Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

La nuova alleanza fra skateboard e house music

$
0
0

Da un po' di tempo, secondo le regole del ciclo di revival, tocca rinnovare anche l'immaginario dello skateboarding. Ma questa non è una cosa che diciamo noi, è un dato di fatto che si evince da tutti i video che escono negli ultimi tempi. Originariamente connesso a tutt'altri universi musicali, il mondo dei video di skateboard ultimamente si sta dando all'house music.

Il grande ritorno della skate-culture è evidenziato anche dalla riemersione, in campo di accessori moda, del cappellino da pescatore tanto caro ad Hunter S. Thompson e LL Cool J. Non è una coincidenza infatti se la Palace ha rimesso il bucket hat al centro della scena e della sua linea, nel 2015. Insieme a lui, però, è arrivato un sacco di streetwear ispirato all'estetica acid house, come questa felpa con un faccione smile, che fa l'occhiolino al periodo d'oro della Second Summer of Love. Più recentemente, il marchio ha reso questi riferimenti più espliciti con questa borsa che, come da descrizione, "può contenere dischi oppure 165 grammi d'erba". Buono a sapersi.



Non contenti di vendere i propri prodotti a palate e di collaborare con grosse marche e con la Tate London, la crew di Lev Tanju si era associata ad una delle label inglesi più fighe del momento, The Trilogy Tapes, per un 12" edizione limitata di Theo Parrish. Questo succedeva nel 2014, mentre lo scorso anno hanno ripetuto l'esperienza con un disco di Omar Souleyman & Rezzett. Niente male per una label di skate.

Rory Milanes, skater londinese sponsorizzato da HUF tra gli altri, è casualmente anche un DJ e colleziona dischi house. In un'intervista per il magazine Grey Skate, racconta di come ha iniziato ad avvicinarsi alla house: "Ho scoperto la dance music in un club abbastanza famoso. Ok, era il Berghain di Berlino. Il DJ di quella sera era incredibile: era Moodymann che suonava pezzi disco, soul, house, era una cosa completamente nuova per me e mi ha fatto uscire di testa."

Dal canto suo, Alex Olson, storicamente affiliato al marchio di skateboard Girl, ha fondato Bianca Chandôn, un nuovo marchio il cui obiettivo è celebrare la cultura house e disco in ogni sua forma, dalle tavole con stampe ispirate a Grace Jones a questo genere di maglie. In un'intervista per Hero Magazine, ha dichiarato: 

"Il mio socio Andy Brown, che è DJ, mi parlava spesso della disco music e se la prendeva con la musica su cui facevo skate. Avevo ancora in testa quell'idea di "disco sucks", quindi non lo stavo a sentire, ma una sera mi sono infilato a una festa in cui suonavano house d'annata. Quella sera mi è scattato qualcosa in testa. Da quel momento ho iniziato a interessarmi a quella musica. Andy mi ha detto che dovevo vedermi un documentario, Pump Up The Volume, che ne raccontava la storia, e in effetti l'ho trovato geniale." 

Insomma, più si scava più si trovano nuove connessioni tra il mondo dello skateboarding e quello dell'house music, tanto che non c'è voluto molto tempo per vederne le conseguenze negli stessi video di skater. Peter Sidlauskas (di casa Bronze), Lev Tanju (creatore di Palace) e il videomaker John Wilson hanno tutti utilizzato riferimenti house nelle loro produzioni, che si sono affermate come le più innovative in questo campo, lo scorso anno. I video di skateboard hanno tratto giovamento da questa nuova onda e dalla nuova colonna sonora che li accompagna, e mentre in parecchi rimangono fedeli al rap (d'altronde sono 20 anni che funziona), la maggior parte dei video di oggi sono caratterizzati da scelte ben più eclettiche.

Quando Peter Sidlauskas ha pubblicato il suo Jenkem Mix (una serie di mixati a tema skate per il magazine Jenkem) con dei pezzi di Galcher Lustwerk ("Parlay" e "I Neva Seen"), Contact Lens ("Good Question") e 18 Carat Affair ("Desire"), si è cominciato a pensare a questo rapporto più seriamente. Gli skater che si erano già accorti di questa svolta si sono adoperati per cercare gli edit che usava nei suoi video per Bronze. Come ha raccontato a Transworld, preferisce "usare pezzi poco conosciuti".  

"Passo un botto di tempo su Soundcloud e YouTube. Puoi perderti se segui i pezzi consigliati dopo uno che ti piace, e ti ritrovi a scavare in un gigantesco buco nero dell'Internet costellato di pezzi ancora più assurdi. Non posso star dietro a tutto questo, a tutti questi pezzi bizzarri, ma trovo roba che adoro. Adoro queste mie sessioni di ricerca perché mi ricordano l'epoca in cui ero malato di video di skate e mi mandava fuori di testa quando erano accompagnati da pezzi che alla fine non apparivano nei credits, stava a te ritrovarli. E allora ti mettevi a cercare le parole su Google sperando di cavare un ragno dal buco."



Il video Trust di Sidlauskas utilizza un sacco di musica elettronica e di riferimenti a un'estetica proto-internet per differenziarsi dai video di skate tradizionali. Fa anche uso di interludi funzionali al montaggio che danno un'atmosfera particolare al prodotto finale. 

Quando Bronze e Palace hanno collaborato su una serie di tavole con il logo Bronze in oro massiccio, il video con cui hanno presentato la collaborazione si apriva con "Still" di Person of Interest prima di ingranare su pezzi di Unfinished Portraits e Moodymann. Chi avrebbe mai detto che Moodymann e lo skateboarding sarebbero stati accoppiati in questo modo? Alla stessa maniera in cui il pop-punk si è fatto da parte per lasciar posto al rap negli anni Novanta, ora succede la stessa cosa con l'house music, che si sta imponendo come sound ufficiale di questo immaginario.




John Wilson fa parte di quelle persone che hanno saputo adattarsi a questo passaggio nei loro video. Per Sequence, ha scelto il pezzo "Only Love Can Break Your Heart" di Saint Etienne. Anziché essere concepito attorno allo skate, l’edit si concentra sul mélange tra immagini e musica, tanto che alcune scene tornano più e più volte. E, ancora una volta, la colonna sonora è una ventata di aria fresca. 

In Rack, Wilson torna a utilizzare un pezzo di Moodymann ("The Day We Lost The Soul" al minuto 3:47) per illustrare la potenza e lo stile di uno skater di casa Polar, Hjalte Halberg. Probabilmente la vecchia scuola vedrebbe meglio certi numeri accompagnati da roba tipo "56 Nights" di Future, no? E invece ecco come vanno le cose nel 2016.



Occorre ricordarsi che i video di skate, da sempre, includono un'enorme varietà di stili musicali differenti, anche grazie a istituzioni come Transworld che marcano lo stile di tutta questa disciplina, tanto a livello sonoro quanto visivo. Da qualche tempo, però, questo passaggio generazionale è sempre più evidente. Guardate ad esempio la differenza tra le scelte di Spike Jonze per la musica che accompagna il video Fully Flared per Lakai e la colonna sonora di questo video per Barrier Kult

Ecco, questo è lo stato attuale dello skateboarding, che si può riassumere tramite alcuni elementi essenziali: pezzi house, bucket hat, abbigliamento haute-couture, berretti rosa e, più in generale, prodotti che non sono a marchio Nike. Sicuramente, dato che ora nessuno ha più paura di cambiare le carte in tavola, ne vedremo delle belle. Tirate fuori la fantasia. 

 


Rabit & Dedekind Cut - R&D

$
0
0

L'architetto sonoro Rabit ha passato un po' di tempo in studio con Lee Bannon, e stanno per buttare fuori un disco questo mese. R&D ha quattro tracce, definite dal duo una "fusione industriale delle nostre personalità". Esce autoprodotto e su white label il 28 gennaio, e in formato digitale per Ninja Tune il 19. È la seconda uscita in cui Bannon appare col nuovo alias Dedekind Cut.

Qui sotto ci sono le loro prime due tracce, presentate su BBC Radio 6 Music durante il programma di  Mary Anne Hobbs. Si sentono chiaramente il sound design cinematico di Rabit e i beat contorti di Bannon, mischiati a un bel po' di break jungle affilati.

2016: Tutte le reunion che ci affliggeranno quest'anno

$
0
0

Il 2016 sarà l’anno dei grandi ritorni. Per capirlo non serve la sfera di cristallo, basta guardarsi intorno, anche fuori dal mondo musicale: ultima ma non ultima la notizia della reunion del cast di Friends, per la gioia di trenta/quarantenni pronti a risentirsi per poco e per l’ultima volta come quando avevano quindici/venti anni. Più che un fattore musicale questo ossessivo sguardo al passato è dovuto a un fattore nostalgico: ci piace pensare che avere un nuovo disco della band che ascoltavamo a venti anni, liberi da ogni vincolo e incredibilmente belli e poco stempiati, ci possa far tornare belli e poco stempiati. Poi, solitamente, non appena mettiamo play, ci rendiamo conto che i capelli sono sempre meno e che quelli che stiamo ascoltando sono solo un surrogato di ciò che ci piaceva tanto. Nonostante ciò non riusciamo a smettere di entrare a forza in questo loop di gioia/aspettativa/delusione infinito, nel 2016 lo faremo ancor di più, pertanto ecco chi ci aspettiamo torni insieme, chi vorremmo tornasse insieme, chi non vorremmo mai tornasse insieme (anche se poi tendenzialmente frega un cazzo) e chi invece lo ha già annunciato facendo in modo che non potessimo più fantasticare su di loro.

GUNS 'N' ROSES

Tecnicamente e con un po’ di pignoleria possiamo dire che quella più annunciata del 2016 non è una vera e propria reunion. Negli ultimi 22 anni è cambiata formazione, ci sono stati scazzi, silenzi e litigi ma il nome Guns N’ Roses ha rappresentato comunque qualcosa ancora in attività. Uscendo dal lato tecnico al Coachella torneranno i veri Guns N’ Roses (forse neanche al completo ma alla fine ai fan interessa principalmente degli zii alla chitarra e alla voce). 

BLUE

Mentre mi accingo a scrivere queste righe sto piangendo, ricordandomi di vecchi viaggi in cui cantavo abbracciato a mio fratello a squarciagola: “A chi mi dice” dei Blue.

Il 29 gennaio sarà disponibile in tutti i negozi di dischi “Colors”, il nuovo disco della boy band inglese due anni dopo Roulette, disco del quale fino a stamattina ignoravo l’esistenza, ma soprattutto 11 anni dopo 4ever Blue, la compilation dedicata ai fan italiani. Per l’occasione il quartetto ci regalò un’altra piccola perla: la versione italiana di “Only Words I Know”, che era praticamente la traccia classica, ma in più aveva una strofa S U P E R L A T I V A in italiano, che se avessi un torace un po’ più grosso mi tatuerei (probabilmente mi iscriverò in palestra per ingrossarmi solo per questo motivo)

Io lo vedo dal calore nei tuoi occhi
Dall’espressione e dal modo in cui mi tocchi
E le parole non servono più
Stanotte lo so I wanna give to you
Sarà bellissimo signorina sarai la musa per ogni mia nuova rima
Dammi un bacio e un altro ancora
La passione cresce ora dopo ora
Posso parlarti prenderti la mano
Guardarti muovere, ballare piano
corpo italiano sguardo latino
Occhi negli occhi vederti da vicino
Mi piace il tuo stile, so come ti vesti
non andare via voglio che resti
Stai con me non puoi dirmi di no
Ti voglio are the only words I know
What does te querio really mean?

Poco dopo questo periodo d’oro per il pop europeo, se non addirittura mondiale, le strade  dei quattro si divisero in una sorta di “pausa di riflessione”, tutti pubblicarono lavori solisti, alcuni come Simon (sicuramente il più ganzo dei quattro) addirittura più lavori solisti, per poi appunto tornare insieme nel 2013 con, secondo Wikipedia, un tour mondiale che mi chiedo come io possa essermi perso.

Il 29 dunque torneranno a occupare gli scaffali dei nostri negozi, con un disco contenente dieci tracce, sei brani originali e quattro cover, come If you don't know me by now, di Harold Melvin & the blue notes, già riproposta dai Simply Red, ma soprattutto da Wess in una strepitosa versione italiana. Anche questa alla fine non è una vera reunion, quella effettiva è avvenuta nel 2013, però chebbomba.

In realtà questo nuovo piccolo gioiello è disponibile per gli internauti come noi dal marzo del 2015, dalla fine di gennaio però verrà distribuito e promosso anche da noi, per la gioia di tutti coloro i quali hanno affrontato un viaggio in Calabria cantando a squarciagola “A chi mi dice”. Che poi saremmo solo mio fratello e io.

LCD SOUNDSYSTEM

Il Coachella me lo sto immaginando come un incredibile raduno di cosplayer di Ritorno Al Futuro, gente confusa, felice, che non sa precisamente in quale anno si trova, ma per i quali la potenza emotiva supera costantemente il raziocinio, con lacrimoni, abbracci, salti e droghe.


Tra l’altro il fatto bellissimo è che fino al 24 dicembre, data in cui è uscito il nuovo singolo, era tutto un continuo smentire, quindi grande sorpresa, che dà ancora più gioia. Del perché non dovrebbero riunirsi ne abbiamo già ampiamente parlato, in passato e in queste pagine: il passato è passato, facciamo che resti tale senza rovinarlo?

THE METERS

Se ripenso a The Meters ripenso a quando ho provato a ampliare, ma non troppo, i miei gusti musicali e mi sono trovato davanti a questi tizi il cui cantante si esaltava perché aveva “just kissed *his* baby”, e ne rimasi positivamente colpito perché subito dopo lo stesso tizio sosteneva che a lui dei soldi fregava ben poco e quindi da compagni di povertà ci siamo idealmente guardati negli occhi dandoci un high five ideale. Così quando ho letto della reunion ho pensato: “dai oh che figo, diamo un’occhiata”, perché mi piace fare veri e propri viaggi mentali (che nel mio caso significa organizzare e vivere una vacanza nella mia testa) e andare a ascoltare i The Meters nel New Orleans mi sembrava un degno viaggio. Poi ho letto i prezzi dei biglietti e sono giunto a questa conclusione: io sono rimasto povero, lui non bacia una tipa da molto tempo. E sono stato pervaso da un senso di tristezza.

SPICE GIRLS E BACKSTREET BOYS (BONUS: ALL SAINTS)

Questi li metto insieme perché già con i Blue ho abbastanza ammorbato su quanto io sia una teenager alle prime armi nel corpo di un ragazzo troppo cresciuto. Ma se davvero dovesse mai succedere che il trend del 2016 fosse quello della riscoperta dei teen idol anni ‘90 e che i poster di Cioé diventino una cosa vintage/figa, finalmente il mondo avrebbe trovato un angolino per me. Dovrebbero tornare in tour entrambi, io prego e potrei andarli a vedere pure se facessero un tour solo dei laghi del Minnesota. Ovviamente la vita mi sta ostacolando, arrestando per esempio il buon Nick Carter, ma I want to believe.

A coronare questo sogno incredibile ci sarebbe il ritorno delle All Saints, a dieci anni da Studio 1. Un maxi tour con All Saints in apertura a Spice Girls e Backstreet Boys probabilmente sarebbe il massimo punto di contatto tra l’uomo e Dio. Che poi penso saremmo tutti concordi a dire che Kevin Scott Richardson e Dio siano tutto sommato la stessa cosa.


Geri Halliwell e Emma Bunton con l'età sono palesemente diventate la stessa persona.

THE XX

Chissà cosa possono ancora dare allo sconfinato mondo della musica mediocre e a noi tutti gli XX, nel 2016. A quanto pare, dopo Coexist uscito nel 2012, il trio ha già annunciato lo scorso novembre ad NME l'arrivo di un terzo album diversissimo dai precedenti, rimanendo però vaghi sul dove e il quando. Più che altro è interessante fantasticare sui fenotipi umani che manifesteranno effettivo pathos per la cosa, per dire, mi immagino insospettabili affiliati dell'underground più pesto rizzare le antenne e timidamente—leggi: di nascosto—aggiornarsi sulle loro nuove uscite. Magari bo, si sono messi a fare gli hi-tech afrofuturisti pure loro. Rispetto assoluto, in tal caso.

