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Il pop italiano vive di copia-incolla EDM

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Una serie di sfortunati eventi mi hanno inferto il desiderio di scrivere qualcosa riguardo a una tendenza preoccupante nella musica leggera italiana. Tempo fa la mia amica Anna mi ha fatto notare che la famosa ex concorrente senza bocca di un X Factor di un paio di anni fa si era voluta lanciare in un auto-rilancio senza mai aver avuto un vero e proprio lancio con un video che è stato definito, durante un aperitivo in vineria, "dubstep". 


Eccolo qui.

Ridevo per "siamo l'avanguardia con il gusto un po' new wave" quando mi è stato fatto notare, dall'altra mia amica e sociologa Simona, che questo pezzo è uguale a "Non mi chiedermi". Vero. Vero ma triste: perché una giovane promettente interprete come la brava Valentina Tioli di cui ricordiamo a X-Factor le performance per... sì e poi anche di ... ehm... dovrebbe mettere il suo talento in mano a discografici che mi immagino si siano raccolti in una stanza e si siano detti "Toh, allora va un po' il dubstep un po' il rap sincopato, prendiamo questa ragazzina caruccia e le facciamo fare quella roba che piace ai giovani". E quindi, anziché un pezzo avremo una specie di assemblaggio di rantoli sopra uno scorreggione (altrimenti detto wobble) che personalissimamente eliminerei dalla faccia del suono. Niente che comunque in "Non mi chiedermi" non fosse presente con ben altra classe. 

Nei video consigliati, l'intelligenza algoritmica di YouTube mi suggerisce il pezzo "Roma-Bangkok" di Baby K insieme a Giusy Ferreri in cui praticamente sembra che abbiano tentato di strozzare la povera Giusy infilandola a fatica in un ritornello che, come nota il mio amico e sopraffino musicista Andrea Mangia aka Populous, appartiene a "un pezzo ESATTAMENTE A METÁ fra "El perdon" di Enrique Iglesias e "Lean on" dei Major Lazer" (tanto azzeccato che il video consigliato alla fine di "Roma-Bangkok" è proprio quello di Enrique Iglesias). Il testo, così come per la povera ragazzina di X Factor ha poco senso e si rende ilare con versi come "voglio una musica che mi ricorda l'Africa", passaggio messo lì per giustificare il prestito culturale in atto.

In questo caso i discografici si saranno messi lì a dire: oh, va questo genere che si chiama tipo dancehall, perché non assegnarlo a una tipa che più o meno potrebbe essere l'unica in Italia a ricordare vagamente Mø, in versione Ostia Beach? 

E lo stesso gioco delle assegnazioni casuali—che poi casuali non sono perché se la cosa fosse lasciata totalmente a caso non si potrebbero conferire colpe ai cervelli sadici di chi costruisce il futuro del mercato discografico italiano—continua con la riflessione: c'è una giovane popstar che funziona parecchio e si chiama Lorde, fa cose un po' strane, chi è che abbiamo di giovane e malleabile qui? Un'altra reduce da talent, Francesca Michielin, che è passata dall'essere una promessa da musical Disney a, appunto, la copiancollatura italiana di Lorde.

La produzione è affidata a Michele Canova Iorfida, che sembra pratico nel copia-incolla, tanto che alle sue mani si affidano anche Jovanotti, Tiziano e Marco Mengoni (vedi sotto). Questo pezzo ricalca in maniera quasi colposa "Royals," e ha pure l'aggravante di farlo un po' all'acqua di rose, in più il testo, che in Lorde fa la differenza (oltre al fatto che la ragazzina dell'altro emisfero si scrive pure i pezzi da sola e non si mette in mano di produttori e discografici dediti al copia-incolla), qui si riduce a robe italianesche tipo "il mio cuore si impiglia nei tuoi occhi". Come se Francesco Sole avesse per caso ingerito Pure Heroine e ne avesse vomitato la forma, contornata da pezzi di pensieri suoi e aforismi volistici, su un disco di Emma Marrone. Per non parlare degli innumerevoli ghost producer di cui non sappiamo perché appunto sono ghost.

Ovviamente il re di questa farcitura EDM resta sempre e comunque l'infingardo Jovanotti, che si è premunito di DJ da apertura e produzioni / mosse alla Stromae, perché minchia che pezzo "Alors On Danse", perché non ricalcarlo? Sì però parliamo di provincia e disoccupazione, vabbè che dei problemi di Jovanotti abbiamo già trattato a sufficienza. 

Ma ricordiamo il vero principe di questo 2015 EDM che è stato sicuramente Nek, cavaliere della luce e dell'elettronica, che si è presentato lo scorso Sanremo con un bangerone in cui onestamente abbiamo sperato tutti, salvo il sorpasso finale dei tre tenorini Il Volo, che ad essere onesti, in questa fogna di livellamento verso il basso alla pseudocultura EDM, suonano quasi come un prodotto originale, salvo la loro affiliazione ad atmosfere da Little Italy pizza mafia mandolino.

Comunque, ricordiamoci ancora una volta di Nek, cantante dalla carriera oramai irrecuperabile, che ha tentato di risalire la china provando a "sorprendere tutti con la cassa dritta della dance/edm"

Presi dall'entusiasmo, al momento dell'uscita del pezzo, non pensammo nemmeno ai potenziali ricalchi da cui l'idea non originale fosse sorta. No, non è vero, ci pensammo e in questo caso, più che alla pura "dance/edm" (come ottusamente definito dal giornalista Lester Bangs Andrea Laffranchi), ci vedemmo una chiara affiliazione a tutto quel filone gay-wave tipo coldplay e simili. In effetti la conferma di quest'affiliazione è arrivata quest'estate quando Filippone antiabortista nostro ha deciso di fare la cover (perché quando la miglior cover era già stata fatta, ai tempi, dai Delta-V) di "Se Telefonando" (Costanzo, De Chiara) regalando alle radio italiane una nuova occasione per diffondere inutilità. In questo caso immagino chiaramente il team discografico attorno al buon Neviani ragionare su come in Italia ci fosse una chiara lacuna in termini di mercato per quanto riguarda il fenomeno che all'estero, e di conseguenza anche qui, spopola, chiamato gay-wave da una critica musicale di una fanzine, rappresentato da Chris Martin e soci. "Neviani è dolce e introverso, ma ha nella sua voce una potenzialità che va oltre il pop, lo trovo perfetto per fare da alfiere della gay-wave anche da queste parti!" E così il mercato discografico conferì a quel che resta di Nek il posto da controfigura che si meritava. 

Un'identità musicale precisa, invece, è quella di Marco Mengoni, la Robyn italiana, che è passato dalle ballate mezze romantiche tipo Tizianone alla vera cassa dritta della dance/edm, lui sì. 

Guarda caso robe tipo la mega hit di Cago uscita a fine 2014 (nonostante i nostri ritardi ci abbiano permesso di risentirne solo quest'estate) e la mengonata estiva potrebbero essere frutto dello stesso team produttivo, il team cago, assemblato per cagare fuori hit che fanno impallidire i tentativi romantic-edm di David Guetta, Avicii e soci miliardari. 

E infine è arrivata anche colei che ho sempre creduto fosse l'ultimo baluardo del belcanto italiano, che invece ho dovuto tristemente metabolizzare come un'altra pedina del sistema discografico ancillare al cassadrittismo: Giorgia. Le vogliono far fare Ellie Goulding, non c'è dubbio che anche una delle nostre cantanti pop più forti sia stata fagocitata dalla macchina di riciclaggio hit.

Vi ricordate "Wake me Up" di Avicii, vero? Ecco, perché non tentare di doppiare anche un successo simile? È quello che si sono chiesti anche i produttori di Malika Ayane, quando le hanno assegnato questo aviciano pezzo che sembra un patchwork di cose e ciononostante, lo confesso, a me gasa un casino. Ovviamente mi gasa perché mi gasa lei (mai nascosto di essere fan di Malika Ayane), però trovo straziante e quasi un urto allo stomaco quelle intromissioni chiaramente posticce di synth tra un vocalizzo e l'altro. 

Molto probabilmente ho dimenticato altri esempi calzanti di come la distruzione della musica italiana, già assediata su più fronti, stia raggiungendo lo stadio finale grazie all'assimilazione senza mezzi termini a logiche di produzione che né appartengono alla tradizione né arrivano da un impulso creativo reale, ma si limitano a tentare di riproporre roba che già altri hanno fatto. Certo, non è sicuramente una novità che in Italia abbiamo la tendenza a taroccare le cose che funzionano altrove e a ricalcare successi altrui (sappiamo bene che tra i fiori all'occhiello del nostro cantautorato ci sono i migliori truffatori di sempre), ma non è mai accaduto in maniera così sistematica, prima d'ora. 

E insomma, ci troviamo nell'imbarazzo della scelta tra essere devastati dalla canzone italiana tout court, dall'indie becero o dal finto progresso proposto da questi pezzi giovanilistici e radiofonici, ma forse quest'ultima è la tendenza più pericolosa, dato che dà l'impressione che il mercato mainstream italiano riesca ad avere una visione lievemente più attuale della musica, quando in realtà è completamente svuotato dalla propria identità e se ne sta fermo ad aspettare a bocca aperta la merda che arriva da altri Paesi. 

Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_


Le migliori zine cartacee della scena dance underground

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Oggigiorno l'idea di dare vita alla tua piccola pubblicazione musicale autoprodotta potrebbe sembrare una follia. A dire il vero, nonostante lo strapotere dei media online, la club culture sta assistendo a un ritorno dei magazine stampati. La loro attrattiva consiste nell'intimità dell'esperienza: le zine rappresentano ancora la voce di comunità unite, di gente che lavora solo mossa dalla propria passione e se ne frega di vendere spazi pubblicitari. In questo articolo ve ne presenteremo qualche esempio di fanzine molto fiche che si occupano tanto di report dalla nightlife di varie città quanto di recensire le ultime uscite, di moda da club e di fotografia. Alcune sono appena nate, mentre altre magari hanno già chiuso i battenti. Gioite tutti e sfogliatele con attenzione.

CLUB ETIQUETTE

 

Questa è una e-zine, che potete leggere gratis e stamparvi sa soli, e ha un taglio più consapevolmente socio-politico delle altre pubblicazioni. Realizzata da The Dance Pit, un collettivo newyorkese che organizza feste e pubblica mixtape, Club Etiquette indaga e critica i vari livelli dell'esperienza club. L'editor Anuradha Golder ha infatti aperto il secondo numero con queste parole:

"Amo la musica dance. Amo conoscere altri che amano la musica dance e osservare come ci si relazionano. Amo anche la comunità dei clubber in generale. Per questo motivo, per il secondo numero di Club Etiquette, abbiamo scelto di dare uno sguardo sulla club culture a livello più macroscopico. L'obiettivo di questa zine è trovare spazi concreti per fare passi avanti su problematiche sociali che possano essere affrontate dentro e fuori dai club. Gli spazi d'evasione sono necessari al godimento di tutti."

Questo è un manifesto, una presa di posizione e una guida su come creare spazi di evasione che siano inclusivi e sicuri per persone queer, trans e sessualmente anti-binarie, ci sono consigli seri su come evitare l'appropriazione culturale, testimonianze di brutte esperienze, oroscopi e persino ricette da ripiglio post-club. In sintesi, Club Etiquette manda messaggi importanti in una maniera divertente, libera e non perentoria. Una lettura fondamentale per chiunque voglia andare a spaccarsi in un club solo dopo avere fatto della seria auto-analisi.

TC MAG

 

Voliamo ora in UK, dove il producer e fondatore di Trax Couture si è gettato nell'editoria dando vita a TC MagAttualmente è una pubblicazione in bianco e nero, e un bel salto indietro all'epoca pre-Photoshop, quella dell'assemblaggio di fotocopie. Concentrata sulle relazioni tra club culture e streetwear, è scritta e realizzata per intero da Rushmore stesso, ede è una specia di blocco degli appunti di una testa apapssionata di design e un perfetto accompagnamento alle release di Trax Couture.

Ispirato da una fascinazione per le riviste di moda come Slam e The source, questa avventura editoriale sembra uscita da una capsula temporale. Dice Rusmore: "Volevo produrre qualcuosa che documentasse il lavoro della label. Un sito web va bene per fare queste cose, ma averne anche una testimonianza fisica è sempre meglio."

LOVE INJECTION

Love Injection è nata quest'anno, è una zine messa sù dai iragazzi della label e party Most Excellent Unlimited. Esiste sia in forma stampata che digitale (e molto economica), ed è una specie di celbrazione di tutte le cose più underground: ha uno stile rozzo-chic che, mentre la sfogli, ti fa sentire le dita appiciciose e coperte di inchiosto, oltre che godere tantissimo.

Se vi dicessimo che dentro ci potete trovare gente come Dope Jams, Mike Servito, Marcos Cabral, Francois K, Danny Wang, Move D e DJ Spider, dovreste esservi fatti un'idea dello spirito. È un vero antidoto alla pletora di riviste patinate zeppe di pubblicità che si trovano in giro, una roba per vere house-heads e non per dilettanti stagionali o clubber occasionali. 

VISITES POSIBILES

Per uno sguardo saturo di colori al mondo della dance di oggi, dovete rivolgervi all'artista canadese (e collaboratrice di DJ Haus) Sabrina Ratte. I suoi video squagliano le cellule cerebrali e sono una componente fondamentale di Le Révélateur, il progetto kosmico che porta avanti con Roger Tellier-Craig, mentre i suoi sforzi fanzinari si sono recentemente concretizzati in Visites Posibiles, una collezione di splendide immagini che ricordano la musica spaziale del duo.

BOY'S OWN

Non possiamo dare uno sguardo alla stampa dance underground senza menzionare chi le ha davvero dato vita. Forse la zine più influente che sia mai emersa da un mondo di nottate insonni, creatività infinita e colla vinilica, il foglietto acid house Boy's Own. Fondata dai luminari della techno Andrew Weatherall e Terry Farley con Cymon Eckel e Steve Hall, la rivista era un misto scarabocchiato di report dai club, articoli a caso sul calcio, e una gran quantità di genuina cazzonaggine inglese. Era scritta con passione ed entusiasmo, si rivolgeva a gente coinvolta al cento percento nella scena ed era scritta dalla stessa gente che quella scena la teneva in piedi. Una copia fisica dell'antologia completa vi costerebbe un'occhio, per cui vedete di risparmiare due soldini leggendovela online.

 

Luca Sigurtà - Warm Glow

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Il lavoro, la firma e la faccia di Luca Sigurtà appaiono lungo le strade strette dell'underground italiano da un bel po' di anni. Ha suonato in progetti come Harshcore e Luminance Ratio, e come solista attraversa la via molto spesso. Si è formato a partire da un regime più strettamente noise per passare presto a usare una varietà di suoni, stratificazioni elettroniche e suggestioni astratte ma decisamente più ampia. Ha fatto un certo numero di dischi, ma sinceramente gliene mancava ancora uno in cui si sentissero belli forti e maturi i frutti di una ricerca decennale. Quel momento finalmente è arrivato: un album per la label polacca Monotype intitolato molto propriamente Warm Glow.

È un disco solo apparentemente quieto, basato soprattutto sulla granulosità rumorosa di nastri riverbero. In realtà suona teso come una ricerca di pace e riposto in uno spazio freddo ma allagato di luce. La materialità di quello spazio, le sue fondamenta, i confini, le mura, sono generate da ritmiche dub profondissime, ma che a volte si sflilacciano fino a perdere completamente la necessità di muoversi e trovano risoluzione nella nuvola magnetica dell'immanenza. In alcune tracce la presenza e collaborazione di altri amici musici aggiunge comparsate organiche di chitarra, basso, tromba, sax (nella bellissima "Pleistocene", che sa di African Head Charge sepolti dal fallout nucleare) e voce (Francesca Amati dei Comaneci che grazia "Boundaries", ballad tra Chelsea Wolf e l'ultimo Andy Stott). Lo straniamento spettrale generato dallo slabbramento dei campioni si ferma sempre a un passo dallo struggimento, e a quel punto torna puntualmente a riflettere su se stesso.

Ma se volete lasciarvi invadere da tutto questo non avete che da ascoltare le tracce che vi offriamo qui in esclusiva. Poi però comprate il disco, dato che esce tra pochissimi giorni.

 

 

Analisi sociopolitica della poetica di Moltheni e J-Ax sulla base del loro dissing

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I due artisti a confronto.

La questione è che Umberto Maria Giardini ha concesso un’intervista a una qualche edizione locale del Corriere, in occasione del suo concerto a Carroponte o dell’uscita del suo disco. Nel sottotitolo dell’intervista, che è l’unica cosa che ho avuto occasione di leggere, se la prende con J-Ax e Nina Zilli. J-Ax posta il trafiletto (lo vediamo per questo motivo) rispondendo con astio a TAFKAMoltheni. Il quale nel pomeriggio si scusa con J-Ax senza scusarsi. J-Ax posta per dire che non accetta le scuse e risponde al messaggio di Moltheni frase per frase. Moltheni risponde il giorno due settembre allo stesso modo. 

Avete letto tutti della vicenda, questo se siete persone che passano il tempo a fare quello che faccio io (spulciare Facebook in cerca di polemiche musicali). Per quanto mi riguarda non è quello che si dice una storia con degli eroi, nel senso che musicalmente non posso dire di essere un fan di J-Ax o di Moltheni. Sembra più uno di quei romanzi alla Ed Bunker in cui sono tutti malvagi o imbucati (Nina Zilli). Essendosi già tutti schierati, e non essendo io in grado di consegnare il pezzo prima di ora, quello che farò sarà un’analisi critica delle parole che sono volate da parte di Alessandro e Umberto, cercando di utilizzarle per dare conto della situazione sociopolitica dell’Italia di oggi, senza dovermi prendere il disturbo di ascoltare l’ultimo disco dei personaggi coinvolti.   

