Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

Lil Busso è la nuova generazione del rap bolognese

$
0
0

La storia di Bologna è la storia dell'hip-hop italiano. A partire dagli anni Ottanta, è la città che maggiormente ha dato la sua impronta estetica al nostro rap, nato e cresciuto in alcuni centri sociali storici come Isola nel Kantiere—e quindi immerso in un’atmosfera fortemente politica.

Negli ultimi anni, però, giovani artisti come DrefGold e Tredici Pietro sono stati in grado di portare sotto le Due Torri un nuovo modo di fare rap, figlio della trap statunitense e totalmente slegato dall’immaginario dei gruppi storici.

È sicuramente traumatico, per chi a quei riferimenti è molto legato, rendersi conto che ci sono persone cresciute ascoltando i Migos prima dei Sangue Misto, con lo sguardo rivolto oltreoceano più che ai mostri sacri della città in cui sono nati. Uno di questi artisti è Lil Busso, che da quando ha pubblicato “1€/Secondo” insieme a Tredici Pietro ha iniziato a farsi notare su YouTube.

Lil Busso Ipermetromondo Thaurus
La copertina di Ipermetromondo di Lil Busso, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

I suoi pezzi sono leggeri e zuccherosi come caramelline colorate, e li produce Mr. Monkey, uno dei fautori della rinascita musicale della città. Ci è sembrato quindi interessante provare a parlare con Busso—che ha vent’anni e si chiama Nicola—per capire un po’ da dove è venuto, che rapporto ha con la sua città e per affrontare alcune tematiche della conversazione sulla trap di oggi.

Noisey: Partiamo dall’inizio: come sei entrato in Thaurus?
Lil Busso: A Thaurus ci sono arrivato tramite Tredici Pietro, insieme a lui che ha iniziato a lavorarci con "Pizza e Fichi”. Quando poi abbiamo parlato del progetto c'era anche la mia roba, loro l'hanno sentita e abbiamo iniziato a lavorarci un po' e per ora sono ancora con loro.

E sei cresciuto a Bologna?
Sì, io vivo a Bologna ma vengo molto spesso a Milano. Bologna è una città un po’ chiusa, ci sono sempre le stesse persone, mentre Milano adesso per la musica è un punto di riferimento, c’è un’apertura mentale diversa.

1581008521817-EC80CA37-B2A1-4141-B337-D65033157665
Lil Busso, Tredici Pietro e Mr. Monkey, fotografia via Thaurus

Dici anche musicalmente? Rispetto all’hip-hop Bologna è una città con una storia enorme.
Secondo me sì, penso che la Milano di adesso sia la Bologna di venti, venticinque anni fa. Anche se c'è ancora un legame molto forte con l'hip-hop, rispetto a Milano musicalmente è rimasta un po’ indietro. Sulla trap per esempio, la roba nuova che sta uscendo negli ultimi anni sono un po’ diffidenti, anche se per certi versi adesso vedo che la situazione sta cambiando, qualcosa inizia a muoversi. DrefGold è stato fondamentale, ci ha fatto vedere che delle cose nuove potevamo farle anche noi e ci ha aperto le porte. Anche con lui però, che tecnicamente è fortissimo, inizialmente erano un po’ reticenti, perché ha un immaginario diverso da quello storico, politicizzato dell’hip-hop anni Novanta. Tant’è che lui da subito si è spostato a Milano. Ora però sono ci devono supportare per forza, che gli piaccia o meno, perché siamo noi che rappresentiamo la città. Siamo la nuova verità di Bolo.

La questione della politica mi interessa, perché appunto tu vieni da una città che ha un certo tipo di storia che si è espressa tantissimo nell’hip-hop. Nella tua musica invece questo discorso politico, sociale, è completamente tagliato fuori e mi chiedevo come mai.
Sì, la mia musica non è per niente politicizzata, è una scelta consapevole. Non mi piace la politica—non voglio dire che non m’interessa: dire che non t’interessa la politica forse è peggio che interessarsi e votare per la destra, per Salvini, però non mi interessa parlarne nelle canzoni. Su certi temi magari io non so nemmeno precisamente che cosa sta succedendo, metti che dici una cazzata… E poi non è quello che cerco io, la musica per me è una cosa di presa bene.