THE LIBERTINES

Non so cosa ne è davvero di questi non più tanto giovani ragazzi, quello che sappiamo è che hanno annunciato un tour in Inghilterra e comincerà il 21 gennaio, giovedì prossimo. D'altra parte sperare che ripassassero in luoghi diversi dall'Inghilterra forse era troppo, vista la delicatezza di Pete e gli scomodi attacchi di panico cui deve talvolta far fronte. L'ultima volta che sono passati a Milano è stato a inizio luglio 2015 e sembra che la loro missione di iniettare il loro beneamato 2007 nelle vene dei presenti sia andata a buon fine. Preghiamo.

BLINK 182

I redivivi Blink 182, orfani del mitologico Tom DeLonge, a suo tempo sostituito come se niente fosse da Matt Skiba degli Alkaline Trio, ebbene, nonostante tutto esistono ancora. Anzi con la nuova formazione hanno pure ultimato le date del tour nel 2015, e il mese scorso, Travis Barker ha annunciato l'arrivo di un nuovo album nel 2016. Ormai simulacri della loro stessa immortalità, siamo tutti sicuri che il pop punk abbia ancora bisogno della loro presenza.


Sexy

LINKIN PARK

Qualche giorno fa su Instagram i Linkin Park hanno annunciato l'uscita di un nuovo disco con una foto che ritrae il frontman Chester Bennington in studio, con sotto la caption "Back to work this week." Sul loro forum—esiste realmente ed è frequentato—se ne parlava già nel maggio 2015, prova del fatto che i loro fan sono mega sul pezzo, e sicuramente meglio dei vostri e dei nostri messi insieme. Scusateci Linkin Park. Intanto che aspettiamo, il capolavoro della storia: "In The End" cantata da 183 film. Bless.

Segui Noisey su Twitter.

Non è che Donald Trump è un progetto speciale di PC Music e noi non ci avevamo capito nulla?

$
0
0

Screengrab via Youtube.

Fino ad oggi Donald Trump e tutto quello che gli sta attorno sono stati fenomeni al limite dell'inspiegabile. Il suo manifesto politico sembra scritto da un vecchio ubriacone in vena di lamentele, il video della sua campagna sembra una pubblicità progresso scadente contro la pirateria girata negli anni Novanta, i suoi capelli sembrano un intricato e affascinante esempio di come può venir fuori lo zucchero filato. Un tempo Trump era un presentatore televisivo, e ora è un tizio che sbraita cose a caso su come sia necessario un ulteriore giro di vite sulle già ristrettissime politiche estere e interne degli Stati Uniti. Dai, ammetterete che niente di tutto questo sembra reale. No?

Ecco, ora è venuto fuori un documento che ci permette di confermare scientificamente la nostra ipotesic. Donald Trump, secondo le nostre conclusioni, non è altro che il più evoluto prodotto dell'immaginazione di alcuni artisti d'avanguardia, in particolare del collettivo post-pop accelerazionista inglese conosciuto come PC Music. Non ci credete? Ecco a voi le prove: 

Non siamo in grado di confermare altro, a questo punto delle indagini, ma a giudicare dal sound possiamo essere quasi certi che dietro a questa traccia ci sia uno dei producer della crew inglese tutta matta. Se vi è capitato di ascoltare "Every Night" di Hannah Diamond, il verso "Deal from strength or get crushed every time," vi sembrerà in perfetto stile PC Music. Non siete ancora convinti? Be', noterete che Donald, il nuovo personaggio su cui AG Cook ha messo le mani da chissà quanto tempo, non sale MAI sul palco. Non vi suona familiare questo atteggiamento? Sì, perché è ESATTAMENTE quello che ha fatto SOPHIE durante il suo set di Boiler Room. Servono altre prove? Date un'occhiata al pubblico, che sembra applaudire con precisione robotica, senza quasi mostrare un'ombra di umanità dietro quei gesti meccanici. Sicuramente sono artisti assoldati e addestrati per questa specifica performance. I veri esseri umani non si muovono in quel modo, a meno che stiano seguendo istruzioni precise che arrivano da una qualche autorità cui loro affidano ogni capacità di discernimento in modo da non dover affrontare da soli le proprie insicurezze, che possono partire da un senso di isolamento sociale o dal terrore dei luoghi affollati. Cosa di cui non c'è nemmeno l'ombra in questo piccolo capolavoro d'arte contemporanea. 

Ora tutta questa storia assume un senso, alla luce delle nostre considerazioni: i servizi fotografici fin troppo elaborati, quella concept-art controculturale di cui si è fatto uso durante la campagna elettorale, i commenti assurdi sull'industria e il capitalismo... Era tutto davanti ai nostri occhi. Ancora una volta, bel colpo PC Music!

*stiamo scherzando, in realtà è tutto vero.

I Blink-182 sono ufficialmente più punk dei Crass

$
0
0

In un momento non meglio precisato attorno al 1974 è nato il punk rock. Poco dopo il genere, che era fatto da canzoni rock brevi, semplicistiche e molto aggressive (nell'ottica di rappresentare una reazione allo stile del rock popolare dell'epoca), ha cessato di significare qualcosa, proprio nell'esatto momento in cui tutto il mondo ha iniziato a discutere della sua definizione più corretta. È un meccanismo tipico che si è innescato più volte negli ultimi decenni: quello che al principio sembra un suono ben connotato e quasi tangibile subisce una serie di modificazioni e influenze fino a frammentarsi in dozzine di sottogeneri mutevoli e ibridi, che riempiono i forum di discussioni inferocite e vi fanno sembrare dei balordi quando decidete di discuterne in pubblico. Per avere un'idea ancora più esasperata di questo comportamento basta rivolgere il proprio sguardo verso le lande del metal, un genere le cui faide interne fanno sembrare le correnti del Partito Democratico uno stagno con le paperelle.

Questo modo di spiegare un genere musicale ha sempre affascinato Matt Daniels, un data analyst con la passione per la musica che è amministratore del sito web Polygraph. Per un progetto commissionato da Converse, Daniel ha provato a indagare sulla maniera in cui oggi si interagisce con la definizione di genere musicale, attraverso la lente più popolare e democratica che ci sia: le statistiche di Spotify e YouTube. Il suo esperimento si è concentrato sul punk e, in un certo senso, è stato un tentativo di fare crowdsource di un genere.

Il risultato potrebbe non andarvi molto a genio, soprattutto se siete particolarmente legati ai suoni di una certa generazione punk. Considerati i musicisti e le band più ricorrenti all'interno delle varie playlist e compilation (stiamo parlando di migliaia e migliaia di playlist) risulta che la seconda band punk più presente siano i Blink-182, superati soltanto dai Green Day. Si prosegue poi con Offspring, Sum 41, Rise Against e Fall Out Boy. Credo che questo sia sufficiente per spingere tutti i punk ormai cinquantenni a guidare il loro SUV Mercedes giù da un dirupo, no?

“Dopo i Green Day, non c'è nessuna band capace di infestare le playlist tanto quanto i Blink-182” scrive Matt. “Delle migliaia di playlist che ho analizzato i Blink-182 sono presenti almeno nella metà, ed è come se Blink-182 e ‘punk’ fossero sinonimi.”

In una rappresentazione visivamente molto efficace e una serie di classifiche tanto più interessanti quanto più avete la passione per le cose noiose, Matt ha analizzato a fondo un numero di sottogeneri del punk, che include playlist emo, hardcore, pop-punk, metalcore e via discorrendo. Di particolare interesse, visto che ogni essere umano nato negli anni Ottanta-Novanta ha compilato almeno una playlist emo, è la presenza di veri pionieri del genere come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! at the Disco, All Time Low, e Black Veil Brides. Ma, come mi spiega Matt, se quel genere di risultato vi fa incazzare è solo perché, probabilmente, siete troppo vecchi, o comunque non abbastanza aggiornati. Con aggiornati intendiamo ad esempio, il meccanismo con cui si modifica il linguaggio. Alcune parole, con il tempo, assumono significati completamente diversi o paralleli e così capita anche per i generi: secondo l'analisi di Matt è del tutto indifferente il significato con cui è stata concepita la parola punk, l'unica cosa che importa è il modo in cui viene utilizzata adesso. 

Ho parlato con Matt della sua ricerca e del perché le carriere dei critici musicali (lol no, siamo solo utenti dei forum, non critici musicali) siano sostanzialmente prive di significato.

Noisey: Allora, che cosa ti ha suscitato l'impeto necessario per lanciarti in questa ricerca?
Matt Daniels: 
Ho lavorato a molti progetti legati alla musica nel passato, se vai sul sito poly-graph.co vedrai che ci sono alcune cose legate all'hip hop e Spotify, insieme a qualche data mining sui testi dei rapper. Ho sempre voluto lavorare sui generi musicali, una delle piaghe più semplici con cui mandare in malora il cervello degli esseri umani e rovinare una conversazione piacevole. Non c'è modo di mettere d'accordo le persone su chi è chi e cosa è cosa e i generi sono sempre stati identità amorfe. Il punto è che si tratta di discussioni praticamente inutili, dato che queste forme sono in continuo mutamento ed è impossibile trovare una vera definizione istantanea.

Prima di Spotify e YouTube non c'era modo di accedere alle playlist delle persone e, di conseguenza, era impossibile capire come tutti utilizzassero davvero le parole punk, metal, hip-hop e via così. Forse tra vent'anni il termine punk non sarà più adatto a definire i Green Day, ma per il momento è quello il punto interessante ed è quello il vero significato del nome del genere. Ho cercato in tutte le playlist attraverso parole chiave, come ad esempio “emo”, e le ho catalogate. Il risulto è essenzialmente la definizione di cosa è emo per la società che compone internet nel 2015.

Perché hai scelto di concentrarti proprio sul punk? Quante playlist hanno fatto da base per la tua statistica?
Perché è uno dei generi che crea più divergenze. Credo che sia più semplice definire, ad esempio, l'hip-hop. È facile dire quel tizio è un rapper o quel tizio non è un rapper. È un genere più definito, mentre il punk ha confini molto più vaghi e variabili. In numeri, credo che si parli di circa quattro milioni di canzoni divisi in centomila playlist, ma ho dovuto filtrarle attraverso definizioni più restrittive. Di quelle centomila me ne sono servite solo duemila per rendere la sezione emo statisticamente significativa e ho fatto lo stesso lavoro con ogni sottogenere del punk. Ho utilizzato sia YouTube che Spotify, per riuscire a coprire fasce d'età più ampie tra gli utilizzatori.  

Genre-titled playlists on which a band appears most often

Ti sei sentito un po' un troll quando hai messo insieme questa ricerca? Voglio dire, immagino fossi consapevole che la gente sarebbe andata un pochino fuori di testa nel vedere Fall Out Boy come sinonimo di punk. 
Dipende dalla persona di cui si parla. Se hai tredici anni, be', probabilmente sei sinceramente convinto quando sostieni che quello sia punk. La stessa cosa accadeva vent'anni fa, quando i Green Day proliferavano tra le scene punk “Questo non è punk, questo è pop con la cresta.” Quello che hai detto è tutto relativo, ogni generazione pensa che la generazione successiva sia una merda e che si debba tornare all'origine. Quando le persone si incazzano è solo perché persone più giovani di loro si sono appropriate dei termini che gli stavano a cuore e a cui avevano dato un significato personale.

C'è una citazione, credo sia di Vic Mensa, che ha detto: “I don't give a shit about 90s hip-hop.” [occhio, era di Vince Staples, ndr] Tutti si sono arrabbiati quando l'ha sentenziata. [Sì, si sono arrabbiati davvero, ndr] Il problema era che i suoi riferimenti affondavano nel 2000, e lo stesso discorso è per i ragazzini di oggi: cosa volete che gli importi dei gruppi degli anni Ottanta? Per loro è tipo cinquemila anni fa. Dire che i Fall Out Boy sono più punk dei Ramones o dei Sex Pistols nella loro ottica potrebbe non essere sbagliato, è solo una dinamica generazionale.

Un po' quello che è successo questa settimana quanto gli adulti hanno provato a infamare i ragazzini che non conoscevano David Bowie.
Io ho trent'anni e non conosco la maggior parte dei musicisti degli anni Quaranta. Sono nato nel 1985. Ora supponiamo che tu sia un dodicenne, sei nato nel 2004. Se andiamo indietro di trent'anni siamo a metà degli anni Settanta, che è l'epoca d'oro di David Bowie e che per loro ha lo stesso significato che hanno per me gli anni Cinquanta. Forse, su due piedi, potrei nominarti un paio di artisti del 1950. Ecco di cosa parlo, ogni tanto bisognerebbe chiudere la bocca e mettere nella giusta prospettiva la realtà. Chi è l'equivalente di Bowie degli anni Cinquanta? Sicuramente un musicista coi controcazzi, ma non è certo tra le dieci persone più influenti per un tizio che nasce trent'anni dopo.

C'è stato qualche dato che ti ha stupito? Band che non ti aspettavi?
Una delle cose più assurde sono stati i No Doubt, che negli anni Novanta hanno definito lo ska-punk e che oggi si sono evoluti in una pop band non molto interessante. È stato curioso notare che oggi non sono nemmeno vicini alla vetta, per quanto riguarda quel genere. Forse tra un po' nessuno si ricorderà nemmeno il contributo che hanno dato a formare quel suono tipico.

Un'altra cosa che mi ha stupito è che i Joy Division siano ancora sinonimo perfetto di post-punk. Ancora oggi, quando si parla di post-punk, si parla di Joy Division, che ormai sono roba vecchia di decenni. Credo che sia molto interessante, perché effettivamente alcuni generi non sono riusciti a modificare i loro canoni e quindi è ancora ok ascoltare i Joy Division, mentre se ci spostiamo su, ad esempio, il pop-punk, le band di riferimento sono cambiate e continuano a cambiare.

È simile al processo con cui si evolve il linguaggio.  
Esatto, fai parte del mio mondo? Etimologia, semantica, credo che l'intero dibattito sui generi sia semplicemente un rito di passaggio. Immagino che se sei in grado di discutere con un ragazzino di cosa sia davvero metal/punk/emo/eccetera, allora probabilmente ne sai discretamente tanto. Sto provando a spiegarti come la penso perché credo ci siano diverse prospettivi attraverso cui analizzare scene e comunità, sia che si tratti di forum che di persone pronte a litigare sui Fall Out Boy. Diciamo che sei un esperto di emo, e adesso hai trent'anni, ma vai per i quaranta: il periodo in cui ti sei formato sono gli anni Ottanta, ed è da lì che proviene la tua definizione di quel genere. Forse sei un po' fuori target e non conosci più tutte le nuove uscite, anche perché non c'è nessuna band là fuori che compone musica emo per i quasi-quarantenni. Io credo sia così che funziona ed è per questo che i generi sono qualcosa di interessante con cui approciare la musica. Cambiano col cambiare delle persone, con i cicli di avventori ai concerti, con le mode giovanili ed è assolutamente ok che ogni generazione provi a modificare il significante di un genere.

