se continuerete a leggere l’articolo e ascolterete la musica di cui si parla, oggi diventerà il vostro motto. Perché oggi ci troviamo al cospetto dei Giuda, il quintetto glam-punk rock più caldo del pianeta. Lo so che negli ultimi anni si ripete spesso che il rock è davvero-definitivamente-ma-proprio-questa-volta-non-scherzo morto (adesso Birsa mi fa scrivere RUOCK), ma la verità è che da quando i Giuda sono saliti sul primo dei tantissimi e sempre più grandi palchi della loro carriera, la comunità rock’n’roll internazionale ha tirato un sospiro di sollievo collettivo. 

Riff semplici e diretti come una pedata in faccia con degli zatteroni da dieci centimetri, ritmi da accompagnare battendo le mani e pestando i piedi, cori che si prestano per essere riprodotti dalla curva della Roma (o di qualunque squadra abbia un Numero 10 degno di questo nome, anche se a sentire loro ce n’è uno solo) e uno dei cantanti più carismatici in circolazione. Il nuovo album dei Giuda, Speaks Evil, uscito l’anno scorso su Burning Heart, è un disco quasi perfetto, seppur “di genere”. Il suono è caldo e analogico e trasuda una sicurezza evidentemente costruita durante le sterminate date dei loro tour in tutto il mondo. Ci sono concessioni al pop (“It Ain’t Easy” e “My Lu”), al proto-metal (“Bonehead Waltz”) e una valanga di ritornelli memorabili e momenti in cui ballare e agitare i pugni in aria. Non è un caso che il Regno Unito li ami così tanto, dato che sembrano nati dal matrimonio tra Slade e Bay City Rollers.

In occasione delle due date italiane a Padova e Milano di questo fine settimana, in preparazione di un tour che li porterà in ogni paese d’Europa e poi coast-to-coast negli USA, toccando anche il più grosso, grasso e ricco festival punk americano (il Punk Rock Bowling di Las Vegas), abbiamo parlato al telefono con Lorenzo (chitarrista e fondatore della band) per capire come sono arrivati fin qua, cosa si aspettano dal futuro, e di quella volta che Kim Fowley voleva fargli un complimento ma non gli è venuto particolarmente bene.

 

Noisey: Partiamo dall’inizio: quando si sono formati i Giuda? 
Lorenzo Moretti: I Giuda si sono formati nel 2007. Avevamo un’altra band insieme, i Taxi, ma, purtroppo, dopo la morte del batterista, abbiamo deciso di non andare avanti. Sai, eravamo vecchi amici e non aveva più senso continuare senza di lui. 

Me lo ricordo. L’anno dopo mi trovavo negli Stati Uniti, a Milwaukee, tutti mi chiedevano dei Taxi e quando abbiamo spiegato che vi eravate sciolti erano tutti tristissimi. Eravate l’unico gruppo italiano che conoscevano.
Ci avevamo suonato, a Milwaukee. Nel 2004 o nel 2005. Comunque la voglia di continuare a suonare era tanta, quindi dopo un po’ di mesi ci siamo ritrovati in sala prove, abbiamo continuato a imbastire qualche nuovo pezzo, e da lì sono nati i Giuda. Era la fine del 2007. Fortunatamente le cose sono andate sempre meglio, dopo l’uscita del primo disco Racey Rollerche è stato un piccolo successo che non ci aspettavamo, infatti all’inizio fu stampato in poche copie—ci siamo ritrovati ad avere un sacco di richieste di concerti, il disco è andato sold out e di lì a poco è diventato un lavoro vero e proprio. Ora ci dedichiamo al gruppo al cento percento.

Ma dai! Sono sorpreso non perché non ve lo meritiate, ma perché è una cosa molto strana in Italia, soprattutto per un gruppo rock, riuscire a vivere di musica.
Lo so bene, è durissima anche per noi. Però facendo tanti concerti e vendendo una discreta quantità di dischi, riusciamo ad avere uno stipendio dignitoso alla fine del mese. A volte dobbiamo tirare molto la cinghia, per esempio quando stiamo registrando un disco e non possiamo andare in tour, però ci stiamo provando e va abbastanza bene. 

Però non mi vengono in mente altri gruppi che abbiano il vostro background punk/garage e che abbiano raggiunto risultati simili in Italia. Che cosa avete azzeccato voi nella ricetta? 
Credo che uno dei punti di forza dei Giuda sia la credibilità. Il fatto di risultare credibili per un pubblico che è nato con un certo tipo di musica. Voglio dire: siamo riusciti a imporci (tra virgolette, perché non è che facciamo mille persone) in Inghilterra, a fare un sold out a Londra per la presentazione del disco e adesso abbiamo già fissato una data in un grande locale storico di Camden come l’Underworld. Sono numeri dignitosi. Credo che una delle nostre qualità sia quella di risultare credibili e di aver riempito un vuoto che probabilmente fino all’uscita di Racey Roller non era ancora stato colmato. Non siamo il classico gruppo punk rock o il classico gruppo hard rock. 

Tornando a parlare per un attimo della trasformazione da Taxi a Giuda, che cosa è rimasto dell’esperienza punk rock della vostra band precedente che, pur avendo numeri diversi e facendo un genere piuttosto differente, era già molto popolare?
Sì, ci siamo tolti varie soddisfazioni anche con i Taxi. Due tour negli Stati Uniti, avevamo un’etichetta americana… il livello era diverso, però le cose andavano abbastanza bene. Quello che è rimasto del periodo Taxi, a parte le influenze punk che sono alla base dei nostri ascolti, io credo che sia l’attitudine. La voglia di suonare è la stessa di dieci o quindici anni fa, quella non l’abbiamo persa. 

Vi siete sentiti in soggezione la prima volta che avete suonato in Inghilterra? In fondo è il posto in cui sono nate le vostre influenze principali. Non vi mette pressione?
Ci eravamo già stati coi Taxi e sapevamo che è un posto veramente difficile, specialmente Londra. I gruppi vengono pagati molto poco, se non si è conosciuti si viene pagati molto poco perché “se non ci stai tu, avanti il prossimo”. Essendo una città molto grande in cui succedono molte cose, è un po’ dispersiva, non c’è una vera e propria scena, per cui è difficile andare a Londra e fare un sold out. Noi con i Giuda abbiamo cominciato in un locale molto piccolo, che era il Buffalo Bar, che poi adesso non c’è più. Lì ci abbiamo fatto due o tre concerti e ogni volta il pubblico aumentava e sono arrivati i primi sold out e questo ha fatto sì che con il tempo siamo riusciti a creare un seguito, tale che ogni volta che c’è un nostro concerto a Londra c’è un po’ la corsa ai biglietti. Negli ultimi tempi abbiamo fatto diversi sold out, quello di dicembre al Lexington non è stato il primo. E adesso, a maggio, ci confronteremo con una situazione diversa all’Underworld, che è un posto da 500/600 persone, vedremo come andrà. 

Del resto rimanete ancora piuttosto unici nel vostro genere, almeno in Europa. Che legame avete con la scena romana, ci sono dei gruppi che sentite affini? 
Essendo cresciuti qua, avendo fatto tantissimi concerti e frequentando i locali di Roma, quando suoniamo qui è come giocare in casa. Siamo molto legati alla scena nel senso che abbiamo tantissimi amici che suonano nelle varie band romane come Human Race e Holiday Inn. Sono gruppi diversi dai Giuda, ma comunque rappresentano l’underground romano di oggi, che è un ambiente che noi continuiamo a frequentare. Per cui abbiamo un legame con questa città che non è indifferente. Anche se i Giuda sono un gruppo diverso da quello che erano i Taxi. 

Però il vostro fan club ufficiale ha sede in Francia!
Sì, il fan club ufficiale è quello francese, è vero. Però l’altro giorno su Facebook ho visto che è nata anche una Giuda Horde Sweden, oppure Giuda Fan Club Piemonte, dai, ci sono tanti fan sparsi per l’Europa e l’Italia. Però è vero che il fan club ufficiale Giuda Horde è francese.