“Sincerità: si pensa che J-Ax non sia male, che Nina Zilli sia capace: non si sa più distinguere il bello”. UMG

Il concetto di BELLO, inventato ai tempi del sesso non protetto con i graffitari nelle caverne intorno al 4200 avanti cristo e giunto fino a noi grazie all’operato di alcuni loschi individui che abbindolavano signorotti locali a signorotti e giornalisti d’arte per scroccar loro un pasto, torna di moda ogni tanto come qualsiasi altra cosa vintage di questo mondo. La penultima volta che si è parlato compiutamente di bellezza in Italia, intendo in senso ideologico e tralasciando gli spin-off tipo Verybello, è stata all’inizio del Sanremo 2014 per bocca del pippone iniziale di Fabio Fazio sul fatto che la bellezza aveva ancora in qualche modo la capacità di salvarci come popolo (pippone interrotto da due operai che minacciavano di buttarsi da un’impalcatura, perché Sanremo è Sanremo). L’ultima volta è stata in occasione dell’annuncio della reunion degli Scisma, glorioso gruppo anni novanta che univa la tradizione dell’indie rock americano alla sensibilità del cantautorato di casa nYAWN, roba tipo Moltheni ma (non tanto) meglio. Tutte le volte che qualcuno parla del BELLO mi incazzo come un puma, LA BELLEZZA del cazzo, IL GENTIL TOCCO, L’ORIGINALITà, COMBATTERE L’IGNORANZA DEL MONDO CON L’ARTE, LA GUERRA DEGLI ESTETI e anche cose tipo IL CRIBER (IL CRIBER è il figlio de IL FABER, lo dico per aggiornare chi non legge il mio blog). IL BELLO è una di quelle cose che se la produci è il caso di aprire la finestra—detto senza tema di smentite, è uno dei pochi campi in cui la cultura contemporanea è riuscita a fare qualche passo avanti, diciamo così. Tra l'altro parlavo con Virginia ieri di questo ossimoro senza precedenti nella storia del pop italiano, la REUNION degli SCISMA. Mi riporta ai tempi gloriosi in cui Massimo fece un disco che si chiamava Minimo—anche molto bello, era uscito su Staalplaat se non erro, lo ascoltai molto più spesso di Rosemary Plexiglass. Che fine ha fatto Massimo? Non capito addosso a un suo disco da anni. 

 

Vergognati, prima come Uomo poi come artista. J-AX

Questa è riferita al fatto che Moltheni concede un'intervista e coglie occasione per dire che J-Ax e Nina Zilli gli fanno schifo. Ora, insomma, capisco l'astio ma non credo che una persona a cui fa schifo un cantante debba vergognarsi come uomo -voglio dire, siete voi a farmi ascoltare i vostri dischi, a farmi guardare i vostri programmi. A me a volte viene il prurito. In questa cosa è implicito un collegamento alla dinamica dell'hater, a tutta quella gamma di sentimenti scatenati dall'arte merdosa (o percepita come tale, ma non nel senso de IL BELLO). Ho una teoria secondo cui gli  hater in realtà non esistono, o sono comunque una percentuale trascurabile della popolazione. La maggior parte di quelli che vengono descritti come hater sono solo persone infastidite dai contenuti che andate a creare e condividere e la ragione per cui sono infastidite è molto spesso che questi contenuti fanno CAGARE, ok? Non c'è niente di male se a qualcuno fa cagare il tuo disco, o il mio articolo, meno male –gli unici che piacciono a tutti tutti tutti, tipo Pasolini e Pazienza, son gente morta giovane che non s'è mai potuta svolgere un beef su facebook e pare brutto trattarla male.   

Tutti coloro che hanno partecipato allo scempio causato dai "talent show" televisivi di questi ultimi anni, non godono della mia simpatia. UMG

Il fatto è che sono tanti. Voglio dire, non sai manco più dove cazzo girarti per trovare qualcuno che non abbia lavorato a un talent show. È che i talent pagano e questa roba non è che sia proprio priva di fascino. Comunque personalmente non credo che ai tempi di quelle robe tipo Castrocaro si stesse molto meglio, intendo sul concetto di musica emergente o cose del genere. La principale differenza dell’oggi è che il pubblico ha la possibilità di scegliere quale cantante preferisce, il quale vince la manifestazione; e poi l’etichetta manda avanti il cantante che sembra poter aver maggiore successo, non necessariamente il vincitore. Ok, nessuna differenza.  

In ogni occasione che mi viene data, nomino chi a mio avviso non rappresenta l'eccellenza in Italia. UMG

L’ECCELLENZA sta a LA BELLEZZA come l’accacì al punk, più o meno, è il passo successivo, la roba per chi non scherza. Sei bravo, ma che mi dici del FABER? E SAM CRISTOFORETTI? Eh? L’ECCELLENZA è come dire a una ragazza che ha delle belle tette ma non necessariamente quanto quelle di EmRata (un concetto brillantemente sintetizzato da Springsteen nel verso you ain’t a beauty but hey you’re alright). Se il bisogno di BELLEZZA genera soprattutto degli Umberto Maria Giardini, quindi tutto sommato degli artisti che se t’infastidiscono basta non ascoltarli, il bisogno di ECCELLENZA genera prodotti culturali che siano percepiti come un progresso di questa nazione, opere magnificenti con quel bel respiro internazionale tipo Paolo Sorrentino, Pavarotti e i Premi Strega. 

L'italiano medio amerà sempre certi personaggi pubblicizzati dai media di ogni tipo, nella politica accade esattamente la stessa cosa. Pensate al governo Berlusconi e poi a quello attuale, facce diverse della stessa medaglia. UMG

Boh, non è vero, no. Oppure la medaglia è la classe politica italiana e grazie al cazzo. 

 

Tanta, troppa gente sta al gioco del potere delle televisioni solo per la visibilità e i profitti che garantisce. Questo fenomeno risucchia, accarezza e distrugge la musica, siatene certi. UMG

Una cosa che il potere non vuole farvi sapere: non c’è mai stata tanta musica buona in Italia come in questi anni. Domanda: l’esistenza di Father Murphy o In Zaire è merito del gioco del potere delle televisioni? Direi di no. Giusto? Giusto. Ne consegue che i talent e la televisione in generale siano con ogni probabilità oggetti culturali dispensabili e fastidiosi, ma non distruggano la musica.   

 

La Z alla fine di fan lascia intendere il tuo snobismo, guarda che fino a prova contraria sei tu che ti facevi chiamare MoltHeni con l’acca. J-AX

L’avete mai pronunciato MOLZENI? Io ogni tanto dico MOLZENI tra me e me e mi metto a ridere.

Quello dei “talent” è un discorso complesso che tu riduci a populismi di convenienza. Fare di tutta l’erba un fascio è appunto, da fascisti. J-AX

La parolaccia con la F è un’arma segreta potentissima e usarla è una cosa da stronzi. Stando fuori a quelli del giro saluti romani, non c’è niente di peggio che fare arte/cultura in Italia e sentirsi dare del f@$C1$7@. Il problema è che spesso questa cosa succede a buffo. Tu sei lì a dire una cosa qualunque su Facebook, arriva qualcuno e ti dà del fascista così a cazzo, con noncuranza. Sotto, inizia a svolgersi un dibattito su questa cosa, gente che garantisce per te e gente che dà del fascista a chi garantisce per te. Tu di primo acchito senti il bisogno di srotolare tutto il tuo CV di manifestazioni, risse, segnalazioni, boicottaggi, affiliazioni, lotte contro il potere costituito: noiosissime, in gran parte inventate o comunque confutabili da ogni leone da tastiera. È successo un paio di volte anche a me, episodi del tutto marginali che mi hanno spappolato il fegato più di tutta la birra che ho bevuto in vita. 

    

Ti ricordi quegli anni ? Io non passavo in radio e tu SI, e sulle riviste “fighe” ci finivi TU non Io, (Nina o Fiorella), non prendertela con noi se hanno licenziato tutti i tuoi amici “giornalisti”. J-AX

Non ricordo questa cosa -ricordo di avere avuto incubi su questa faccenda, cioè tipo canali radiofonici che passano abitualmente pezzi indiepop italiani riconducibili al concetto di BELLEZZA, tipo Giardini o Marlene Kuntz e simili, ma dopo essermi risvegliato col sudore sulla pelle e il respiro affannato ho acceso la radio e fortunatamente passava ancora Roma-Bangkok o i corrispondenti in quell’epoca. 

 

Hai fatto un disco, lo presenti al Corriere della Sera, una fottuta “occasione” per cui tantissimi artisti ucciderebbero J-AX

Li vorrei conoscere, questi artisti –o meglio vorrei sapere chi sono per iniziare a mettere in atto le manovre evasive ed evitare di dovermi mai trovare in un posto pubblico assieme a questa gente–tipo i loro concerti.

 

Piuttosto è una scusa buona per quelli che non riescono a scrivere “hit”, e le HIT oggi le puoi fare anche senza passare in radio, grazie alla rete. J-AX

Non voglio fare lo stronzo sulla musica, ma se radiofonicamente riuscissimo a tornare quanto prima ad una situazione pre-"Maria Salvador" starei meglio. 

 

Ho massacrato politici ignoranti e omofobi, come faccio nelle canzoni da più di 20 anni. Chiaramente tu non conosci me, il mio pubblico, non sai niente della mia “gavetta” e della “nostra” storia. J-AX

Se la BELLEZZA è il punk e l’ECCELLENZA è l’accacì, diciamo che LA GAVETTA è tipo la no wave. LA GAVETTA è quel concetto secondo il quale la tua arte è rispettabile solo se per un certo periodo di tempo non ti ha dato da mangiare. Tra i principali problemi di questo paese, e credo sia un problema di nostra mentalità specifica, c’è che non sopportiamo i raccomandati. Per l’italiano medio, ideologicamente, dovrebbe funzionare tutto in modo che potremmo impropriamente definire weberiano, secondo un concetto burocratico forte/dinamico di selezione automatica del migliore in ogni campo; all’atto pratico stiamo tutti a cercare scorciatoie, contatti e mafiette per dare un calcino avanti alla sorte e poter tirar fuori LA GAVETTA, ex-post, come somma algebrica dei tentativi di aver successo non andati a buon fine. Nel 2015 sarebbe forse ora di accettare che il tuo disco fa schifo anche se lo suoni in un posto occupato e che –soprattutto- questo non giustifica il fatto che i dischi suonati nello stadio facciano appena meno schifo. LA GAVETTA. Diosanto che odio. I gruppi che SI SPACCANO IL CULO, quelli che SPINGONO IL FURGONCINO NEL FANGO. 

 

Fare di tutta l'erba un fascio è doveroso, anche a costo di apparire come tu dici " dei fascisti". Io non ho mai appartenuto a nessuna corrente politica di destra, chi mi conosce sa bene quanta anarchia ereditata da mio nonno scorre nelle mie vene.  UMG

Beh, era logico che Giardini ci cascasse. Però

Ho anch'io una visione a volte severa su come andrebbe gestita in Italia la società e i loro comportamenti da popolo "bue", ma solamente nel bene comune ed esclusivamente contro quella classe dirigente che da molti anni governa questo triste paese. Quindi sii gentile, non venirla a raccontare a me l'attitudine di fare di tutta l'erba un unico fascio, poichè a volte (dico a volte) è giusto che sia cosi' e senza nessun compromesso, soprattutto lla' dove girano i soldi delle reti televisive e di certe produzioni becere che bene conosci. UMG

Ok, forse nel suo caso qualche dubbio è lecito farselo venire.

Io finivo nelle riviste fighe? Ma non esistono ne sono mai esistite riviste fighe di settore in Italia, di cosa parli? Oggi ci si puo' solamente inchinare a Blow Up, al nuovo Mucchio e a Buscadero, ma ben poco altro esiste, figuriamoci negli anni addietro.. UMG

Be', tra non sono mai esistite riviste fighe di settore in Italia ed esistono tre riviste fighe di settore in Italia c’è una qualche differenza. 

Io conosco e stimo molti giornalisti, ma non ho nessun amico nel mondo della carta stampata, te lo giuro.. UMG

Il mondo della carta stampata è fatto in gran parte di gente arrendevole e noiosa: 30% leccaculo, 50% persone educate, 20% misantropi e teste di cazzo –all’incirca. Se fai dischi da vent’anni, li vendi e nessuno vuole bersi una birra con te, insomma, mica ti qualifica come una bella persona. 

 

No carissimo J non debbo lanciare nessun disco. lavoro con La Tempesta da anni e non viene lanciato mai nessun disco. Queste sono le dinamiche che adoperate voi con le strategie delle multinazionali (98% milanesi). Nella scena indipendente italiana il concetto di lancio non esiste; come potrei pubblicizzare un disco che sta concludendo felicemente il suo naturale percorso.Protestantesima sta giungendo al termine del tour, un piccolo trailer di 40", un solo clip, qualche comunicazione agli affezionati, stop... UMG

La cosa che mi fa sorridere in questo è che due fa Umberto Maria Giardini aprì una raccolta fondi per girare il videoclip di una canzone. Mise online anche un video in cui diceva che il video era “carburante che crea altro carburante”, una cosa che a me fa pensare alla promozione (ma forse per lui no). Al di là di questo, l’iniziativa fu abbastanza comica per via dei pacchetti che era possibile acquistare: 30 euro “Spedizione del prossimo EP con dedica”, 60 euro “spedizione del prossimo EP con telefonata di ringraziamento”. Fu un bel momento per la comunità indie-alternative. Trovate la pagina del progetto qui (peraltro raggiunse il traguardo che si era prefissato, possibile indicatore del fatto che ai fan de LA BELLEZZA e de L’ECCELLENZA piace molto essere trattati a cazzi in faccia).

 

Come si puo' non cadere nell'oceano freddo dei nostri pensieri e del significato della nostra vita, quando si ascolta un concerto dal vivo dei Massimo Volume? UMG

I Massimo Volume sono effettivamente tra i massimi rappresentanti de LA BELLEZZA e de L’ECCELLENZA italiana, parlando di musica indipendente. Non è che siano un brutto gruppo, tra l’altro –e l’ultima volta che li ho sentiti dal vivo, dopo due pezzi, sono caduto nell’oceano freddo dei miei pensieri e son dovuto andare a spararmi una birra nel baretto a fianco. 

Francesco Farabegoli di solito queste cose le scrive su Bastonate, ma a volte si concede a noi. Seguilo comunque su Twitter: @disappunto

Il 2015 di Nicolas Jaar

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Foto di Callie Barlow

Dopo due EP in due mesi e un full length con la sua personale interpretazione sonora di un capolavoro cinematografico, possiamo dire di avere prove sufficienti che Nicolas Jaar, dopo quattro anni di silenzio, fatta eccezione per la parentesi Darkside, è ufficialmente tornato. Sabato 7 novembre sarà uno degli headliner dell'ultima notte di Club To Club, assieme a Oneothrix Point Never e la leggenda Jeff Mills. La sua musica è da sempre un agglomerato di echi ambient, house, minimal, che Nicolas sa ibridare in forme sempre diverse. E ultimamente pare che stia affinando i colpi, visto il suo ultimo Pomegranates, ovvero un intenso germogliare di suoni vividi, ricondotti a posteriori all'immaginario mistico/allogorico de I Colori del Melograno, monolite di Sergei Parajanov. 

Come da lui stesso spiegato nello zip contenente foto, artwork, nonché LP completo messo in free download qui, gran parte delle tracce sono state prodotte in contesti completamente estranei al film: alcune nei momenti di nulla post-Darkside, in camera, nella casa dei genitori—"Garden of Eden"—altre sono frutto di commissioni esterne mai andate in porto, tipo "Construction" che doveva essere la sigla di un programma TV e "Shame", mancata base per un rapper ignoto. 

I Colori del Melograno è un film autobiografico, datato 1982, in cui viene trasposta in forma allegorica la vita del regista armeno, con una cura estetica e poetica che prevalgono volontariamente sulla linearità della trama. "All'inizio del 2015," spiega Jaar, "il mio amico Milo ha sentito un paio di queste mie tracce nuove, e mi ha parlato del film. L'ho guardato e ne sono rimasto estasiato. Ho subito capito che tutta la sua estetica calzava perfettamente con gli strani temi per cui mi ero ossessionato negli ultimi due anni... ero curioso di vedere come avrebbero suonato le mie tracce sincronizzate con quelle immagini, e il risultato è stato un trip di due giorni in cui ho realizzato questa specie di colonna sonora fatta di un collage di tutta lo roba ambient realizzata negli ultimi due anni."

L'esperimento, a quel punto, ha assunto caratteri ben più ufficiali: "Volevo fare delle proiezioni con degli estratti e la mia musica, ma il tipo che detiene i diritti di copyright del film non era d'accordo, e non lo posso biasimare. Sicuramente neanche Paradjanov avrebbe gradito che un pischello andasse in giro per New York a menarsela con questa storia della colonna sonora!"

La versione del film da lui musicata è stata caricata su Youtube a febbraio di quest'anno tramite la sua etichetta, Other People, ed è inutile sottolineare quanto in pieno ci avesse preso sull'alchimia tra immagini e suoni. Il progetto è stato rilanciato ufficialmente solo a giugno, quando sempre per OP è uscito Pomegranates, con tanto promessa di stampa in vinile.

Non è la prima figata che Jaar ci promette. Gira voce infatti che sempre tramite l'etichetta, farà uscire un EP di live inediti delle icone no wave Teenage Jesus & The Jerks. Live acerbi di praticamente ogni loro brano storico, risalenti ai primi anni di attività (1977-1979), registrati a New York, al Max's Kansas City e al CBGB e al Horseshow Tavern di Toronto. Non è neanche la prima volta che Nico Jaar manifesta il suo lecitissimo interesse per Lydia Lunch e le sue mille incarnazioni musicali: ad aprile aveva infatti stampato per la prima volta Conspiracy Of Women, l'album parlato in collaborazione con J.G. Thirlwell AKA Foetus, e registrato nel 1990.

L'ultimissima trovata del talentuoso cileno-americano è la supervisione di "Other's People Imaginary Feast", un brano di quattro minuti ottenuto assemblando e combinando svariati sample provenenti dalle mani di gente come William Basinski, Holly Herndon, Powell, Lorenzo Senni, Vaghe Stelle e altri. Lo strumento chiave è stato un particolare sensore, Sensory Percussion, che permette ai batteristi di accedere a un'ampia gamma di sample a partire da un drumkit acustico. Ciò che ne è venuto fuori è questo ennesimo gioiellino dub ambient bello algido, che con queste temperature fa sempre un sacco comodo. 

Nicolas Jaar è uno degli headliner dell'ultima serata di Club To Club 2015, il 7 novembre prossimo, e il suo set comprenderà Pomegranates e tutto il suo ampissimo repertorio musicale.

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Sun Glitters - Undeniable (Go Dugong Cumbiero Remix)

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Il remix di Go Dugong che vi facciamo ascoltare oggi è stato realizzato per un brano contenuto in Galaxy EP di Sun Glitters, uscito lo scorso 20 febbraio e pubblicato in modo indipendente dallo stesso Victor Ferreira. Per questo lavoro ha fatto coppia con Sarah P., ex cantante dei Keep Shelly in Athens, una band dreampop di Atene. Per completare il quadro i due si sono affidati ad Alexander Ogg. Il disco potete ascoltarlo su Bancamp e tra gli altri artisti che hanno lavorato ad un remix, oltre a Go Dugong, si segnalano Foreign Skin, Platonick Dive, Rome in Reverse e Holly.

Per farci raccontare due cosine sul remix e su come sia capitata questa collaborazione, abbiamo fatto due chiacchiere con Go Dugong, ma se ti piace il pezzo e anche quello che stai leggendo, allora forse è il momento giusto per andare a recuperarti l'intervista che gli abbiamo fatto un po' di tempo fa, insieme trovi anche un mixato a tema caffè, erba e felicità.