Sono d'accordo con il tuo ragionamento, ma non posso fare a meno di non voler essere d'accordo. Ci sono delle regole, cazzo! Però vedo che alcune delle band sono finite in ogni categoria, vero? 
Sì. Penso sia più facile che questo accada con le band contemporanee. Spuntano in ogni categoria perché sono molto popolare e sono ancora in quella fase di processo in cui ti aggrappi alla storia e diventi oggetto di culto (aka cultura). Quando c'è un nuovo gruppo è fisiologico che serva del tempo per infilarli nella categoria giusta. Queste band sono, in ogni caso, piuttosto interessanti perché sfuggono agli stereotipi e la gente si ritrova a pensare: “Ok, il tempo è veloce, ma non mi sembrano uguali alla mia idea del genere a cui assomigliano, per cui li metto qui, ma forse non dovrei.” Ho voluto fare questo esperimento con i Death Grips. Assomigliano in qualche modo a un gruppo hip-hop, ma quando vai a un loro concerto ti accorci che non sei ad un concerto rap, ma forse più qualcosa simile al punk, pure se c'è un tizio che rappa. Se cerchi il modo in cui li ha indicizzati Spotify ti accorgi che non ci sono statistiche sufficienti per ragionarci su, visto che non sono abbastanza popolari, per cui finiscono in quel calderone che è l'hip-hop sperimentale. Su YouTube compaiono sia nelle playlist punk che in quelle hip-hop. Insomma, il mio hobby è un bel casino.

 

Wall Of Death - For A Lover

$
0
0

I Wall of Death sono un trio francese che riesce a fare musica dall influenze prog eppure figa, dagli umori sempre mutevoli. Oggi annunciano l'uscita del loro nuovo Loveland su Innovative Leisure, il 4 marzo, prodotto dal polistrumentista Hanni El Khatib. Il singolo che potete ascoltare qui, "For a Lover", incorpora tipologie diverse di suoni, scorrendo a fondo il manuale dei trick compositivi per creare un pezzo bello spesso, emozionante. Tocca varie possibilità cromatiche di psichedelia e romanticismo, melodie alla Lennon e pastorali di feedback, dando buoni segnali sulla nuova uscita del gruppo.

Ops, le nuove caramelle gommose Haribo sembrano pasticche

$
0
0

Se non bastassero le atroci pene dell'inferno che il nostro stomaco subisce ogni volta che ingeriamo quegli orsetti di gelatina Haribo, ora i geni del marketing che seguono l'azienda tedesca hanno deciso di alzare la posta, rivelando la nuova linea di caramelline che sembrano proprio... Pasticche? Sul pacchetto che le contiene, una di queste pasticche veste i panni di un DJ, DJ Brause, che sarebbe in italiano "DJ Fizz" (non intendiamo approfondire la sua carriera in questa sede). Una volta aperto, il pacchetto rivela contenere una varietà di interessanti gelatine disco la cui forma ricorda quella dei tasti che si trovano su qualsiasi CDJ: pausa, avanti, rewind, stop.

Queste paste—cioè caramelline—pare abbiano un "sapore leggermente acido," a quanto siamo riusciti a capire dal sito di Haribo. Ovviamente l'azienda non sta cercando di trarre profitto da riferimenti impliciti alle vere pastigliette pericolose che circolano per le notti europee ultimamente. Niente affatto, a loro piace la musica, cosa credete!

I nuovi modelli di pasticche caramelle gommose musicali. Foto via Haribo.com.

Ironia della sorte, pochi mesi fa era successo questo fatto divertente: a Jackson, Mississippi, la polizia si era adoperata per informare tutti i ragazzini che le droghe potevano assumere anche sembianza di caramelle. Ora, grazie agli amici di Haribo, possiamo dire il contrario!  

Noisey Mix: Maurizio Abate

$
0
0

Maurizio Abate ha concluso il 2015 con un album, Loneliness Desire And Revenge, uscito a fine ottobre per Black Sweat Records, e un tour in Portogallo con Adele H. In tutti questi anni—è attivo dal 2006—e interamente da autodidatta, è riuscito a trapiantare in musica l'intimità dei percorsi, di natura sempre diversa, intrapresi con la strumentazione di cui disponeva. I risultato sono queste cicliche reincarnazioni di elementi kraut, psych, blues, drone in creature maestose, meditative, da contemplare in tutta la loro solennità. L'ultimo lavoro di Maurizio è più terso e minerale di A Way to Nowhere, precedente lavoro per Boring Machines—dal taglio molto più drone—e ciò è dovuto al fatto che si tratta del suo primo esperimento di composizione con solo chitarra acustica.

Il mix che ci ha fatto è un'escursione di cinquantaquattro minuti in cosmi non convenzionali, con elementi di musica tradizionale africana, celtica e brasiliana che si compenetrano con classici di Steve Reich, Mort Garson e Nico. Maurizio non ci ha dato descrizioni se non un "Sta bene così senza righe, va'". E pure noi ci fermiamo qui, appena in tempo. Buon weekend a voi.

 

Noisey Mix: Maurizio Abate by Noisey Italia on Mixcloud

 

Tracklist:

01. Dylan Carlson - Gold XV
02. Stenio Mendes - 06 A barca dos homens, Aquarela do Brasil, 2001 uma odisséia no espaço, Hava nagilah
03. Aphrodite Child's - Lament
04. This heat - Water
05. Third ear band - Druid One
06. Steve Reich - Drumming Part IV
07. Namibia:Songs of the Ju'hoansi Bushmen - Chant avec hochet (tcoq'ungo tzisi)
08. Master musician of Tanzania - Nhongolo
09. Surprieze - Zero
10. Mort Garson - Voices of the Dead (The Medium)
11. Nico - The End 


A$ap Rocky ha remixato Drake

$
0
0

Il 2015 di A$AP Rocky è stato bello denso, dal momento che ha buttato fuori un album scritto e prodotto da dio come AT.LONG.LAST.A$AP. È inarrestabile, e lo dimostra questo suo remix di  "Wu-Tang Forever" di Drake, andato in onda venerdì sera proprio durante lo show di Drake OVO Sound Radio, su Beats 1. Ha tutta la figaggine dell'originale con in più il tocco inconfondibile di Rocky. 

E non solo, su OVO è andato anche il tributo di Rocky ad A$AP Yams, "Yamborghini High" con A$AP Ferg e A$AP Nast, finora suonata solo live.

Tata di DJ Khalab & Baba Sissoko è la traccia dell'anno per Gilles Peterson

$
0
0

Questo sabato DJ Khalab ha vinto il premio di Gilles Peterson per la miglior traccia dell'anno grazie alla sua "Tata", realizzata insieme al maliano Baba Sissoko.

I Worldwide Awards di Gilles Peterson (che per chi non lo sapesse è uno dei DJ radiofonici più influenti del Pianeta Terra) sono un premio che esiste dal 1999 e che dal 2004 ha assunto i connotati di una vera e propria venue annuale in cui il centro della questione è occupato da una classifica dei cinque migliori dischi e delle dieci migliori tracce dell'anno appena concluso.

Tanto per, l'anno scorso la miglior traccia l'ha composta Flying Lotus.

"Tata" è contenuto in Tata / Kumu, 12" uscito per Wonderwheel e prodotto appunto dall'italiano Khalab in collaborazione con il cantante Griot e Maestro Baba Sissoko che prosegue il discorso, fra l'altro già ben avviato, che Khalab sta portando avanti con la musica africana. La traccia vincente, "Tata" appunto, è costruita sulla voce di Baba e su strumenti tradizionali africani, tra cui lo xalam, che è quel liuto a numero variabile di corde che a intervalli regolari torna virale su Facebook.

Qui sotto potete ascoltare entrambe le tracce (e rispettivi remix) del 12", mentre è già stato annunciato un LP completo tra i due, che uscirà verso la fine dell'inverno.

Segui DJ Khalab su Facebook e Soundcloud.

Colonne sonore bellissime: Cannibal Holocaust

$
0
0


COLONNE SONORE BELLISSIME è la rubrica in cui ci occupiamo di quelle volte che il sound design o la scelta dei brani della soundtrack di un film sono talmente vincenti da diventare uno degli elementi portanti, non a caso sono colonne.

Cannibal Holocaust è un film girato nel 1979 da Ruggero Deodato e uscito nelle sale l'anno successivo, per poi essere ritirato e tornare in commercio soltanto dopo un'operazione di pesante censura, quattro anni più tardi. Si tratta del film più censurato di tutti i tempi, nonché vietato in più di cinquanta Paesi e bisogna dire che Deodato ci mise del suo per farlo passare come uno snuff movie. Nel tentativo di aumentare l’aura di maledizione intorno al suo prodotto ha cercato di far credere al pubblico che la pellicola fosse realmente un documentario girato da quattro reporter poi scomparsi nella giungla, al punto che—genio del male—obbligò gli attori a starsene lontani dai riflettori per un paio d’anni. Anche una volta che il trucco venne smascherato i tribunali continuarono ad indagare su Deodato, certi che le uccisioni di animali e gli omicidi ripresi nel film fossero stati effettivamente commessi. Deodato dimostrò che nessun essere umano perse la vita, ma non poté negare l’uccisione degli animali e provocò lo sdegno e le comprensibili proteste degli animalisti.

Ciò che nobilita Cannibal Holocaust e gli conferisce dignità cinematografica e artistica è il messaggio profondo del film, che lo stesso Deodato in più interviste ha evitato di definire horror, poiché si limita a trattare “di cose vere”. La sua è una forte critica indirizzata al “mondo civilizzato” e lo si capisce che già dalla prima scena, in cui un giornalista parla di cannibali e la telecamera inquadra la vita metropolitana di New York. Deodato si scaglia innanzitutto contro i crimini e le stragi compiute dall’uomo moderno, ben peggiori del cannibalismo e dei rituali tribali, fino a piantare nella mente dello spettatore il seme del dubbio e farlo interrogare sui comportamenti dell’uomo occidentale nel mondo contemporaneo. Il regista si spinge fino al limite e chiama in causa lo spettatore stesso, fruitore ultimo e soddisfatto di tutte le nefandezze di questo mondo, sintetizzate in poco più di un’ora e mezza di pellicola.

Nonostante tutto Deodato si stupì delle feroci critiche ricevute dal film al momento dell'uscita, in un'intervista disse persino di non essersi reso conto della violenza nella pellicola fino a quando non inserì le musiche di Riz Ortolani. Deodato spiegò che Cannibal Holocaust è la sua risposta indignata al torpore che vedeva avvolgere il mondo verso la fine degli anni Settanta. La guerra in Vietnam e le dittature africane facevano da sfondo lontano agli Anni di Piombo in Italia e Deodato affermò che suo figlio aveva smesso di guardare la televisione, tanto era scioccato dal livello di violenza dei reportage che passavano al telegiornale. Il problema, secondo il regista, non riguardava la violenza del film, ma l'incapacità degli spettatori di prestare attenzione alla vicenda sullo schermo e inquadrarla con la giusta chiave di lettura storica. Sembra che Deodato, con il suo prodotto, non volesse solo scagliarsi contro lo stato in cui versava il mondo dal dopoguerra, ma anche puntare il dito verso quegli episodi storici che hanno insanguinato intere regioni e sterminato innumerevoli culture. Il quadro della società occidentale moderna che emerge in Cannibal Holocaust non è altro che una colonizzazione delle Americhe bis, fondata in primo luogo sul terrorismo psicologico del “pensiero unico” e solo in misura minore sulla sottomissione fisica vera e propria.

La pellicola si apre con un disclaimer in cui i distributori giustificano la loro decisione di dare alle stampe un film del genere e di presentarlo senza tagli, che rischierebbero di menomarne il significato, e citano come giustificazione della scelta una frase di George Santayana: “Coloro che non riescono a ricordare il passato sono destinati a ripeterlo”.

La prima scena del film ha luogo nel vivo della foresta amazzonica: da un aliante in volo lo spettatore plana sulla maestosità della giungla vergine, e la musica con cui Ortolani ci invita alla visione della pellicola ricorda le colonne sonore composte per i film italiani degli anni Sessanta e Settanta di genere esotika (Bora-Bora, Amore libero, Il corpo). Si trattava di pellicole ambientate in luoghi ai confini del mondo, in giungle sperdute o atolli boreali in cui il progresso non era ancora arrivato. Pellicole imbevute di filosofia ecologista spiccia e fondate sul mito del bon sauvage, avevano lo scopo dichiarato di esaltare la semplicità e il carattere trasognante della vita in quei luoghi. Tuttavia spesso questa dichiarazione d'intenti si riduceva a un pretesto per poter mostrare allo spettatore più pruriginoso giovani ragazze disinibite intente a danzare nude nell’oceano o impegnate in rapporti sessuali con il protagonista bianco di turno sul bagnasciuga. Il risultato il più delle volte si poneva a metà tra una rivisitazione contemporanea e ingenua del mito dell’Età dell’Oro e una sorta di film quasi documentaristico su tali territori ancora vergini. Sebbene talvolta i registi non disdegnassero l’approfondimento di riti magici e narrazioni folkloristiche, la maggior parte di queste pellicole si riducevano ad un esercizio di stile basato sulla dimostrazione di compatibilità o meno della società civilizzata moderna con quella tribale arcaica attraverso una certa componente erotica di tipo softcore, pensata per venire incontro ai gusti di quella fetta di popolazione del mondo occidentale che, durante la rivoluzione sessuale, sognava di lasciare tutto e salire sul primo aereo per gli atolli del Pacifico.

Riz Ortolani ha preso spunto da queste suggestioni un po’ ingenue e ormai al limite del demodé e sforna il tema musicale portante del film: una nenia dolce e sognante supportata da un coro di voci femminili, che cullano lo spettatore in viaggio al di sopra di della Foresta Amazzonica. L’uomo occidentale, conquistatore della natura e forte del permesso del dio biblico che lo rese di fatto “padrone della Terra”, su questo aliante in volo a centinaia di metri al di sopra della giungla inesplorata si sente giudice e giuria, solo detentore del giusto modo di vivere. Questo è il tema cardine di Cannibal Holocaust, messo in dubbio se non addirittura in ridicolo scena dopo scena, fino alle più estreme conseguenze.

Fin da una della prime scene in cui la troupe occidentale si imbatte negli autoctoni, Deodato sottolinea l’inconciliabile abisso esistente tra le due culture ed evita di trattare i fatti in modo ingenuo, come spesso avveniva nei film del filone esotico degli anni precedenti. La scena a cui ci riferiamo è quella della punizione dell’adultera (visibile qui sopra). Ortolani, per una scena così agghiacciante, crea un tappeto di freddi synth incalzanti, ci unisce un beep malsano e conclude il tutto con una melodia di archi che trasuda al tempo stesso disperazione e ineluttabilità. Lo spettatore si sente invaso da un sentimento di terrore atavico e di repulsione, viene chiamato in causa in prima persona da Deodato e questa decisione non è casuale o gratuita: il regista vuole fin da subito far prendere posizione allo spettatore, ricordargli il suo modo di pensare e di vedere occidentale, civilizzato, moderno, in antitesi rispetto alle aberranti pratiche tradizionali degli indios.

La melodia di “Adulteress’ Punishment” viene ripresa successivamente, con qualche variazione (dei colpi in sottofondo che velocizzano il pezzo) nella scena in cui la troupe statunitense giunge in un villaggio tribale, che trova distrutto e con le abitazioni ridotte in cenere. Deodato inizia così a guidare la mente dello spettatore su altri canali: non quelli convenzionali su cui lo aveva condotto in prima battuta, ma su altri da cui solitamente ci si tiene a una certa distanza di sicurezza. La distruzione del villaggio è palesemente opera non dei nativi, ma proprio dell’uomo civilizzato che dovrebbe—in teoria—esimersi dal compiere nefandezze di questo tipo. Il connubio creato dalla situazione inaspettata e dalle musiche riprese dalla scena precedente inducono lo spettatore a iniziare a dubitare della sua mentalità unipolare.