E si vede la differenza? Nel senso che quando andate in Francia vi accolgono più calorosamente che negli altri paesi?
Diciamo che ci sono dei posti all’estero in cui la gente ha una cultura musicale diversa da quella italiana. Per esempio, la Spagna è un Paese in cui i giovani masticano il rock’n’roll. Lo vedo da tempo, perché anche quando ero più piccolo andavo a vedere i concerti punk o rock’n’roll in Spagna e i numeri erano diversi da quelli che si fanno in Italia. Quindi ecco, suonare all’estero a volte è non dico garanzia di successo, però comunque i concerti sono sempre molto frequentati. Questa è l’unica differenza, sai, in Italia non sempre i concerti riescono alla grande. Poi ci sono le grandi città come Roma, Bologna, Milano, Firenze, dove ogni volta che suoniamo viene a vederci un botto di gente. Sabato scorso al Covo di Bologna abbiamo fatto sold out. 

Ascoltate anche musica di oggi o i vostri gusti rispecchiano il vostro senso estetico retrò?
Ci sono vari gruppi nuovi che mi piacciono. Molti sono gruppi underground, ancora poco conosciuti. Fra gli italiani mi piacciono i Faz Waltz, i Leeches, gli Human Race che ti dicevo prima, un nuovo gruppo punk rock di Roma… a Roma c’è un sacco di roba nuova, ci sono gli Holiday Inn che sono questo duo synth punk un po’ alla Suicide, fichissimi. Poi ci sono i So What di San Francisco, loro sono un po’ in stile Giuda, anche se loro si rifanno più agli anni Sessanta. C’è qualche gruppo nuovo che mi piace ascoltare, però mediamente il sound delle band anni Sessanta/Settanta è quello che ancora adesso mi dà più soddisfazione. Poi ci sono talmente tanti gruppi ancora da scoprire, che sinceramente mi piace passare molto del mio tempo a cercare gemme ancora sconosciute. 

A proposito delle vostre influenze: venite spesso associati all’immaginario degli sharpie, degli skinhead e della curva della Roma. Quanto sono importanti questi riferimenti sottoculturali?
Sono una parte delle influenze dei Giuda. Non c’è soltanto il punk, non c’è soltanto il glam, non c’è soltanto l’aussie rock che citavi tu parlando degli sharpie; ci sono una serie di cose che abbiamo appreso, che abbiamo un po’ stravolto e che sono comunque tra le influenze del nostro sound che è diverso da quello che era il suono dei gruppi degli anni Settanta o comunque dei gruppi punk. Il sound dei Giuda è più attuale, credo che sia la nostra forza, quella di essere attuali anche se ci ispiriamo a gruppi di quarant’anni fa. 

Nell’ultimo disco infatti si sente una progressione verso il pop; più melodie, cori meno “da stadio”…
Sì, le melodie vocali sono sicuramente il punto in cui abbiamo fatto un passo in avanti rispetto ai dischi precedenti. Ma non è una decisione presa a tavolino, sai, quando registri un disco ti fai trasportare dall’ispirazione del momento, quindi non è che abbiamo deciso “ok, facciamo dei versi un po’ più power pop”. Il power pop, come il punk, il glam o l’aussie rock, fa parte dei nostri ascolti, è normale che ci siano dei rimandi a questi generi. Però ci tengo a dire che i Giuda non sono cloni di un gruppo in particolare, io credo che in ogni nostro disco ci sia qualcosa di nuovo, qualcosa di fresco, e questo mi rende particolarmente soddisfatto. Il fatto di non aver pubblicato tre Racey Roller, che è il disco più strettamente punk, è una cosa molto bella e molto importante. 

In effetti la parabola dei vostri dischi sembra seguire concettualmente quasi il percorso del rock’n’roll americano, che è partito grezzo ed essenziale e mano a mano si è ammorbidito e arricchito con varie stratificazioni…
Be’, credo che l’evoluzione sia fisiologica per un gruppo. È importante cercare di fare qualcosa di nuovo senza però scervellarsi, è una cosa secondo me molto positiva.

Probabilmente è anche una questione di sicurezza che avete acquisito a forza di suonare, con tutti i concerti che avete fatto. Immagino che vi sentiate più a vostro agio nell’usare melodie più elaborate, anche dal vivo.
Hai assolutamente ragione, è proprio così. Racey Roller, per esempio, è un disco che abbiamo registrato in quattro, e abbiamo chiesto a Michele, che poi è entrato a far parte del gruppo in maniera stabile, di fare delle sovraincisioni. È un disco più costruito rispetto a Let’s Do It Again e molto più costruito rispetto a Speaks Evil. Speaks Evil a differenza dei dischi precedenti è un disco molto più grezzo, eh. Tu dici che ci siamo ammorbiditi, ma la registrazione è molto più retrò e molto più scarna rispetto a quelle del passato, poi è vero che c’è una maggior consapevolezza dei nostri mezzi che è dovuta ai tanti concerti fatti assieme, quindi l’affiatamento che è cresciuto negli anni. Per questo abbiamo osato di più a livello melodico e anche a livello tecnico, voglio dire, le chitarre dei dischi vecchi sono quasi sempre suonate in battere, all’unisono, molto più punk e ramonesiane, quelle di Speaks Evil sono molto più rock’n’roll, si incrociano, ci sono dei momenti di vuoto. È un disco suonato live. Laddove l’arrangiamento di chitarra finisce, c’è il vuoto, c’è il silenzio. E questa è una cosa che può lasciare un pochino spiazzati, perché comunque a livello di produzione siamo andati a togliere, anziché ad aggiungere. Tutto registrato live e in analogico.

È una scelta coraggiosa in un certo senso, guardando alla famosa guerra del volume che c’è in atto negli ultimi anni…
Sì, può anche lasciare spiazzati. Se ti ascolti Racey Roller, dove ci sono due chitarre che suonano la ritmica costantemente, e quando poi c’è un assolo entra una terza chitarra, l’ascoltatore non rimane mai spiazzato, perché chi ha ascoltato i Giuda dall’inizio è gente che viene dal punk, che ama i Ramones o i gruppi di quel genere. Questa volta abbiamo fatto delle cose molto più, come dire, all'antica. Le chitarre sono quasi esclusivamente soltanto due, come quando suoniamo dal vivo. Quindi quando Michele finisce l’assolo, o inizia l’assolo, una parte di chitarra ritmica scompare, e questo lascia un vuoto che crea una dinamica maggiore. La guerra del volume c’è, ma noi abbiamo deciso di andare in controtendenza. Abbiamo deciso a tavolino di mantenere un volume più basso, anche sul CD, per mantenere le cose belle fatte in fase di missaggio. Purtroppo oggi alcuni dischi vengono distrutti in fase di mastering perché tutti vogliono la botta, vogliono suonare più alto degli altri. Questo fa sì che la dinamica venga buttata al secchio, ed è un peccato, perché i dischi di trent’anni fa suonano meglio di quelli di adesso. 

Parliamo un po’ del futuro: quaranta date in tutta Europa e un tour negli Stati Uniti che culminerà al Punk Rock Bowling di Las Vegas in maggio. Che cosa vi aspettate? 
Siamo contentissimi di tornare negli Stati Uniti perché è sempre una figata, e poi questa volta facciamo un giro che non avevamo mai fatto prima, non abbiamo mai suonato sulla costa Ovest. Sappiamo che c’è un sacco di gente che ha voglia di vederci a Los Angeles e a San Francisco perché ci scrivono spesso, quindi siamo belli carichi. Poi ovviamente suoneremo in uno dei festival punk più importanti degli USA—tra l’altro faremo due Punk Rock Bowling, sia a Las Vegas che a Asbury Park nel New Jersey, proprio coast-to-coast. Non vediamo l’ora, anche perché ci saranno i Cock Sparrer, i FLAG, che poi sarebbero i Black Flag a cui manca non mi ricordo chi, non ci si capisce niente con tutti ‘sti Black Flag.