"Ultimamente è molto difficile che accetti di fare un remix. Non che non mi diverta farli, ma sono incredibilmente lento e mi portano via tanto tempo. Ci sono momenti in cui preferisco dedicarmi alla mia roba e alle mie ricerche e questo è proprio uno di quelli, visto che ho un disco nuovo in uscita prima della fine del 2015 e altro materiale in lavorazione. Tuttavia, quando amici di vecchia data te lo chiedono, risulta difficile dire di no. Specie se si tratta di Sun Glitters, persona e musicista davvero speciale per il quale nutro ammirazione da sempre, pur lavorando in ambiti molto diversi. In questo remix ho eliminato quel sapore "shoegaze" agrodolce (tipico delle produzioni di Victor) versandoci sopra litri di Tequila. Il risultato è un pezzo dalle contaminazioni latine e tribali che potrei vedere bene come colonna sonora di Breaking Bad. Buon ascolto."

Foto di Elena Radice

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Anche Dio si è dovuto riposare, e manco suonava nei Motörhead

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Tutte le foto per gentile concessione dei Motörhead

"Non ce la faccio."

Queste quattro parole hanno avuto l'effetto di un terremoto sul pubblico presente l'altra sera al concerto dei Motörhead all'Emo's di Austin, Texas. Invece di bruciare la scaletta rombando come il solito carro armato, le storiche icone del metal si sono dovute fermare dopo pochi minuti. Lemmy è sceso dal palco a metà canzone; un video caricato da un fan lo riprende mentre si lascia andare a un laconico "non ce la faccio", prima di allontanarsi lentamente e dolorosamente, con l'aiuto del bastone che ha recentemente cominciato a usare. La gente sulle prime è scioccata, ma si ricompone in fretta e comincia a rumoreggiare, non per protesta, ma per incoraggiamento. Un coro crescente si è diffuso per la sala: "We love you! We love you!". Un esempio di solidarietà e supporto comunitario che commuoverebbe anche il metallaro più duro. Dopo alcuni secondi, il frontman sessantanovenne è riapparso davanti al microfono: "Sarei felicissimo di suonare per voi, ma non ci riesco. Per cui accettate le mie scuse. Prossima volta, ok?"

E naturalmente le hanno accettate. Un amico che era presente mi ha raccontato che il pubblico era triste (dice di aver visto dei fan piangere all'uscita), ma "molto comprensivo", e la cosa non mi stupisce. Nessun fan dei Motörhead o del metal in generale avrebbe potuto reagire in altro modo vedendo il grande uomo vacillare in quel modo. Questo non era un capriccio da Axl Rose, o una stupidaggine da ubriacone come quelle di Scott Weiland, o una sbroccata stile Billie Joe. Questo era un uomo che si presentava al lavoro e si rendeva conto di non riuscire a completarlo. Nella sua vita privata, quel bastone è solo uno dei tanti cambiamenti che i problemi di salute hanno imposto allo stile di vita di Lemmy. Ha smesso di fumare, è passato dal Jack Daniel's al vino rosso e poi alla vodka, e pur non parlando delle sue attività extracurricolari, mi sento di ipotizzare che abbia smesso anche con la sua amata speed. Queste sono tutte decisioni sensate e necessarie, ma viene da chiedersi quanto ne sia contento lui. Una volta che non c'è più gioia, che senso ha vivere?

Sono anni e anni che amo i Motörhead; la loro musica è stata una costante da quando ho iniziato ad ascoltare metal e punk quindici anni fa e ogni volta che li ho visti dal vivo è stato una bomba del cazzo. Ho un biglietto per la data di New York di questo tour, e spero tantissimo di usarlo. La maggior parte dei miei gruppi preferiti citano (quando non copiano proprio) classici come OverkillBombers e Ace of Spades. Intervistare Lemmy di persona rimane un obiettivo fisso della mia carriera, e il nuovo album Bad Magic mi fa impazzire. Ciò detto, spero sinceramente che non ci sia una prossima volta; non perché non ami i Motörhead, ma perché li amo troppo per guardarli soffrire.

Mentre i suoi compari Phil Campbell e Mikkey Dee sembrano reggere abbastanza bene (nonostante la dura lunga vita di rockeggio), la salute di Lemmy è problematica ormai da anni. Il concerto di Austin non è il primo che si vede costretto ad annullare per motivi di salute; giusto la settimana scorsa ha lasciato il palco di Salt Lake City dopo quattro pezzi e ha annullato il concerto del giorno dopo a Denver per un problema con l'altitudine (anche il concerto di San Antonio è stato cancellato per le conseguenze di questo, secondo il comunicato ufficiale) e, in aprile, i Motörhead hanno pisciato il festival brasiliano Monsters of Rock annunciandolo soltanto poche ore prima; poi sono arrivate le scuse di Lemmy: "Mi dispiace davvero di non aver suonato. Avevo una cosa allo stomaco e stavo vomitando, quindi non è stato molto divertente. Non ce la facevo". Sentire questa figura leggendaria esprimere debolezza, addirittura sconfitta, è stato traumatico per i fan che per decenni hanno risposto alla domanda "chi vincerebbe nella lotta, Lemmy o Dio?" con il proverbiale: "Domanda trabocchetto, Lemmy È Dio!"

Lemmy è nato nel 1945; ha visto i Beatles a sedici anni e si è barcamenato con un po' di band locali, fino agli Hawkwind, che per lui sono finiti in tragedia, e poi il botto definitivo con i Motörhead nel 1975. È il 2015. Quarant'anni sono tanti per qualunque cosa, figuriamoci per quello che Lemmy fa con tanta passione, energia e attitudine distruttiva; non c'è da stupirsi che sia stanco. Alla base del suo mito c'è il fatto che lui non ha misteri. Nelle interviste, sul palco e nella sua autobiografia brutalmente sincera (intitolata magnificamente e verosimilmente White Line Fever) scopre tutte le sue carte; prendere o lasciare, e non gli interessa particolarmente che cosa sceglierai di fare. Sesso, alcol, droga, rock'n'roll, pantaloni di pelle, notti bianche: questo è quello che Lemmy ha sempre rappresentato, senza ipocrisie e con tanto fascino da renderlo ancora più umano, un eroe leggendario debosciato con cui vorresti davvero bere una birra o venti. Dopo quarant'anni, non può più essere diverso da così e, ora che il suo corpo e i dottori gli chiedono di cambiare, sembra perduto. Il concerto di Austin è stato doloroso da vedere; per la prima volta, è parso vecchio. Mortale.

A Lemmy non posso dire altro che, senti, fratello: non ci devi nient'altro. Non ti rimane più niente da dimostrare a nessuno. Ci hai dato già tantissimo e in cambio hai chiesto così poco. Tutto quello che hai sempre voluto è stato di passare la vita in tour, salire su un palco tutte le sere, suonare qualche pezzo e, dopo, rilassarti con un Jack e Coca. Se non puoi più farlo senza soffrire, è ora di smettere. Lo so che non vuoi vivere per sempre, ma ti meriti di vivere bene quanto ti resta. Trasferisciti in Florida, compra una barca e levati gli stivali, perché te lo sei guadagnato.

Lemmy, non smetteremo mai di amarti, ma vederti morire lentamente ci uccide.

Le donne hanno iniziato a usare i social network per denunciare gli stupri in discoteca

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Illustrazione di Jenny Yuen

A fine luglio, due donne hanno iniziato a utilizzare Facebook per parlare delle aggressioni subite in locali notturni di New York. Pepper Ellett e Mary,* rispettivamente di 25 e 30 anni, non si sono mai incontrate, ma confrontare le loro storie è stato d'aiuto per entrambe, le loro voci si sono fatte eco e si sono date forza in tante maniere inaspettate e significative. Entrambi i post sono diventati virali, anche se gli interventi di queste donne sottolineano i limiti del potere dei social media come mezzo di giustizia sociale.

Nel suo post, Mary descrive l'aggressione subita dal suo ex ragazzo al Bossa Nova Civic Club, un locale abbastanza noto per la scena underground di Brooklyn. Dall'altro lato dell'East River, Pepper dice di essere stata violentata nel bagno da un allora impiegato dell'Happy Ending, un club e ristorante del Lower East Side.

Rifiutandosi di lasciare che le loro accuse venissero perse nel delirio di strobo e macchine del fumo, Pepper e Mary hanno acceso gli stessi dibattiti sulla rape culture che vengono trattati dall'alto, dalle testate giornalistiche. Questi "incidenti", che hanno avuto luogo nei templi della musica e dell'arte newyorchese, hanno sollevato domande riguardanti la vita notturna—ad esempio: come dovrebbe reagire la comunità alle accuse di violenza, e di cosa dovrebbero essere responsabili gli stessi club. 

Mary* ha pubblicato il suo post su Facebook lunedì scorso, il 27 luglio. Il New York magazine ha pubblicato la sua cover story sulle aggressioni sessuali attuate da Bill Cosby la sera prima, cosa che Mary cita nel suo stesso post. La rabbia della ragazza è palpabile dalla prima frase: "Fanculo a voi che continuate a supportarlo o a dargli un porto sicuro nella vostra indifferenza. Mi sono stancata di nascondermi da lui e dai suoi merdosi sostenitori."

In un Google Doc pubblico linkato nel suo post di Facebook, Mary racconta che durante la loro relazione di un anno è stata violata anche da un musicista di Brooklyn che si fa chiamare Frank Midnite (per chiarezza: sono stata a qualche evento in compagnia di Frank e lo considero un tranquillone). Una sera, nel settembre 2014, Mary dice che Frank l'ha aggredita al Bossa Nova, poi le ha messo le mani al collo su un albero vicino al bar mentre la graffiava e le tirava ripetuti pugni. "Per settimane ho dovuto trovare scuse per quello che mi era successo," scrive. "In un'occasione ha comprato una crema per escoriazioni e me l'ha applicata, tentando di cancellare quello che lui stesso aveva fatto." Qui ci sono le immagini delle sue ferite, anche se non è chiaro il momento in cui sono state fatte. (Frank, per la cronaca, si è rifiutato di parlare con noi.)

Foto delle ferite di Mary, incluse nel suo Google Doc

Dopo meno di otto ore, il Bossa Nova ha pubblicato una dichiarazione sulla sua pagina Facebook: Frank è stato bandito a causa di "prove schiaccianti e gravissime" a sostegno delle accuse. Le donne più in vista della scena electro, come Frankie Hutchinson, co-fondatrice del collettivo techno femminista Discwoman, hanno appoggiato la decisione. "Siamo molto sollevate dal fatto che il nostro locale preferito prenda sul serio la sicurezza delle donne, tanto per cambiare. Pensiamo che sia molto più importante garantire la sicurezza che aspettare di vedere se qualcuno è colpevole o no", ha scritto Hutchinson in un commento.

Altre hanno criticato la presunzione di colpevolezza del club, alcune donne si sono anche chieste se il divieto d'ingresso sarebbe stato applicato anche ad altri uomini accusati di violenza. Secondo il proprietario John Barclay, la risposta è semplicemente "sì". "Non siamo un'agenzia investigativa, ma se qualcuna porta alla nostra attenzione un reclamo di questo tipo con delle basi fattuali, l'accusato sarà bandito", ci ha detto. "Meglio prevenire che curare."

Il giorno dopo, Frank si è sottratto alle accuse tramite un post sulla sua pagina Facebook, chiamandole "esagerazioni... al punto di raccontare bugie". Ma il danno alla sua reputazione era orami fatto. I commentatori lo hanno chiamato stupratore e violento sotto un articolo su di lui su New York, sotto le sue canzoni su YouTube e sulla pagina Facebook di Bright Future Sounds, un altro dei suoi progetti. Un'intervista con lui è stata tolta da YouTube. Sono stati creati profili sui social media a suo nome – la bio dell'account Twitter @frankmidnite recita semplicemente: "Picchio le donne". La foto profilo della sua pagina pubblica è stata cambiata utilizzando un diffuso meme: "Keep calm perché sono innocente".

Nelle settimane che sono seguite al post di Mary, molti membri della comunità musicale hanno condiviso le loro opinioni sui social media. @LILINTERNET, DJ, producer e direttore creativo di base a New York che ha lavorato con Skrillex, Diplo, Beyoncé e altri, ha commentato su Facebook: "RIGUARDO ALLO SCANDALO DI CUI TUTTI PARLANO SU FACEBOOK: IO NON CONOSCO [FRANK]. MI SEMBRA SOCIOPATICO, DAL MIO PUNTO DI VISTA DA LETTORE DI DSM-V DELLA DOMENICA". Mettendo in dubbio la veridicità della negazione di Frank, @LILINTERNET ha aggiunto: "SE CI PENSI RAZIONALMENTE, C'È TIPO LO 0,1% DI POSSIBILITÀ CHE QUESTO TIPO DICA LA VERITÀ [sic]".

Continua sotto...

Su Starwave, un famoso gruppo su Facebook per musiciste e artiste donne, il Google Doc è stato postato due volte da due persone diverse. Una sostiene di conoscere Frank da quando aveva diciassette anni, e che "tutti dovrebbero tenere presente questa cosa e fare in modo che le proprie amiche siano al sicuro". Due altre donne hanno scritto che Frank le aveva contattate. Una ha dichiarato che Frank le aveva chiesto di vedersi mentre era a New York. "SONO DAVVERO CONTENTA DI NON AVERLO FATTO", scrive.

In seguito a queste accuse, Frank è stato bandito da altri spazi a Bushwick. L'organizzatrice di eventi Darcey Leonard ha confermato a THUMP che House of Screwball, una compagnia di produzione che co-gestisce, l'ha bandito dai loro eventi Circus of Dreams al bar Bizarre, alla Tarot Society Gallery e alla Reading Room. "Il divieto è permanente", ha detto Leonard.

Inviando messaggi privati su Facebook, un DJ locale di nome Lolo Haha ha spinto altri dieci importanti promoter e musicisti a evitare di ingaggiare o far entrare Frank, a meno che lui non entri in un "processo di presa di responsabilità" per riguadagnare la loro fiducia. Lolo Haha ha dichiarato a THUMP che spera che questa presa di responsabilità aiuterà la comunità a guarire dagli effetti divisori che questi avvenimenti hanno avuto. "La realtà è che questa persona non è l'unica a comportarsi così. Succede in tutto il paese," sostiene. Quando gli chiediamo perché impedire a Frank di frequentare i locali sia un passo obbligatorio verso la responsabilità, Lolo Haha fa una pausa. "Penso di essermi mosso in fretta per essere reattivo.

Prima di pubblicare il suo post su Facebook, Mary ha fatto girare il Google Doc per i sette mesi precedenti, mandandolo a donne legate a Frank e postandolo su thread di Tumblr e Facebook. È così che è venuta a sapere di Susan* e Kat, due altre donne con accuse simili da rivolgere a Frank. Gli scambi di SMS tra le tre donne sono incluse nel Google Doc come amaro finale.

Abbiamo contattato Susan e Kat, che ci hanno spiegato i loro SMS. Susan dichiara di essersi svegliata in casa di un'amico comune a Santa Cruz nel 2010 mentre Frank la stava toccando e si stava strusciando su di lei. Lei ha protestato, ma lui non ha smesso, così lei ha deciso di tornare a casa in macchina pur non essendo in condizioni di guidare.

Kat sostiene di essere stata a casa di Frank a Brooklyn in gennaio 2015, fatta di acido, cocaina e "abbastanza alcol da mettere al tappeto un cavallo". "Lui mi ha proposto di andare a casa sua per scaldarmi e riprendermi un po' prima di tornare a piedi dove avrei dormito", racconta Kat. "Una volta in casa, mi ha dato da fumare per 'rilassarmi'. Prima che potessi accorgermene, mi aveva alzato la gonna, fatto un buco nei collant, e cominciato un rapporto sessuale. Ho protestato, ma a quel punto ero immobilizzata. Non avrei mai fatto sesso con lui se fossi stata sobria."

Alla domanda se si sia rivolta alla polizia, Kat ha risposto: "Col cazzo. Ci sono già stata per aggressioni subite altre volte e, anche se avevo fatto tutto 'pulito', la polizia non ha fatto niente a parte farmi rivivere il trauma. Perché dovrei riprovarci in circostanze più 'scandalose'?"

La riluttanza di Kat non è certo una sorpresa. Secondo la RAINN (Rete Nazionale dello Stupro, Abuso e Incesto), solo il trentadue percento degli stupri sono denunciati alla polizia, il che li mette in cima alla classifica dei crimini meno denunciati. Tuttavia, un articolo del New York Times di giugno dal titolo "Le statistiche degli stupri in crescita evidenziano un po' di progresso" suggeriva che sempre più vittime si stanno facendo avanti grazie alla diminuzione dello stigma sociale. Quest'anno a New York, gli stupri denunciati sono cresciuti dell'otto percento e le molestie sessuali del 18 percento. Tuttavia Liz Roberts, vice presidentessa di Safe Horizon, la più grande agenzia della città al servizio delle vittime, ha dichiarato al Times che non avesse "alcuna ragione per credere che ci fossero più molestie sessuali di quelle che c'erano l'anno scorso a questo punto" a causa di altri fattori, come la costanza del numero di chiamate al numero verde dell'organizzazione. Inoltre, in quartieri ad alto tasso criminale come Brownsville, le denunce di stupro sono quasi raddoppiate anche se i numeri degli assassinî e delle sparatorie sono scesi. Questo suggerisce, scrive il Times, che gli sforzi dei gruppi di sostegno, dei centri di aiuto e delle università stanno cambiando una cultura di omertà. 

È proprio per aiutare più donne a farsi avanti che la venticinquenne Pepper Ellet ha pubblicato questo post su Facebook venerdì trentun luglio, cinque giorni dopo quello di Mary. "Tacendo farei un torto alle altre donne", scrive Pepper. "Stare in silenzio su questi argomenti è... ciò che mantiene la maggior parte delle persone nella credenza che questi siano incidenti isolati e astratti, non un'epidemia che ci coinvolge tutti e da cui siamo colpiti ogni giorno delle nostre vite".

Mentre Mary ha messo in evidenza il nome del suo sospetto violentatore, i suoi molteplici alias musicali e anche un amico-collaboratore, Pepper non è stata in grado di chiamare per nome l'uomo che accusa di averla violentata nel bagno dell'Happy Ending. Pepper ci ha detto che crede di essere stata drogata, e che tutto ciò che ricorda è che "avevo i pantaloni abbassati e stavo facendo pipì, e poi mi sono resa conto che c'era qualcuno in bagno con me. Mi ha detto di succhiargli il cazzo, e io gli ho detto di no. Ricordo la sensazione di essere presa contro la mia volontà, e poi non ricordo più nulla." Ha saputo il nome del dipendente solo più avanti quando suo padre ha chiamato il locale, e il co-proprietario Oliver Stumm (che fa parte di un duo di DJ e gestisce un'etichetta chiamata A Touch of Class) gli ha detto che era stato licenziato immediatamente dopo che la direzione aveva esaminato le registrazioni delle telecamere di sicurezza. (Stumm non ha voluto rilasciare commenti.)