"Sembra quasi una bestemmia ma il primo disco hip-hop che ho ascoltato nella mia vita è stato il primo album dei Migos."

E come ti ci sei avvicinato, come hai iniziato a rappare?
Io ho iniziato nel 2016, durante l’anno all’estero alle superiori che ho passato a Los Angeles. Prima di andare lì il mio ascoltare musica era far partire la Top 50 di Spotify e basta, mentre negli Stati Uniti ho scoperto la trap e mi sono ascoltato i vari Lil Yachty, Lil Uzi Vert, Quavo… Sembra quasi una bestemmia ma il primo disco hip-hop che ho ascoltato nella mia vita è stato il primo album dei Migos.

E le cose old school della tua città non ti sentivi nulla? I Sangue Misto per esempio.
Zero, non li conoscevo. Anche adesso in realtà, so chi sono ma non è la roba che ascolto io, ho altre sonorità nella testa. Musicalmente io sono cresciuto negli Stati Uniti, ho iniziato lì a fare i freestyle in un misto di italiano e inglese. Già quando ero lì ho pubblicato la mia prima traccia su Spotify, poi sono tornato a Bologna e mi ha scritto Mr. Monkey. Mi ha detto tipo: “Sei forte ma i tuoi beat fanno cagare, passa in studio da me che combiniamo qualcosa di serio”. Poi tramite lui ho conosciuto Pietro.

1581009549181-IMG_8617
Mr. Monkey e Lil Busso, fotografia via Thaurus

Non vi conoscevate già?
Di vista sì. C’è un aneddoto che fa ridere: per un periodo quando andavo al liceo frequentavo una ragazza ma entrambi vedevamo anche altre persone. Un giorno le ho chiesto—ero curioso—chi fossero gli altri con cui usciva, oltre a me. Lei mi ha risposto “Lo conosci tu Pietro Morandi?” e io “Ma come, ma il figlio di Gianni?!”. Anni dopo poi ci siamo conosciuti di persona, in studio. Io avevo appena iniziato a lavorare con Monkey, mentre lui rappava già da anni e cercava un produttore nuovo.

Ho notato che su YouTube nei commenti a “1 euro/Secondo” che avete fatto insieme ci sono parecchi “Bella per l’amico del figlio di Gianni Morandi”. È una gag che ti pesa, come la prendi?
Ma sì, sono due o tre commenti fatti per fare i like, è divertente! Figurati se dovrei prendermi male, anche io ho un mio gruppo di fan. Alla fine questo discorso del figlio di Gianni dà solo più risalto alle cose che facciamo, per noi è positivo. Io e Pietro siamo amici e ci vogliamo bene, ma io faccio la mia strada.

"Alla fine questo discorso del figlio di Gianni dà solo più risalto alle cose che facciamo, per noi è positivo. Io e Pietro siamo amici e ci vogliamo bene, ma io faccio la mia strada."

E qual è?
Inizia adesso, col mio primo disco. Si chiama Ipermetromondo, è il mio modo di presentarmi alla scena. è un disco molto vario, ci ho lavorato insieme a Monkey e dentro ci sono dei pezzi fortissimi anche dei bei feat. Oltre ovviamente a quello con Pietro, ho voluto fare un pezzo solo con Kaneki in cui rappa e spacca di brutto. Ci tenevo che fosse un disco personale, in cui si capisse veramente come sono io, in tutti i miei mood, da quello romantico a quello più bossy. Sono molto gasato.

Siamo in periodo sanremese e come sempre il giornalismo italiano ha dato il meglio di sé con le critiche alla trap, che è diseducativa e non ha contenuti. Tu cosa ne pensi?
Io faccio il lato più “attaccabile” della trap, quello più preso bene ma anche più leggero, divertente. Io penso che il giornalismo italiano oggi non sia ancora in grado di interpretare questa arte, se ne parla in modo vecchio, per i vecchi. Se pensi al prete che dice in televisione che Sfera Ebbasta ha testi satanici… Cos’hai in testa per arrivare a dire una roba del genere? È un perbenismo tutto italiano. Secondo me l’arte deve poter parlare di qualsiasi cosa, l’importante è farlo in modo originale.