Io ho seguito un po’ la vicenda perché sono un grande fan, ma presto mi sono rotto le palle anch’io.
Guarda, anche Michele, il nostro chitarrista, è un fanatico dell’hardcore americano quindi sarà molto contento di suonare con i Descendents e con i FLAG. Lui mi ha spiegato un po’ cos’è successo, ma sinceramente c’ho capito poco. Comunque abbiamo un sacco di date belle, stiamo chiudendo una serie di concerti tra cui sicuramente Los Angeles, San Francisco, New York… quindi ci aspetta un bel tour. 

Per ultimo vorrei sapere come ti sei sentito quando Kim Fowley ha scritto che siete i nuovi Gary Glitter. Da un lato si tratta di un molestatore che vi paragona a un pedofilo, dall’altro è uno dei più grandi produttori della storia del rock che vi paragona al re del glam rock…
Tu scherzi, ma si è scatenata qualche polemica dopo quella cosa. Ovviamente non è una cosa che abbiamo detto noi, c’è arrivata così…

Be’, ma credo che intendesse che gli ricordate Gary Glitter dal punto di vista musicale, non perché commettiate crimini orribili…
Lo spero! Ovviamente non c’è nemmeno bisogno di parlare di quello che ha fatto Gary Glitter, è da condannare e basta. Però se guardiamo solo alla musica: wow, Gary Glitter ha piazzato un sacco di singoli nelle classifiche inglesi dei primi anni Settanta, tra l'altro rivoluzionando il suono di batteria, creando quel sound stra-pompato e compresso che ha anticipato quelli che sono diventati i suoni della disco music di fine anni Settanta. Quindi da questo punto di vista è stato un pioniere.

E anche i vestiti della disco music…
Be’ sì, per certi aspetti il glam e la disco si assomigliano. Poi io preferisco il glam perché mi piacciono le chitarre hard rock. 

Però non ti associ alla guerra del punk contro la disco.
Be’, le radici glam della musica disco si ritrovano negli handclap a volume smodato, nelle batterie registrate in un certo modo, queste sono cose che in un certo senso vengono dal glam. 

Ma Kim Fowley non avete fatto in tempo a conoscerlo, prima che morisse?
No, purtroppo no. Peccato perché doveva essere davvero fuori di testa!

E poi, vi fosse capitato qualche anno prima, magari vi avrebbe prodotto un disco e adesso sareste ricoperti di soldoni. E invece vi tocca fare tutto da soli, perché siamo nel periodo sbagliato per il rock’n’roll. 
Be’, lo facciamo comunque con un grande produttore di nome Danilo Silvestri, che è l’uomo più paziente del mondo e uno dei produttori più bravi in circolazione. Anche se, devo dire, mo’ mi hai fatto pensare a quale produttore avrei scelto se fossimo stati negli anni Sessanta o Settanta…

Dai, con chi lavorereste?
A rischio di essere banale, dico George Martin. Nei Beatles è stato importante quanto John Lennon.

Giuda-George Martin sarebbe un’accoppiata davvero interessante!
Peccato che ormai ha novant’anni…

Grazie Lorenzo!
Ciao, ci vediamo sabato a Milano!

Il nuovo album dei Giuda Speaks Evil è disponibile su Spotify, iTunes, nel negozio online della band e soprattutto ai loro concerti. Andatevelo a comprare.

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Mikael Seifu - How To Save a Life (Vector of Eternity)

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Il producer etiope Mikael Seifu ha annunciato la sua prima uscita per la bellissima RVNG Intl Zelalem, ovvero "eternità," EP di cinque tracce che si prefissa sia di tributre che di rompere con la tradizione musicale del suo paese. Il risultato suona effettivamente sia futuribile che attuale che "eternamente etiope".

Per annunciarlo, Matt Werth di RVNG ha messo in giro anche lo streaming di "How To Save a Life (Vector of Eternity)", che ha un intro fratturato e rivberberante, e poi si sviluppa i maniera spiritata e rotolante, costruita attorno a sequenze drammatiche di organo e percussioni analogiche. La star dello show, comunque, è un'assolo di qualche strano strumento a corda che dura per quasi tutta la traccia: per rintracciarne la liena melodica ci metterete diversi ascolti.

Ascoltatela bene, quindi, e poi vedete di preordinare Zelalem, magari nella versione che include un mixato di musica folk africana lungo cinquanta minuti.

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È un Paese per vecchi

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3, 2, 1... Vecchi!

Il contenuto di questo articolo non è pensato per far arrabbiare nessuno, nemmeno per dare dei vecchi alle persone che sono vecchie o a chi ama i vecchi, io amo i vecchi, da quando mia nonna è morta per me ogni vecchio è mia nonna, i vecchi vanno rispettati, non serve che li si chiami anziani per rispetto, serve che li si tratti bene e non ci si dimentichi di loro, perché un Paese in cui i vecchi sono dimenticati dà in questo modo un'evidente prova di inciviltà. 

Tuttavia.

Il rispetto dovuto ai vecchi non significa che questi debbano stare dappertutto, che il loro potere sia talmente sciamanico che quel rispetto si trasforma poi in devozione, e in convinzione che qualsiasi cosa faremo non saremo MAI all'altezza di questi vecchi, anche se in parte è vero. Non ci sarà nessun David Bowie, nessun Lemmy, nessun Tupac. A meno che qualche festival non decida di invitare i loro ologrammi come headliner.

Da qualche ora è uscita la lineup del Primavera Sound, che ricordo personalmente come il luogo in cui, gli scorsi anni, sono riuscita a litigare, farmi rubare il telefono, bestemmiare per il freddo e perdermi quaranta concerti, tutto questo solo nella prima ora di festival. Se lo scorso anno ho riso perché, ancora una volta, c'erano robe che mi ascoltavo da adolescente, quest'anno—sarà perché l'adolescenza si allontana, sarà perché inizio gennaio non è stato un bel periodo per riflettere sul passato e sul presente della musica—ecco, scusate se quest'anno mi è sembrato una presa per il culo. 

TUTTI VECCHI TRANNE I RAPPER

Me la metto via solo perché sono consapevole che il Primavera non sia mai stato una roba all'avanguardia, è più il festival in cui notoriamente si va per assumere qualche droga che ti farebbe venir voglia di metterti sul divano di casa ad ascoltarti i tuoi dischi vecchi, e arredare la tua comfort zone con pensieri semi-onanistici tipo madonna che pezzaccio "Climbing Up The Walls" senti che giro di basso porca troia non ne fanno più di dischi così

Non ne fanno più e mica lo dici solo tu sul tuo divano o in fila per i cessi chimici al Forum o mentre posti i pezzi di Bowie su Facebook, lo dicono anche le statistiche: proviamo a indovinare chi domina il mercato discografico. Tu guarda: i vecchi e i morti. Per la prima volta nella storia, comunica questo articolo, le vendite di ristampe hanno superato quelle di nuove uscite. Chiedersi perché succedano queste cose è compito di chi per lavoro si occupa di musica, e non solo della sottoscritta o dei miei colleghi (seppure finora non abbia ancora visto molto più che prese d'atto a riguardo), ma di chi si occupa di gestire il mercato musicale. Qualche giorno fa il presidente di Universal Music Italia, Alessandro Massara, si è lamentato in questa intervista che l'Italia è un Paese per vecchi (tu guarda, Massara ed io andiamo più d'accordo di quanto m'immaginassi!) e che gli artisti che passano in radio sono sempre gli stessi. Giusto, ma da che mondo è mondo le major stipulano accordi con le grosse radio per i passaggi in radio dei pezzi dei loro campioni, e le radio di conseguenza iniziano a farsi concorrenza a chi ha più ascoltatori livellando al ribasso la qualità e la varietà della proposta. È un cane che si morde la coda, nonostante le belle parole di Massara, che punta sulla giovane artista Joan Thiele per il futuro. Joan, speriamo che le tue virtù riescano a compensare questo. Joan, non dimenticarti che Jovanotti e Vasco sono parte del problema. Combatti Joan, sei tutti noi!

È chiaro che non c'è un artista, non me ne voglia Joan, in grado di compensare, quantomeno in Italia, il dilagare dei vecchi. Siamo un Paese troppo piccolo per non sentire con dolore le connessioni strette tra major e media, che non possono essere combattute con dichiarazioni a vanvera su Internet, perché esistono a livello molto più radicato di quanto ci immaginiamo. 