Pepper ha usato il post per diffondere informazioni sulle risorse meno usate dalle vittime di violenza sessuale nello stato di New York, incluse le spese mediche coperte dallo stato. Ha anche descritto il processo di denuncia per uno stupro. Secondo lo stesso articolo del New York Times, il Dipartimento di Polizia di New York ha recentemente tentato di velocizzare la procedura, ma l'esperienza di Pepper suggerisce il protocollo attuale ha ancora svariate mancanze. Dopo essere stata interrogata "come una criminale" nel corso di dieci ore da tre diversi turni di agenti, e aver assistito "al maneggio maldestro del kit per la raccolta delle prove di stupro, che veniva buttato in giro da un poliziotto", Pepper ha detto che un agente ha insinuato che lei fosse una "party girl", dicendole: "Lo sai che pentirsi di aver fatto sesso con qualcuno non è la stessa cosa che essere stuprate". Alla fine dei procedimenti, dieci ore dopo, Pepper non aveva idea di come sarebbe proseguito il lavoro sul suo caso. Quando ci siamo sentiti, una settimana dopo il suo post, non era ancora riuscita a mettersi in contatto con l'investigatore incaricato. Il NYPD ci ha confermato in separata sede che il caso è aperto e le indagini da parte della Squadra Vittime Speciali di Manhattan sono in corso.

Pepper era agitata perché le avevano appena comunicato che l'Happy Ending aveva dei filmati a circuito chiuso che la ritraevano mentre baciava e abbracciava l'accusato prima del presunto stupro; questo materiale, ha dichiarato un portavoce del locale al New York Post, indicava "consenso al novanta percento". In seguito a questa dichiarazione, il portavoce è stato licenziato. "È stato un vero shock", ha detto Pepper. "Non sono sicura di poter riconoscere il tizio. È davvero strano perché c'è un filmato di lui che mi tiene per mano e quindi non si tratta più di stupro da parte di uno sconosciuto."

"Mi rendo conto che si possa avere un atteggiamento sensuale verso qualcuno, e questi possa oltrepassare il limite del consenso", ci ha detto Maurice Sercarz, avvocato dello studio Sercarz e Riopelle e professore di legge alla Fordham University School of Law. "Se c'è costrizione con la forza, si tratta di stupro, indipendentemente da quanto possa essere successo pochi minuti prima."

Eppure, Sercarz ammette che portare in tribunale un caso di stupro sia complicato, perché i procuratori distrettuali tendono ad agire soltanto quando sono abbastanza sicuri di ottenere una condanna. "La decisione di non presentare un caso o di non imputare nessuno da parte di un gran giurì non è necessariamente un verdetto sulla condotta della donna", ha aggiunto Sercarz, tracciando un collegamento con casi recenti in cui i gran giurì hanno deciso di non procedere contro degli agenti di polizia per crudeltà verso le minoranze. "Può anche semplicemente esserci un problema procedurale, una mancanza di prove. Non significa dare la colpa alla vittima."

"Il nostro sistema giudiziario prevede che le vittime presentino le prove del fatto che sono vittime", ha detto Leslie Dinkins, un'assistente sociale di Atlanta che lavora su casi di violenza domestica da più di un decennio. Questo sistema ha portato alla condanna di appena il due percento degli stupratori imputati, secondo la RAINN. 

Forse il motivo per cui ci aspettiamo così tanto dalle vittime è la paura, ha ipotizzato Dinkins. L'ha chiamata "l'illusione della sicurezza", un'espressione mutuata da Gavin de Becker, autore di The Gift of Fear ed esperto di comportamenti violenti. Spiega Dinkins: "se non diamo la colpa alle vittime, siamo costretti a riconoscere che ci sono più violenti di quanti preferiamo credere. Non vogliamo credere alle vittime perché non vogliamo scoprire di essere stati fregati, o che non siamo al sicuro."

La voce di Pepper tremava al telefono mentre mi diceva: "Riesco a malapena a tenermi a galla al momento. La gente mi chiede prove. La mia vagina è lacerata, la cervice infiammata, sono state fatte fotografie dei lividi che avevo su tutto il corpo. Non è un episodio di Law and Order Unità Vittime Speciali, questa è la mia vita". Poi ha fatto un respiro profondo. "Non mi pento di quello che ho postato su Facebook perché ha permesso ad altre persone di raccontare le proprie storie e sentirsi più forti. Ma forse avrei dovuto aspettare."

Poco dopo la nostra conversazione, l'Happy Ending ha rilasciato una versione tagliata del video di sorveglianza, chiamandolo "Le telecamere non mentono – la risposta dell'Happy Ending a Pepper Ellett la notte del presunto stupro". È accompagnato da un testo che confronta la versione di Pepper con quello che vediamo nel video: lei che parla con l'imputato, lo abbraccia e lo bacia prima e dopo essere stati nel bagno.

Un fotogramma del video di sorveglianza reso pubblico dall'Happy Ending in risposta alle accuse di Pepper Ellett

Il video è stato eliminato il giorno stesso, e il comproprietario dell'Happy Ending Max Levai ci ha mandato un'email di scuse per i "problemi di comunicazione". "I commenti rilasciati sia dal mio comproprietario e dal mio ex-responsabile della comunicazione negli ultimi giorni sono stati fuori luogo. Non riflettono la serietà con cui sto affrontando la situazione."

La risposta difensiva dell'Happy Ending contrasta con la decisione del Bossa Nova di prendere le parti della presunta vittima. Eppure le loro reazioni così diverse fotografano perfettamente l'ambiguità delle responsabilità dei locali rispetto a questo tipo di avvenimenti. I bar e i locali non sono obbligati per legge a riportare episodi di violenza, e un portavoce del NYPD ha dichiarato a Gothamist che l'Happy Ending non avrebbe avuto l'obbligo di denunciare il proprio dipendente.

Eppure molti bar e locali prendono iniziative volte a creare spazi sicuri per i propri avventori. "Il pericolo è che se non denunciassero questi reati, il giorno o la settimana o l'anno dopo, se il dipendente aggredisse qualcun altro, ci sarebbero gli estremi per una responsabilità civile da parte dell'attività", ci ha spiegato Sercarz. Inoltre, questi episodi non fanno bene agli affari. Secondo un reporter di Jezebel, l'Happy Ending, che fu già vandalizzato in maggio con una scritta che diceva "Bruto" dopo che il comproprietario Teddy Perweiler fu arrestato per aver aggredito la sua fidanzata di allora Julia Fox nel locale, fosse vuoto nei giorni immediatamente successivi al post di Pepper su Facebook. 

Graffiti davanti all'Happy Ending (Foto via Jezebel)

In luglio, molti dei locali e dei bar più in vista di Brooklyn insieme al NYPD hanno lanciato una campagna per la sicurezza chiamata #OutSmartBK. Secondo una portavoce, il progetto è stato lanciato per contenere la crescita dei reati nell'area nord di Brooklyn "in modo non allarmante" ed è iniziato quando il comandante del 90° distretto, il vice ispettore Mark DiPaolo, ha contattato il co-presidente di BBAR e operatore di The Woods David Rosen per entrare in contatto con il target giovanile della nightlife. La campagna è sostenuta da eventi e concorsi settimanali, ma il mezzo di diffusione principale è stato la rete, Instagram in particolare.

"I social media sono diventati un mezzo molto potente per il sostegno e il racconto delle vittime di abusi sessuali", ha dichiarato Chauntel Gerdes, un'assistente sociale affiliata a #OutSmartBK che è anche in prima linea con Project Envision, un'associazione che si è messa insieme all'organizzazione di assistenza sociale New York City Alliance Against Sexual Assault (Alleanza contro la violenza sessuale) per aiutare i locali a contrastare la violenza sessuale nella nightlife. Gerdes al momento sta sviluppando un programma di addestramento alla prevenzione della violenza per i baristi, che utilizza nozioni prese da professionisti del settore come promoter, proprietari di locali e DJ.

Gerdes indica anche siti come l'Anti-Violence Project, il Collective Action for Safe Spaces di Washington, Hollaback! e Callisto, che hanno creato nuovi modi per le vittime di documentare e denunciare le proprie esperienze con più trasparenza e sicurezza. Ma mette anche in guardia contro il vedere questi forum, o i social media, come una panacea per tutti i problemi profondamente radicati che stanno a monte della violenza sessuale nella vita notturna.

La proliferazione dei social media sta già cambiando il modo che hanno le vittime di parlare di stupro, e come la società risponde alle accuse. La tecnologia ha già fatto da megafono per Pepper e Mary, permettendo a entrambe le donne di attirare l'attenzione su problemi che cercano con grande impegno di risolvere, e simultaneamente mettendo in guardia altre donne dai presunti colpevoli. Scrive Pepper nel suo post: "Vorrei parlare del problema in termini generali, di sistema, perché il mio non è un caso isolato. Quali sono le condizioni che producono una situazione così diffusa? Cosa bisogna fare perché queste condizioni cambino?" Mary ha condiviso questo post sulla propria bacheca commentando: "YES. FACCIAMOCI SENTIRE. Bisogna finirla."

Nello stesso tempo, persistono dei problemi paralleli alla violenza sessuale nella vita nottura che l'immediatezza di Internet non può risolvere, anzi, nel caso di Pepper, con il tentativo dell'Happy Ending di ribaltare la sua versione degli eventi, rischia di rendere tutto più complicato. Senza un riferimento preciso per la responsabilità penale, bar e locali sono stretti tra interessi di affari, legali e morali, a volte vanno in contrasto tra di loro. La presenza ubiqua di droghe e alcol in questi ambienti finisce spesso per confondere i confini del consenso, rendendo ancora più difficile portare a processo questi casi. Quando donne come Mary e Pepper sono costrette a rivolgersi ai social media per reclamare il proprio status di vittime, è anche per via della sensazione che farsi sentire sia l'atto più efficace in una cultura dove ci sono poche altre strade da percorrere. Forse, come suggerisce Dinkins, "è importante togliere questa responsabilità dalle loro spalle e piazzarla con decisione su quelle della collettività".

*Nomi cambiati.


Abbiamo chiesto ad Atom™ se pensa che il mondo sia in crisi creativa

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Solo Uwe Schimdt AKA Atom™ (spesso noto anche col nome di Atom Heart) può permettersi davvero di jammare su macchine analogiche in giacca e cravatta di fronte a un muro di LED psichedelici. Date un'occhiata al suo pazzesco live AV, o leggetevi una delle innumerevoli interviste che ha rilasciato durante gli anni e capirete di trovarvi a che fare con una persona piuttosto schizzata con una visione piuttosto aliena del mondo, che getta una stranissima luce sulla sua figura di producer, performer, sicenziato pazzo  e commentatore politico, tutte mescolate insieme in un benvestito torrente techno.

Nato in Germania ma ora domiciliato in Cile (ma si è spostato per quasi tutto il Sud America negli ultimi anni), Schmidt ha avuto una carriera molto lunga, iniziata nei primi anni Ottanta e costellata di pietre miliari, oltre che di un numero incredibile di diversi alias, come il famoso Señor Coconut  o il minaccioso Lassigue Bendthaus.

Non molto tempo fa, i nostri amici dell'ufficio colombiano di THUMP hanno fatto una chiacchierata con Schmidt in merito alle sue idee sulla scena elettronica, sulla sua idea di techno (espressa ultimamente in un pestato 12" per The Bunker New York), e se la musica elettronica stia in generale portando avanti di qualche passo i limiti della creatività, come ha fatto per diversi decenni.

Continua Sotto.

Noisey: Pensi ci sia ancora spazio per la creatività nella musica elettronica?
Atom™: So che la scena elettronica di oggi vive questa specie di momento di depressione, in cui sembra che sia stato tutto fatto, dato che la consapevolezza su quanto generato in passato è diventata vastissima. Io, però, di solito sono una persona molto positiva! Vedo sempre la nascita di nuove cose e vedo ancora del progresso, che mi ispira e mi motiva. 

Che ne pensi della scena club di oggi?
Per la prima volta da molto tempo a questa parte ci sono praticamente ovunque dei sound system di buona qualità per la musica elettronica. Il che è una novità, perché i PA degli anni Novanta erano orrendi, buoni al limite per suonare rock o disco. È cambiato molto negli ultimi anni, e sono stati fatti dei veri passi avanti, si può ascoltare la musica nel modo in cui era stata concepit. Anche questo è un buon motivatore.

Penso però che ci siano troppi eventi commerciali, noiosi e organizzati quasi meccanicamente, mentre penso che la musica elettronica sia e debba rimanere un fatto sofisticato.


Molti ti considerano una colonna portante dell'universo glitch e minimal. La techno degli ultimi anni ha preso una piega piuttosto astratta, pensi che sia una evoluzione positiva?
Ho smesso di essere interessato alla techno verso la metà degli anni Novanta, dedicandomi ad altri progetti, tra cui Señor Coconut. Solo pochi anni fa mi sono reimmerso nella scena, e per la prima volta da vent'anni ho sentito che stavano succedendo cose interessanti nella techno. Sono stati fatti dei piccoli ma consistenti progressi, e io ho ricominciato a produrre molta techno, a suonare molto nei club, e mi sono reso conto che la techno ha sempre portato avanti una sola unica idea. Se compliliamo insieme tutte le tracce tecno mai prodotte, ne viene fuori quasi una sola unica traccia, un'idea sola, il che di questi tempi mi affascina enotmemente

Pensi stiano succedendo cose interessanti nel mondo house e techno? Qualcosa di paragonabile alla rivoluzione acid house?
È difficile da esprimere a parole, ma che la si chiami acid o house, la faccenda era comunque più complessa, e da quella matrice sono nate varie forme, più sintetiche. Il barocchismo opulento degli anni Novanta, poi il cosiddetto minimalismo anni Duemila, anche se non ci ho mai trovato nulla di minimalista e non mi è mai piaciuto. 

Per questa ragione credo la techno debba riconquistare quella forza—la sporcizia e l'oscurità—in una maniera non limitata dai parametri anni Novanta. Oggi mi attirano i cambiamenti repentini, vado ai festival e ascolto molti altri artisti e roba che mi piace, molto più di quindici anni fa.

Come spiegheresti il modo in cui sei arrivato ad avere più di venti diversi alias?
È molto semplice. Per me un alias nasce come modo di strutturare delle idee che ho. Sono dei parametri per indirizzare alcune sensazioni più semplici. Se un certo alias ha prodotto abbastanza musica da racchiudere in un'uscita, a quel punto gli do un nome. Sono tutti molto artistici ma in qualche modo anche molto liberi. Quindici anni fa, però, mi sono stufato e ho smesso di applicare questo metodo, decidendo di tenere  solo uno o due nomi, di base solo Atom.


Pensi che avere un alias sia un bene per un artista?
È difficile da dire. Ho visto un'intervista su RBMA con Haruomi Hosono degli Yellow Magic Orchestra, che in quarant'anni di carriera ha attraversato molto cambi di stile—molti gruppi e progetti—ma soprattutto un'estetica piuttosto varia, e gli hanno fatto la stessa domanda. Ha riposto che gli è sempre sembrato soprattutto importante godersi quello che si sta facendo.

Restare bloccati su una sola idea, un solo stile i musica o promuovere un solo nome può essere alquanto claustrofobico, d'altro canto reinventarti può essere difficile. Ovviamente non è facile maneggiare molti alias e diversi stili si musica, e forse non è l'opzione più pratica, ma come Haruomi ha un po' egocentricamente detto nell'intervista, sei tu che vivi la tua musica in prima persona, e per me quella è la condizione fondamentale.

Sono anni che ti sei accasato su Raster-Noton, tranne il tuo ultimo disco che è uscito sulla newyorkese The Bunker. Come mai?
Vent'anni fa c'erano molte più label, e in molti casi potevi fare uscire un disco quasi senza avere contatti con chi le gestiva. Erano relazioni molto fredde: un tipo che non conosci ascolta la tua musica, ti manda un fax o una mail, firmi un contratto e poi fai un disco. Può funzionare o meno, ed è per questo che negli anni Duemila ho iniziato a volermi riappropriare del mio catalogo. Oggi non acetto quasi mai offerte di lavorare con altre label, se non li conosco di persona.

Pensi che in generale le arti stiano vivendo un perioso di crisi?
Sì, credo che l'intero pianeta sia in crisi. Mi piacerebbe vedere che ciò che consideriamo arte o musica, o che consideriamo storia, diventasse una serie di elementi passati irripetibili perché abbiamo messo piede in un livello superiore di consapevolezza, per il quale il concetto di storia non ha più senso.

Da dove viene la creatività che ci serve a fare arte? Se non possiamo essere creativi con gli strumenti a nostra disposizione, credo che il problema sia allora sistemico. Lo sfruttamento dell'arte a fini economici può anche essere una delle cause di questa saturazione.

 

Noisey Mix: VSK

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Essere italiani, fare techno e vivere a Berlino di questi tempi è una tripletta che ha tutte le carte in regola per appestare di morte e stantio, ma ragionavo sul fatto che ogni commento acido a riguardo rischia di suonare, se possibile, ancora più deprimente, quindi eviterei e guarderei oltre. I producer romani che anzi, poco a poco e ognuno per conto proprio, si stanno facendo strada nel fermento berlinese, sono sempre di più. Pure questa non è sicuramente una novità, ma serve a introdurre l'autore del mix di oggi, cioè il ventinovenne Francesco Visconti. Se pure voi vivete a Berlino e frequentate luoghi della techno come Tresor, Humboldthain, giusto per nominarne due dove ha suonato ultimamente, vi sarà noto come VSK.

Anche se non vivete a Berlino, ma siete di Roma e avete frequentato il GOA qualche anno fa, dato che per anni è stato resident assieme a Conrad Van Orton alle feste Fluid. Il suo percorso è iniziato nel 2007, quando ha deciso di arricchire la sua formazione da DJ con un corso di sound engineering grazie al quale ha conosciuto Ken Karter, producer calabrese pure lui attualmente stanziatosi a Berlino, da poco uscito per Stroboscopic Artefacts. Poi sono arrivati il GOA, le feste, il lavoro in uno studio di registrazione professionale, e la fondazione di Consumer Recreation Services Recordings, "una contenitore con tutte le forme e incarnazioni techno immaginabili", risalente al 2010.

Il mix che ci ha preparato è sfacciato quanto basta per tenerci in vita in questi ultimi avanzi di settimana, che comunque di meglio non avrebbe mai potuto offrire. A quanto pare due settimane fa ci siamo pure incrociati all'Atonal, chissà se pure lui ancora piange duro per il set dei Lakker come la sottoscritta. Bo, intanto il mix.