1581075393543-c9a32552-e7b2-4dd2-b2d6-d966b54c11bf

Visto che siamo entrati nell’argomento, vorrei farti una domanda che forse è un po’ scomoda: c’è un tuo pezzo, “Nada”, in cui usi la parola "puttana". Non pensi che sia un termine criticabile?
Io nel pezzo me la prendo con tutti i comportamenti cliché dei ragazzini di oggi, che escono di casa solo per fumare, vanno nei locali solo per trovare una ragazza da portarsi a casa… L’atteggiamento di cui parlo è quello di una ragazza che ci prova con tutti ma poi dice che non ci sta perché è fidanzata, è un po’ crudo ma alla fine come altro lo puoi dire… Mi rendo conto che sia un termine brutto. L'ho fatto un po’ per provocare.

Eh, ha delle connotazioni abbastanza brutte.
Però è una situazione che può capitare, come magari c’è uno un po’ disperato che ci prova con tante giusto per trovare una con cui andare a letto.

Io ho 600k visualizzazioni su YouTube ma non posso pensare di fare un live con mille persone. L’obiettivo deve essere quello.

Una cosa che ci chiedevamo è com’è essere un esordiente adesso, in Italia. Capita magari, è anche il tuo caso, che non sia ancora uscito un disco e che un artista abbia già migliaia di follower sui social, un sacco di visualizzazioni…
Sicuramente è un modo abbastanza atipico di essere un esordiente, magari prima, anche solo sei o sette anni fa, entrare in etichetta era una garanzia, un punto d’arrivo. Adesso avere il supporto di un’etichetta ti serve per partire, non puoi aspettarti che dopo aver firmato si preoccupino di tutto loro, devi avere delle idee, un progetto. Per me i numeri non valgono niente, quello che conta è che ai tuoi live ci sia la gente sotto al palco. Io ho 600k visualizzazioni su YouTube ma non posso pensare di fare un live con mille persone. L’obiettivo deve essere quello.

Martina è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram e su Facebook.


Eminem si è esibito agli Oscar e non se lo aspettava davvero nessuno

$
0
0

Durante la notte degli Oscar, il pubblico di celebrità presenti ha avuto un attimo di mancamento all'apparizione di Eminem. Il celebre rapper, che nemmeno un mese fa è uscito a sorpresa con Music to Be Murdered By, è sembrato uscire dal cilindro come un perfetto trucco di magia. Inatteso e scattante, ha cantato una energica "Lose Yourself" tratta dalla colonna sonora del film di 8 Mile.

In platea, Billie Eilish, suo fratello Finneas e Idina Menzel sono sembrati più confusi che altro. Brie Larson era a dir poco sorpresa ed emozionata. Kelly Marie Tran, Gal Gadot, Zazie Beetz e Anthony Ramos hanno invece cominciato immediatamente a seguire il ritmo e sputare rime. Il migliore tra tutti, però, è stato Martin Scorsese, che voleva in tutta evidenza semplicemente andare a dormire.

Eminem ha avuto la possibilità di riparare a un torto che si è inflitto da solo. Nel 2003, la sua canzone era stata il primo brano hip hop a vincere l'Oscar per la miglior canzone originale. E lui non si era presentato sul palco a ritirare il premio. Oggi è tornato a riscuotere il dovuto. Il risultato? Una standing ovation e un fiume di meme pronti per l'uso.

Noi spettatori italiani, invece, ci siamo dovuti accontentare di Diletta Leotta e della sua versione rap di “Ciuri Ciuri” a Sanremo. Trovate voi le differenze.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Rendiamo omaggio a D'Angelo, leggenda della black music e icona erotica

$
0
0

È stato un video NSFW di quattro minuti e mezzo a cambiare completamente il corso della carriera di D’Angelo.

"Untitled (How Does It Feel)" comincia con innocenza, con l’inquadratura che passa dalle curate treccine alla sua bocca con il caratteristico diastema, lo spazio tra gli incisivi. Spogliato e vulnerabile, sembra un po’ a disagio. Non è imperturbabile come al solito. Questa tenerezza ci è familiare: è l’emozione dello spogliarsi di fronte a qualcuno che non ci ha mai visto nudi. Notando il suo sguardo attratto da qualcosa sotto la cintura, viene da chiedersi che cosa cacchio stesse succedendo fuori dall’inquadratura.

Questa tenerezza ci è familiare: è l’emozione dello spogliarsi di fronte a qualcuno che non ci ha mai visto nudi.