Fuori dal panorama del nostro Paese però non va tanto meglio. Il più grosso festival al mondo vive, se non di ologrammi, di reunion. La reunion è l'evento principale che muove le masse. Non vediamo l'ora di rivederli. Torniamo indietro e riguardiamo sempre la stessa scena, come nell'Invenzione di Morel o in quella puntata di Black Mirror. In parte probabilmente la distanza dalla concretezza della realtà musicale, dal vinile, dalla carta stampata, dalla sensazione tattile della musica è il primo passo verso il prenderla in considerazione come elemento fondamentale del proprio paradigma culturale. 

Il rapper Fedez con un ragazzino del suo fan club.

Un'altra delle ragioni per cui si avvicina il prepensionamento è che ci siamo allontanati dalle strade, o forse le strade si sono allontanate dalla musica, non so bene com'è successo, ma i rapporti tra i due mondi si sono raffreddati. C'è questo documentario bellissimo sulle gang di New York che hanno ispirato i Guerrieri della Notte in cui si racconta l'origine dell'hip hop, ragazzini che si ammazzavano di botte per le strade e che ad un certo punto hanno iniziato ad ammazzarsi di battle di breakdance, poi di freestyle e tutto il resto di seguito. Strade che avevano il loro suono, identità che avevano il loro suono. Se ultimamente vi è capitato di passare per una qualsiasi manifestazione vi renderete conto che l'urgenza di chi fa sentire le proprie recriminazioni non ha, da qualche tempo, il proprio suono, se non la solita drum'n'bass da rave o qualcosa di assimilabile agli Ska-P. La distanza in questo senso non è incolmabile, è solo uno dei tanti modi in cui la nostra estetica politica dovrebbe reinventarsi. Il punto è che questa reinvenzione non dovrebbe stare al fondo della lista delle priorità, anzi, dovrebbe essere quasi una preoccupazione essenziale quanto quella contenutistica. La musica, in questo senso, è sempre stata un'arma potente, e di riflesso il riconoscimento binario che si aveva, qualunque fosse l'àmbito della tua lotta—politico, sociale, personale—era il primo scalino per creare nuovi punti di riferimento, nuovi eroi musicali. Bowie ne è l'esempio più eclatante perché ha incarnato talmente tanti zeitgeist da essere parte di essi, parte della storia che stava raccontando attraversandola col proprio corpo e con la propria arte, e la stava raccontando a chi si identificava anche solo con un suo pezzo o un suo abito.  

Ma David Bowie è morto, come Lemmy, Glenn Frey e molti altri. Come Ettore Scola, per il cinema. È come se questo inizio 2016 ci volesse comunicare che è giunta ora di reclamare quel ricambio generazionale che è più o meno dal 1994 che nessuno ha più il coraggio di costruire, perché il nostro ultimo eroe è morto a 27 anni 21 anni fa. Per i successivi dieci anni abbiamo cresciuto tutti quei gruppi alternativi che ora riempiono il cartellone del Primavera Sound, nessuno dei quali è partito con l'idea di rappresentare molto più che una cameretta in cui soffrire da soli, la stessa in cui ci sediamo per mettere su i vecchi dischi. Ci siamo abituati ad un ascolto più intimista, personale, a spaventose scene di silent disco che dividono e isolano gli individui tipo in The Lobster. L'identificazione è ancora più difficile se chi hai davanti è un muro, sia esso un DJ o una band. Aggiungiamo al quadro che, come dicevo prima, la concretezza dell'esperienza musicale è andata perdendosi in una sovradisponibilità di dati non tangibili, tanto che la rappresentazione più realistica di cos'è la musica oggi è una nuvola. 

Su quella nuvola ci sono tutte queste cose non reali a cui dovremmo rapportarci: pezzi in streaming, Boiler Room, cantanti morti, ologrammi, documentari, simboli di epoche passate. Non a caso più ci si spinge verso le avanguardie più la riflessione sull'inconsistenza è accentuata e più si sente il bisogno di ridare un posto a tutto questo passato, un posto che non stia in alto sulla nostra testa, ma solido sotto ai nostri piedi, e questo lo dicono gli artisti più lontani dal volersi erigere a icone, ironicamente però sono loro gli unici che in realtà stanno a rappresentare urgenze concrete

Per quanto questi artisti siano in grado di portare con sé riflessioni e rappresentazioni molto più concrete di tanti altri, non è a loro che va affidato il compito di salvare capra e cavoli, anche perché la natura stessa delle avanguardie è di stare lontane dal centro della scena, quindi non esistono soluzioni immediate al problema. Ora diamo la linea alla pubblicità progresso in cui vi dico che probabilmente sta in mano anche un po' al singolo individuo, per la prima volta, e questo è molto bello in realtà, la possibilità di cambiare almeno un pochino il corso delle cose. Il modo in cui fruiamo della musica è molto lontano dal toccarci concretamente perché non permettiamo che lo sia. Per molti la musica è un accessorio, un accompagnamento, consumiamo musica in continuazione senza darle un significato più grande. E consumandola ne perdiamo tutto il potenziale, tipo quando strofini le ali a una farfalla e le togli quella polverina del cazzo che la fa volare (se lo avete mai fatto vi capisco, l'ho fatto anch'io, ma ora siamo grandi ed è il momento di viversela in modo più antispecistico). Consumandola, la trasformiamo in fantasma, ma in un fantasma molto più inconsistente di quelli che dominano il paradiso (o l'inferno) della musica, in un fantasma sfigato che sta in purgatorio. 

Ora che molti dei veri fantasmi sono tali, l'unico modo per non produrne altri di qualità inferiore è cercare di concretizzare, in tutti i sensi possibili, il nostro rapporto con quest'arma potentissima che potremmo avere in mano e invece stiamo lasciando in qualche armadio vecchio perché non è comoda, è pesante, sicuramente più pesante di tutta la leggerezza che vivere in una nuvola ci permette. Ma i vecchi continueranno a morire fino al momento in cui ci renderemo conto che non abbiamo più nulla sotto i piedi e sta tutto sulla nostra testa, quindi forse sarebbe ora di prendersi con un certo anticipo. 
 

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Guarda quant'erano fighe le fanzine dei rave

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A volte ti ritrovi delle figate sotto il naso e non devi nemmeno menarla con un'intro elaborata. Senti qua: c'è un sito che si chiama Rave Archive che, indovina, è un archivio di materiale dell'epoca d'oro dei rave, compresa una gigantesca collezione di 'zine risalenti alla Second Summer of Love. Una lettera d'amore virtuale transcontinentale alla comunicazione su carta e un favoloso documento di un tempo in cui il futuro lo si immaginava tutto in pillole.


Rush

Ora, trovate forse un modo migliore per godersi l'internet che sfogliare virtualmente pubblicazioni con nomi tipo Future HarmonixInternal Navigation e Stellar Awareness? Noi no, infatti è così che passeremo il resto della giornata. Vi consigliamo di fare lo stesso.


Particular Malfunction

 


Nite Flite

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Gemitaiz è fan di Amy Winehouse e Calcutta

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Gemitaiz è romano ed è anche—sorpresa!—un rapper. Il suo primo impatto con un pubblico un po' esteso risale al 2009, anno in cui firma con Honiro e tira fuori il primo volume di Quello Che Vi Consiglio, mixtape che adesso è arrivato al numero sei. Nel frattempo ha cominciato una collaborazione più o meno stabile con Madman, è passato in Tanta Roba, ha preso un disco d'oro nel 2014 con Kepler e ha fatto felice tanta stampa mainstream che quando è stato arrestato ha finalmente potuto scrivere significativi titoloni sul profondo legame fra il REPS e il consumo di DROGHE.