La scena successiva rimescola ancora una volta le carte in tavola. L’antropologo statunitense, invitato per un bagno da uno stuolo di giovani native nude, di colpo dimentica le brutture a cui ha assistito e si abbandona alla bellezza della natura vergine e alla compagnia delle autoctone. Per un attimo ci sembra di essere stati catapultati nel mondo paradisiaco del filone esotico che Deodato tanto mira a mettere in ridicolo, ma è solo una fugace impressione. Senza alcun preavviso, le ragazze native escono dal fiume e conducono lo straniero presso una radura, sulla quale gli scheletri di varie persone sono stati accatastati allo scopo di formare un’indicibile totem di morte, al quale le giovani si rivolgono con grida e lamentazioni. Per questa scena, che spinge lo spettatore in men che non si dica da un’atmosfera di spensieratezza ad una del tutto opposta, Ortolani ebbe la geniale intuizione di unire i due pezzi precedenti in un allucinante mix: “Love with fun” infatti inizia come il main theme, per poi degenerare in un’orgia di tappeti synthetici, battiti ritmici sempre più sostenuti e strepitii dissonanti. A questo punto della narrazione, lo spettatore si trova a un bivio: se infatti il precedente omicidio dell’adultera era stato avvertito senza remore come un’aberrazione ingiustificabile, come giudicare l’uccisione di alcuni uomini che, senza troppi problemi, si erano resi colpevoli della distruzione gratuita di un villaggio e del massacro indiscriminato dei suoi abitanti autoctoni?

Entriamo così nella seconda parte del film, “L’inferno verde”, che si basa sulla visione del materiale filmato dalla troupe di freelancer che—come siamo venuti a sapere precedentemente—ha compiuto l’olocausto del villaggio e ha poi trovato la morte. Più i giornalisti della BDC si inoltrano nella visione dei nastri, più le immagini diventano sempre più assurde e ripugnanti, fino a giungere al culmine dell’ingiustificabile. In un filmato, si vedono i membri della troupe che, dopo aver immobilizzato una giovane nativa in cui si erano casualmente imbattuti, la stuprano selvaggiamente, uno dopo l’altro. Nella scena immediatamente successiva, il cadavere della donna si trova orribilmente impalato e i suoi aguzzini, mistificando la realtà, confezionano una versione fasulla dei fatti per far credere allo spettatore di averla trovata in quelle condizioni. “Non possiamo appoggiare queste pratiche barbare, ce ne discostiamo nettamente” dice la voce fuori campo mentre viene filmato l’abominio; nel mentre, il volto di un altro dei reporter si tramuta in un ghigno spietato. Ortolani compie per questa scena la scelta musicale più geniale in assoluto: in nettissima contrapposizione con le immagini agghiaccianti, opta per una melodia sognante e cristallina di archi e accresce ulteriormente l’assurdità della situazione.

È un dato di fatto che la scelta di un certo tipo di musica può deviare i pensieri dello spettatore su binari ben definiti: tecniche simili sono sempre state utilizzate come strumenti di propaganda dal momento in cui la televisione è stata inventata. È proprio propaganda quella che stanno facendo gli aguzzini della troupe, che mistificano i fatti e indossano all’occorrenza la maschera del politicamente corretto, allo scopo di prendere le distanze e tradire l’incontro con una civiltà vista come arretrata e non al passo con i tempi, quindi meritevole di essere distrutta e stuprata dalla “civiltà”.

Da questa scena in poi la clìmax di violenza ascende a livelli quasi insopportabili. Dai filmati emerge che la troupe è caduta vittima dell’imboscata di un’altra tribù di nativi e che è stata fatta brutalmente a pezzi: uno viene decapitato e squartato, la sua collega viene stuprata ripetutamente e poi finita. Persino i membri della troupe che avrebbero la possibilità di fuggire e mettersi in salvo rimangono sul luogo per filmare tutto e scelgono di anteporre fama e ricchezza alla propria stessa sopravvivenza. D’altra parte, per l’occidente dei consumi che valore ha una vita se essa non conduce all'accumulo di beni materiali e denaro? Per questa sequenza allucinante, Ortolani porta all’estremo la melodia di “Adulteress’ Punishment” e la fa implodere in un delirio cacofonico di suoni contraddittori che si innestano su un tappeto di tastiere, per poi sfociare nuovamente nella melodia iniziale, che adesso appare quasi come una lamentazione accusatoria nei confronti del mito del progresso. Non vi è tuttavia un’esaltazione del bon sauvage, visto in contrapposizione all’uomo bianco: la riflessione che Deodato cerca di suscitare nella mente dello spettatore si basa piuttosto sull’accettazione dell'ordine naturale delle cose, homo homini lupus, nessuno escluso, selvaggio o civilizzato che sia.

Il film si chiude con una riflessione dell’antropologo volta a riassumere l’intera lezione del regista (“Mi sto chiedendo chi siano, i veri cannibali”). Se infatti, in senso letterale, i cannibali del titolo sono i membri della popolazione tribale che massacra i membri della troupe statunitense, in senso figurato nulla vieta di attribuire tale etichetta anche agli stessi freelancer (colpevoli dell’olocausto nel villaggio) e anche alla società occidentale stessa, che si ritiene assolutamente giustificata a considerare la propria visione del mondo come l’unica valida, l’unica che assicuri all’essere umano di vivere dignitosamente e nel pieno rispetto dei diritti civili, che giustifica la distruzione di sistemi di vita e di pensiero altri, riassunti nella narrazione del film dalle pratiche consuetudinarie delle popolazioni autoctone dell’Inferno Verde.

Proprio per questo, chiunque decida responsabilmente di guardare Cannibal Holocaust non dovrebbe lasciarsi scandalizzare dall’atrocità delle immagini: l’ideale sarebbe che ogni spettatore, sullo scorrere dei titoli di coda, rimanesse scioccato ed esterrefatto, ma soprattutto basito e meditabondo come i dirigenti della BDC nell’ultima scena del film, quando il nastro salta definitivamente e le luci si riaccendono.

Marco non è su Twitter perché non saprebbe che farsene di 140 caratteri, e infatti ha due siti: uno in cui scrive recensioni, e uno in cui parla di religioni e mitologia.

Cosa hanno condiviso i musicisti italiani su Instagram questa settimana

$
0
0

Ormai la musica è solo il 10% di ciò che compone un artista e qui a Noisey ci teniamo molto a fornirvi una visione a trecentosessantagradi sui personaggi che avete deciso di rendere i vostri idoli. Ecco perché abbiamo deciso di lanciare questa fondamentale rubrica settimanale in cui vi riporteremo le perle più preziosi scovate nel social network più pericoloso di internet: Instagram.

Questa settimana Instagram è stato molto prezioso e ci ha regalato tante belle foto, alcune ci hanno fatto ridere (ma anche riflettere). Altre ci hanno solo lasciati perplessi, un po' come i tre quarti della musica che ascoltiamo ogni giorno. Che bella similitudine!

Fabri Fibra è stato in dieci generazioni di iPod.

 

Una foto pubblicata da Fabri Fibra (@fabri_fibra) in data:

 

Forse tra qualche tempo inizieremo a considerare la stupidità proprio alla pari di tutti gli altri handicap e smetteremo di prendere in giro chi crede alle bufale. Nel frattempo è aperta la caccia a Karim Al-Frisel.

 

Condivisione è consapevolezza.

Una foto pubblicata da Fritz Da Cat (@alefritzdacat) in data:

 

Imparate da Luche (a proposito, auguri!) e utilizzate solo inviti e biglietti di compleanni preparati da DJ Khaled.

 

And what we do?! We gona have more birthdays!!!! @djkhaled @cardsbyhannahjo #blackfridayparty

Una foto pubblicata da luche_official (@luche_official) in data:

 

Fare una partita a biliardino con Neffa probabilmente è il life goal di metà della popolazione maschile italiana

 

Ci pensate mai a che difficile debba essere fare Le Luci Della Centrale Elettrica di mestiere?

 

Una foto pubblicata da Vasco Brondi (@vascobrondi) in data:

 

Con il 10% dello stile di Ghali la mia vita sarebbe profondamente diversa.

 

Siete tutti Paris, tutti Charlie ma mai voi stessi

Una foto pubblicata da GHALI (@fuckyoughali) in data:

 

Chissà come sarebbe andata la carriera di Ghemon se avesse sempre avuto i capelli così belli e lui così felice. Forse saremmo tutti un pochino meno tristi, però io preferisco avere "Fantasmi Parte 1".

 

Anche io l'altra sera sono tornato a casa e la mia ragazza non esisteva però un mio amico aveva lasciato mezza bottiglia di vino bianco sul tavolino e l'ho accompagnata a ottimi sofficini scaldati al microonde. Ero felice tanto così.

 

Quando torni a casa e ti accorgi di aver lasciato un bianco in fresco e la tua ragazza è al corso di yoga.

Un video pubblicato da cesarecremonini (@cesarecremonini) in data:

 

In realtà in quella bottiglia è contenuta tutta la tenerezza di Enz Benz.

 

Grappa dall'Ex-Jugoslavia poche persone possono capire, è vero @young_kuda ? #Real #invecchiamentoesagerato #unchupitotibasta #sarayevobosnia

Una foto pubblicata da Vincenzo Da Via Anfossi (@enzbenz) in data:

 

Achille Idol Scene Queen Semi Bruddal.

 

"Dai palazzi se ne annamo" ( Santana - BarabbaMixtape )

Una foto pubblicata da Achille Lauro (@achilleidol) in data:

 

Appino di fianco ad un cartello che sintetizza perfettamente l'opinione del mondo sulla questione Appino VS talent show.

 

Una foto pubblicata da #appino (@andreaappino) in data:

 

Alessandra Amoroso dopo aver ascoltato Adele rappare e aver di conseguenza rivalutato tutta la sua carriera nella musica pop.

 

Sto arrivandoooo!! Vi aspetto @discotecalaziale, via Giolitti 263, Roma #VivereAColori

Una foto pubblicata da Alessandra Amoroso (@amorosoof) in data:

 

Gue Pequeno è andato a trovare la donna intelligente di Calcutta a Pesaro.

 

#vero #verotour #eljefe #operedarte #pesaro

Una foto pubblicata da Gue Pequeno (@therealgue) in data:

 

Ciao Vacca tutto ok? Ok.

 

Una foto pubblicata da Fabri Fibra (@fabri_fibra) in data:

 

La verità è che Nitro lo ascoltiamo perché ci ricorda di quando abitavamo nella nostra cameretta a casa dei genitori e dormivamo sotto coperte calde e croccanti. E lui lo sa. Gli piace.

 

Nella mia testa ho ancora 18 anni. Tra un po' li compio per la sesta volta.

Una foto pubblicata da FuckNitro (@robertdenitro) in data:

 

Il sigaro costa 60 centesimi (l'ha detto un tizio tra i commenti e io mi fido), ma tutto il resto non ha prezzo.

 

Una foto pubblicata da ⓣⓡⓥⓟⓚⓘⓝⓖ  (@sferaebbasta) in data:

 

Segui Mattia su Facebook, Twitter o Instagram e aiutalo a rendere questa piaga di rubrica più sopportabile.

È uscito un nuovo disco di Balam Acab dopo quattro anni di silenzio

$
0
0

Foto gentilmente concessa da Balam Acab

C'è un alone di mistero attorno alla figura di Alec Koone, il producer ventiquattrenne dietro al moniker Balam Acab, ma non è certo colpa sua. Forse quella serie di album usciti a suo nome nella prima parte di questa decade, culminata nel cavernoso viaggio di Wander/Wonder , album uscito nel 2011 per l'allora nascente Tri Angle Records—che i critici ai tempi misero in quel calderone di pad spettrali, bassi fondi e sonorità enigmatiche che la gente chiamava Witch House.

La musica di Koone, però, così come il suo carattere, non si sposavano bene con quell'etichetta: chiaramente i suoi dischi erano carichi e fantasmatici, ma infondevano anche una sensazione di conforto e dolcezza che non si trova affatto in produzioni strettamente Witch House. La natura intricata e stratificata della sua musica è ciò che probabilmente ha fatto sì che non fosse poi così semplice per chi vi si rapportava arrivare a conoscere il ragazzo che ci stava dietro. La sua scomparsa dalle scene, poi, ha contribuito ad aumentare l'alone di mistero attorno a lui: circa quattro anni fa Alec decide di tornare alla sua "vita normale"—fatta di studio, sabati sera a guardare Netflix, un po' di appuntamenti e di tutte quelle cose che in molti considerano "noiose", sicuramente lontano dai giri in cui stava tempo fa. Fino a che la vena creativa non ha iniziato a pulsare di nuovo. 

Lo scorso 17 dicembre, Koone ha rifatto capolino nelle nostre orecchie con un album totalmente autoprodotto intitolato Child Death, che, oltre alla sonorità Balam Acab che ci era già familiare, aggiunge batterie col doppio pedale ed elementi indie-rock che rendono il quadro ancora più complesso e impressionista. Attorno all'album è successo ben poco: non è stata organizzata nessun tipo di promozione, nessun tour, non è uscito nessun singolo o video a supporto del progetto, e oltretutto la data d'uscita dell'album coincideva con un momento in cui l'industria discografica andava in pausa pre-natalizia. Ecco perché questo progetto ci piace: ci vediamo un altro passo verso l'intricata oscurità che ci ha insegnato ad amare.

Nonostante questo arrivo fumoso, però, le origini di questo nuovo lavoro di Balam Acab, sono molto meno dark di quello che immaginiamo. Dopo anni di pausa dalla musica in generale, dicevamo, ad Alec era tornata l'urgenza di fare musica. A questa urgenza non poteva che acconsentire, ma ha deciso di farlo a modo suo: rifiutando le avances delle label, che lo volevano in studio, per potersene stare a cazzi suoi, registrare i suoi pad e le sue chitarre da solo o al massimo con l'aiuto di qualche amico. Alla fine è venuto fuori quest'album, per ora disponibile in digitale—l'uscita fisica è prevista più avanti quest'anno per la label newyorchese Orchid Tapes, il cui fondatore Warren Hildebrand ha curato il mastering.

Dopo un paio di email che ci siamo scambiati a orari improbabili—Alec dà la colpa di questi sfasi al fatto che si sta lentamente riabituando a tempistiche normali dopo la lunga pausa invernale—siamo riusciti a farci una chiacchierata sul suo nuovo lavoro fieramente DIY Child Death, la cui genesi assurda è stata per lui come un ritorno alla vita.


Noisey: Il titolo di questo tuo nuovo album è Child Death. Pensavi al tasso di mortalità infantile quando l'hai chiamato così?
Alec Koone: No, in realtà no. È stato strano: ero in tour, era il 2012, e dopo un concerto ero in giro con un po' di gente. Uno mi ha chiesto quanti anni avevo e ha iniziato a farmi uno spiegone filosofico di come ero nel mezzo di un processo in cui avrei chiuso con il mio lato infantile, sarebbe stato un processo doloroso. Nel momento in cui me ne parlava non è che gli abbia dato tutto sto credito, cioè, sono cose strane da sentirsi dire, ma da quel momento l'idea del bambino dentro di me che stava morendo non mi ha più abbandonato.

Ovviamente non si parla davvero di morte, più della fine di una fase. In una sola vita passiamo attraverso molte vite. Ora sono più vecchio, tanto più vecchio di quando uscì Wander/Wonder. Ora ho 24 anni e mi sento di aver imparato un sacco di cose che prima di questo periodo non sapevo e che mi hanno aiutato a lasciar andare quel bambino. Cose come tentare di essere una persona ok, onesta, matura, tentare di dare il massimo e continuare a crescere.

Quindi senti che stai ancora crescendo?
Più o meno. Però quest'album non è un disco di passaggio, anche perché nel frattempo son successe un sacco di cose.

Me ne racconti un paio?
Ok, vediamo. Alcune sono state cose brutte, che mi hanno tenuto giù per un bel po'. Ho imparato com'è stare da soli, veramente soli, per lunghi periodi. Ho avuto la mia prima relazione seria. Ho avuto il mio primo lavoro. Un sacco di roba. Penso che sia normale, no?

Quando hai deciso che saresti tornato a scuola? Questa decisione ha influenzato parecchio la lunga pausa tra i tuoi ultimi album, giusto?
Sono stato in tour per Wander/Wonder fino alla fine del 2012, sostanzialmente. Poi ho passato un periodo nebbioso. Non sapevo che fare di me stesso. Da una parte sentivo una grossa pressione a pubblicare nuova musica, ma non ero granché ispirato. Quindi ho deciso che avrei fatto meglio a tornarmene a scuola, pensavo che in questo modo avrei potuto combinare qualcosa con la mia vita, dato che non riuscivo a combinare nulla con la mia musica. Sai, dovevo cambiare aria.