 

Noisey Mix: VSK by Noisey Italia on Mixcloud

 

TRACKLIST:
Monolake - Invisible
Architedctural  - Sensual spell
Kareem - No return
Museum - 
Gareth WIld - Duster (UVB remix)
Blawan - Grafted Gets A Home
Sawlin - Obsoleszens
VSK - Continuous Deception
Perc - Gruel
RE_P - Symmetry Between Observers (Scalamerya remix)      
Scalamerya & VSK - Melting
Headless Horseman - Sanctuary

Segui Sonia su Twitter—@acideyes
Segui VSK su RA, Soundcloud e Twitter

Oneohtrix Point Never - I Bite Through

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Il ritorno di Daniel "Oneohtrix Point Never" Lopatin è alle porte. Garden Of Delete (che acronimizzato fa GOD tanto quanto Gang Of Ducks, che ridere) sarà sugli scaffali il 13 novembre. La solita campagna virale alla Warp è partita da un po', ma ora possiamo finalmente assistere a un momento promozionale più classico: quello in cui si ascolta un primo brano estratto per il piacere di tutti. È infatti stata postata su YouTube, nella stessa playlist del video del drone e degli altri due teaser, la traccia "I Bite Through It". Fiato alle trombe!

A occhio sembra che Lopatin abbia portato il suo spaesamento dgitale verso una pompa più magna, più aggressiva. Le texture tese diventano pulsazioni ritmiche, la trance diventa delirio e il full-HD si fa in mille pezzi. Suona digitale e grave, roba vicina a TCF, Brood MaM.E.S.H. e anche Lorenzo Senni, pure se bisogna ammettere che nessuno di questi avrebbe mai fatto un passo verso la gloria se non fosse per il buon OPN. Tra una sfasata e l'altra, poi, c'è spazio pure per dei campioni metal. Ma sentitela pure voi:

 

Le L7 sono sempre pronte a distribuire schiaffoni

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Foto di Rob Sheridan

Se mettete un attimo in pausa la vostra convinzione che i Nirvana o, peggio, i Soundgarden siano le uniche band degne di nota del grunge, potrete aprirvi all'idea che uno dei gruppi più selvaggi e splendidi degli anni Novanta sia composto da ragazze, e che questo gruppo si chiami L7. Le L7 sapevano portare live i loro pezzi, che già erano macigni in faccia, con una violenza che non faceva sfigurare la loro resa su disco, anzi, e la loro intensità non faceva invidia ai Cramps e il loro impatto-carroarmato non era da meno di quello dei Motörhead del periodo Ace Of Spades. Troppo trash e selvagge per il grande pubblico, le quattro valchirie del punk hanno messo la loro carriera tra parentesi per ben tredici anni prima di riunirsi qualche mese fa. In attesa della fine del mondo, la leader e chitarrista Donita Sparks ci ha raccontato perché i Ramones sono stati l'ultimo grande gruppo rock e come ha attaccato 50.000 inglesi a colpi di tampax.

Noisey : Il vostro tour europeo di quest'estate è saltata. Prevedete di riprenderla presto? 
Donita Sparks :
 L'anno prossimo esce un documentario su di noi. Credo che ritorneremo in questa occasione, tipo in giugno o agosto. Non sarà un grosso tour di due mesi, ma una cosa più contenuta, ne stiamo parlando ora. 

Vi siete riformate perché sentivate la pressione dei fan? 
Sì, i fan ci tormentavano sulla nostra pagina Facebook! Dato che me ne occupo personalmente, ho pensato di postare alcuni pezzi di documentario. Non credevo che interessasse così tanto, ancora, che così tante persone si ricordassero di noi e, soprattutto, che una nuova generazione di ragazzini ci ascoltasse. Mi è sembrato un passo ovvio quello di voler rimontare in sella... Ho contattato chi di dovere specificando che era ora o mai più perché poi saremmo state troppo vecchie per farlo. Per quanto mi riguarda, non era una necessità impellente, ma visto che anche le altre erano gasate dell'idea, abbiamo detto dai, perché no?



Avete continuato a vedervi durante gli anni passati separate?
No! Vedevo sempre Dee [Plakas, batterista] perché suonavamo insieme nella band Donita Sparks And The Stellar Moments, ma non avevo mai beccato Suzi [Gardner, chitarra e voce] dal 2001. Avevo invece incrociato qualche volta Jennifer [Finch, basso] in alcune serate, ma tutto qui.

E, di base, perché vi eravate fermate?
Abbiamo messo tutto in pausa perché non c'erano più soldi. Eravamo a terra, senza label, senza management e la nostra popolarità era calata parecchio. Eravamo al verde, insomma. Partire in tournée e registrare album costa, e tanto, anche se non abbiamo mai fatto album ad alti budget, però anche solo noleggiare uno studio è dispendioso. Ai tempi non c'erano Pro Tools e tutte quelle cazzate. Quindi abbiamo mollato. 

Non vi siete mai chieste se sarebbe stato meglio arrivare sulla scena un po' più tardi?
Siamo andate parecchio lontano, per l'epoca che è stata, anche se non abbiamo mai fatto i miliardi, né di numeri né di soldi. Eravamo famose, am non a livelli stellari. Non è una novità che, nell'industria musicale, al di sotto di un certo livello di notorietà non ci sono soldi. Oltretutto ci sono stati parecchi fattori che hanno fatto in modo di bloccarci la via: i nostri album non passavano alla radio, non ho mai capito perché noi no e invece le band maschili cui ci paragonavano spesso, tipo i Nirvana o i Soundgarden sì. Può darsi che siamo arrivate troppo presto anche se, una volta che ce ne siamo andate, nessuno ha preso il nostro posto nel panorama musicale. Credo che siamo state uniche, perché eravamo punk di attitudine, ma la nostra musica era più che altro hard rock. Eravamo un ponte tra queste due realtà.

Come descriveresti le tue compagne?
Dal punto di vista musicale o da quello personale?

Entrambe le cose.
Direi che Suzi è un po' eccentrica e molto divertente. Dee è adorabile e casinista e Jennifer è... [sta un attimo in silenzio]... Molto intelligente e generosa.


L7 fotografate nel 1992 al Reading Festival

Tu sei originaria di L.A.?
No, sono di Chicago, ma mi sono trasferita a L.A. nel 1983, finite le superiori. La band è di Los Angeles. Dee ed io siamo di Chicago, Jennifer è di L.A. e Suzi viene dal Nord della California.

E come mai hai deciso di andare a vivere a Los Angeles?
Perché adoravo la musica surf. Pensavo che sarei diventata una surfer professionista, ma alla fine ho preferito Hollywood alla spiaggia! [Ride] Quindi sono diventata una musicista.

Quali sono i primi dischi che ti hanno formata musicalmente?
Ho due sorelle maggiori, quindi le prime influenze rock'n'roll che mi ricordo vengono da loro, e sono i Beatles e i Monkees. Le mie sorelle ballavano in camera ascoltando i loro dischi. Sì, devo dire che la prima musica che ho amato è stata il rock, anche se mia madre sostiene che mi sia formata su musical tipo Tutti Insieme Appassionatamente... Anche se fosse, un giorno le mie sorelle hanno portato a casa un disco dei Ramones e tutto il resto è passato in secondo piano. 

Li hai visti dal vivo quand'eri ragazzina?
Sì, li ho visti per la prima volta a Chicago, avevo circa sedici anni. Poi li ho rivisti un sacco di volte.

Cosa c'era nella loro musica che ti muoveva così a fondo?
Era qualcosa di splendido, energico, e i testi erano divertentissimi, geniali. Adoravo il lato tenace dei loro pezzi e anche tutto il contorno. Per me è la musica perfetta per un teenager. Oltretutto il loro look era incredibile. Rimanevo a fissare le loro foto per ore. Amavo tutto: come si presentavano, i loro artwork... Era tutto perfetto. Probabilmente sono anche stati la mia principale influenza come chitarrista. 



Come spieghi che la scena punk di L.A. tra gli anni Settanta e Ottanta non abbia influenzato la musica mondiale come quella newyorchese?
La scena punk di LA degli inizi non è stata nemmeno apprezzata negli Stati Uniti. Chi ama quei gruppi abita dalle parti di Los Angeles, per la maggior parte. Alcuni di quei gruppi sono riusciti a emergere, come The Germs, che sono parecchio conosciuti, o X, che lo è abbastanza, ma credo che la scena di New York abbia avuto un'influenza talmente pesante da schiacciare tutto il resto. 

Quando avete cominciato a suonare, negli anni Ottanta, a L.A. c'era una grossa scena metal. Penso a Mötley Crüe o Faster Pussycat...
Certo, ma noi non ne facevamo parte, anzi, la trovavamo ridicola: eravamo punk. Quei due mondi non coincidevano affatto, suonavamo anche in posti diversi. Eravamo proprio divisi anche dal punto di vista geografico, dato che i metallari suonavano sulla Sunset Strip, mentre i punk suonavano a Hollywood, East LA e Downtown. Abbiamo sempre trovato quella scena vergognosa, idiota e totalmente misogina. 

In effetti alcune di quelle band sono dei cliché ambulanti...
Tu puoi dirlo, ma non io, perché sono tutt'ora amica di alcuni di quei ragazzi. E questa cosa è assurda perché, pur non avendo mai fatto parte di quella scena, quasi tutte quelle band adoravano le L7. Taime Down, il frontman di Faster Pussycat, ci adora, veniva sempre a vederci. Anche i Guns N'Roses ci stimano parecchio... È strano e ironico che ci apprezzassero, dato che noi li abbiamo sempre considerati dei bastardi misogini. 

Continua sotto...


E che rapporti avevate col mondo dell'hardcore? Black Flag? Circle Jerks?
Suzi usciva con Chuck Dukowski, che è stato bassista dei Black Flag. Ha pure cantato sul loro pezzo "Slip It In", quindi aveva un rapporto stretto con loro. Jennifer, che viene dalla scena di L.A., li conosceva personalmente. Per quel che mi concerne credo di averli visti live un po' di volte, ma non sono una grande fan dell'hardcore, anche se ci sono dei pezzi dei Circle Jerks e dei Black Flag che adoro.

E il punk degli anni Sessanta? A Chicago c'erano dei gruppi immensi, tipo Shadows Of Knight...
Esatto, preferisco questo all'hardcore. Adoro i pezzi veloci e leggeri. Posso ascoltare anche roba super pesante, ma preferisco le cose che si possono trovare in raccolte tipo Nuggets.



Negli anni Novanta, siete state associate al grunge, genere localizzato nella zona di Seattle, ovvero all'incirca 2000 kilometri più a Nord di L.A. Come avete preso questo paragone? 
Be', la scena di Seattle ci piaceva tantissimo perché conoscevamo parecchi gruppi e la maggior parte di loro era figa anche dal punto di vista politico. Musicalmente erano anche molto diversi da quello che si faceva a L.A.: erano, come noi, dei punk che suonavano l'hard rock. Quindi è ovvio che ci abbiano incorporato in questa scena, il che ci conveniva, da un certo punto di vista, perché stava andando parecchio bene e, se fossimo state isolate in ciò che facevamo, avremmo sicuramente fatto più fatica a farci sentire. E dunque essere associati alla scena grunge e alla Sub Pop ci ha permesso di arrivare a più persone. Dopodiché, altri gruppi, di altre parti degli Stati Uniti, si sono uniti alla scena. 

A quali band vi sentivate più vicine?
Eravamo abbastanza vicine ai Nirvana e ai Mudhoney. Abbiamo incrociato i Soundgarden qualche volta, ma non ci eravamo più di tanto in rapporti. Non conoscevamo gli Alice In Chains, anche se qualche anno dopo mi sono trovata con Layne [Staley, frontman del gruppo].

Si sta parlando parecchio di Kurt Cobain. Se ripensi a lui, a quando è morto, cosa ti ricordi?
Hmm... È stato assurdo perché... [Lungo silenzio]. Preferisco non parlarne, davvero.

OK, scusami.
Non c'è problema.

Cambiamo argomento. Sul palco siete incredibilmente selvagge, c'è qualche momento in tour che ti ricordi, in particolare?
Oddio, fammici pensare un minuto... Dato che si parla dei Nirvana, siamo andati con loro in Brasile. La polizia, in moto, ci ha scortato dall'hotel fino alla strada del locale in cui dovevamo suonare, ma siamo stati circondati da orde di fan impazziti. Era impossibile uscire dalla macchina. Impossibile andare al bagno, pure. E pensa che dovevamo andarci tutti, quindi immaginati che incubo è stato. [Ride] Davvero un inferno!

Avete fondato il Rock For Choice. Che effetto ti fa vedere che Donald Trump sta ottenendo i suoi bei consensi in campagna elettorale?
[Ride] Penso che, negli Stati Uniti, la democrazia sia fottuta già da un po' di anni. Quanto a Donald Trump, lo trovo particolarmente divertente perché è talmente infoiato che mi fa pisciare sotto dalle risate ogni volta che apre bocca e arringa la folla. Trump incarna alla perfezione lo spirito dei conservatori. Riflette a pieno la loro ignoranza. In un certo senso è confortante, perché mostra a tutti lo stronzo che è, non si sforza di nasconderlo. Ci espone la verità di questa gentaglia. 

I fan dei Ramones hanno digerito male la notizia che Johnny, il chitarrista, fosse un repubblicano convinto. Tu come l'hai presa? 
Eh, l'ho scoperto anch'io parecchi anni dopo. I Ramones non sfoggiavano le loro opinioni politiche e quando Johnny indossava una maglia della Marina Militare, credevo lo facesse per prendere per il culo. Quando ho scoperto che invece era seriamente conservatore ci sono rimasta di merda. Però dai, Joey era tutto l'opposto. Alla fine però questo non ha alcuna conseguenza su quello che penso della loro musica. Adoro James Brown pure se era un cazzo di violento. Non lo boicotterò perché so che picchiava la moglie, anche se è un aspetto della sua personalità che mi fa cagare. Ci sono parecchi artisti con una vita deprecabile o con opinioni politiche che detesto. Prendi Ted Nugent, adoro la sua musica, anche se lui è un coglione. Però questo non mi impedisce di mettermi a ballare quando sento "Cat Scratch Fever".



Be', bisogna che parliamo di quella storia del tampax al Reading Festival nel 1992... Hai qualcosa da aggiungere che non sappiamo già?
[Ride] Mavà, niente da aggiungere: il pubblico del Reading ci ha accolto tirandoci addosso palle di fango. Aveva piovuto da morire e per terra c'era una palta di merda di mucca mista a fanghiglia, dato che per il resto dell'anno quel posto è un pascolo... Quindi mi sono incazzata da morire, dato che il fango si seccava sulla mia chitarra, era terribile. E insomma, la situazione era così terribile che ho deciso di divertirmi un pochino: ho tirato fuori il mio assorbente e l'ho tirato al pubblico per vendicarmi. È stata la mia reazione un po' alla John Waters a quella situazione. 

Un gesto storico... Torniamo al documentario, di che si tratta esattamente?
Jennifer ed io abbiamo parecchi video che abbiamo iniziato qualche tempo fa a riversare in digitale per paura che si disintegrassero... Avevo l'idea di pubblicare una compilation dei nostri video e di buttarla su Internet senza un particolare ordine. Sapevo che ai nostri fan avrebbe fatto piacere. E poi ho incontrato questa videomaker, Sarah Price. Ho guardato con lei i video che avevamo e lei mi ha proposto di provare a montarci un documentario, e ho accettato volentieri. Dato che non tutte noi volevamo metterci davanti a una telecamera, abbiamo deciso di fare delle interviste audio. Non ho idea di come verrà fuori, non ho ancora visto il premontato. Spero che venga fuori qualcosa di artistico! Per ora siamo pieni di roba tipo "home movie" che abbiamo cominciato a girare a inizio degli anni Novanta.

C'è già una data d'uscita?
Penso che i produttori vogliano presentare il documentario al prossimo SXSW, quindi a marzo 2016. La regista adora questo festival, quindi è gasata. Noi ci limiteremo a seguire l'onda. 

E quali sono i tuoi progetti extra-L7?
Suono la batteria in una tribute band che si chiama Lou Man Group. Suoniamo i pezzi di Lou Reed tutti dipinti di blu. Ovviamente è un riferimento anche al Blue Man Group... Ed è successa una cosa assurda: qualcuno ha sentito parlare di noi e ci ha fatto un tribute video! Si chiamano Sister Ray e ci imitano... assurdo. In altri momenti scrivevo parecchio, ma ora sono abbastanza concentrata sulle L7.

Quindi potrebbe darsi che veniate fuori con un nuovo disco?
Mah.. Per ora non è previsto nulla, ma non si sa mai! 

 

 

Coez non ha niente che non va

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Una delle prime cose in assoluto che ho sentito di Coez è stata la barra: “Io metto un ferro nella bocca di Tiziano / noi passiamo sere nere / abbiamo sete di denaro / sfondo come Cristo / lui col libro io col disco”, che veniva da “Circolo Vizioso Royal” e quindi a volte faccio ancora una discreta fatica ad ascoltare i pezzi di adesso senza aspettare il momento in cui si comincerà a parlare di coltelli, alcol e minacce di suicidio, ma questo è chiaramente un problema mio. A guardarlo ora, infatti, Coez è un cantante pop con un ottimo gusto in fatto di camicie che venerdì ha pubblicato un album molto bello che si chiama Niente Che Non Va. Quasi ogni canzone di Niente Che Non Va (in modo molto simile a come faceva il suo album precedente Non Erano Fiori, però meglio) ha lo specifico scopo di ricordarti quanto amara sia la tua vita e quanto il prossimo sia inaffidabile in fatto di sentimenti, però riesce a farlo risparmiandoti quel senso di oppressione al petto che trasmette in genere il cantautorato italiano. Però appunto Coez è (stato?) anche un rapper con i BrokenSpeakers—aka la fusione di Circolo Vizioso e Unabombers—e, come solista, ha tirato fuori uno dei dischi più cupi, incazzati e interessanti di quel periodo, cioè Figlio di Nessuno. Poi dalle produzioni di Sine è passato a quelle di Riccardo Sinigallia con Non Erano Fiori ed è riuscito a fare una cosa che fino ad ora è riuscita solo a circa lo 0,2 % dell’umanità mai esistita, cioè evolversi artisticamente dal rap italiano in modo credibile.

Questo percorso ovviamente lo rende ancora più un mutante nel panorama nazionale di talent-chitarrine, soprattutto se si considera che Niente Che Non Va—che è prodotto tutto da Ceri—è davvero un bel disco. L'ho incontrato per chiacchierare con lui del suo album, dell'ansia e delle interazioni aulin-cortisone:

Continua sotto...