Comunque non sarà stato particolarmente difficile infierire, per quella stampa, visto che nella poetica di Gemitaiz, nei suoi testi, la droga e il disagio occupano una posizione abbastanza rilevante. Il che, a mio parere, non è affatto un male, visto che il risultato è di gran lunga meno posticcio di tutta quella retorica buffa e muscolare di finti mafiosi capiquartiere che appassiona gran parte della scena italiana. Nonostante Tutto è il suo secondo album da solista, e i temi trattati sono tanti, ma quelli ricorrenti sono presa a male e amore cupo. Non che questo diventi un lamento lungo un disco: il senso di oppressione non appesantisce il ritmo del lavoro che, anzi, di per sé è abbastanza turbolento. Le produzioni sono di Frenetik e Orange, come più o meno ogni cosa sia stata registrata con il nome Gemitaiz scritto affianco e, fra gli altri, i feat di Fibra e Guè sono spaziali, quindi bella anche per loro. 

Fra le cose che hanno scritto su Gem con l'uscita di questo disco è saltato fuori, come prevedibile, il paragone con Eminem, ma ascoltando l'album forse il riferimento più calzante è a Yelawolf. O a una specie di Cioran che ha frequentato (poco) una scuola pubblica davvero hardcore. 

Ci siamo incontrati in Tanta Roba per fare due chiacchere su Nonostante Tutto, e invece abbiamo parlato di tutt'altra roba. Ops.

Noisey: Ascoltando l'album la prima cosa su cui ho riflettuto è la scrittura. Mi è sembrata parecchio curata rispetto a prima e anche rispetto al panorama hh italiano in generale.
Gemitaiz:
Sono contento di sentirtelo dire. Adesso anche quando faccio il lavoro meno tangibile a livello di mercato, come magari il mixtape in free download—lo faccio tutti gli anni—anche in quello mi sono reso conto che la cura che metto nei testi è la stessa che uso quando scrivo un disco. Ovviamente cerco di limitare un po' i contenuti perché poi invece nel disco ho più "permesso", più spazio per parlarne. Comunque, sono contento che me l'hai detto. Ho notato riscontro anche con i più giovani: cerco sempre di capire cosa pensano anche a livello di testi. Ci sta effettivamente qualcuno che si interessa alla parte più tecnica, della scrittura, e non solo all'insieme della "canzone rap", solo perché adesso va di moda. Sono contento che gente che cresce con me si renda conto che non ci sta solo il flow, l'extrabeat ma che è molto importante la fase di scrittura. C'è chi non capisce nulla di quello che avresti voluto e chi ci vede una cosa che non ci avevi visto te. Quello va bene comunque. Dal canto mio, c'ho sempre tenuto tanto, però mi rendo conto che sono migliorato, sia come scrittura che proprio come consapevolezza, ecco. Ora mi sento più padrone. Prima ero un po' più ragazzino.

Com'è che affronti i temi più "istituzionali", le cose tipiche del rap? E come mai, secondo te, molti risultano banali quando lo fanno?
Eh non è facile dirlo. Credo che il tutto sia dato da quanta fantasia uno ha. Io mi sono reso conto che qualche volta mi limitavo sotto qualche punto di vista anche nelle rime, no? Poi non è che mi sono mai fatto sti grandi...

...Pipponi? 
Pipponi esatto. Però prima ogni tanto pensavo "no sta cosa meglio di no..." oppure "devo farla così". Invece adesso sono contento di riapprezzare una parte un po' più cazzona, giocherellona del rap game. Le cose che prima giudicavo... Non so, se fai una punchline stupida, magari per ridere, mi sforzavo di non metterla sullo stesso piano di quella roba che dici perché senti che è la cosa giusta. È una cosa "superficiale" contro una cosa che secondo te ha peso per chi ti ascolta. Invece adesso per me sono sullo stesso piano e mentre sto suonando al concerto la gente è felice di strillare una cosa quanto l'altra, quindi ho capito che era una paranoia mia.

Visto che parliamo di scrivere che dici del leggere invece? Cosa stai leggendo? 
Allora, premetto che coi titoli vado malissimo. Ho letto un libro due mesi fa che ho anche postato, la storia di un nordcoreano in un campo di lavoro. Sto tipo è vissuto in prigionia e poi è scappato, è una storia vera. Quindi sì, mi piacciono molto i libri così. Lui [Harsh] mi ha regalato per il compleanno l'autobiografia del cantante dei Red Hot che sto leggendo ora ed è fighissima.



Quindi divorerai anche i documentari, giusto? Li hai visti quelli su Amy Winehouse e Cobain?
Quello su Amy non ho ancora avuto il coraggio di vederlo. Tutte le cose che escono post mortem a me mettono un po' terrore. Questo in particolare, dato che per me Amy Winehouse è importante, ma tanto. La sera che è morta io dovevo suonare, mi ha chiamato mia madre per dirmelo, io volevo andà a morì. Di certo non volevo suonare, comunque. Mi è piaciuta subito tantissimo da quando è uscita e trovo che sia stata la voce più bella degli ultimi anni, tanti anni. Quello su Cobain invece l'ho visto e l'ho trovato anche abbastanza figo. Tutti buttano odio ovviamente, posso immaginarmi i fan dei Nirvana come abbiano sentito il documentario e quindi capisco perché... Tutti se so incazzati. Invece non è brutto, ti fanno vedere delle cose fighe, ti fanno leggere parti del suo diario, che sì, ovviamente è un po' entrare dentro... Tu dici fatte i cazzi tuoi però è morto Cobain...

Oltretutto la figlia di Cobain è fra i produttori...
Ecco, appunto. Ho visto in libreria un libro del padre di Amy Winehouse che si chiama Mia Figlia... Io non avevo parole. Ma tu per caso l'hai letto, sai di che parla?

No, in realtà no, anche a me mettono un po' ansia ste cose. Però ecco quello su Amy non l'ho ancora visto.
Roba su serial killer e mostri invece sto in fissa. Poi io non ho la TV. 

Sì, però guardi un botto di roba.
Sì, non vorrei sbandierarlo però, non sono così amante del cinema in realtà. Io sono un po' un cagacazzi e voglio fumare e al cinema non posso, poi c'è la gente che parla e io posso impazzì non posso andare a piscià e tutto quanto... 

Ah ma quindi intendevi dire che non sei un amante della sala, non del cinema.
No infatti. Non sono amante del cinema come posto non come entità [Ride]. Però davvero guardo tanta roba, sia film che documentari. Per me Werner Herzog è dio.

Ci sono altri registi che ti piacciono o roba che hai visto che ti ha fatto uscire di testa?
Tantissimi. Ultimamente ho visto The Lobster... Che bomba, bellissimo. Tra l'altro bravo anche Colin Farrell che non sempre, nei miei modesti gusti, azzecca. Invece lì è perfetto. Mi è piaciuto proprio tanto, anche com'era girato. Poi mi sono andato a vedere gli altri film di Lanthimos...

Hai guardato Dogtooth?
Eh! pensavo di non averlo visto e siccome sono un fattone di merda quello che ho fatto è stato riscaricaricare il film, dopo aver letto la trama e aver pensato che sicuro mi sarebbe piaciuto tantissimo. Poi piano piano vedendo avevo il sospetto. Poi è arrivata la scena del gatto... Ecco, lì mi so ricordato tutto e ho detto "ok, sei malato." Comunque anche quello è un film bellissimo, Lanthimos è un genio. Anche se poi ho provato a vedere un altro suo film e non ce l'ho fatta. Si chiama Alps. 

È quello della gente che va nelle famiglie a rimpiazzare i morti. 
Sì, quello. Era sera tardi zi, c'ho provato, ma era sera tardi... Mi sono abboccato [Ride] proverò in un altro momento.

Il rap italiano è una cosa che ha conquistato un po' di dignità e di autonomia rispetto al modello americano, secondo te questo processo avverrà anche per altri generi musicali o no?
Guarda, ne stavo parlando prima. C'è questo Calcutta. Lo conosci? Ti piace?

Sì.
Ecco. Questo Calcutta, il suo ultimo disco secondo me è proprio bello. Ha fatto proprio un bel disco. Sono andato anche a sentirlo a Bologna. Secondo me lui potrebbe essere un esempio di questa cosa che dici tu. Secondo me in questo caso si può dire che ci sia un cambiamento in atto, dato che me lo chiedi. Per il resto sono d'accordo con te quando dici che non succede tanto spesso, specie col cinema.