In un’intervista con ?uestlove, il cantante non ha confermato né negato che stesse ricevendo sesso orale, ma il suo respiro corto fa aumentare i sospetti. Il magnetismo di “Untitled” e la sua gloriosa sensualità distraggono facilmente dal crocifisso che pende dal suo collo. La dicotomia religione-sessualità è però stata la tensione chiave nella creazione di D’Angelo.

Nonostante il successo di Brown Sugar (1995) e poi di Voodoo—che ha da poco compiuto 20 anni—questo cantante R&B è rimasto un enigma: D’Angelo stava diventando un sex symbol, ma allo stesso tempo lottava per continuare a essere Michael Archer, il ragazzino del coro cresciuto nella chiesa pentecostale di suo padre. Il barometro dell’eccellenza nera misura spesso la nostra capacità di trovare l’equilibrio della nostra doppia coscienza: chi siamo e come il mondo ci percepisce. D’Angelo, considerato da molti il nuovo Prince, era perseguitato dal suo stesso genio, e il suo secondo album avrebbe dimostrato quanto era disposto a sacrificare in nome dell’auto-conservazione.

voodoo d'angelo
La copertina di Voodoo di D'Angelo, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

“Quando ho cominciato a sentire quello che poi è diventato Voodoo, ho rapidamente iniziato a capire che non si sarebbe trattato soltanto di un Brown Sugar parte seconda”, racconta il tour manager Alan Leeds nel documentario Devil’s Pie - D’Angelo. “Per me era chiaro che si trovava in anticipo su tutti sulla strada che la black music avrebbe preso nei 10 o 20 anni seguenti”.

Scritto su un registratore a quattro piste nella sua camera da letto di Richmond, Brown Sugar solletica tutti i sensi. La “ciliegina nel cioccolato dei [suoi] sogni” ti resta sulle labbra in “Me and Those Dreamin’ Eyes of Mine”, e ti sembra di vedere le sue mani insanguinate quando finisce la blueseggiante “Shit, Damn, Motherfucker”. La scrittura di D’Angelo spesso mescola dolcezza e sapidità, come nel singolo omonimo estratto dal disco. “Mi strafaccio del tuo amore, non so come comportarmi”, non è una frase ad effetto; era un’ode a un blunt fumante.

"Era chiaro che D'Angelo si trovava in anticipo su tutti sulla strada che la black music avrebbe preso nei 10 o 20 anni seguenti”.

D’Angelo ha rimodellato l'R&B anni Novanta a sua immagine e somiglianza, un cocktail di Sly Stone e A Tribe Called Quest; questa collisione tra soul e street ha dato alla luce un nuovo tipo di rhythm and blues che gli stava come un guanto. “Cercavo sempre di fare hip-hop senza dover per forza suonare R&B”, ha detto a ?uestlove.

“Ho amato la versione finale [di Brown Sugar], ma c’erano certe canzoni che secondo me avevano perso qualcosa tra la versione demo e tutta la produzione che è stata fatta”, ha detto in un’intervista del 2014 con Red Bull Music Academy. Avendo trovato che il suo debutto fosse diventato “un po’ omologato”, D’Angelo ha scritto il seguito come una sfida al mainstream. “Dritto dalla tetta al bicchiere—ecco che cos’era Voodoo”, ha detto.

dangelo-2
Foto: Frank Micelotta/Getty Images

Mentre i fan aspettavano un altro album e i Novanta stavano per finire, la vita non aveva intenzione di fermarsi. Il processo per omicidio a O.J. Simpson divise la nazione e l’assoluzione dell’ex giocatore di football scioccò un po' tutti. Gli sforzi di Louis Karrakhan per rendere la Million Man March un simbolo di unità non bastarono a lenire le sofferenze della comunità nera. Gli omicidi di Tupac e Biggie furono senza senso, e quando la polizia di New York scaricò 41 colpi di pistola su Amadou Diallo, un 23enne immigrato dalla Guinea, fu ancora più chiaro che ogni uomo nero d'America se ne va in giro con un bersaglio sulla schiena. Con la fine del decennio, Bill Clinton, che Toni Morrison una volta aveva descritto come il nostro “primo presidente nero”, si trovò a fronteggiare un impeachment per aver avuto una relazione clandestina con Monica Lewinsky, stagista alla Casa Bianca.