Ok parliamo subito del nuovo disco. Mi dicevi che rispetto al disco precedente, Non Erano Fiori, ti senti molto meno in ansia.
Sì, in realtà l’ho detto due giorni fa e già sono pronto a ritrattare [ride]. Il disco precedente è stato un bel nodo da sciogliere. Diciamo che il passaggio che ho fatto dagli album prima a Non Erano Fiori è stato abbastanza violento. Con Non Erano Fiori ho cominciato a far pensare alla gente che stavo cominciando un percorso diverso, da non-rapper. È per questo che sono più tranquillo, adesso mi sento di aver già fatto quel passaggio, la mia fanbase è già preparata, "ammorbidita" in un certo senso. E poi penso che il disco nuovo sia anche più forte di Non Erano Fiori.

Effettivamente è più upbeat di Non Erano Fiori
Eh be', sì!

Secondo te hai una scrittura malinconica?
Penso di sì. Soprattutto nelle cose più up finisco per tirare fuori parecchia malinconia. Boh già un pezzo tipo “Ti Sposerai” …Eh… Non è ti sposerò, è TU ti sposerai. Con un’altra persona. Che non sono io [ride]. Per quanto poi il beat sia carino, no? Però comunque…

Tu hai cominciato con Circolo Vizioso prima e BrokenSpeakers poi, comunque avevi una scena di riferimento molto specifica per le tue produzioni, com’è che hai deciso che volevi cambiare genere così drasticamente?
Boh, piano piano. Dopo Figlio di Nessuno avevo fatto un altro disco con i BrokenSpeakers e avevo visto che ormai c’era una facilità estrema nell’affrontare un disco di gruppo. Neanche finito quel disco lì avevo già scritto Senza Mani e Fenomeno. Lì ho cominciato a capire che sperimentare su basi di musica elettronica mi piaceva. Avevo rappato su un pezzo degli The Xx, stavo ascoltando un sacco di roba diversa. Diciamo che stavano cambiando un po’ i miei ascolti ed è venuto abbastanza naturale.

Cosa ascolti adesso?
Adesso paradossalmente sto ascoltando pochissima musica. È strano. Forse però quando esci dallo studio dopo ore e ore di musica non ti va troppo di metterti ad ascoltare altra musica con concentrazione. Però sono sempre aggiornato sul rap che esce, sia americano che italiano. Continuo ad ascoltare anche elettronica, anche se sto un po’ superando l’affezionamento che potevo avere prima per il singolo disco o il singolo gruppo. Magari becco pezzi con una produzione stellare e ci vado in fissa anche senza conoscere bene da dove arrivano.

I fan del rap italiano, che sono le entità più polemiche mai esistite, come hanno vissuto il tuo cambiamento artistico?
Da una parte è vero, sono parecchio polemici. Però nel caso dei miei fan diciamo che la cosa che interessa alla maggioranza di loro è la scrittura e io quel lato non l’ho mai bistrattato. Ho cambiato sonorità e tutto, ma anzi, più ho cambiato sonorità e più sulla scrittura ci ho passato tempo.

Testo da "La Rabbia dei Secondi" - Credits: Pedar.

Infatti ti volevo chiedere se e come sia cambiato il tuo modo di scrivere rispetto a quando facevi rap...
Direi proprio di sì. Il rap, insomma il mio rap—di rap in generale ce n’è tanto—lo scrivi con lo stomaco più che con la penna, è un’altra cosa. Penso a cose mie come Figlio di Nessuno. Chiaramente crescendo mi sono rilassato, i tempi si sono dilatati, è entrata più musica. Anche se per me il testo rimane sempre la cosa più importante. Adesso, per come li scrivo io, i brani puntano dritti a un punto solo, che poi è il messaggio del testo. Mentre magari in un pezzo rap ci può essere un ritornello che gira e intorno un elenco di roba che può descrivere un tuo stato d’animo, ma senza parlare effettivamente di qualcosa di concreto.

Nel disco non c’è neanche un feat, come mai?
Be', innanzitutto c’è sicuramente una dose di snobismo, però allo stesso tempo parliamoci chiaro, te ce lo vedresti un rapper che entra su “La rabbia dei secondi” e comincia a rappare? O su “Ti sposerai” che comunque è una cosa fra me e lei un altro che cazzo c’entra [ride]. Per integrare un rapper in questo disco sarei dovuto andare io verso di lui, e non il contrario, quindi sarebbe stato comunque in un pezzo outsider del disco. Forse troppo outsider.

Ci sono delle cose che ti piacciono del pop italiano?
Di adesso? C’è il pezzo di Cremonini “Grey Goose” che m’è piaciuto un botto, mi ci sono ritrovato un sacco. Sai, insomma, quei temi tipo alcol e donne sono un po’ casa mia, quindi mi sono preso bene quando ho sentito il suo pezzo.



Ci andresti a San Remo? O comunque faresti cose che non ti piacciono per dare più visibilità al tuo lavoro?
A San Remo ci andrei, perché fondamentalmente non puoi neanche avere la presunzione di… Voglio dire, tu entri a lavorare in un posto… Pure—che ne so—da Foot Locker sarai te il primo a pulire il cesso. No vabbè, non voglio essere così cattivo con San Remo. Però riconosco che c’è una gavetta che si deve fare, io l’ho fatta nell’underground e penso di doverla fare in questo nuovo contesto, se voglio continuare e crescere. Devo essere molto maturo nel sapere accettare dei compromessi. Il tutto ovviamente con il fine ultimo e specifico di fare un sacco di soldi [ride]. Chiaramente per raggiungere più gente possibile. E comunque molto meglio San Remo dei talent.

Secondo te hanno un senso i talent?
I talent sono per un certo tipo di percorso. La cosa che penso è che è un po’ come costruire una casa dal tetto. Comunque arrivi su e sicuramente è difficile che tu abbia l’esperienza per capire come devi comportarti in certe situazioni. Pensa a Mengoni per esempio, che la gavetta che non si è fatto prima di X Factor se l’è fatta dopo quando ha sbagliato il disco e ha dovuto rimboccarsi le maniche e presentarsi l’anno dopo al grande pubblico con un disco nuovo successivo. Io penso che avrà passato un anno di merda. Quella probabilmente è stata la sua gavetta. Comunque per essere completo devi passare attraverso determinate cose, di questo sono sicuro. Io le cose le ho imparate soprattutto quando ho sbagliato. Quando ho iniziato ero solo, invece adesso ho un’etichetta, un manager, un tour manager, una band e tutto. E sono tutte persone che si sono unite al progetto per un fatto di affinità, vicinanza. Mi aiutano e so che la bravura sta molto anche nello scegliere chi ti sta intorno. E le riconosci solo con l’esperienza le persone giuste.

Quand’è stata l’ultima volta che ti sono venute le placche alla gola per il nervoso?
Al Music Summer Festival di due estati fa. Ho cantato la prima sera e avevo 37 che dopo due ore era già diventato 39 ho passato tipo tutta la notte a prendere cortisone e aulin insieme a manciate. 

Ma non si fa mai...
Mai. Lo so. Però mi dovevo bombarda. La sera dopo sono salito sul palco con la gola enorme e totalmente fradicio di sudore.
Però stavo ancora in piedi, dai.

Niente Che Non Va è uscito per Carosello Records.

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I New Order votano i propri dischi

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New Order
Dopo la tragica morte di Ian Curtis, i membri rimasti dei Joy Division rimisero insieme i pezzi del loro cuore quanto bastava per formare New Order, una band che approfondì le loro tendenze post punk per avventurarsi negli ancora incontaminati reami della musica sintetica. Il risultato furono alcuni dei dischi più memorabili e influenti della storia, nonché hit mondiali come "Bizarre Love Triangle," "True Faith," e soprattutto "Blue Monday".

Mentre la band festeggia il suo trentacinquesimo anniversario con un nuovo LP chiamato Music Complete (in uscita il 25 settembre per Mute), ci siamo trovati col co-fondatore Stephen Morris per parlare del catalogo della band, del caos seguito alla morte di Curtis e di come sia fare il batterista di una band che fa un uso così smodato di drum machine. Il risultato è qui sotto, assieme al nuovo video dei New Order, "Restless".

Continua Sotto.

 

9. REPUBLIC (1993)

NOISEY: Quale pensi sia il vostro disco che ti piace meno e perché?
Stephen Morris: Credo sia Republic, probabilmente perché la sua lavorazione fu piuttosto spiacevole. Non avremmo dovuto fare quel disco, sul serio. Lo abbiamo fatto uscire solo per tenere in vita la label [Factory Records] e ci sentivamo tutti molto disillusi, eravamo stufi della situazione in cui ci trovavamo, anche se siamo riusciti a scrivere una bellissima canzone come "Regret", che nel complesso di un album come Republic è davvero sorprendente. Già è tanto se siamo riusciti a finirlo, quel disco. Fu davvero difficile, riascoltarlo mi riporta a galla ricordi di un periodo molto spiacevole. È per questo che mi piace meno degli altri.

Commerciallmente fu il vostro pià grande successo, no?.
Doveva esserlo. È proprio questo il motivo per cui ci sentivamo sottopressione a farlo. Comunque Steven Hague, che lo produsse, fece proprio un bel lavoro. Fu lui a trovare il modo di tenerlo in piedi e a dargli un suono abbastanza sensato per i New Order. Alla fine è un disco ok, se non fossi della band direi che è un disco ok.

Ci sta. In USA viene ricordato come il vostro disco che passava sulle radio alternative più importanti, e che vi ha fatti conoscere a tanta gente.
Andò benissimo in America, sì, spaccò davvero! Era fondamentale che lo facesse. Poco dopo Factory ricominciò a perdere soldi e tutto tornò a essere orribile. Ma per un po' ci fece del bene.

La motivazione principale di questo disagio disagio era la fine di Factory? C'erano anche degli screzi tra di voi?
No, non c'erano screzi personali in ballo, più che altro Factory che ci doveva un casino di soldi e stava cercando di stipulare un accordo con London Records. Nello stesso periodo, anche il club di cui eravamo più o meno proprietari insieme a Factory [l'Haçienda] stava per chiudere: anche quello ci stava facendo perdere un sacco di soldi, per quanto dall'esterno potesse sembrare in attivo. C'era un problema enorme al giorno: a ogni riunione si presentava qualcuno che diceva "Ci servono quattrocentomila Sterline". Ci toccò prendere una pausa dalla musica e occuparci dei problemi economici di Factory. Non fu una bella cosa, per niente.

 

8. WAITING FOR A SIREN'S CALL (2005)

Come mai hai piazzato Sirens così in basso?
Hahaha, non c'è niente che non vada con Sirens. Mi rendo conte che possa sembrare in una posizione di merda, al numero otto, subito sopra Republic, ma non ha nessun problema. Ci sono dentro “Waiting for the Siren’s Call”, che è un gran bel pezzo, e anche “Turn” è buona. Fu un po' strano comporre senza Gillian, davvero, un po' strano. Sono tutti dischi un po' chitarrosi, Get Ready lo è un po' meno di questo, perché c'era Steve Osborne ad aggiungere un po' di synth. In Sirens ci sono molte più chitarre. Non è necessariamente un male.

 

7. GET READY (2001)

Che ricordi hai di Get Ready?
In Get Ready c'è “Crystal” che è un pezzone, proprio una bella canzone. Era un periodo un po' strano: il nostro manager e amico Rob Gretton morì subito prima della lavorazione del disco, e si sentiva parecchio la sua assenza. Dopodiché io iniziai a passare un periodo abbastanza brutto a causa della morte di mio padre, e anche Gillian se la stava passando male, appena finimmo il disco sua figlia si ammalò e dovette lasciare la band. Ma ti ripeto: “Crystal” spacca e anche “Turn My Way”, il pezzo con Billy Corgan alla voce. Lavorarci non fu una bruttissima esperienza, solo che avevo proprio la testa da un'altra parte.

 

6. MOVEMENT (1981)

Fu difficile fare questo primo album post-Joy Division? Con la morte di Ian…
Sì, molto difficile. Eravamo ancora abbastanza ingenui, e pensavamo di avere qualcosa da dimostrare, ma non sapevamo bene come fare. Eravamo bloccati in questa situazione per cui sentivamo il bisogno di andare avanti come band e sapevamo di voler scrivere altre musica, ma uno degli elementi fondamentali non c'era più. Dovevamo trovare il modo di compensare.

Non credo che Movement sia brutto come dice la gente. Tempo fa ero in un negozio di American Apparel e la radio iniziò a trasmettere “Denial”: all'inizio non l'avevo nemmeno riconosciuta, pensai "Oh, che bella canzone". C'era anche Gillian con me, e fu una bella sensazione per entrambi.

Dev'essere strano trovarsi in un luogo pubblico e ascoltare un proprio brano.
È strano, ma a volte è anche bello. Normalmente, se fossi con qualcuno che a un tratto mi dice "metto su Movement" non mi troverei troppo a mio agio. Ma dato che è stata una cosa così improvvisa e casuale, mi sono trovato ad ascoltarla con uno spirito diverso, e non è stato male come pensavo.

 

5. BROTHERHOOD (1986)

Qui c'è “Bizarre Love Triangle”, uno dei vostri brani più famosi. C'è qualche aneddoto interessante a proposito di questo disco?
“Bizarre Love Triangle” è un gran pezzo, ma il disco fu composto in una maniera un po' schizofrenica: abbiamo provato a mettere su un lato tutte le tracce più chitarristiche, e sull'altro i pezzi più elettronici. Non funzionò molto bene. Io preferisco che le tracce siano un po' più miste, sarà per questo che l'ho messo a metà classifica...

 

4. TECHNIQUE (1989)

Le registrazioni di Technique sono entrate nella leggenda: una roba un po' diversa da quello a cui eravate abituati...
Technique fu la vacanza più costosa delle nostre vite. Provammo a registrare il disco a Ibiza, il che fu un errore, all'inizio del periodo acid house, che rese l'errore ancora peggiore. Ci divertimmo molto a fare qualsiasi cosa tranne registrare, ma in qualche modo ne venne comunque fuori un album che conteneva tutte quelle esperienze. Se Republic mi suona deprimente, perché eravamo depressi e scazzati mentre ci lavoravamo, Technique è l'esatto opposto, perché lo registrammo in un periodo decisamente bello. Penso si senta che avevamo la testa da un'altra parte, che si capisca dalla musica: la produzione non è troppo rifinita e non c'è un pezzo di cui si possa dire che spicca sugli altri. Credo siano tutti molto bellli e stiano bene insieme.

Quindi il risultato riflette l'umore in cui eravate all'epoca?
Sì, è andata più o meno così, hahahaha. Power, Corruption & Lies l'abbiamo registrato al freddo e al buio, mentre Technique l'abbiamo fatto al sole: c'è un verso di “Run” che dice “But you don’t get a tan like this for nothing”. È un disco molto omogeneo, e se proprio dovessi scegliere un disco dei New Order da ascoltare, probabilmente prenderei questo. Anche se in cima alla classifica c'è Low-Life, perché l'artwork è più bello di quello di Technique.

C'è un pezzo di questo album che ti piace più degli altri?
Direi “Vanishing Point”. Anzi no, in realtà il mio pezzo pereferito di Technique è “Dream Attack.” La adoro.

 

3. SUBSTANCE (1987)

OK questo non è proprio un album, ma dentro ci sono molti singoli che non stanno in nessun altro disco. Quindi Substance è il numero tre. Come mai?
In realtà Substance fu il nsotro maggior successo, ma per errore. Sempre per via del fatto che Factory aveva problemi economici. Avevamo fatto un sacco di 12", tra cui  “Confusion” e ovviamente “Blue Monday”, che non erano mai apparsi in nessun album. Dato che Factory ci doveva un sacco di soldi noi pensammo "be', mettiamo insieme tutte queste tracce, così avremo un disco senza spendere soldi né tempo, una specie di greatest hits". Però ci mancava un pezzo, e registrammo "True Faith" con l'obiettivo di fare una hit, riuscendoci. Fu un successo enorme. Devo dire, non sono un grande fan delle compilation, e credo che di compilation dei New Order ne siano state fatte davvero troppe negli anni, ci saremmo dovuti limitare a Substance. Ci aprì un sacco di porte, in America e in molti altri posti. Roba grossa.    

È il disco perfetto per chi vuole avvicinarsi alla band, un buon riassunto della vostra storia. In particolare “True Faith.” lo stile di quel disco è fantastico e ha un intro indimenticabile, coi due tipi che si prendono a schiaffi. C'è uno dei vostri video a cui sei più legato?
Credo sia proprio “True Faith”. Tutti i nostri dischi li ha prodotti Michael Shamberg, che purtroppo è morto l'ano scorso. Avremmo sempre voluto fare dei vei video, ma non volevamo mai esserci. Nel caso di “True Faith” riesce a essere un bel video anche se un po' si vede la band, abbastanza da far capire alla gente che dietro quel pezzo c'eravamo noi e non un gruppo di pagliacci. Credo che Philippe Decouflé, il ballerino che lo creò, non sapesse da che parte iniziare: non aveva mai fatto un video prima in vita sua, e non sapeva come si facessero. Venne una bomba, il risultato di un'idea completamente folle. Se qualcuno ci avesse spiegato che intenzioni aveva prima di vedere il video, probabilmente avremmo detto di no. Per fortuna non avevamo idea di come sarebbe stato finché non ce l'ha mostrato.

2. POWER, CORRUPTION, & LIES (1983)

Con Power, Corruption, & Lies was, torniamo al periodo post-Joy Division.
È l'album con cui siamo riusciti a fuggire dai Joy Division e trovare un suoni diverso, un modo diverso di fare musica, più psichedelico direi, Fu divertente? Direi di sì. Ricordo benissimo che lo abbiamo registrato in inverno perché non c'era altro da fare che stare in studio, per cui era sempre molto buio e freddo, ma proprio per questo suona molto leggero, colorato, in aperto contrasto col suono dei Joy Division che era fatto solo di toni di grigio. 

Fino a quel punto avevate già usato molti synth, ma fu con Power, Corruption & Lies che vi buttaste completamente su quel suono. Ci fu qualcosa in particolare che fece da catalizzatore per la svolta? 
Non direi. Potrebbe sembrare una roba successa dal giorno alla notte, ma per noi è stato un processo graduale. Certo, quando si è giovani il tempo sembra sempre lunghissimo. Forse ci abbiamo messo solo tre settimane, e ci è sembrata una vita. Fino ad allora avevamo usato molte drum machine analogiche, una roba incasinatissima, ma stavano arrivando le prime digitali, con cui si poteva fare un botto di roba. In confronto a quello che si può fare ora non era nulla, ma fu una vera rivoluzione. Avevamo anche preso un vero e proprio campionatore, per cui iniziammo a usare anche quelle tecniche. Fondamentalmente ci eravamo procurati delle macchine nuove, e Power, Corruption & Lies è il suono di noi che impariamo a usarle. All'epoca di Low-Life avevamo già imparato.