Che brutta sta cosa però, no?
È brutta, sì. Io sono per il Nord Europa. Svezia, Danimarca.

Festen e tendenze suicide, insomma.
Sì, sì, esatto! Il dramma che tutti stanno male. Io Festen lo adoro, è uno dei miei film preferiti . Anzi ho visto... Come cazzo si chiama... Sicuro se lo guardi ti piace. a me piacciono anche ste cose di viaggi nel tempo Sci-Fi, ci sta uno che si chiama Time Crimes, te la devi guardare assolutamente. Non mi ricordo se è un film spagnolo o portoghese, ma è un capolavoro.

Ok, lo guarderò.
Non lo conosce nessuno, l'ho beccato a cazzo sui siti di streaming... Che comunque chi sostiene che lo streaming uccide l'arte non so quanto abbia ragione, io grazie allo streaming ho scoperto un sacco di roba.

Leggi la stampa musicale italiana?
Mah, non sono molto amante del cartaceo, sto sempre su internet. Però leggo spesso recensioni, anche perché mi interessano. Oppure mi vado a sentire le interviste. Adesso c'è stato diciamo così sto scandalo perché Guccini non se sentiva David Bowie, mo che volemmo fa' lo volemmo crocifigge?! Comunque a parte questo tante volte leggo e non sono d'accordo con le recensioni dei dischi.

Le trovi poco competenti?
Più che altro superficiali. Anche se non sono un grande conoscitore del rock se devo recensire un disco rock cerco di usare quel tipo di chiave di interpretazione, entrare in contatto con chi sta dentro il rock, no? Ovviamente ci metto del mio, ma ascolto senza partire con nessun pregiudizio. Invece credo che questa cosa non accada spesso, anzi. Credo che spesso chi si mette a recensire i dischi già sappia cosa vuole dire ancora prima di ascoltare. E questo è triste. Poi ovviamente non posso esserne certo, ma è questa la mia impressione, leggendo.

Ti chiedevo di come vedi la stampa anche pensando a un paio di articoli orrendi che uscirono quando sei stato arrestato... 
Sì, ce ne sono stati un paio tremendi.

Probabilmente in quel momento avevi tutt'altro per la testa e non stavi lì a pensare agli articoli che uscivano, ma ti colpirono in qualche modo?
Non particolarmente, anche perché era una cosa che mi aspettavo. Giustamente, no? Il rapper e la droga... Era un po'... Il clichè facile eh sì, era proprio fatto. Non c'era neanche bisogno di pensarlo. Non mi aspettavo forse un paio di cose brutte che ho letto sia da parte della stampa sia da parte di qualche collega, di cui ovviamente non farò il nome (ma lui sa benissimo di chi parlo). Poi un anno e mezzo dopo il collega in questione si è anche scusato per quella cosa, ma mi sa che l'ha fatto perché tutti gli hanno detto che aveva fatto una cazzata.. Ma è ok. Poi sì, insomma, ci sono stati un po' di articoli infelici e pure falsi, ma me li aspettavo. Ho visto però tanta reazione e quella storia, e questo mi ha lasciato di stucco.

Nel senso di tanta attenzione?
Nel senso di reazione da parte dei miei colleghi che per loro scelta mi hanno difeso. Ad esempio mi ricordo che Marracash è stato uno di questi. Io non avevo chissà che rapporti con Fabio ai tempi, non lo conoscevo come ora. Mi ha fatto piacere però vedere che questo cazzo di hip hop di merda di cui parlano tanto è esistito. Tanta gente si è mossa, ha scritto qualcosa, si è mossa in mia difesa... Che nessuno avrebbe detto nulla se non lo avessero fatto. È stato molto più importante questo, rispetto agli articoli di merda che hanno scritto un paio di giornali.

Fra l'altro quella roba li è stata ridicola per mille motivi. La legge che era incostituzionale, e via dicendo.
Io so stato l'ultimo sai? L'hanno resa incostituzionale il giorno dopo. Sono stato fortunato, ve?

Com'è andata? Come ti hanno trattato?
Quando mi hanno arrestato c'è stato il processo per direttissima il giorno dopo con un avvocato d'ufficio a casaccio che non sapeva come si scriveva il mio nome...

Molto rassicurante.
Davvero molto rassicurante, infatti. Tu lo guardi Futurama? Ti ricordi che c'era quest'avvocato pollo gigante che faceva mega ridere? Ecco, era lui. Ti giuro lo guardavo e pensavo "adesso vado in galera dieci anni." [Ride] In teoria quando ti fermano con quel quantitativo, appurato che è uso personale e non sei uno spacciatore—anche se c'hanno provato a insistere su sta cosa dello spacciatore—di solito ti becchi il processo per direttissima, condizionale, e se sei incensurato te ne torni a casa con la ramanzina. Ecco, io no. Siccome c'era questo io mi sono fatto sto undici giorni di domiciliari che mi sono sembrati settanta mesi...

Ci credo.
E in più in quei giorni non avevo contatti col mondo e non volevo che ce ne fossero, perché ero in paranoia che avrei potuto peggiorare la situazione già di merda nella quale mi trovavo. Quindi praticamente stavo in un baratro di paranoia allucinante. Poi quando c’è stato il processo e tutto è stata veramente una roba… Svelta. Mi sono reso conto che non avevo idea di come sarebbe andata.

Il tempo si è accelerato improvvisamente.
Esatto! Cambiato avvocati e quello che va a parlare col giudice e questo e quell’altro. Ovviamente tutto in slow motion perché io stavo lì e non sapevo cosa mi sarebbe successo, che per me era il dramma più totale. Però poi, anche rassicurato dall’avvocato e dal sostegno morale e non solo di Daniele [Harsh], di Tanta Roba e di Universal mi sono sentito un po’ più sicuro. Poi sono successe altre cose... Tutte ste cose piccole che io dentro morivo. Pero vabbè.

I fan ti hanno sostenuto?
Sì, la maggior parte sì. C’è stata anche gente che diceva “ah, che cazzo, da te non me lo aspettavo”. Ma ti dico a me sono venuti a suonarmi a casa ai domiciliari, alla porta proprio di casa dei pischelli che non so come avevano saputo che abitavo li. Hanno portato un cartellone, mi sembra, l’hanno lasciato a mia madre. Ho visto che volevano starmi vicini in tanti, insomma.

Tu sei mai stato infottato per qualcuno di qui come i ragazzini lo sono per te?
Beh sì. Quando ero piccolo per me Bassi Maestro, i Cor Veleno, erano tutto. La prima volta che ho visto Bassi all’Alpheus a Roma c’avevo quindici anni e mi ricordo che per me era incredibile il fatto che lui avesse appena finito di suonare (fra l’altro un concerto della madonna) e scese dal palco e si andò a bere una birra in mezzo alla gente come adesso non vedrai mai fare a nessun artista. Giuro, Bassi Maestro quella sera è stato super e mi ha fatto capire ancora di più che quello era il lavoro che volevo fare io nella vita. In più mi ricordo quanto fosse per me difficilissimo avvicinarmi per potergli stringergli la mano e dirgli solo “grazie”. E mi ricordo che c’ho messo dieci minuti, un quarto d’ora a trovare il coraggio con dietro l’amico mio che mi spronava [Ride]. Questa cosa mi rattrista un po’ adesso perché si è un po’ persa questa… Come si può dire… Mitizzazione dell’artista. Non ci deve essere troppo perché sarebbe sbagliato... Voglio dire: siamo persone, scriviamo canzoni, non siamo super eroi. Però era bello per me e penso anche per lui [Bassi] vedere che una persona tanto è il rispetto che ha per te che comunque anche se ti vuole solo stringere la mano dopo un concerto ci pensa.

Li vedi più aggressivi rispetto a un po’ di anni fa i ragazzini?
Non è tanto questo, è più che temo si perda l’empatia, che invece è tipo la mia cosa preferita della musica. E poi è entrata a gamba tesa LA FOTO. La fotografia. Neanche un sentimento preciso, capito?