Ho iniziato a ricevere mail da etichette che mi incitavano a mandar loro materiale nuovo, mi avrebbero anche pagato in anticipo per avere un mio album, ma io sapevo che non avevo nulla in mano, non mi frullava in testa nessuna musica, perché avevo troppa confusione intorno. Per tre anni ho vissuto una vita che potrei definire normale: uscivo, roba così. 

Tre anni è molto tempo, specialmente alla tua età.
Sì, me ne sono reso conto. Il 2012 è stato un anno orribile per me. Ora, però, mi sento di nuovo in contatto con me stesso. Ecco perché posso ricominciare a far musica, ricominciare a riprendere le cose dove le avevo lasciate.

Come mai hai deciso di far tutto da solo per quest'album? Wander/Wonder era uscito per Tri Angle e ora funge un po' da pietra miliare per il materiale tetro e fumoso che hanno pubblicato dopo.
Volevo far uscire l'album senza scendere ad alcun compromesso. Alla fine chi mi segue vuole solo ascoltare della musica. Se inizi a pensare a tutto il casino dell'industria musicale è abbastanza semplice che ti perdi e soprattutto che perdi di vista l'obiettivo principale, che sono sempre i tuoi ascoltatori. Comunque sia, io e Robin [Carolan, il co-fondatore di Tri Angle] siamo mega tranquilli. Ci capita di sentirci e di chiacchierare, e adoro le produzioni Tri Angle; tutto quello che passa dalle mani di Robin è fantastico, ha un gusto incredibile.

Sembra che con questo nuovo album la tua musica sia diventata molto più oscura, più dissonante, più storta di quella che eravamo abituati a sentire, l'hai fatto apposta?
In molti hanno definito "oscura" la mia musica, ma prima non mi era chiaro il perché. Quando sono tornato, è stato assurdo, non ho mai ascoltato musica elettronica, più che altro ascoltavo roba noise o drone, quindi ci ho messo molto di quei suoni, nel disco. Volevo che nessuno avesse idea di cosa aspettarsi, nemmeno dopo aver schiacciato play. In effetti però ero un po' preoccupato che "Glory Sickness" fosse un po' troppo, che la gente avrebbe levato il disco dopo trenta secondi.

Quell'opening, come molte altre parti dell'album, sono registrate live, mentre gran parte dei tuoi lavori precedenti era rielaborazione da sample. Come mai hai cambiato approccio?
Mi mancava il lato fisico della musica. Suono la chitarra da quando ho tredici anni. Ho un sampler, un sequencer e una tastiera JUNO. Wander/Wonder è quasi tutto composto da sample, ma anche quello era un lavoro terribile, perché devi lavorare sui campioni per tirarne fuori il suono che vuoi, e non sempre è immediato.

Mi piaceva tantissimo suonare, adoro scrivere in questo modo, con la chitarra, con il synth, tutti questi strumenti sono stati registrati in maniera analogica. Ho pensato che il pubblico si affeziona facilmente alle canzoni "scritte" nel concreto, più che ai collage di sample.

Pensi che in futuro potrai fare roba ancora più suonata? Un disco rock?
Be', come no? Ho una band nella mia città, in cui suono con un paio di amici. Non si sa mai, magari pubblicheremo qualcosa. Ascolto molta musica rock: ultimamente ho ascoltato molto True Widow, tutto quello che i Teen Suicide pubblicano su Twitter, a cannone. Vabè, i Nirvana, sempre. I Pavement, sempre. Queste band influenzano ciò che faccio molto più della musica elettronica. Sono cresciuto con i beat di Flying Lotus, ma a quell'estetica sento il bisogno di aggiungere elementi rock.

Quindi non farai concerti finché non riuscirai ad avere un setup che ti soddisfa.
Prima facevo tutto da solo dietro ai miei strumenti, schiacciavo bottoni, comandavo i visual, alla gente piaceva perché si ascoltavano i miei live in un club, a volumi altissimi. Questo modo di presentare la mia musica, però, mi è sempre sembrato riduttivo. Ho visto live di band come Animal Collective, che sono pieni di roba elettronica, ma non pre-programmano nulla. Sono in quattro e suonano, anche se suonano tutta la loro situazione strana ambient-psichedelico-elettronica. Ecco, anche a me piacerebbe tirar su una cosa del genere quando ricomincerò a fare live. 

Wow, quindi l'aspetto futuro di Balam Acab è una band.
Esattamente.

Segui Balam Acab su Facebook.

I Fat White Family ballano al ritmo della miseria umana

$
0
0

È impossibile evitare di essere incuriositi dai Fat White Family. Che sia perché non si fanno problemi a scrivere canzoni sul sesso con minorenni o sui peggiori dittatori del secolo scorso, che sia perché sono una banda di teppisti del Sud Est di Londra che, nei propri live e nei propri video, dimostra una tensione drammatica, sessuale e autodistruttiva che non si vedeva dai primi tempi dei Black Lips, o che sia perché sembrano rimasti gli unici a suonare musica retrò con freschezza, nell'occhio del ciclone che sembra ci stia finalmente liberando dalla fissazione con il passato (sperando che dopo il suo passaggio non rimangano solo suonerie da cellulare).

Fatto sta che quando è arrivato in redazione l'invito a intervistare i membri della band, in città per una data al Magnolia, mi sono ritrovato a dire "ci vado io". Nel frattempo avevo ricevuto anche una copia del nuovo album Songs For Our Mothers, in uscita questo venerdì per l'etichetta, gestita dai Fat Whites stessi, dal delicatissimo nome di Without Consent Records. Rispetto al party debosciato che avevano immortalato in Champagne Holocaust, questo album è una vera sorpresa. Inizia con il singolo "Whitest Boy On the Beach" che fa da specchietto per le allodole, con i suoi freddi synth a ritmo di caldo funk, e ti attira nella tana del Bianconiglio. Una volta dentro, è una vera casa infestata dagli spettri di, in ordine sparso: Mussolini, Hitler e Goebbels che si scrivono lettere d'addio, il serial killer inglese Harold Shipman (uno che in patria è talmente odiato che, alla notizia del suo suicidio in carcere, il Sun ha titolato "Ship Ship Hurrah"), Ike Turner in preda a uno dei suoi raptus, il cadavere di David Clapson (morto di povertà avendo perso il sussidio di disoccupazione per aver saltato un colloquio), viaggi spaziali a base di oppiacei, e Primo Levi che succhia il midollo da un osso (usato come similitudine per descrivere una fellatio). Musicalmente, l'atmosfera non è più rilassante: molti dei pezzi sono lenti, cavernosi, spietati. Dal punto di vista dell'arrangiamento è evidente che lo sforzo collettivo è stato notevole, come mi confermerà nell'intervista il cantante Lias Saoudi parlando di pressione e aspettative, perché al di là di un certo filo conduttore nei falsetti e nel tono acido e slabbrato delle chitarre, lo spettro dei generi e influenze scippate, accartocciate e mescolate è quanto mai ampio. Il country mutante ed effemminato di "Love is the Crack" si scontra con i Velvet Underground virati Krautrock di "Satisfied" e "Tinfoil Deathstar", ma la sorpresa più grossa sono le deviazioni neofolk di "Duce" e "We Must Learn To Rise", che si trascinano lente e marziali come una parata di militari sonnambuli. Le ciniche ballate a sfondo nazista "Lebensraum" e "Goodbye Goebbels" richiamano gli eroi dell'underground inglese Country Teasers. L'atmosfera generale è grigia e rancorosa, ma sul tutto si abbatte il ghigno beffardo dei fratelli Lias e Nathan Saoudi e di Saul Adamczewski, le tre menti della band, artefici della sua immagine controversa e della sua aura di pericolo.

Quando arrivo al Magnolia scopro che Saul non c'è, che ha deciso di abbandonare il tour e prendersi "una pausa", si dice in California. L'aria che si respira all'interno del locale, in questo pomeriggio, sembra urlare "non parliamone", così mi accontento degli indizi che Lias lascia cadere nella nostra intervista. Forse un periodo lontano dalle tentazioni della vita in tour farà bene al chitarrista. Quando mi presento, il cantante è sorridente e in vena di battute. Io sono alla seconda birra (allarme professionalità) perché mi hanno detto che sono più simpatico quando bevo. Lui mi imita e si lascia andare a risposte fiume che mi spara addosso con una parlantina veloce, sicura, coperta da un velo di arroganza che sembra nascondere un cuore molto meno nero di quello che ha notoriamente tatuato sul petto. Se continuerai a leggere, scoprirai cosa ci siamo detti.

Noisey: Ogni articolo che parla di voi parte dall'identificarvi geograficamente. Pensi che l'essere di Londra giochi un ruolo importante nella vostra identità? Qual è il vostro rapporto con la scena cittadina?
Lias: Naturalmente sì, anche se io non sono proprio di Londra. Londra è il posto dove le band vanno a cercare di diventare band vere, sai, fare il passo definitivo verso la professionalità, del resto è la città dei Clash e dei cazzo di Stones, non c'è da meravigliarsi. Ma penso che spesso la gente venga da fuori... [interrotto da Nathan che si mette a urlare all'angolo opposto della stanza, dove sta rispondendo alle domande di una collega] Smettila di fare casino! 

Il problema della scena di Londra è che è stata completamente decimata dai cambiamenti sociali in corso. Non esiste l'equo canone, il mercato immobiliare di Londra si è trasformato in una cazzo di banca per ricchi russi e cinesi, per cui si crea un effetto trickle-down che risulta in una totale mancanza di edilizia popolare, voglio dire, non ci sono più case popolari. Per cui la dinamica di questa città, i lavoratori a paga bassa che vivono a fianco dei milionari e dei bohemién, è stata completamente azzerata. Dal 2007 mi sembra che il 40 percento dei locali per fare musica a Londra abbia chiuso, e questa tendenza non si invertirà. La scena musicale di Londra sta morendo, senza dubbio. Quello che noi rappresentiamo al momento è l'ultimo respiro, essenzialmente. I pub e gli squat e i posti dove abbiamo imparato a fare quello che facciamo. Perché non c'è l'università per gruppi rock, per cui a meno che tu non abbia un papà e una mamma molto ricchi, che ti mantengano mentre tu insegui il tuo sogno idiota, le cose si fanno molto dure per te. Ma quei posti erano una sicurezza su cui potevi sempre contare per commettere tutti gli errori che sono richiesti per diventare bravi in qualcosa, che di solito sono dieci anni circa di errori. A meno che tu non sia un cazzo di genio, cosa che io sicuramente non sono.

E secondo te dove vi trovate su questa linea? Siete professionisti, un gruppo ormai ben avviato, o vi sentite ancora come dei cazzari qualunque che si divertono?
Sono due anni e mezzo o tre che faccio questa vita, più di ogni altro lavoro che ho avuto. Non posso permettermi un appartamento con i soldi che prendo, per cui sono ancora praticamente senzatetto, ma dato che sono in tour l'ottanta percento del tempo, oppure in studio, non mi serve una casa a Londra, anche se mi piacerebbe avere un tetto sopra la testa, voglio dire, non chiedo mica la luna. In un'epoca diversa sarebbe stato possibile, sai, quando la gente pagava per avere i dischi invece di scaricarli. Ora se fai il musicista sei fottuto, praticamente, ti fanno andare in tour finché non ti cadono le dita. Per cui non è un futuro brillante, ma... che posto occupo? Vorrei raggiungere un pubblico abbastanza ampio da andare in tour e pubblicare musica che, anche se non è per forza meglio di quella che è uscita prima, la gente comunque sia disposta a pagare un biglietto, capisci? Anche se io faccio del mio meglio perché non faccia schifo. Cerco sempre di non illudere il pubblico. Per cui vorrei arrivare a quel punto. Presto pubblicheremo il nostro secondo disco, e uscirà anche un album dell'altro mio progetto, The Moonlandingz. Cerco di mettere fuori più cose possibili, sai, cerco di guadagnarmi il mio spazio nel quadro complessivo. Di base non voglio più fare pizze, che è il lavoro che avevo prima.

Che ruolo ha in tutto questo la vostra scelta di autoprodurre il prossimo album?
È autoprodotto di nome, ma in realtà ci finanzia la PIAS, che è un'azienda che supporta la musica indipendente. Sussidiano le etichette indipendenti e hanno fatto a noi un contratto da etichetta, il che significa che se abbiamo un progetto che ci interessa—come i Moonlandingz—tirano fuori un po' di fondi e ci aiutano a promuoverlo e a gestire la nostra etichetta. Come funzioni esattamente a livello legale, non lo so.

Per cui è comunque una scelta artistica.
Be', quando abbiamo firmato la prima volta... Voglio dire, volevamo scrivere pezzi sullo scoparsi le bambine, bombardare i parchi dei divertimenti, volevamo scrivere lettere d'amore da Joseph Goebbels a Adolf Hitler, volevamo scrivere di Tina che picchia... no, cioè, di Tina che prende un sacco di botte da Ike, volevamo parlare di Josef Stalin, volevamo parlare di quello che ci pareva. Non volevamo parlare di, sai, le solite stronzate pop di merda. Non siamo i Foals, non siamo i Mystery Jets, non siamo, boh, Florence and the Machine. Non vogliamo suonare negli stadi, non ce ne frega un cazzo, vogliamo essere in grado di fare quel che ci pare ed essere pagati il giusto. Per cui creare la nostra etichetta è un modo per dire che vale tutto, pubblichiamo quel che ci pare. Allo stesso tempo, che PIAS abbia investito su di noi è stato fantastico, perché ci ha messi in condizione di fare davvero tutto quel che ci pareva e passarla liscia, e questa roba avrà comunque un certo seguito. Voglio dire, siamo qui in Italia a suonare, il che, per me, cinque anni fa, sarebbe stato un sogno assoluto, sai, venire in Italia e suonare in qualunque situazione. È strano: ci sono in giro migliaia e migliaia e migliaia di gruppi e sono tutti qua sotto, a sguazzare nella merda, e avere quella piccola possibilità di [arrivare più in alto]... voglio dire, è dura, è dura per tutti. Perché quello che succede quando fai duecento concerti all'anno è che diventi davvero bravo a fare concerti. Ma per diventare bravo devi avere la possibilità di suonare duecento volte all'anno, per cui è dura, capisci cosa intendo? Per cui quei primi momenti in cui non hai soldi, nessuno crede in te, nessuno investe: quello è il momento in cui devi volerlo davvero, altrimenti non ce la puoi fare. 

Visto che hai menzionato i tuoi testi, mi stavo chiedendo: che cosa c'è dietro a quello di "Lebensraum"? Perché scriverlo in tedesco?
Di base non mi andava di scrivere un altro testo in inglese, così l'ho scritto in tedesco perché ho pensato che me la sarei cavata con meno. È una specie di filippica anti-gentrification, ma scritta in tedesco. Penso sia divertente. Parla, tipo, dei "rami più forti della vecchia quercia che viene abbattuta", robe così, tipo epico immaginario germanico, capito? Che è un tema che ricorre per tutto l'album. Durante le registrazioni ci siamo sentiti un po' come nel bunker di Hitler, c'era quel tipo di atmosfera, perlomeno così mi sentivo io.

In effetti dà una certa sensazione di isolamento, di chiusura, specialmente perché rispetto a Champagne Holocaust, sembrate usare le possibilità dello studio-come-strumento molto di più. C'è un po' di elettronica, chitarre acustiche...
Abbiamo avuto più tempo, più mezzi e molta più pressione. Era come se il mondo aspettasse solo noi, che non è una bella sensazione, ma credo che come autore tu debba abbracciarla, sia come compositore che come scrittore di liriche. Penso tu debba tenere conto del fatto che sei dentro a un dialogo con il pubblico, non un pubblico ampio, voglio dire, non siamo certo delle star, ma, sai, la gente ha un'idea preconcetta di te e sta a te decidere come rapportarti con questa, alla guida ci sei tu. Credo che l'idea di usare lo studio in questo modo, di creare un'atmosfera e un nostro piccolo mondo in cui la gente può entrare, magari strisciando, e farsi un giro, respirare l'aria, sia una prospettiva più interessante di scrivere semplicemente altre canzoni che hanno la stessa utilità di trapanare la testa di un vecchio con un martello pneumatico, che credo sia quello che si fa quando si registra il primo album. Faresti qualunque cosa per farti notare, capisci? Perché le probabilità di farcela sono praticamente inesistenti. 