Come batterista, ti faceva strano usare le drum machine?
Be', certamente... Inizi a usare la drum machine, c'è lei al tuo posto, non sei più fisicamento coinvolto. 

Anzi, rischi  di perderlo, il posto.
Sì, devi adattarti o perdi il lavoro. Mi sentivo così quando iniziarono a uscire le drum machine. Per cui io pensai be', sono un batterista, dovrò procurarmi una drum machine. Col tempo abbiamo trovato un compromesso: io suonavo alcune parti ritmiche, la drum machine altre. Mi stava bene. Ricordi che all'inizio degli anni Ottanta c'era una gran paranoia in giro, tutti erano convinti che la LinnDrum avrebbe tolto il lavoro ai batteristi, ma non credo sia mai successo davvero. Un bravo batterista può far suonare un pezzo mediocre molto meglio di un bel pezzo con un batterista mediocre. C'è una enorme differenza: mettici un buon groove e suonaerà da dio, qualunque cosa sia.

Un bravo batterista può trasformare una band in una grande band. 
L'hai detto!

 

1. LOW-LIFE (1985)

Ok, quindi il tuo LP preferito è Low-Life. Perché?
Mi piace Low-Life, soprattutto perché ha una copertina eccellente. Tutto il packaging è perfetto, dopo questa Saville non si è più superato. Ovviamente contiene anche delle bellissime canzoni: fu un po' il culmine di una ricerca iniziata con Power, Corruption & Lies, di cui è una specie di versione più rifinita.

Quindi la cover è molto importante, ma hai anche un pezzo che ti piace più degli altri?
A parte “The Perfect Kiss”, che non penso sarebbe dovuta nemmeno stare sull'album, credo sia “Love Vigilantes”. Fu una cosa molto stramba da fare una specie di canzone country. Al tempo mi piaceva molto anche “Face Up”, la trovavo una canzone fantastica. In quel periodo imparammo finalmente come si produceva un disco, capimmo cosa si poteva fare in studio e iniziammo davvero a padroneggiare i processi di editing e postproduzione. Avevamo iniziato a imparare da Martin Hannett ai tempi dei Joy Division, per proseguire poi con Movement e gli esperimenti elettronici di Power, Corruption & Lies. Low-Life è il disco in cui finalmente torna tutto.

Devo dire senza timore che è il disco di cui sono più soddistatto, ma ebbe un grosso problema. Ai tempi dei primi master digitali si usava una robina chiamata Emphasis Flag, che fondamentalmente enfatizzava alcune frequenze "nascoste", facendo suonare i dischi un po' strani. Probabilmente durante il mastering qualcuno deve avere schiacciato quel tasto per errore, incasinando tutto. Ci sono copie che suonano proprio male, e ci volle un sacco di tempo per risolvere quel casino. Un sacco di gente provò a rimasterizzarlo, ma poi lo ascoltavi e dicevi "Cavolo, fa schifo!"

Ultima domanda: se dovessi scegliere il brano definitivo dei New Order, quale sarebbe?
Mi è sempre piaciuta “All Day Long” da Brotherhood. Credo solo sia molto carina, ma non l'abbiamo mai suonata dal vivo. Forse dovremmo pensare di arrangiarla, prima o poi. Non c'è la batteria in quel pezzo, ma lo amo lo stesso.

 

Ho chiesto al nerd dell'ufficio della sua band in cambio di assistenza tecnica

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Il nostro tecnico IT, Drew Diver. 

VICE, come forse avrete sentito, è hip. I nostri uffici sono probabilmente i posti più relevant del pianeta e noi ci viviamo dentro! Indossando bran che voi stupidi umani non potete ancora conoscere mentre ascoltiamo gruppi che ancora non esistono. Oltre al nostro lavoro che ci occupa gran parte della giornata e che serve a portarvi le cose più menose per primi e raccontarvi per esperienza diretta di quella volta che Lemmy è svenuto per i troppi pompini, tutti quanti hanno un progetto creativo parallelo. La citofonista (lol, magari: rispondiamo a turno al citofono), il nostro responsabile dell'ufficio marketing, il ragazzo strano che gira per l'ufficio facendo rimbalzare una pallina da tennis e che nessuno sa davvero chi o cosa sia. E ovviamente anche lui, il nostro responsabile IT.

Le persone che lavorano nell'IT tendono ad avere la reputazione di lupi solitari e con scarse igiene orale e vita sociale, ma qui a VICE (che, lo ricordo di nuovo, è hip), la gente che protegge i nostri computer dagli attacchi DDoS è estremamente fica, un po' come tutti gli altri. Per esempio questo tizio del reparto IT, Drew Diver, come tutti queli che vivono a Brooklyn, ha una band. Ma, al contrario della maggior parte delle band di Brooklyn, la loro musica è ascoltabile. Il suo progetto, che si chiama Soda Shop, è un duo dream pop minimale il cui ultimo album ha ricevuto riscontri positivi da alcuni posti su internet come Nerdist e Elle.

Siccome avevo bisogno di risolvere alcuni drammi tecnici riguardanti il mio computer, e siccome Drew sa che scrivo di musica, sarebbe stato brutto chiedergli di risolvere i miei problemi senza fargli qualche domanda a proposito della sua band. Il risultato è stato qualcosa di improbabile, ma credo che vada bene. Questa è la mia intervista a Drew Diver dei Soda Shop a proposito della loro musica e del mio computer.

Noisey: Allora, com'è cominciato questo progetto? E poi, ho appena comprato questo nuovo iPhone e non ho idea di come settare la mia mail.
Drew Diver: Siamo una band da qualche anno, per la maggior parte del tempo siamo stati io e Maria. Prima che mi trasferissi a New York avevo alcuni demo della mia musica su cui sapevo che sarebbe servita la voce femminile giusta. Abbiamo fatto uscire un sette pollici nel 2011 e da allora abbiamo cominciato ad avere alcune date nei locali, nel frattempo abbiamo lavorato a nuove canzoni. 

Per quanto riguarda il tuo iPhone, semplciemente premi Settings > Mail, Contacts, Calendars > Add Account > Gmail e inserisci il tuo indirizzo @vice.com e la tua password.

OK, ho inserito la mia password scoregg1adic@zzo, ma ora sta sincronizzando tutti i miei contatti dalla mia email dell'ufficio, mentre preferirei che fosse il mio account personale. Hanno scritto di voi su Elle Magazine. Is that surreal?
Sposta il pulsantino su Contatti all'interno delle impostazione della mail VICE.

Sì! È stato un po' assurdo che Elle ci abbia passati e anche un po' ironico, perché la copertina di quel numero diceva “This is 30” e anch'io sto per raggiungere la temutissima cifra... 
 
Assurdo, però senti, il mio computer ha finito lo spazio disponibile, cosa dovrei fare? E, uhm... Vediamo... L'album ha suoni molto minimale. Come mai avete scelto questo approccio?
Sono sempre stato in sintonia con l'attitudine less is more, soprattutto in un periodo storico come questo in cui tutti possono accedere a qualsiasi libreria sonora grazie ad internet. Negare tutti quegli strati di suono e ricerca, credo che sia un modo per dargli di nuovo qualche tipo di valore.

Per quanto riguarda lo spazio sul tuo computer, forse potresti cancellare un po' di roba, ad esempio quei 30 duplicati dello stesso WeTransfer che giacciono sulla scrivania. 

Aspetta, stai guardando i miei file da remoto adesso? Perché quel documento “dave-grohl-kurt-cobain-erotic-fan-fiction.doc” mi serve per un articolo, non è una cosa che leggo per piacere personale. In ogni caso, il tuo partner musicale viene dall'Ecuador, come vi siete beccati, tu e lei?
Ci siamo conosciuti in due momenti, direi. Io stavo suonando il basso al NYC Popfest per il gruppo svedese The Embassy e dopo il concerto abbiamo avuto l'occasione di fare due chiacchiere. Quella stessa settimana il duo (sempre svedese) Air France era in città per un dj set e avevamo un amico in comune con Maria. Abbiamo iniziato a parlare di musica e di quei demo che avevano bisogno di una voce. Da lì in poi è facile immaginare come sia andata..

Per concludere, la domanda più importante, perché il mio computer è così lento?
Forse il problema sono le 40 schede aperte nel tuo browser e i 15 documenti word aperti allo stesso tempo. Potresti chiudere quelli che non ti servono.

Col cazzo.


Il tipo dei 5ive vende il suo Brit Award su eBay

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Presente quell'episodio di Friends in cui Joey accetta di ritirare un premio al posto di un altro e poi lui e Rachel fanno super fatica a ridarlo indietro perché la fama, anche se finta, li stava accecando? Avete mai sperato di vincere una bella statuetta tutta vostra, oppure anche non vostra ma di qualcuno che l'ha vinta per voi, in modo da poterne fare sfoggio anche se in realtà non avete fatto un cazzo per ottenerla? Ok, ora potete vivere il sogno e aggiudicarvi un bel Brit Award, dato che Abz Love aka "Abz" — fu membro dei 5ive, sì, quello che rappava — ha deciso di vendere il suo premio per "Miglior gruppo Pop del 2000" su eBay.

Abz è il protagonista di uno show su BBC 2 chiamato Abz on the Farm (in prima serata sulla TV inglese di sabato sera, per dire) e pare che stia vendendo il suo premio "per comprare del terriccio e magari qualche attrezzo da giardino". 

La prima reazione è pensare "Madonna che tristezza", no? Pensate che emozione vincere un premio così importante, un trofeo da lucidare con orgoglio quando, da vecchi, si ricordano i fasti giovanili, pensando "Quella volta ce l'abbiamo fatta, io e i miei amici!" Oltretutto non si capisce perché la BBC non gli dia abbastanza soldi per comprarsi quel terriccio. 

Però, se ci pensate bene, non è così triste: una statuetta è una statuetta, un pezzo di latta che non vuol dire assolutamente niente. Abz ora si pulisce il culo con tutte quelle menate da boyband e industria musicale assetata di sangue con cui doveva aver a che fare da giovane, tanto che se n'è andato dalla grande città e ora gliene frega soltanto del suo orto. Abz ora è un uomo libero, fanculo!

"Dai, approfittatene della mia povertà e cogliete al volo questa rarissima opportunità di aggiudicarvi un pezzo della storia del pop!!" scrive Abz, "A partire da 99 cent!!"

Vedete? Ecco le sagge parole di un ragazzo semplice che, con un paio di battute, la mette in culo a voi e al vostro attaccamento carnale alle cose terrene (non al terriccio). Secondo le nostre fonti, Abz sta usando la statuetta come fermaporte, attualmente. Ad Abz non gliene batte proprio un cazzo. Quarant'anni dopo le famose parole di John Lennon, "imagine no possessions", Abz ha finalmente incarnato il motto del Maestro. E se siete abbastanza scaltri potete aiutarlo a liberarsi dal pe$o della materialità.

Al momento in cui sto scrivendo, l'asta è intorno alle 9.000 sterline. Informazioni aggiuntive: sembra che il pezzo sia in condizioni ottime, anche se l'utente non feedback, quindi se volete rischiare, ecco a voi l'annuncio, lo trovate qui. Per chi di voi preferisse invece condividere con Abz la gioia della realtà bucolica, ecco una foto del nuovo Abz con una gallina:

Chromatics - "Shadow"

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Era il singolone che stavamo aspettando da tutto il giorno, ed eccolo qui. Dopo "In Films", "Just Like You", e "I Can Never Be Myself When You're Around", "Shadow" è il quarto pezzo tratto da Dear Tommy, doppio LP in uscita per Italians Do It Better.

I mondi sommersi di James Stinson

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Tredici anni fa James Stinson, uno dei personaggio più singolari della musica elettronica, è venuto a mancare. Anche se è conosciuto più che altro per i suoi lavori con Gerald Donald sotto il nome di Drexciya, Stinson è stato un artista prolifico e responsabile di alcuni dei pezzi techno, electro e talvolta persino house più assurdi che siano mai esistiti.

Con la confluenza di tecnologie soniche e meccaniche che si sono sviluppate in contemporanea è stato possibile analizzare l'associazione tra suoni elettronici e l'ignoto, arrivando persino ad avere la possibilità di studiarla da vicino. La visione dei Drexciya ha portato questo studio ad un livello superiore, con la costruzione di una realtà alternativa subacquea che possedesse il suo Sistema Solare Sommerso e alternativo, con orbite planetaria proprie e suoni nuovi e mai ascoltati.

Dopo aver cominciato con musica adatta ai dancefloor ruvidi abituati alla techno di Detroit, la ricerca di Drexciya si è mossa verso luoghi meno convenzionali e ha iniziato ad esplorare il legame tra suono e melodia in una chiave che pochi sono riusciti a migliorare o ricreare con le stesse competenze e la stessa maestria tecnica. Stinson e Donald riuscivano a connettere le immagini ai suoni, dando vita a mondi che era impossibile paragonare a qualsiasi altra cosa fosse mai stata prodotta fino a quel momento, sia in termini di mera qualità che di completezza estetica.

Anche se i dettagli specifici riguardanti i concetti dietro ai progetti di Stinson sono molto scarsi, visto che non amava rilasciare interviste e le informazioni a corredo dei dischi erano davvero scarse, i fan come Drexciya Research Lab hanno cercato senza sosta di decodificare i messaggi e i significati racchiusi nella sua musica. In ogni caso è sul foglio interno diThe Quest che viene raccontata la leggenda di Drexciya, una colonia sommersa fondata dal figlio di una schiava africana gettata fuori bordo durante una traversata. Questo mito è qualcosa su cui si è basata una grossa parte della loro produzione artistica, sia da un punto di vista musicale che da un punto di vista visivo, rappresenta quindi un tassello fondamentale nel loro schema artistico.

Questo tassello principalmente ha influenzato quello che potremmo definire come uno degli aspetti più interessanti che Stinson ha lasciato trapelare nelle sue rare interviste: quel concetto chiamato "Storm Series". Consiste in sette o otto dischi che insieme costituiscono una tempesta violenta e sono stati composti in un'ardore creativo durato circa un anno, a cavallo tra i due millenni. Con questi dischi Stinson e il suo socio hanno esplorato una moltitudine di idee diverse, ma senza mai perdere l'inconfondibile tocco Drexciyano. 

La capacità di Stinson di creare melodie e suoni in grado di invocare la musica club dei vostri sogni, è rimasto invariato anche oggi e con un catalogo così vasto e complesso, è difficile capire dove tuffarsi per iniziare a cercare.

Quindi, senza rispettare nessun ordine particolare, abbiamo elencato dieci tracce essenziali di James Stinson, tratte dai lavori come Drexciya e oltre.

Drexciya - Lake Haze

Stinson ha portato l'elettronica in luoghi che fino ad allora non aveva mai visitato e "Lake Haze" ne è il perfetto esempio. Tratta da quello che probabilmente è il mio disco dei Drexciya preferito, Harnessed The Storm, è un pezzo intimidatorio, vasto e che viene da un altro molto, che ti lascia lì come se fossi stato appena trascinato altrova da una corrente fortissima in un oceano sconosciuto.

L.A.M. - Toxic TV

Una delle prime release di Stinson e Donald, Balance of Terror by L.A.M (Life After Mutation) mostra le radici del duo di Detroit. "Toxic TV" è assolutamente implacabile e anche se i due si sono allontanati da questo tipo di suono, con alcune eccezioni, è facile capire come il sentimento sommerso che infesta la loro musica trovi origine in questi concetti. È anche un banger potentissimo, senza ombra di dubbio.

Drexciya - Powers of the Deep

Per me questa fa il paio con "Lake Haze" per il modo in cui riesce a dipingere così chiaramente l'immagine di un mondo subacqueo. Dall'incredibile Grava 4, questo pezzo ti trasporta in un posto nelle profondità più oscure del cosmo, un posto simile agli abissi oceanici. Questa è elettronica escapista nella sua forma più pura.

The Other People Place - Sorrow & A Cup of Joe

"Sorrow & A Cup of Joe" è stata una delle ultime cose incise da Stinson prima di morire. Parte da una base molto vicina ai suoi suoni e sviluppa una delle tracce deep house più raffinate di sempre. "Only moccachino, make me feel alright" sono le uniche parole pronunciate nella traccia, ma in qualche modo riescono ad avere un impatto spiazzante sulle emozioni dell'ascoltatore. Non è possibile rimanere impassibili di fronte a quel fascino senza pretese, deve avere qualcosa a che fare con il blues. In più la consapevolezza che questa traccia sia uscita così poco tempo prima del giorno fatale del suo autore trasporta tutto in un'altra dimensione.

Drexciya - Neon Falls

Sulla scia di "Sorrow...", questa è la mia traccia preferita nel repertorio Drexciya. La traccia è la coda della gigantesca raccolta The Quest — disco che probabilmente riesce a spiegare meglio quale sia l'idea dietro alla loro musica. Le melodie synth sono luminose e ariose, ma vengono riportate nel fango da una deliziosa e potentissima linea di batterie. Una traccia costruita appositamente per quando vi perdete nel mezzo dell'oceano.

Elecktroids - Midnight Drive

"Midnight Drive" arriva da Elektroworld del 1995 e suona un po' come il precursore dei suoni che Stinson ha esplorato con il progetto The Other People Place. Anche se non si conosce l'identità delle persone che hanno lavorato alla realizzazione del disco è facile intravedere le impronte digitali di Stinson ovunque, dalla melodia ai vocal. È una delle tracce più vicine agli standard dell'elettronica di Detroit in cui Stinson sia mai stato coinvolto, ma al tempo stesso è anche un classico di quelle espressioni.

Lab Rat XL - Lab Rat 3

La mancanza di titoli in Mice or Cyborg, che è uscito postumo nel 2003, è dovuto proprio alla prematura scomparsa del suo autore. Anche per gli standard Drexciyani è un pezzo piuttosto oscuro e fangoso, ma "Lab Rat 3" sembra racchiudere meglio degli altri l'essenza del lavoro. Forse è per via della bassline o per quel drone, ma questa è uno dei pezzi più intensi dell'intero catalogo di Stinson.

Drexciya - Surface Terrestrial Colonization

Seppur considerato che hanno fatto uscire cose anche prima di Neptune's Lair, questo è il primo lavoro ufficiale dei Drexciya. È anche il più strambo, con tutta probabilità, e le sue venti tracce potrebbero risultare piuttosto difficili da scalfire. "Surface Terrestrial Colonization" sembra un posto che puoi raggiungere solo accendendo un Sega Megadrive, ma ha comunque un groove e degli attacchi che vi scaveranno nel cervello come vermi in una mela.