È la foto.
Eh sì. Non è "Ciao bella zi, bel concerto!". Ovviamente ci sono anche quelli che la foto non te la chiedono e ti abbracciano e basta perché da ambedue i lati ovviamente c’è l’estremismo. Però a me fa più piacere vedere che una roba è sentita rispetto a quando già so che te devi andare in giro a sventolà che te sei fatto la foto con chissà chi. Quindi un po’ mi dispiace per il fatto che adesso c’è meno attenzione verso il la persona in sé, ma più questo fanatismo frenetico nei confronti dell’artista.

Visto che abbiamo parlato un po’ di passato parliamo anche dei tuoi rapporti col rap italiano old school, se esistono.
Io non capisco mai come uno che si definisce un grande amante del rap italiano possa essere scontento del fatto che ora ci sia così tanta attenzione. E ci siano anche dei soldi. Perché oh, non c’erano. E io me lo ricordo. Non ci stavano. Anche quando ho fatto i primi concerti… Ma non i primi tre concerti, intendo dire i primi anni, li ho fatti pensando nella mia testa “non esiste che ricevo un compenso. Cioè, sto andando a suonare. Che bello.” Fine. Dove? Come? Sticazzi. Andiamo a suonare. Quindi boh dicono “Ah, svolta quello con la canzoncina, e invece lui che è bravissimo e mega rispettato nell’underground non ci riesce”. Quello è il mercato. C’è dappertutto. In America Vinnie Paz dei Jedi Mind Tricks, che è uno dei miei rapper preferiti, uno dei rapper a mio parere tra i più forti che esistano, uno conosciuto a livello mondiale… Ecco, lui probabilmente prende meno soldi di me per suonare. Io vorrei che prendesse più soldi, ti giuro, perché se li merita. Magari invece ne prende di più uno scarso. È vero, ste cose succedono. Però magari piuttosto che incazzarsi per non dare soldi allo scarso (che poi è scarso per te perché a qualcuno gli piacerà se i soldi glieli danno) io cercherei di sostenere quello bravo e meno commerciabile. Per me insomma è bello che ci sia questa attenzione sul rap. Prende molta più gente, esce molta più roba. È vero, esce anche tanta merda, ma esce anche tanta roba bella in più.

Anche secondo me.
Parlo anche dell’America ovviamente. Negli ultimi anni dall’America è uscita certa gente che fa roba da paura, fatta bene, originale (perché poi io cerco sempre quello, diciamo che non mi sento due artisti che fanno la stessa cosa, ecco). Io poi non sono un accanito odiatore del futuro, la cerco la cosa sperimentale, il suono strano, l’autotune, la distorsione. Se ci sta bene, top. Non dico che la devono mette sui dischi di Madlib, ma in generale mi interessa.

Volevo parlare anche un po’ dei fan, continui a trollarli?
Sì, succede. Poi quando stanno al gioco per me sono i migliori. Infatti ti ricordi il tipo di “Lavabo”? Ormai lo leggo, abbiamo proprio una connessione. L’altra volta mi ha ricommentato sotto una foto e mi ha scritto “ciao sono lavabo”. L’ho amato.

Dai racconta bene la storia di Lavabo.
Lui mi aveva scritto “come può fare una persona normale come me a parlare con uno come te”. Ma io su instagram in mezzo a 300 commenti cosa ti posso rispondere? E infatti gli ho risposto di salire sul tetto di un palazzo molto alto e di urlare “lavabo”. Lui ha fatto il video in cui lo faceva e mi ha taggato. Quindi per quanto mi riguarda lui da quel giorno si è meritato rispetto, [Ride] sai la sua street creed virtuale se l’è guadagnata. Diciamo che se mi fanno domande interessanti rispondo, se vedo l’odio tipo "pezzo di merda muori" ovviamente blocco, però ecco specie su Facebook rispondo spesso.

Diciamo che li trolli spesso.
Ma sono loro che paiono dei troll già dalla domanda! Una volta stavamo suonando in studio con Flavio Mixer T e diciamo "ok, facciamo una base." Mettiamo questo video su instagram di lui che suona il pianoforte per fare la base con scritto proprio “facciamo la base”. Primo commento: come si chiama questa canzone? Ma che cazzo. Stiamo facendo una base, sai che Instagram si stratta più o meno del presente (si chiama INSTAgram no? INSTA) quindi parliamo di ora. Se noi adesso stiamo facendo la base ma come cazzo facciamo a sapere già il titolo della canzone?

Ma tu non hai risposto questo.
Ah no infatti. Io ho risposto soltanto SI CHIAMA SEPPIA DI TERRA, CERCALA SU GOOGLE. 

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Noisey Mix: Bangalore

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OOH-Sounds sta per Over Our Heads ed è il nome della nuova etichetta fiorentina gestita da Michele Pauli e Andrea Mi, dedita alla ricerca elettronica sperimentale, che lo scorso novembre ha fatto uscire Here Comes The Rain, EP di esordio del progetto Bangalore aka Giordano Fiacchini, autore del mix di oggi. Il produttore fiorentino con base a Londra in passato era già uscito per Nervous Horizon come Luru, ma per OOH ha messo via ogni impulso bass/jungle per prediligere suggestioni più organiche e tribali, di cui peraltro pulsa Here Comes The Rain e pure molte delle sue recenti produzioni.

Banga ha diciannove anni ma a Londra si è dato già un bel po' da fare e molte delle sue tracce sono state trasmesse da ScratchDVA su RinseFM, ResonanceFM e Radar Radio LND. Il mix che ci ha preparato è breve, ma basta a farci intuire il potenziale del suo dub amorfo, un po' Tri-Angle un po' Planet Mu, che comunque di venerdì pomeriggio non può fare che bene. Sono sei tracce, edite e inedite, suonate live in una session di studio a Londra e rielaborate sul momento. Non potevamo chiedere niente di più fresco.

 

Noisey Mix: Bangalore by Noisey Italia on Mixcloud

 

Tracklist:
01. Bangalore - The Storm
02. Bangalore - Bikers
03. Bangalore - Broken Heart
04. Spacedrome - No Way (Bangalore Remix)
05. Bangalore - Rough Lover
06. Bangalore - Killing Time

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Abbiamo chiesto a un Dottore perché ci piace ascoltare musica triste quando ci scende

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Foto di Mike Renlud

La vita in generale è una tempesta di merda. Ogni volta che si riesce a gustarsi una piccola briciola di felicità o speranza ecco che subito salta su una nuova marea di stronzate e difficoltà. Strati e strati di difficoltà che compongono questo mondo, in maniera assolutamente fisica. Non sto scherzando: se si potesse tagliare a metà il pianeta vi accorgereste che sotto gli strati di muschio terra roccia e tutte le altre cose c'è un nucleo caldissimo che irradia stronzate con cui sommergere le nostre esistenze.

È strano quindi che qualcosa di naturalmente gioioso come la musica sia utilizzato spesso per trascinare la psiche umana in tunnel di dolore e oscurità.

Per esempio quando si recupera da un trauma psicologico, come una rottura, o la morte del proprio animale o semplicemente l'incapacità di affrontare il weekend, si finisce sempre con l'ascoltare musica così triste che sembra essere registrata direttamente da una vasca di deprivazione sensoriale riempita con le lacrime di Morrissey stesso.

Non ho idea del perché succeda, di quale sia il motivo per cui mi sottopongo a una sofferenza del genere. Mi sono sempre fatto delle domande su questa incongruenza di voler ascoltare musica triste quando ci si trova già in uno stato di miseria assoluta. La logica vorrebbe che, in qualità di organismi vitali funzionanti, il nostro cervello ci offrisse piccole ricompense chimiche per ogni nostro tentativo di riparare alla condizione spiacevole in cui versiamo. Quando sono arrabbiato, cerco di calmarmi. Quando sono spaventato, cerco di pensare che la mia paura è molto probabilmente irrazione. Quindi perché quando sono triste o depresso finisco con il voler accentuare quello stato, in qualche modo di godermelo, di rendere divertente lo sguazzarci dentro? Perché l'ambient più tristona ci sembra così facile da ascoltare quando siamo ridotti a pezzi dalle circostanze delle vita?