Con il vostro primo album sembravate cercare di far passare l'immagine che...
Volevamo far passare l'immagine che non ce ne frega proprio proprio veramente veramente un emerito cazzo che la gente ascolti questa musica o no. Ed era vero, assolutamente vero. Non avevamo in mente di trasformarci in professionisti con quell'album, tanto che abbiamo lasciato il paese per andare a suonare sulle strade della Spagna e di Berlino. Non ha funzionato, e siamo ritornati a Londra per fare concerti. Per cui non ci fregava davvero niente, ma avendone la possibilità, i fondi, l'opportunità, credo che chiunque vorrebbe cercare di andare un po' oltre. Al punto in cui abbiamo cercato di creare il nostro piccolo mondo con il suono e i testi... una storia, capisci? Per cui spero che dia questa sensazione. Spero che sia un disco che metti su e ascolti dall'inizio alla fine, non una cosa spezzettata qui e là, qui e là. Che abbia un suono che veicola qualcosa.

Ma ascoltandolo mi sono chiesto: come farete a suonare pezzi così atmosferici dal vivo? Saranno sicuramente molto diversi. Pensate che la vostra reputazione dal vivo come band "da festa" vi abbia spinti a creare un album più riflessivo, più oscuro?
Penso che questo tipo di attrazione ci fosse già nel primo album, quella per un'atmosfera morbida, melodica, un po' sensuale, è una cosa che noi tutti amiamo, ma specialmente Saul, che oggi non è con noi. Siamo tutti grandi fan di quel tipo di musica, folk, country, Joe Meek, Townes Van Zandt, Blaze Foley, Joni Mitchell, Carpenters, tutta quella roba. La amiamo. Ma alcuni di quei pezzi non li suoneremo dal vivo, a meno che non riusciamo a mettere in piedi un tipo di live completamente diverso in cui suonarli, o facciamo un tour apposta per questa roba. Suonare tutto il disco dal vivo sarebbe molto difficile, senza un budget molto alto. Per cui penso che suoneremo cinque o sei canzoni nuove, ne abbiamo preparate quattro o cinque per questo tour e le stiamo un po' testando, poi a febbraio saremo pronti per il primo tour da headliner. Comunque sì, c'è una discrepanza tra il concerto, lo studio e la sala prove e io non ho problemi con ciò. Vorrei che le registrazioni suonassero un po' più live, un po' più ruvide, ma di solito non sono quello che ha l'ultima parola nello studio. Il mio ruolo è quello di concepire una linea vocale, magari un riff, e un testo, e contribuire con questi elementi. Questo è il mio lavoro, principalmente. Compongo musica, ma se lo faccio si tratterà di una cosa molto molto molto molto semplice. Un giro di banjo e una melodia vocale, poi la passo agli altri e loro lo trasformano in qualcosa d'altro. È un ping pong.

A questo punto Nathan ci interrompe.

Nathan: Hey, Lias! Di cosa parla "Love is the crack"? Non parla di crack, giusto? 
Lias: Parla anche di crack. Parla di crack e anche di... "Love is the crack" è, di base, un'altra canzone che ho scritto su Saul, perché io amo Saul, ed è probabilmente l'unica altra persone che ho sempre amato per davvero al di fuori della mia famiglia, ma mi ferisce più di chiunque altro abbia mai conosciuto. In fondo, "Love is the crack" è solo una canzone d'amore. Un botto di testi dell'album parlano dello stesso tema, volevo scrivere un disco che fosse personale, sai. Non solo "scopiamo le bambine", "bombardiamo i parchi dei divertimenti"; volevo scrivere qualcosa che parlasse dei miei veri sentimenti verso le persone nella mia vita. Per cui parla di quello.
Nathan: Grazie. Quindi NON parla di crack. 
Lias: Parla ANCHE di crack! [Si urlano addosso per qualche secondo] Perché puoi avere lo stesso rapporto con il crack. È l'unica cosa che ti dà gioia, l'unica cosa che ti dà felicità, è un feticcio, un'ossessione, e al contempo di distrugge. 
Nathan: Per cui cos'è meglio, il crack o il crystal meth?
Lias: Personalmente: il crystal meth.
Nathan: Per cui il pezzo parla di crystal meth.
Lias: Il pezzo parla di crystal meth.
Noisey: “Love is the crystal meth”.
Lias: Già, “Love is the crystal meth”.

Ci sono altre band che sentite come alleate?
Anche se hanno scritto una canzone che ci insulta, perché sono una manica di stupide teste di cazzo, gli Sleaford Mods sono senza dubbio un gruppo con cui sento di avere un'alleanza. Ogni tanto chatto con Jason e mi incoraggia sempre molto, e viceversa. Amo quella band, amo la loro musica. L'odio, la bile, il sarcasmo. Tutte queste cose derivano dal fatto di vivere in un inferno senza anima, senza speranza, senza futuro, grigio e aziendalista. Vedi, loro sono riusciti a trasformare tutta questa roba in una figata, ed è quello che cerchiamo di fare anche noi. Per cui sento un'alleanza con loro. Ma soprattutto la band a cui ci sentiamo più vicini si chiama Meatraffle. Il loro nuovo album esce in questo periodo, si chiama Hi-Fi Classics, ed è sulla nostra vecchia label Trashmouth records. A tutti i lettori: dovete assolutamente ascoltare i Meatraffle. Sono uno dei gruppi migliori che conosco, con una filosofia fantastica e un suono fenomenale. 

Dall'angolo di Nathan si sente suonare "Double Trouble" dei PIL.

Nathan, che cazzo, puoi abbassare il volume?
Nathan: È lei che vuole sapere cosa ne penso! Mi sta facendo ascoltare un pezzettino veloce. Mi sembra una brutta coppia degli Sleaford Mods, tra l'altro.
Lias: Chi sono, i B-52s?
Nathan: Senti che roba, è disgustosa, cazzo!
È il nuovo dei Public Image.
Quello è il nuovo PIL? Ah, i PIL ne azzeccano una sì e una no.

Allora, cosa stavamo dicendo? Mi parlavi dei Meatraffle...
Oh, e Richard Dawson! Richard Dawson, “The Vile Stuff”. Come band abbiamo sviluppato una dipendenza dall'ascolto di quella canzone, la mettevamo in repeat per circa un mese. Però penso sia uno di quei pezzi che... Perché non l'ascolto da circa sei mesi. È uno di quei pezzi che ti coinvolgono profondamente, molto profondamente. È un impegno. Sono sicuro che tornerò ad ascoltarla, ma è un rapporto che si ha con un romanzo o roba del genere, non leggi sempre lo stesso tutti gli anni. È un mondo creato da lui. Negli ultimi cinque/dieci anni è probabilmente la cosa più forte che ho sentito, dal punto di vista del testo. Per cui, non so cosa pensi lui della nostra band, probabilmente che facciamo cagare, ma io sento una grande affinità con quello che fa lui.

Lo conosco, è di Nottingham, giusto?
No, è di Newcastle. I migliori vengono sempre dal Nord, sai?

So che condividiamo una grande passione per i Country Teasers. Io sono un loro grande fan, e non ho potuto non notare la loro influenza su di voi.
Sì, mi sa che noi li copiamo più di chiunque altro. Del resto, perché no? La loro musica avrebbe dovuto diventare famosa. Mi piace pensare che noi abbiamo fatto la nostra parte nel far sì che più giovani andassero a comprare i loro dischi.

Come Ben Wallers dei Country Teasers, anche tu sei famoso per i tuoi testi su argomenti tabù. Senti una certa pressione per mantenere la tua fama da provocatore?
Penso che, visto quanto rigorosamente, incessantemente monotona è diventata la musica con le chitarre negli ultimi dieci o quindici anni, quanto è diventata dolorosamente e inesorabilmente noiosa e arida e prudente e media è diventata, penso che sia un obbligo naturale quello di andare il più possibile nella direzione opposta e scrivere cose più provocatorie possibile. Voglio dire, non cose totalmente a caso: "Cream of the young" parla di, sai, scoparsi le ragazzine, per cui non è esattamente un argomento facile per la BBC. Roba come questa ha senso, e penso che abbia senso anche parlare di bombardare i parchi dei divertimenti. Penso che queste cose facciano riflettere. Per me è come piantare un totem culturale nel mezzo della canzone. Qualcosa che abbia un contesto storico, a cui il pubblico può aggrapparsi. Qualcosa che sia reale, un vero problema, una vera questione. Se parlo di sesso, voglio parlare di sesso nel modo più intimo possibile, non voglio parlarne come di un'entità estranea, patinata, voglio parlarne come di una cosa che mi fa sentire male. Metà del tempo voglio farlo, l'altra metà del tempo mi viene da vomitare.

Che ruolo ha l'umorismo nelle tue canzoni?
Importantissimo. Voglio dire, le due cose che credo mancassero nella musica degli ultimi anni sono il sesso e il senso dell'umorismo. Non c'era niente che ti facesse arrapare, niente che ti facesse ridere. Voglio dire, cosa vuoi ascoltare? I cazzo di Kaiser Chiefs? I Maccabees? Questa gente di merda. Niente sesso, niente humour. È solo roba media, indie rock per gente media. E noi viviamo in un'epoca in cui è in atto una pulizia sociale nei quartieri di Londra, capisci? E ci troviamo con questi... questi sarebbero i rappresentanti...? Questa gente dovrebbe prendersi un po' di cazzo di responsabilità, fare più casino possibile, dovrebbero dire: questo è giocare sporco, fa schifo, non c'è più speranza... questa è merda. E io non la voglio mandare giù. Finché respiro, finché mi reggo in piedi e posso fare un po' di casino, la mia missione sarà di essere il più esplicitamente sprezzante che posso della realtà che mi viene presentata. È da questo che è partito tutto, più o meno.

Be', direi che io sono soddisfatto. C'è qualcosa d'altro che vorresti aggiungere?
Voglio dire alla gente d'Italia di non perdere tempo ad ascoltare Slaves, Wolf Alice, chi altro? [Rivolto a Nathan]: Oi, chi altro c'è che ci sta sul cazzo? Quali sono gli altri che fanno cagare? A chi dobbiamo rispondere per le rime? Ci sono delle altre facce di cazzo... Florence and the Machine! Esplodesse, quella troia di merda. Chi altro c'è? Dai. Maccabees, Foals...
Nathan: Mac de Marco…
Lias: Mac de Marco! Vaffanculo quel poser! Mr. Nice Guy Cunt, non c'è un cazzo da essere contenti. È una sciagura. "Oh, io sono a casa a non far niente, venite a trovarmi a casa". Ci vengo io a casa tua. La prossima volta che sono a New York vengo a casa tua, brutto stronzo. Chi altro c'è? I Royal Blood, anche se il batterista mi sta simpatico, è un bravo ragazzo, ma loro sì che sono una disgrazia per la musica. E la reunion dei Libertines è una cazzo di barzelletta, sono patetici, voglio dire: facevano già cagare prima, ora che sono sovrappeso non può andare molto meglio, giusto? E con questo ho detto tutto.

Il nuovo album dei Fat White Family Songs For Our Mothers esce venerdì 22 gennaio per Without Consent Records. Puoi prenotare la tua copia digitale su iTunes o in vinile/CD su Amazon.

Segui Giacomo su Twitter: @generic_giacomo

Segui Noisey su Twitter e Facebook

Clap! Clap! verrà distribuito da Warp Records

$
0
0

Warp Publishing, la rete di distribuzione di Warp Records, a quanto pare ha da poco annesso alla sua corte un nome che da queste parti gode già di una certa popolarità, e pure da tempi non sospetti. Cristiano Crisci è Digi G'Alessio e Clap! Clap! allo stesso tempo e nel corso degli anni abbiamo trovato il modo di farvi ascoltare la sua musica prima di tutti gli altri, e in generale di mettervi al corrente delle sue attività, perché cristo dio se spaccano tutte una più dell'altra. Prima di Warp se ne sono accorti Origami Sound e Black Acre, la quale nel 2014 ha prodotto il poliedrico Tayi Bebba.

L'esperienza jazz e la sperimentazione musicale intesa come aggregazione di tradizioni da ogni parte del mondo—percussioni, vocals e campionamenti provengono quasi sempre da Africa, Alaska, Nord America—hanno reso inevitabile, alla lunga, il salto qualitativo di cui oggi siamo testimoni orgogliosissimi, tipo zii con gli occhi lucidi al saggio del nipotino. Sottolinea lo stesso Cristiano, "Ho visto ora dai commenti al post che la maggior parte delle persone hanno capito che ho firmato con Warp Records, in verità ho firmato con il publishing, che prende benissimo ugualmente." "A pensare in grande i risultati si ottengono", come ha commentato la sua e nostra amica Kae su Facebook. Intanto nel dubbio lo abbracciamo fortissimo e riproponiamo il suo set per Boiler Room.

Segui Clap! Clap! su Soundcloud, Facebook e Twitter.


La Witch House vive ancora, in Russia

$
0
0

"Immagina di essere una sedicenne violentata dal padre di fronte a tutti i suoi amici, che poi decide di fotografare quel momento e di mettere tutto su Instagram." Con queste parole, un ragazzo incontrato a una festa a Mosca ha descritto la scena Witch House a un reporter locale (i russi hanno un senso dell'umorismo abbastanza sui generis). Se queste parole vi hanno disturbato, allora hanno fatto centro. L'umorismo nero, sbagliato, estremamente cinico sta alla base della comunità Witch House russa, insieme a un irrimediabile nichilismo di fondo. Siamo chiari, però: stiamo parlando di quella sensazione di disperazione estrema che si trova stampata sulle magliette, più che di un nichilismo culturalmente fondato.

Prima di tuffarci di testa nella particolarissima scena Witch House russa, forniamo un minimo di contesto per chi non sa di cosa parliamo: la definizione "Witch House" è stata coniata nel 2009 dal DJ di New York Travis Egedy (AKA Pictureplane), per prendere per il culo lo stile con cui lui e una sua cerchia di amici avevano iniziato a produrre. "Il mio amico Shams ed io abbiamo deciso di definire in quel modo una specie di house occulta che si costruiva attorno a concetti oscuri. Sai, house music e magia nera," mi racconta Egedy. Quando il termine è comparso in un'intervista con Pitchfork in cui si parlava di Dark Rift—l'album di Egedy che parlava del significato astrologico dell'anno 2012—si iniziò a spargere la voce, fino a portare la Witch House a tutti i blog musicali e persino alle pagine del New York Times.

È facile capire come mai la definizione "Witch House" abbia preso piede così velocemente: catturava perfettamente quella categoria di musica gotico-elettronica che stava destando parecchie attenzioni nella seconda metà degli anni 00: quella fatta di tracce rallentate che incalzavano a ritmi di rullanti trap, riverbero pesante e voci pitchate qualche ottava sotto, tanto da sembrare quasi demoniache. "In un certo senso, c'era bisogno di trovare un nome a tutto questo," dice Egedy. 

Insomma, la Witch House è presto passata da inside-joke a genere musicale vero e proprio, anche grazie a Internet e all'esplosione di label come Tri Angle Records—nello specifico, di artisti come Salem, Balam Acab e oOoOO. Associato alla musica, ovviamente c'era uno specifico look: ragazzini goth costellati di pentacoli e croci, roba da American Horror Story. Per quanto mi riguarda, quella che poteva sembrare una caricatura un po' troppo calcata del disagio si salva perché, sotto sotto, c'era anche una certa ironia in tutto il giro Witch House. Due delle mie tracce preferite, il remix di 35 minuti della traccia di Justin Bieber "U Smile" ad opera di Shamantis e il remix di Salem di "Till The World Ends" di Britney Spears riescono a trasformare canzoncine pop in viaggi oscuri lungo strade perdute.