Transillusion - Do You Want to Get Down

Una delle scelte più adatte al dancefloor, "Do You Want To Get Down?" è l'ultimo pezzo sull'eccellente The Opening Of The Cerebral Gate. È una marmellata di viaggioni e loop infiniti con qualche vocal terrificante a fare capolino, di tanto in tanto. È un pezzo che può ribaltarvi il cervello e un ottimo promemoria di quanto Stinson fosse in grado di farvi muovere il culo, oltre che farvi immaginare un mondo subacqueo da esplorare coi sensi.

The Other People Place - You Said You Want Me

La verità è che qualsiasi traccia di Lifestyles of the Laptop Cafe, uno degli album più raffinati che Warp abbia mai avuto la fortuna di stampare, avrebbe potuto conquistarsi un posto su questa lista. L'album è il lavoro più completo e comprensibile della discografia di Stinson e "You Said You Want Me" rappresenta tutto ciò che rende questo disco un capolavoro. Le parti vocali e gli accordi si muovono come in un telaio e si completano a vicenda fino a formare un tessuto che ogni tanto regala attimi di pura beatitudine e altre volte lascia l'ascoltatore emotivamente sconquassato.

Nessuna logica: il racconto sonoro di Furtherset

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Ho imparato a conoscere Tommaso Pandolfi, in arte Furtherset, in modo abbastanza strano: prima scrivendoci su Internet, poi attraverso la sua musica, poi ancora via Internet, fino a incontrarlo di persona in occasioni in cui mi ha travolto condividendo con me le sue ansie creative e personali e dandomi in mano un pezzo del suo mondo con una dolcezza e un'immediatezza che raramente si incontrano. Dalla sua esibizione al Club To Club a sedici anni, evento che per un po' gli è rimasto addosso tipo etichetta indelebile di bambino prodigio dell'elettronica italiana, è passato un po' di tempo, direi quattro anni. In questo tempo Tommaso ha tirato fuori due album, Holy Underwater Love (Concrete Records) del 2013 e How To Be You, uscito lo scorso anno per la sua label Bertrand Tapes, oltre che un numero spregiudicato di EP e remix. La sua vicinanza al maestro delle metope e del sound design Bienoise ha portato Tommaso ad avere un approccio più ponderato e deciso sulle sue produzioni, fino ad arrivare a una forma, se non ancora (volontariamente) definita, più focalizzata, sul suo ultimo lavoro, No Logic No Death—in uscita il 22 settembre per White Forest Records—di cui vi presentiamo una traccia oggi. Non sono abituata a pensare a come i nostri producer migliori possano riuscire a farsi strada a gomitate per mostrare che anche in Italia esiste un fervore creativo, in musica, gravido e volenteroso, e non so nemmeno se Tommaso abbia il desiderio di darle, queste gomitate. Ma il recente annuncio che parteciperà al prossimo ciclo della Red Bull Music Academy e, soprattutto, la ricerca intensa, complessa, sofferente e carnale di quest'album—una delle produzioni più valide nate ultimamente in questa penisola—sono chiari segni che, anche senza prefiggersi obiettivi ambiziosi, e lavorando sul nucleo anziché sul contorno, Furtherset si distingue per tanti versi dal magma a volte desolante della non-musica italiana.

Noisey: Bentrovato Tommaso, come stai? Cosa stai facendo?
Furtherset:
Sono a Urbino, non parlo con nessuno e non vedo nessuno da quattro giorni, oggi però è tornato finalmente uno dei tre amici che ho qui e fuori fa brutto tempo, credo che tra poco pioverà.

Bene, che tristezza. Senti, volevo iniziare chiedendoti cosa hai assorbito dai live che hai visto ultimamente, tipo quando sei andato al Dancity o quest'estate all'Atonal.
Oddio, ma è necessaria una domanda del genere? Be', per esempio Ivory Towers all'Atonal è stato emozionante, ho pensato "cazzo, vorrei fare una roba del genere." È stato uno di quei concerti che mi danno la sensazione stranissima che di solito ho prima di un attacco di panico, la sensazione di ansia che rimane lì ferma e non si muove, volevo andarmene, sono stato lì tutto il concerto a pensare "adesso me ne vado", ma c'era qualcosa in quel live che mi teneva c'era una tensione altissima che è difficile trasportare in un live.

A te piacerebbe riuscire a tirare su un live del genere?
No, nel live non vorrei trasmettere una sensazione d'ansia, forse quella rimane dentro di me quando suono, cerco piuttosto di trasportare chi ho davanti nel mio mondo sonoro, nel mio linguaggio, che altrimenti è una sorta di muro, rischio di comunicare poco se non si conosce magari quello che c'è dietro la mia musica. Ora sto cercando di superare questa barriera e renderlo più “accessibile”, per quanto rimanga un live non facile da ascoltare.

C'è un'intervista a Holly Herndon in cui dichiara di volersi impegnare ad essere accessibile, che non si crei quel muro, ma che ci siano delle vie d'ingresso. Per come l'ho sentito io, in quest'album apri più vie rispetto a How To Be You, no?
Rispetto alla produzione precedente, questo ha più vie laterali di accesso. Ovviamente non cerco di rendere universale il mio linguaggio musicale: non ne ho la pretesa e non saprei come farlo. Però forse gli scambi che ho avuto con universi musicali diversi dal mio, durante la produzione di questo album, hanno modificato il mio processo di scrittura, introducendo elementi anche pop, come ad esempio il fatto che canti su quasi tutte le tracce dell'album, o che la voce magari sia lo strumento principale che ho usato.

Invece parlami di un bel live che hai fatto, ossia quando hai suonato al Nextones. Mi ricordo che hai avuto problemi con le luci e non è andato molto bene a livello di visual.
A Nextones musicalmente è filato tutto liscio, mi ero caricato tantissimo perché suonavo dopo Fennesz e Lillevan, e Fennesz è uno dei miei riferimenti musicali principali. Avevo preparato, col mio collega Alessandro Biscarini, la parte visual, però non avevamo calcolato come regolare il contrasto e la luminosità per una cava bianca. E le luci non hanno aiutato, ne avevo addirittura una puntata addosso, che mi dava noia, però alla fine mi sono guardato intorno e c'erano persone davvero interessate e coinvolte, quindi il live è andato bene. 


Artwork di No Logic No Death

Com'erano i visual?
Sono riprese, fatte da me e montate da Alessandro, di miei disegni messi in sequenza, in una sorta di stop motion che ho creato collegando il mio computer a un televisore e mettendo tre immagini di fila che mandavo avanti con un peso sul cursore del computer, e riprendendo quello che usciva sullo schermo con una macchina fotografica. L'effetto che si crea è stroboscopico, i miei disegni, dipinti e foto vanno a sovrapporsi, che poi sono gli stessi che stanno sull'artwork dell'album.

Uno di quei lavori ce l'ho io tra l'altro. Mi racconti di come hai creato la cover art? 
Utilizzo il disegno come una sorta di diario, mi è molto più comodo esprimermi con  disegni o foto, rispetto che con la scrittura. Quei disegni sono stati una narrazione della mia vita di quest'ultimo anno, e mi sembrava logico che dovessero andare a finire sull'artwork, anche perché, come le tracce dell'album, sono stati fatti in ordine cronologico. Poi li ho ammassati in quel collage che è la copertina: è come se fosse un riassunto di tutto l'album. Molti di quei disegni non li ho più perché alcuni li ho regalati, altri li ho buttati, forse ne ho ancora tre o quattro. Cerco sempre di liberarmi dai miei disegni-diari, come mi sono liberato dal taccuino in cui annotavo gli appunti per l'album e i miei sogni di quest'anno. A giugno l'ho preso e l'ho bruciato, e nel booklet dell'album c'è una foto del diario che brucia, si è bruciato quasi tutto ed è rimasto un NO, scritto su una pagina, che per me è stato come un simbolico messaggio liberatorio, un chiudere con tutto quello che c'era stato prima... Infatti, appena dopo,  sono andato ad ascoltarmi What Burns Never Returns dei Don Caballero. Il disco giusto da ascoltare in quel momento. Il titolo poi è diventato una sorta di motto, per me.  



Quindi ora che ti sei liberato la Ram, pensi che il disco rappresenti un periodo che si è concluso?
Non credo si possano chiudere facilmente alcune porte che si sono spalancate, l'album è una sorta di riassunto di come mi rapporto alla relazioni e a me stesso, certe mie paure o altri aspetti positivi continuano ad esserci. Ad esempio, il titolo dell'album, No Logic No Death,  è una sorta di mantra che mi ripeto ogni tanto per evitare alcuni ragionamenti. Sai, magari iniziavo a pensare troppo su quello che facevo, ad avere pensieri disturbati riguardo alla mia identità, alla mia autostima, quindi quel titolo è quello che mi dico per non pensare troppo, andare avanti, fregarsene, per stare meglio. Questo è uno dei pochi aspetti positivi che mi porto dietro da quel periodo.

In un certo senso è stato un album terapeutico, nonostante tu l'abbia composto in una situazione complicata.
L'album è stato scritto quando ancora avevo una relazione, è continuato quando è finita, è continuato quando mi sono innamorato di nuovo ed è continuato quando anche questo sentimento è finito. È stato il mio unico modo per elaborare certe situazioni.



In pratica tutti i tuoi dischi parlano d'amore.
Be', il disco precedente, How to Be You, era più incentrato sull'identità, ma questo effettivamente è un album, per la maggior parte, di canzoni d'amore. Anche se non le definirei più così, sono più frammenti di discorsi che ancora devo riallacciare o costruire, altri pezzi comunque tornano sul tema dell'identità personale, del rapporto con le mie ansie, le mie angosce, le mie paure, come "Dead Again Still Again" che è un pezzo sui miei pensieri ed incubi ricorrenti sulla fine, sulla morte. Anche quello è una sorta di pezzo terapeutico, nel senso che mi è servito a superare certi tipi di ragionamento.

I testi che hai scritto sembrano anche loro un po' un mantra come il titolo dell'album. 
Il processo con cui ho scritto i testi è avvenuto in concomitanza con certe situazioni, erano le uniche cose che mi uscivano nel momento in cui suonavo, sempre perché non sono in grado di tenere un diario, e la musica e il testo sono usciti contemporaneamente. A volte sono dei mantra accusatori contro me stesso, quasi mai contro gli altri, anche perché non riesco a impormi contro gli altri, ma solo contro me stesso. 

A proposito della tua relazione con gli altri... Tu hai un rapporto fraterno con alcuni musicisti, penso a Bienoise o a Osiris: queste tue relazioni ti hanno influenzato in qualche modo nel tuo percorso?
Con queste persone, che non sono tante, il rapporto è decisamente fraterno. Sono persone che mi danno molto sia dal punto di vista emotivo che da quello artistico. Senza Alberto (Bienoise), Filippo (Osiris) o altri che stanno nei ringraziamenti, non sarei riuscito a finire l'album. Ascolti le critiche, i consigli, anche i complimenti, e ci lavori sopra. Alberto mi consiglia regolarmente di cominciare a equalizzare i miei lavori da solo, cosa che forse ora per la prima volta sto cercando di fare, dopo che lui ha dovuto gestire tutto l'album precedente, sia per il mix che per il master. Lavoro che questa volta è toccato a Matteo Lo Valvo, della White Forest. 

Stai fisicamente in un punto un po' inculato d'Italia, soprattutto rispetto ad alcuni centri della scena elettronica come Milano, Torino, Roma... Ti pesa questa sorta di isolamento?
Anche se fossi stato da qualche altra parte non mi sarei sentito parte di nessuna scena. Non vedo dove potrei riconoscermi, alla fine il mio processo di scrittura è molto individuale, non rientra in una scena. Vivere isolato è dannoso da un certo punto di vista, perché rimani fuori da certe dinamiche di mercato, però può essere anche positivo per quanto riguarda la concentrazione. Qui non posso fare molto più che rimanere chiuso in camera a suonare, e forse queste mie dinamiche di lavoro non potrebbero essere possibile altrove. 


Mentre scrivevi il disco c'è qualcosa che stavi leggendo, ascoltando o incamerando, in particolare?
Principalmente mi hanno ispirato artiste come Holly Herndon o Katie Gately, che lavorano principalmente sulla voce. Le ho ascoltate molto e ho tentato di imparare qualcosa da loro. Ascolto molto Fennesz, ho ascoltato parecchio Arca, ma forse la spinta a utilizzare più i testi o la chitarra sono arrivate da Jim O'Rourke o da band come Pavement, Built To Spill, queste robe qui. Non so però se queste influenze più "indie" siano udibili o meno nell'album.

Be', però da un certo punto di vista la struttura dei pezzi di questo LP è più aperta, più da "songwriting"...
È un'osservazione che ho fatto anch'io: i pezzi si sviluppavano su nuovi territori che non avevo percorso in precedenza. Questo lavoro è una sintesi di quelli precedenti, con nuove strutture, nuove vie d'espressione. Ho cercato anche di modificare il mio processo creativo, riducendo al minimo il setup, ora lavoro solo con due tastiere, due microfoni, una chitarra bruttissima, Ableton, e una diamonica. Strumenti orribili, ma sentivo il bisogno di limitare le mie risorse.

È più intimista, questa produzione.
Sì, viene più da dentro, una delle poche direttive che avevo nella composizione dell'album era la ricerca sui suoni che escono da me, dal mio corpo. È stata una sorta di embodiment in musica. 

Ti aspetti qualcosa in particolare dalla Red Bull Music Academy a cui stai per partecipare?
Andare a Parigi due settimane è stimolante perché incontrerò altri musicisti e avrò a disposizione studi in cui poter registrare. Cerco sempre di non partire con grandi aspettative su nulla, parto con i piedi ben saldi a terra, ma sono entusiasta della libertà artistica che l'Academy mi consentirà. La notizia che ero stato preso è arrivata quando ero abbastanza giù e in quel momento ho pianto molto per la felicità, è stato un bel modo per scacciare molte mie ansie sulla mia incompetenza.

E per le aspettative riguardo a quest'album hai un po' di ansietta?
No, non ho aspettative per niente e per nessuno, cerco di muovermi casualmente, di non impormi obiettivi. Però mi sono autoconvinto che questo non sia un brutto album. Credo che poi rientri nella mia libertà creare dei disastri. 

Come mai hai deciso di affidarti a White Forest e non più alla self release?
Non mi ricordo se siano stati loro a contattarmi o viceversa, credo proprio di essere stato io. Avevo voglia di fare le cose in una maniera un pochino più seria e volevo mettermi in mano a loro. Ho mandato a WFR i primi pezzi dell'album e sono stati entusiasti. La mia unica condizione è stata che non volevo scarti o cambiamenti sul prodotto finale, loro mi sono stati dietro e mi hanno dato completa libertà. Da entrambe le parti crediamo nella completa libertà artistica, questo è fondamentale.

Senti, i ragazzi della tua generazione hanno un rapporto molto più strano e concreto con Internet rispetto ai trentenni. Per te che funzione ha, anche solo come rete sociale?
Be' alcune delle mie relazioni più strette sono nate da un lungo rapporto sui social, per esempio Alberto (Bienoise) non l'avevo mai visto prima che mi facesse il mix e il mastering dell'album precedente. Non riesco molto a vedere separazione tra la realtà e il social, a volte la realtà diventa un'estensione dei mezzi. Per quanto riguarda la mia musica, credo che sia esattamente il contrario del "SOCIAL", non l'ho nemmeno mai fatta girare tanto su Internet. Ora in particolare ho la necessità di far uscire la mia musica su supporto fisico, perché non si perda in questo infinito flusso di dati. Né la musica né le persone dovrebbero essere a rischio di diventare semplici dati.

Per cui si ritorna alla tua ricerca sul fisico. 
Sì, soprattutto dal vivo sento il suono materializzarsi e connettersi con altri corpi. Tengo molto al fatto che durante i miei live il pubblico senta la fisicità della mia musica. Sono contento di poter suonare suoni nati dalla mia voce, come se elementi miei fossero estraniati e diventassero frequenze che, fisicamente, risuono.

Una volta hai detto che volevi scrivere un disco felice...
Ecco, non credo che quest'album sia felice. Diventa un po' più felice quando lo suono dal vivo, mentre ascoltarlo butta abbastanza giù, almeno me. Da giugno l'avrò riascoltato tre o quattro volte. 

Stai già lavorando a cose nuove?
Sì, ma questi nuovi lavori non avranno testi, anche perché mi buttano spesso giù, mi costringono a costruire una narrazione a partire da un punto di vista estremamente individuale. Invece voglio fare qualcosa di più propositivo nei miei confronti.

Fa un po' ridere però che il titolo dell'album contrasti con l'ordine logico dei pezzi o con il fatto che hai scritto testi utilizzando il linguaggio, la logica per eccellenza.
In effetti sì, quest'aspetto paradossale tra il titolo e la struttura dell'album però non è un male. Il titolo si riferisce più a un modus operandi della mia mente, che è diviso dal processo di scrittura, anche se non ho alcuna regola nel mio processo creativo. 

Come mai hai scelto di farti intervistare da me?
Perché mi vuoi bene.

Vero, ti voglio bene. 

No Logic No Death uscirà in CD e digitale il 22 settembre per White Forest Records.

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LXV - Asylum/Theophany

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"Asylum/ Theophany è un EP di musica che ho composto tra il 2012 e il 2014. Contiene parte dei miei primi movimenti come LXV," spiega David Sutton sul suo sito, in cui annuncia l'uscita del suo quarto, splendido EP, per Soft Abuse. I vecchi nomi a cui viene associato sono svariati—Current Amnesia, Car Commercial—ma da qualche anno, il producer di Philadelphia ha incanalato le sue energie in un progetto più coinciso ed evocativo, contrapposto alla matericità (e antimatericità) dei suoni che lo caratterizzano. Il progetto si chiama LXV e lo scorso giovedì ha rilasciato Asylum/ Theophany, ovvero sei spirali di noise, voci e piano, ispirate al Chapel Perilous, termine occulto con cui Anton Wilson—e molti altri prima di lui—denominavano un particolare stato di confusione mentale in cui l'uomo non capisce se determinate esperienze da lui vissute siano reali, o alterate da forze ultraterrene, di cui per natura non concepisce l'esistenza.

Gli strati di voci, droni, palpiti e sospensioni ambient che Sutton ricama traccia dopo traccia, sono venti algidi e sintetici che lentamente fanno affiorare un'entità sonora perfettamente complementare all'esplorazione spiritica della mente, durante lo stato di Chapel Perilous. Il deserto raffigurato sull'artwork è più che eloquente, riguardo all'atmosfera di Asylum/ Theophany, e ne rappresenta forse la stessa essenza. Si tratta del primo album solista realizzato dopo la collaborazione con Kara-Lis Coverdale, Sirens, e lo potete ascoltare qua sotto. 

Segui LXV su Soundcloud e Bandcamp

Segui Sonia su Twitter—@acideyes

 

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