Foto di Bob Foster

Per provare a capire cosa mi spinga a farmi una pera di "Rhubard" di Aphex Twin ogni lunedì, ho parlato con la Dr. Jonna Vuoskoski, ricercatrice alla Facoltà di Musica dell'Università di Oxford. Il suo dottorato di ricerca è stato incentrato sul ruolo delle emozioni indotte dalla musica, quindi forse anche lei si spara grosse dosi di Selected Ambient Works.

Secondo le sue ricerche ci sono un numero di ragioni strategie diverse per arrivare ad ascoltare la musica per frignare. Prima di tutto la musica triste può aiutarti a metabolizzare dei sentimenti particolarmente negativi in un processo che prende il nome di (BOOSTA TI FACCIAMO DIVIETO DI LEGGERE LE PROSSIME DUE PAROLE) "regolazione emozionale". Mi spiega che questo meccanismo si attiva perché a volte "le persone potrebbero non sapere di aver bisogno di un certo tipo di musica, ma quando iniziano ad ascoltarla si innesca un processo di analisi del proprio stato emotivo che sarà sicuramente utile per capire meglio attraverso quale tempesta sta navigando il loro cervello". Quindi, tutte quelle volte che avete ascoltato i Travis vi hanno genuinamente aiutato a capire perché piove sempre sulla vostra testa.

Secondariamente bisogna considerare l'empatia. Tipo, hai presente quella volta in cui ti sei chiuso in una stanza buia da mattino a sera ad ascoltare R&B Anthems: The Collection e alla fine ti sembrava che KC e Jojo stessero parlando di te? Voglio dire, proprio di te. Ecco, a quanto pare non ascoltiamo musica triste solo per provare empatia verso le disgrazie attraverso cui passano gli autori delle ballate, ma anche per far credere al nostro cervello che qualcuno ci comprenda. O qualcosa del genere, dato che non ho un dottorato di ricerca per spiegarvelo meglio. Quando ascoltiamo un tizio frignare di problemi simili a quelli che stiamo affrontando "ci sentiamo meno soli e riusciamo a ricevere conforto dalla musica in questo senso".

L'elemento più interessante per capire i motivi che ci spingono ad abbraciare la musica dei Cure nelle notte più tristi è che il conforto che riceviamo è fisico e misurabile. È ovvio che i momenti di scesa mentale ci affliggano anche nel corpo, non solo nella psiche. Il nostro corpo secerne roba chimica e ormoni in quantità diverse e in questo modo ci ritroviamo più stanchi, incapaci di affrontare il mondo esterno e svogliati. Secondo la Dottoressa Vuoskoska, le persone talvolta ascoltano musica downbeat perché "vogliono momentaneamente intensificare le emozioni che stanno provando e la musica aiuta ad amplificarle, lasciandole fluire meglio e più velocemente".

Questo succede perché quando ascoltiamo quel genere di musica il nostro corpo secerne ormoni come la prolactina (la stessa della gratificazione sessuale), ossitocina (relazioni sociali) e, più importante, il trasmettitore neurale preferito di ciascuno: la dopamina. Perché, anche se potrebbe sembrare un semplice stato di depressione mischiato ad autocommiserazione, quando vi ascoltate due ore di mix chill-step in realtà il vostro corpo sta facendo dei calcoli molto più complicati dei vostri. Ci sono  tanti sentimenti che si accavallano l'uno sull'altro in questi casi, come "la pace, il relax, la commozione e lo sbigottimento," che inganna il corpo facendogli credere che sta effettivamente accadendo qualcosa di positivo, portandolo alla produzione di dopamina nonostante siamo tutti internamente consapevoli di essere depressi. Il rilascio di dopamina spiega anche perché può aiutare quando siamo in particolare carenza di serotonina, specie dopo weekend impegnativi.

Ultimate Comedown Jams: The Perfect Post-Party Playlist

Ecco perché ha senso riporre le nostre fiducie e addirittura supportare l'ascolto di musica triste, da un punto di vista evolutivo. Le recenti decessi di gente famosa hanno dimostrato che stati di tristezza possono avvicinare le persone, e non necessariamente isolarle. Come la dottoressa Jonna mi ha spiegato, la sua ricerca aveva dato prova che le persone con particolre predilezione per le canzoni tristi, erano anche più portate a condividere due importanti manifestazioni di socialità: l'empatia e l'apprezzamento della bellezza, o l'esperienza estetica. "Sentiamo gli effetti dell'ossitocina fisiologicamente quando empatizziamo, e della dopamina quando contempliamo il bello," mi spiega. Questo spiegherebbe perché tutti si ostinano a postare e ripostare tributi Youtube quando un qualche eroe del pop viene a mancare, vogliono solo condividere il proprio senso di empatia con l'accaduto, a ricordare che essere tristi in così tanti, in fondo, nasconde una sua bellezza. 

L'unica cosa che non riesco a capire è perché la musica felice non sia a sua volta la chiave per la vera e unica felicità. Non so voi, ma se mi metto ad ascoltare qualcosa di allegro e sono triste, sto peggio automaticamente. Vi è mai capitato di trovarvi insieme a gente che suona hardcore felice e veloce, mentre voi siete in after da dieci ore? Non vi viene mai voglia di picchiarli fortissimo? C'è una spiegazione scientifica anche per questo! E non è che l'hc felice è opera del demonio. La dottoressa Jonna dice che di solito uno si ascolta la musica che meglio si associa al proprio umore, e quando ci si imbatte in qualcosa che non si abbina bene a come ci sentiamo, il contrasto è così grande che provoca insofferenza automatica.

Foto di Bob Foster

Alle sessioni di musico-terapia le indicazioni sono sempre: "parti con musica triste, poi poco a poco aumenti la positività. In questo modo guidi il tuo stato emozionale accompagnandolo con la musica, invece che catapultandolo in generi apparentemente felici, che però stonano con quello che provi in quel momento." Un po' come quando torni in palestra dopo mesi di stop, la tua agilità muscolare è così azzerata che rischi uno strappo anche con il solo gesto di metterti gli shorts. Quando sei così fragile la tua emotività ha bisogno di essere allenata a tornare in forma, e ci vuole tempo. Non puoi certo permetterti uno strappo emotivo, oltre che muscolare.  

Sembra che ci sia quindi una miriade di buoni potivi per spararsi a mille Chilled Ibiza: Sunset Mix quando sei in down. Non ti aiuta solo ad aumentare le possibilità di interazione umana con il tizio che ti siede a fianco, che naturalmente sta benissimo ed è a suo agio a differenza tua, ma aiuta anche a regolare le emozioni negative via dopamina/ossitocina, e a rifornirti di tutta la serotonina perduta nel weekend. Adesso scusate ma ho un boxset dei Morphine a cui dedicarmi.

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"7TH4NG3L" di ETEVLEH è una meditazione sci-fi sul piano astrale

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Dalle (poche) informazioni che ne abbiamo, Since è un collettivo con base a Roma ma i cui membri sembra stiano sparsi in vari luoghi. Ogni tanto si manifestano nella capitale con party a base di cyber-grime, IDM traslucida, trance ipertrofica, ma il loro campo d'azione è più ampio e tocca un po' tutti i media (moda compresa). Tra di loro c'è il producer ETEVLEH, che suona come un videogame auto-evolutosi stile Ultron, il cui stadio finale è una specie di sole nero elettronico. 

Praticamente tutti i suoi video finora sono state delle feste allucinanti di cibernetica impazzita ma perfetta, e quello della nuova produzione dall'Evangelico titolo  "7TH4NG3L" è forse il più impressionante. L'ha realizzato l'altro membro di Since Simone Nunziato, videomaker e animatore piazzato a Londra. Si tratta di una prioezione astrale, in cui l'anima si spacchetta in dati binari per attraversare un albero della vita che via via ci ammette allinterno delle sue sfere renderizzate e indescrivibili. Non guardatelo se non siete spiritualmente preparati.

ETEVLEH - 7TH4NG3L from SINCE on Vimeo.

 

 

 

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