Vent’anni dopo, l’America ha finalmente attraversato due mandati con un vero presidente nero, ma la nazione resta piena di problemi: un nuovo impeachment si profila all’orizzonte, altri carismatici eroi dello sport sono ancora sotto processo per omicidio e la violenza della polizia continua a dominare le prime pagine. Il genio di Voodoo sta nella decisione di D’Angelo di creare un album imperfetto quanto il suo tempo.

Il genio di Voodoo sta nella decisione di D’Angelo di creare un album imperfetto quanto il suo tempo.

Anche soltanto il titolo dell’album si riappropriava della magia nera decenni prima che l’espressione “black (girl) magic” diventasse un simbolo di riscatto. Rendendo omaggio alle pratiche religiose del Sud degli Stati Uniti, delle isole dei Caraibi e dell’Africa Occidentale, Voodoo simboleggiava il matrimonio tra le tante sfumature della vita delle persone nere e delle loro fedi come influenza sul suo sound. Invece di ridurre il Vodou a formule magiche e sacrifici animali, il cantante si faceva veicolo dell’anima degli Haitiani che avevano dato vita a quella religione nei campi dove erano schiavi.

“Ho capito che tutto ciò che esiste, tutta la musica, viene dall’Africa”, D’Angelo ha detto a dream hampton in un numero di VIBE del 2000. “Ho iniziato a vedere tutte le connessioni della musica che riportavano all’Africa, e volevo esprimere tutti quei generi Come quello che aveva cercato di fare Sly, quello che aveva cercato di fare Prince, e anche Jimi”.

“Ho capito che tutto ciò che esiste, tutta la musica, viene dall’Africa”.

D’Angelo registrò Voodoo negli studi Electric Lady di Greenwich Village. Lì, evocando l’energia di Hendrix—che aveva disegnato lo studio nei Settanta—e riempiendo i muri di poster di altri soul men come Prince e gli Isley Brothers, lo trasformò in un altare per i suoi eroi. Quando era adolescente a Richmond, aveva avuto la possibilità di avere come mentore Ellis Marsalis Jr., ma poi la cosa andò a monte; ora, stava scoprendo che era meglio così. Le indicazioni di un musicista esperto lo avrebbero reso troppo pulito, e Voodoo era l’antitesi della formalità in musica. Alla ricerca di quella qualità spontanea, da demo, che era andata persa in Brown Sugar, D'Angelo registrò la gran parte dell’album in una take, decidendo che cosa tenere in seguito all’ascolto. Le canzoni si materializzarono perlopiù da jam session, tracce come “Greatdayndamornin’” e “The Root” riassemblate dall’ingegnere del suono Russ Elevado.

“[Voodoo] ha rivoluzionato come potevano suonare strumenti acustici e live”, ha detto il chitarrista Jesse Johnson in Devil’s Pie. “Era completamente anti-industria musicale, è stato bellissimo perché addirittura la canzone più forte, che era ‘Untitled’, non aveva neanche un titolo”. Avendo utilizzato una grancassa bassa e un basso standard a 4 corde, Voodoo risultava un feroce sussurro in confronto ai suoi contemporanei. Lo stile batteristico di ?uest era basato sul tipico stile J Dilla, “spogliato finché non suona come una batteria di secchi e pentole”, o stile impreciso, come spesso lo descrive lui stesso.

Voodoo è stata una rivoluzione. È stato un dito medio alzato contro l’establishment, contro le limitazioni imposte alla musica nera, ma anche una cura personale.

Non solo la produzione era ricca di sfaccettature, ma lo erano anche i testi. La batteria abbozzata e le voci distanti di “Chicken Grease” creavano una palette unica per le sue metafore. Il pollo, proprio come la musica, dà il meglio se il sapore è arricchito dal grasso, e D’Angelo voleva che gli ascoltatori sentissero quel sapore. “Fallo sfrigolare come si faceva una volta / Ma aspetterò per diventare il migliore, lascio passare gli altri prima”, canta. L’idea di disprezzare la perfezione e i sacrifici che richiede lo perseguita in altre canzoni come “The Line”: “Ho detto la pressione mi schiaccia / Da ogni lato, dal politico al personale”, canta. “Parteciperò o mi lasceranno da solo? / Cadrò o spaccherò?”