Ma come è successo a tanti fenomeni culturali, i media hanno perso velocemente interesse per la witch house, specialmente quando è stata sostituita da altri generi iniziati per gioco e diventati semi-seri (sì, sto parlando di seapunk e vaporwave). Ma la witch house è rimasta in vita nel suo habitat originale: Internet. "Penso che in molti Paesi stranieri, e anche in America, un sacco di gente l'abbia presa sul serio", dice Egedy. "Ci sono un sacco di fan veri là fuori. Non gli interessa che sia iniziata per scherzo, perché amano la musica. È uscita un sacco di musica fighissima che si può definire witch house."

La witch house ha anche trovato la propria casa adottiva ideale in Russia, in cui la sensibilità della popolazione si adatta perfettamente all'umorismo macabro di questo genere. "Perché è così in voga? Forse perché è oscura ed estrema, il che funziona benissimo con la nostra realtà", dice Evgenia Nedosekina, che si fa chiamare Jekka quando suona musica elettronica a Mosca. "Naturalmente, se ti piace vestirti di nero e andare ai rave nelle fabbriche riconvertite, la witch house è perfetta".

Una partecipante a una festa VV17CHOU7 (Foto Stanislav Mytarov/Furfur)

La festa witch house più pesa della Russia al momento si chiama VV17CHOU7, che poi sarebbe "witch house" scritto strano con dei numeri che non c'entrano un cazzo. La prima festa è stata in novembre 2013, quando "un paio di ragazzi che adoravano Salem e White Ring decidettero di spargere il virus in Russia", dice Valery Nikolskaya del gruppo gabber di Mosca Kaigerda. "Crearono il VV17CHO7 party, dress code solo nero, in cui i rappresentanti di questo genere da tutta la Russia venivano a fare i DJ attirando sempre più persone".

I producer witch house russi stanno ampliando questo genere a larghezze inaspettate. Questa traccia di Summer of Haze non sarebbe fuori posto nel catalogo PC Music.

L'isolatezza della Russia a volte rende difficile far arrivare artisti dall'estero, e la witch house ha riempito questo vuoto. "I Crystal Castles hanno provato a venire in Russia due volte. La gente comprava i biglietti, ma qualcosa andava sempre storto e il concerto veniva annullato", continua Nikolskaya. "Ma ai russi rimaneva la voglia di questo stile drammatico alla Skins. Per cui VV17CHOU7 si è trasformato, da un posto in cui ascoltare witch house, in un rave gigantesco con centinaia di persone. È stato il festival più grande della Russia tra il 2014 e il 2015, di conseguenza anche la witch house è diventata famosa".

Secondo i giornali locali, la scena witch house russa al momento sarebbe piena di teenager che si fanno chilate di droga ascoltando roba tipo HEALTH e Crystal Castles. Ma la più grossa stranezza viene da una questione linguistica. In russo, HIV si scrive "VIH" e si pronuncia "vic", praticamente uguale a "witch". Grazie a questo simpatico gioco di parole, qualcuno ha creato una pagina chiamata "Witch House con l'HIV" sul social network più usato in Russia, Vk.com, per prendere in giro la scena.

Ancora una volta, però, lo scherzo ha preso un significato profondo, e l'associazione con il virus mortale è diventata una delle caratteristiche fondamentali del genere. (L'intera sezione commenti di questo post sulla witch house russa è pieno di lettori indignati dal fatto che questi giovani celebrino la cultura dell'HIV). 

Eppure, esistono video come questo (che si chiama "v17chou7 pvrty" ed è stato filmato in un manicomio):

La macabra ossessione della cultura giovanile con la malattia non è poi così strana, se pensiamo che la Russia al momento sta attraversando un'epidemia di HIV/AIDS, e il programma conservatore del Cremlino non aiuta a contrastare la diffusione della malattia. Il numero di russi infettati dal virus è aumentato da 500.000 a 930.000 negli ultimi cinque anni, secondo il centro nazionale per la ricerca sull'AIDS. Quando ho chiesto a Seva Granik, un promoter di serate a New York, perché i giovani, sani, benestanti fan della witch house sono così appassionati di barzellette sull'HIV, ha sminuito: "Tipica roba da adolescenti. C'è il culto del nichilismo là, comprensibilmente, per cui ha perfettamente senso". Con 90 mila russi contagiati dall'HIV nel 2014, forse non è così strano che la gioventù nazionale abbia sviluppato un senso dell'umorismo piuttosto macabro.

(Foto Stanislav Mytarov/Furfur)

Perlomeno secondo i conoscitori delle tendenze urbane, la witch house russa sembra avviarsi alla fine. "Tanti adolescenti vogliono solo essere fichi e alla moda; pantaloni aderenti strappati e giacche Adidas classiche sono ovunque", dice Nikolskaya. "Di conseguenza, varie associazioni organizzano feste witch house solo per fare soldi. Ma la gente con un senso estetico delicato (lol) ha capito che la scena sta morendo".

"Oggi, i clubber di Russia preferiscono un 'nuovo stile'", prosegue. "Musica gabber-rave-hardcore con vestiti sportivi colorati, MDMA e pelati rissosi. Vedremo come andrà!"

Anche se l'espressione "witch house" dovesse passare di moda, sono pronta a scommettere che la musica deprimente, sintetica e dark rimarrà viva in Russia nello stesso modo in cui è rimasta viva negli USA per decenni, evolvendosi e cambiando con i tempi, prendendo e scartando una miriade di etichette. Egedy concorda che è sempre la stessa cosa, in un certo senso. "Una volta che la witch house è diventata famosa, tutti sono diventati seapunk, quella era la novità. Passato di moda il seapunk, tutti hanno cominciato a parlare di health goth". Il ciclo dell'hype fa il suo corso, ma la seduzione della musica oscura è per sempre.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Chicoria recensisce il nuovo album di Alessandra Amoroso

$
0
0

Chico Of The Pops è la nuova rubrica pop di Noisey curata dall'esimio Chicoria, nostro fido collaboratore nonché rapper e scrittore. In buona sostanza gli abbiamo chiesto di recensire i dischi pop più scottanti del momento, dove per pop si intende qualsiasi cosa sia di recente uscita e succulenta a livello di visibilità mediatica. Chico è già il top, noi gli abbiamo solo permesso di essere anche Of The Pops. 

Ciao a tutti, m’è toccata la recensione del nuovo disco di Alessandra Amoroso, voi direte: “Che culo!” Io ve dico: “Pè niente”, dato che l’album si chiama Vivere a colori e io vivo piuttosto in bianco e nero. La domanda spontanea che m’è venuta in mente dopo che ho ascoltato più volte tutto il CD è questa: “Alisandra,” con tono perentorio e da padre che vuole spiegazioni, “ma quanti uomini c’hai nella tua vita?! Stai fully covered! È vero eh???"

Dunque, l’argomento tiranno assoluto e sul top della piramide di codesto cd, come un qualsiasi classico pop che si rispetti è: l’Amore, declinato in ogni sua sfaccettatura. Infatti diciamo che in dodici tracce su quattordici c’è sempre un amore impossibile, un “Ti aspetterò anche se arriva la terza guerra mondiale batteriologica,” un uomo inadatto, un tradimento o un piagnisteo riguardante un rapporto di coppia.

E qui vorrei esternare un mio teorema. Se è vera l’equazione che er gangstarap produce dei rompicoglioni che fanno crimine, qui che ci ritroveremo? Delle ragazzine che cambiano pischello nell’arco di una canzone?! Speramo de no. Da quando ho acceso il mio ghettoblaster con Alisandra dentro, credo che i miei vicini abbiano pensato: “Cristo, questo ormai è andato del tutto.” Volume a palla, cannoni fumanti di purple e Alessandra che faceva fuoco ai caricatori della 9 mm dell’Amore.

Traccia numero 4, la title track del CD: “Vivere a colori,” ascoltando il beat notavo un piattino entrante che avrebbe fatto gola anche al Gucci Mane! “Cosa c’è Alisà? Te la senti un po’ di Atlanta che vuoi portare una ventata di Trap nel pop italiano?!” Però poi sempre sullo stesso pezzo si sfocia in una disco music che proprio non ci sta e sempre in “una eterna Roma” eh... vabbe'.

La traccia seguente, lo dice il titolo: “L’unica cosa da fare” è il classico: Tragedione, un Pianto Greco incredibile dovuto ad una separazione sentimentale.

Poi c’è una canzone “Comunque andare” che mi ricorda “Si, viaggiare” di Battisti. “Alisà.. La prima parte del ritornello, je l’hai un po’ rubato, leggerissimamente dico, però quella è l’intenzione no?! E comunque non è colpa tua Alisà!” Immagino i produttori di musica Pop come dei vecchi pezzi d’antiquariato di Mafia che dicono: “Aò, cavallo vincente nun se cambiaaa!” Ecco perché di solito rubano dai grandi successi, perché sanno che il motivetto che ha funzionato una volta pagherà di nuovo.

Certo, il pezzo di Battisti è assai più profondo, qui il tempo è simile ma le parole sono assai più futili. Alessandra un po’ mi ricorda pure una young Loredana Bertè, un po’ più Happy e senza robba. Loredana c’ha la voce un po’ più secca, l’Amoroso più profonda, arriva a prendere toni da lirica e ‘sta cosa se vede pure durante i live, Alessandra c’ha le skills pè sta’ sul palco—io l’ho vista live a Piazza del Popolo tipo 3 anni fa. È l’unica fra un sacco di artisti italiani che ha cantato senza playback e ha spaccato, bisogna riconoscerlo.

Discorso diverso va fatto per “Sul ciglio senza far rumore,” che secondo me è er posto dove trovamo Alisandra quando er pischello suo fa quarche cazzata: Sur ciglio, senza far rumore e co’ ‘na mazza chiodata! mentre aspetta er pischello che è uscito co’ l’amici sua a fa’ er malandrino e Alisandra sa già che tornerà a casa ridotto uno straccio per abuso di cocaina e escort. Lo aspetta lì, covando livore, con una faccia livida e piena di moralità perché sa che dovrà rimetterlo in riga a suon di badilate... Povero cristiano.

Il CD nel complesso è il classico prodotto pop di questi giorni, con dei beat dal mood pop adolescenziale ma che si sposano con sonorità nuove, tipo la traccia conclusiva alla Rihanna. Nell’insieme il lavoro è convincente, la voce di Alessandra spacca, fa er foco, ciò che non mi sconfinferà troppo è riproporre pezzi consolidati di altri artisti come per esempio “Nel tuo disordine,” che è chiaramente ancora ispirata a Battisti, anche se ‘sta cosa però l’ho captata solo al secondo ascolto. Al primo ero troppo occupato a capì che ‘sta strumentale me ricordava vagamente ma più lenta, la sigla di “Lunedi film”, robba anni 80, su Rai Uno.  

Chico quando non è il re del Pop fa il rapper. Seguilo su FacebookTwitter e Instagram.
 
 

Nicole Minetti è una DJ techno

$
0
0



La cosa bella dell'arte è che non ti fa domande su chi sei, da dove vieni, che cosa hai fatto, l'importante è che la ami. E l'amore è quella cosa che ti porta, di conseguenza, a produrre arte, a investire tutte le tue energie nel trasformare la tua passione in una missione.

In molti si lamentano della mancanza di donne nel panorama della musica elettronica, uno degli ambiti lavorativi in cui si soffre di più la latitanza delle quote rosa. Per fortuna, però, sembra che da oggi anche in Italia abbiamo la nostra Nina Kravitz, guardatela qui:

Una foto pubblicata da Nicole Minetti (@minettinicole) in data:


#ChaletTechnoSession probabilmente è il nome del prossimo mix della ex Consigliera Regionale, ex compagna e musa del musicista Guè Pequeno, che grazie all'influenza musicale assorbita nei mesi di frequentazione dell'artista romagnola ha poi avuto una svolta a livello artistico e compositivo con il suo ultimo album Vero. La relazione è poi finita ma cosa stiamo qui a parlare di gossip quando dovremmo discutere delle tracce che DJ Nicole metterà nel suo mix: Len Faki? Carl Cox? Not Waving? Donato Dozzy? Non lo sapremo finché il mix non sarà pubblico.

Per ora abbiamo solo una dichiarazione della DJ a un suo hater:

caro Leonardo, io ho grande rispetto per chi fa musica , non solo questa , ma in generale per qualsiasi artista, attore dj musicista cantante e quantaltro. Questa e' una foto rappresentativa di una mia passione , infatti se leggi bene la descrizione della foto non vi sta scritto ne dj ne producer ne Nulla. Sono in casa mia , ripeto casa mia, luogo privato, ascoltando mixando musica che mi piace , facendo una cosa che mi appassiona. Chi sei tu per insinuare quello che sto " cercando " di fare? Sto semplicemente seduta ad una scrivania con un computer e un mini mixer. Foto innocua, ma forse anche questo piccolo scorcio di vita mia privata da fastidio a chi pur non sapendo niente , NIENTE, di me , si permette di sputare sentenze. Non ti piacciono le mie foto ? Fatti tuoi non le guardare. Fai la tua musica che io faccio la mia. Magari hai paura che divento brava (faccia con occhiolino) un abbraccio xxx

Ma noi non abbiamo paura, abbiamo la certezza che diventerai brava, e restiamo in trepidante attesa degli sviluppi della tua carriera, e se nel frattempo il management di Nicole ci vorrà contattare saremo felici di pubblicare il suo #ChaletTechno mix sulle nostre pagine. 

MinHaters gonna MinHate.

@Noisey_It

Bryson Tiller è il nuovo Drake

$
0
0

Durante l'ultima settimana questo tizio, che si chiama Bryson Tiller, è diventato trend topic su Twitter dopo aver mandato sold out il suo primo concerto a Londra in circa 10 secondi e, al momento, i bagarini stanno chiedendo per 150 sterline per i posti più marci e defilati, in vendita sui siti per biglietti di "seconda mano".

Se ci pensate, 150 sterline sono più o meno il prezzo del biglietto di un concerto di Kanye, con inclusa una bella scorta di birrette e il panino mentre tornate a casa. Sempre con la stessa cifra si può andare a un concerto di Drake e festeggiare l'evento con una bottiglia di champagne (se siete quel tipo di persona che chiama champagne il vino con le bollicine che si compra per meno di cento euro). Potete anche comprarvi una Smartbox-Fuga Romantica da regalare alla persona che più odiate al mondo, con quei soldi.

Con 150 sterline il mondo è la vostra ostrica.

Quindi, torniamo alla questione iniziale: chi è Bryson Tiller e come ha fatto a trasformare il suo primo concerto in un successo di questo tipo? Per gli stolti che lo scoprono oggi abbiamo deciso di mettere insieme una piccola guida che vi permetterà di aggiungere una nuova freccia alla faretra dei vostri argomenti di conversazione. Mi sento qualificata per farlo, visto che ascolto “Don’t” da circa due giorni.


CHI È?

Tiller è il prodotto di un mondo post-Drake, è un suo ritornello che prende vita e diventa una persona e quella persona si chiude in cantina dieci anni per imparare a fare i versetti di Chris Brown e dopo dieci anni esce e si sposa a Las Vegas con Jeremih. Dopo la luna di miele apre un account Soundcloud. Ecco, vi abbiamo presentato perfettamente questo tizio di 23 che viene dal Kentucky, una terra celebre per il pollo fritto e per la musica country. Siccome viviamo in un'epoca straordinaria grazie al web 3.0 o come vi piace chiamarlo, Tiller è stato in grado di diffondere la sua musica molto più in là di quanto si aspettava e ha incontrato un pubblico più vasto e forse anche migliore. Il che ci conduce alla seconda domanda...


CHE COSA SAPPIAMO DI LUI?

Niente di importante, solo quello che riesce a biascicare su un beat trap, probabilmente qualcosa legato a un delirio notturno causato dall'ansia emozionale. C'è tanto di Drizzy in questa roba, quanto c'è Tyga nel profilo Instagram di un adolescente. È davvero evidente che Tiller sia stato in qualche modo generato dal 6 God e Timbaland (sempre metafisicamente parlando). Non avete mai avuto la sensazione che la vita fosse troppo facile per qualcuno? Di essere solo uno tra gli inutili trifogli che nessuno nota mentre cerca il suo fiorellino speciale?


CHE GENERE DI MUSICA FA? 

Si definisce ‘trapsoul’ e ne va piuttosto fiero perché è anche il titolo del suo singolo di debutto. "Faccio solo trap e hip-hop con un po' di R&B, anzi: il matrimonio perfetto tra hip hop e R&B", sostiene, che è un modo carino per dire che copia The Weeknd. Sicuramente si può iscrivere a quella nuova generazione di musicisti che basano gran parte della loro performance su un'intonazione impeccabile e su ritmi che si oppongano al contenuto lirico delle canzoni. La musica di Tiller è costruita attorno e allo scopo di evidenziare la melodia, e la verità è che funziona: riesce a far stare in pieni inni che raccontano una generazione abituata a comunicare tramite .gif e emoji inviate alle 3 del mattino. Canzoni come “Don’t” dimostrano che alcune emozioni si possono esprimere meglio giocando con i tempi tra un battere e l'altro, piuttosto che frignando con alcune parole messe in fila come si deve.

 

Young Tiller in the cut...6 Side reppin as usual on my side

A photo posted by champagnepapi (@champagnepapi) on

 

QUANTO È GRANDE IL SUO SEGUITO?

A giudicare dal prezzo dei biglietti rivenduti diciamo che è piuttosto consistente. Anche la stampa ha iniziato a parlare di lui dopo che il suo singolo "Don't" ha venduto quarantasettemila copie nel solo Regno Unito. Centinaia di fan sono stati lasciati a piangere sotto la pioggia quando i distributori hanno annunciato che lo show era andato sold out durante il primo minuto di vendite. Qualche volpe affamata di uva ha provato a sostenere che se, durante lo show, Tiller provasse a tirare su una ragazza dal pubblico per dedicargliela finirebbe per acchiappare un tizio con le Air Force.

 

OK. MI AVETE CONVINTO. QUANDO POSSO VEDERE UN SUO CONCERTO?

HAHAHAHAHA. Mai, pezzente. Al momento hai più possibilità di trovare Frank Ocean che si mangia un Bounty sulla banchina della metro a Primaticcio. A meno che non decida di organizzare un tour capillare (improbabile) non avete nessuna possibilità di vederlo live. Comunque, i fan stanno frignando da un paio di giorni affinché il concerto venga spostato da un'altra parte e che siano aggiunti biglietti nuovi. 

Per ora, accontentatevi di aver scoperto la Next Big Thing dei profili Facebook ti tutti i vostri amici con i seguaci e mettete su la vostra maglietta di Palace mentre scaricate TRAPSOUL e cercate qualcuno che vi venda delle Yeezy Boost su eBay Annunci. Se fate tutto insieme sarà più o meno come essere ad un concerto di Bryson Tiller (ma anche di Drake)!

Possiamo ancora avere un underground nel 2016?

$
0
0

Una delle più grosse bugie musicali a cui qualcuno (non ho ancora capito chi) ha provato a farci credere negli ultimi dieci anni, è che con l’evolversi della tecnologia e dell’accesso all'informazione, l’idea di mainstream musicale stesse scomparendo. È una stronzata colossale, e i fatti lo dimostrano: a inizio 2016 le star planetarie esistono, si costruiscono ancora fenomeni di massa e, soprattutto, esiste ancora il mercato. Non si sa bene che merci di scambio (vendere dischi? vendere fenomeni? vendere eventi?) e che valuta (soldi? informazione? tempo?) voglia far circolare, però è vivo e produce profitto. 

Insomma, don’t believe the hype: il fatto che tre anni fa Arca abbia prodotto qualche traccia di Kanye West non vuol dire che le barriere siano cadute. Tutt’altro, il fatto che il mondo emerso sia più raggiungibile di un tempo, che i circuiti grossi siano più aperti di un tempo a suoni e scene che prima venivano percepiti come alieni è ancora tutto da dimostrare. Soprattutto considerando che la tendenza ad assimilare l’altro da sé per pararsi il culo è una caratteristica intrinseca della società dello spettacolo. Si comporta così da sempre. 

Ci si racconta questa cosa perché a tutti sembra una diretta conseguenza di un fatto che invece si è verificato davvero, cioé la scomparsa dell’underground come categoria etica. Non di mercato, quindi, ma un settore che si distingue da quello emerso perché basato su presupposti differenti. Se è infatti innegabile che la divisione binaria mainstream/underground fosse una favoletta (le sfumature intermedie sono sempre state tantissime), d’altra parte abbiamo scritto più volte da queste parti che da più di un decennio fuori dai veri confini del business oramai resta solo l’atteggiamento più amatoriale, oppure quello più ignorantemente conservatore.  

Esistono comunque due diverse linee temporali, nel senso che nell’era informatica mainstream e “non-mainstream” viaggiano a velocità completamente diverse. La prima procede a un ritmo vivibile: musica che cambia gradualmente e in maniera fluida, fatta da un numero relativamente limitato di artisti famosi, di cui è possibile seguire agilmente tutte le evoluzioni. La seconda, invece, si muove a un ritmo allucinante: è un ambiente sovraffollato, discontinuo, fatto di interazioni compulsive tra un numero sconfinato di artisti dalla produzione irregolare. Un caos che continua a complicarsi esponenzialmente. 

Negli ultimi quattro anni, ad esempio, abbiamo visto un colossale spostamento di paradigma verso musica elettronica che ha più o meno a che fare col ballo, una contaminazione non-lineare che ha reso accessibili, grazie all’accostamento con cose più fruibili, stili di musica pesantemente derivati da radici indigeste come noise, industrial, improvvisazione radicale, minimalismo, stranezze tropicali. La conseguenza di questa contaminazione è stata la nascita di stili decisamente nuovi e ibridamente futuribili, oltre che l’emersione di geografie nuove ai confini dell’ex-impero. La parabola di alcuni artisti e label di riferimento è stata radicale, al punto da non riconoscersi quasi completamente più nel lavoro di pochi anni prima. Terremoti stilistici di questo tipo si sono sempre riverberati nello spazio collettivo e generano continuamente nuovi sciami sismici di influenza e contaminazione.

È stato proprio questo casino allucinante che ha portato anche in quello che un tempo era un mondo contento di vivere di tozzi di pane la necessità di costruire un sistema che, per quanto minimale, desse la possibilità a qualcuno di non annegare nell’oscurità totale e nella povertà, di mettere le mani su un potenziale commerciale e un pubblico preparato che magari non era vasto come quello mainstream, ma era tendenzialmente globale. Insomma, oggi chi fa musica underground in Europa è costretto in qualche modo a confrontarsi con una struttura gerarchica in cui label, artisti, organizzazioni e location più apprezzati hanno guadagnato potere economico comandando una forma molto irregolare di industria, sono le star di un mercato sparpagliato attorno a qualche cattedrale. Parolacce come ambizione e competizione sono oramai sdoganate pure tra la musica sperimentale e di difficile ascolto. Non che prima le fossero completamente aliene, ma ora non si fa più neanche finta che tra gli “strani” ci sia mutuo soccorso.

Questo per dire che io sono contento che esistano grossi catalizzatori di musica irregolarmente radicale tipo il Berlin Atonal, sono contento di ptermi vedere Russell Haswell live comodamente dal mio divano su Boiler Room, o ascoltare una lecture di Terre Thaemlitz dalllo stesso divano grazie a Red Bull Music Academy,  però non si può far finta di non considerare le implicazioni di un sistema in cui torniamo pericolosamente ad essere dei consumatori. Anche se poi di dischi effettivamente se ne vendono comunque poche centinaia, per farlo è indispensabile farsi cagare dai distributori giusti, avere un ufficio stampa che ti fa arrivare alle testate d’influenza. Questi sono strumenti “da mercato” e, di nuovo, meno male che ci sono e fanno il loro lavoro per tenere in vita chi se lo merita, però è anche vero che inseriscono competizione laddove un tempo c’era un livellamento DIY in cui tutti avevano potenzialmente spazio. Il paradosso che tiene in vita un business così poco vantaggioso è proprio il fatto che non ci entri per soldi, non ci stai per soldi, ma poi ti tocca avere a che fare con la necessità di avere soldi a disposizione. Ok, che l’utopia marxista sognata da Rough Trade negli anni Ottanta (un mercato discografico indipendente a cui tutti hanno accesso e in cui tutti guadagnano alla pari) sia fallita è storia vecchia, ma oggi la mancanza di punti fermi porta a chiedersi su che basi l’underground resti underground.

Perché David Keenan, quando dice che l’underground è morto, non ha per un cazzo ragione, eppure tra le motivazioni di questa affermazione c’è del vero: perché di musica che “lavora in maniera spregiudicata sul ritmo, sul rumore” ce n’è a tutt’oggi una quantità inverosimile, capace di dare un contributo seriamente critico e destabilizzante alla cultura contemporanea, di esserne contraltare. È anche vero però che si è persa la capacità, intrinseca allo spirito DIY di un tempo, di non volersi sentire più socialmente rilevanti degli altri.

David Keenan

Il punto è che, in uno scenario come questo, il tempo di un anno vale quanto quello di un cane: circa 7 anni umani. I dischi che possono uscire in un anno, le scene e i nuovi suoni (più spesso, le nuove presentazioni di vecchi suoni) che possono emergere all’attenzione del pubblico sono infinite. Però i problemi restano più o meno sempre gli stessi. Come fa a un mondo che vuole mantenere la propria integrità artistica a confrontarsi con questo meccanismo perverso? In particolar modo, come si fa a fottersene del mercato cercando comunque di inserirsi in una scena di teste simili alla propria? Un musicista, solitamente, vuole che il suo lavoro si traduca in una serie di esperienze nuove, di nuovi stimoli, di viaggi, di conoscenze, di nuove influenze e collaborazioni.

È difficile fare diventare tutto questo realtà quando ci si trova con le pezze al culo a causa di un’economia schiacciante e tutte le altre amenità che la bella società contemporanea propone. Altrettanto difficile è continuare a sentirsi artisticamente liberi: il ricatto del capitalismo cognitivo ha infettato anche la musica underground. Ed eccoci arrivati al 2016, inizio di un anno che viene dopo quello in cui questa situazione ha raggiunto un picco notevole. C’è comunque da considerare che una condizione del genere ha avuto i suoi frutti positivi. La consapevolezza che possono esistere le condizioni economiche per portare avanti un lavoro che costa tanto tempo e fatica quanto uno normale (spesso più tempo e più fatica) forse sarebbe abbastanza lontana. Al contrario, le tempistiche allucinanti di cui sopra avrebbero tritato tutto.

Quindi, cosa deve fare l’underground nel 2016? Anzitutto acquistare consapevolezza, e da questa guadagnarne in coesione. Il fatto di essere intrappolato in dinamiche che alla lunga ne minacciano la coerenza deve essere un dato condiviso. La coesione, invece, nasce quando l’impegno per sopportare il peso dei problemi di tutto un ambiente diventa comune, quando il peso lo si porta tutti insieme. Per ottenere un'assunzione di responsabilità del genere, però, si deve anche rivedere il rapporto col pubblico, si devono togliere di mezzo le gerarchie, l’esclusività, il disinteresse. Il pubblico deve sentirsi parte di una comunità alla pari che si regge su una partecipazione collettiva. In questo senso devono cambiare anche il modo in cui la musica si rapporta con gli spazi e coi territori.

Se è vero che il passaggio verso il linguaggio elettronico, inteso sia come modo di suonare che di fruire della musica, è sempre più spinto, bisogna chiedersi in che modo si può differenziare l’esperienza di andare a sentire e godere di quella musica da quella di chi ci fa mero intrattenimento edonistico attorno. L’incontro dal vivo deve essere uno scambio di energie tra corpi differenti che condividono un’intensità e che si sostengono a vicenda, anche economicamente, che condividono liberamente i mezzi per stare assieme. È un tipo di passione che si è persa con la morte delle sottoculture, ma che va recuperata per ravvivarla in contesti fatti di suoni e individui di volta in volta diversi. Va difesa da un'idea di accessibilità che non comporti lo sputtanamento artistico dei musicisti.

La conseguenza di quest'apertura orizzontale, e quello che mi auguro per questo 2016 è che finalmente inizino a crollare le capitali, che in Europa non si circoli più attorno a due o tre centri geografici in cui è possibile sia fare che ascoltare che comprare liberamente i suoni più devianti. Perché il business accentrato e gerarchico finisce per trasformare l’underground in attrazione turistica, cosa che nuoce tanto agli abitanti delle capitali quanto a quelli delle province. I primi perché vedono la loro quotidianità trasformata in una specie di safari, gli altri perché invece si ritrovano in un grigiore da cui si può evadere solo spendendo parecchi soldi. Negli ultimi anni il pubblico si è spostato avanti e indietro da questi centri portando via con sé qualcosa, e gettare i semi in casa vuol dire confrontarsi con le specificità culturali ed economiche di un territorio che non dà per scontate certe cose, vuol dire offrirsi come strumento che inserisce nuove informazioni, emozioni e prospettive dentro quel territorio. Questo però non deve portare a una scusa per ghettizzarsi, a provincializzarsi. Anzi, si dovrebbe guardare a se stessi come snodi di una rete senza un tronco centrale, portare avanti conversazioni e scambi di idee.

A livello produttivo servono sacrifici comuni: da una parte, gli artisti più “arrivati” devono rendersi conto che i cachet di Berlino, Londra, Amsterdam non sono gli stessi che si possono chiedere a Milano, Lisbona, Katowice, Belgrado, ma che un’estensione “sostenibile” del territorio che possono coprire giova anzitutto a loro, alla floridità di una scena allargata. Dall’altra vanno sperimentate forme di organizzazione più comunitare, collettivistiche, vanno sperimentati spazi polivalenti che si trasformino in laboratori stabili in cui label e artisti possono fare base comune per aiutarsi a vicenda, ma anche per generare abbastanza risorse economiche per tutti. Perché no, non si deve fare finta di non avere bisogno di soldi come si faceva negli anni Novanta, non si deve fare finta che quello del musicista sia un hobby e non un’occupazione che travolge d’urgenza tempi e spazi di un individuo. È una sintesi di presupposti che può essere fortemente incisiva anche su altri settori della cultura che si stanno sfaldando. Perché, tra tutte, la musica mantiene un entusiasmo partecipativo che difficilmente si può esaurire, è ancora una forza propulsiva di movimento ed emotività. 

Chiaro, c'è chi sta facendo un discorso artistico (prima James Ferraro, poi Holly Herndon, PC Music e gran parte del mondo "accelerazionista") tutto basato sull'invasività del capitale in ogni aspetto della vita contemporanea, il che dimostra già un'interesse per la riflessione su questi aspetti. Sembra però che restare in una posizione ambigua rispetto al problema sia funzionale al loro lavoro (e probabilmente lo è) Il principale proposito per quest'anno di chi lavora con la musica dovrebbe essere iniziare a far montare un dibattito che abbia questi argomenti. D’altra parte il ricambio generazionale rischia di rendere permanenti le criticità, perché si rischia di sentire tutto questo come la norma, però è quella stessa necessità di sopravvivere che porterà tanti a non voler più stare a un gioco competitivo e assurdo, con la consapevolezza di avere i mezzi per costruire una struttura dentro cui i risultati dell’urgenza espressiva possono essere messi in comune.

Segui Francesco su Twitter — @FBirsaNON

Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>