Nonostante le sue insicurezze, Voodoo è stata una rivoluzione. È stato un dito medio alzato contro l’establishment, contro le limitazioni imposte alla musica nera, ma anche una cura personale. L’unico problema era che la sua nuova posizione di sex symbol rischiava di compromettere la sua morale e di diventare una distrazione dalla musica.

In seguito a “Untitled”, i concerti di D’Angelo si trasformavano in una bolgia di persone che pretendevano di vederlo a torso nudo, nonostante la gravità delle canzoni di Voodoo. Lui obbediva, spogliandosi anche soltanto 20 minuti dopo essere salito sul palco. I concerti diventarono il tipo di catene di cui parla in “Devil’s Pie”, una traccia più hip-hop che R&B prodotta da DJ Premier. “Lo spirito della voce è tipo chain gang, gruppo di schiavi, chini a raccogliere la merda che il padrone ci ha detto di raccogliere, e questo è quello che cantavamo sotto quel maledetto sole cocente”, ha detto a Red Bull. Elencando le cose strane che la gente fa per soldi o lussuria, non se ne tira fuori. “Chi sono io per giustificare / Tutto il male nei nostri occhi / Quando io stesso provo il piacere / Dato da tutto quello che disprezzo?”, canta. D’Angelo ha passato i 14 anni seguenti alla ricerca della risposta a quella domanda.

“Lo spirito della voce è tipo chain gang, gruppo di schiavi, chini a raccogliere la merda che il padrone ci ha detto di raccogliere."

Essere nero e un’eccellenza significa che devi essere entrambe le cose in ogni momento. Non c’è spazio per errori e non basta essere semplicemente brillante—devi essere “bravo il doppio”. “Se non dai il massimo, stai deviando dal sentiero spianato dalla generazione che ha sofferto prima di noi—ed è un disonore rispetto a quello che le dobbiamo”, ha scritto Steven Underwood su Essence. Il talento di Sam Cooke, Otis Redding, Donny Hathaway, Jimi Hendrix, Marvin Gaye e del contemporaneo di D’Angelo J Dilla è stato eclissato dalla loro morte. L’idea che il destino di D’Angelo potesse rispecchiare quello dei suoi eroi ha finito per paralizzare Michael Archer, e una buia spirale discendente è seguita a Voodoo.

Rinato nell’era di Black Lives Matter, il tanto atteso Black Messiah di D’Angelo è arrivato nel 2014 come reazione all’omicidio di Michael Brown, un adolescente disarmato, da parte della polizia di Ferguson. Nonostante il suo terzo album fosse quasi finito da quasi due anni, lui aveva qualche riserva sul pubblicarlo. “Voleva una cosa più libera, che comunicasse anarchia, urgenza e rivoluzione”, ha detto al New York Times Jocelyn Cooper, che aveva messo il cantante sotto contratto negli anni Novanta. Tutto quello che aveva imparato nel suo secondo album era giunto a maturazione.

Quando Voodoo fu completato, D’Angelo rivelò che la sua missione era di elevare i suoni dei suoi artisti preferiti, invece di campionarli. ?uestlove gli chiese: “Quindi diresti che [l’album] è la manifestazione di quella visione?” “Sì… ma non del tutto”, rispose D’Angelo. “Mi sembra di essere solo all’inizio. L’abbiamo perfezionato con Voodoo.”

Questo articolo è stato pubblicato in origine su VICE US.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

In quartiere con Elodie, dalle case popolari a Sanremo

$
0
0

Elodie Di Patrizi sa spiegare la periferia, l'isolamento e il disincanto meglio di tantissimi rapper. Siamo andati a trovarla a Roma e lei ci ha accolto nel quartiere dove è cresciuta, il Quartaccio: è la prima volta che lo porta in un'intervista, e il suo nuovo album This Is Elodie è il primo che racconta veramente la persona dietro alla popstar. Quella che ha portato a Sanremo 2020 "Andromeda", scritta dai suoi amici Mahmood e Dardust.

Abbiamo visitato le case popolari di Quartaccio dove, dice lei, non esiste l'idea di farcela, di avere un obiettivo: si diventa genitori presto, ci si deve difendere, si deve affrontare l'esistenza giorno dopo giorno. Ma si stringono anche legami forti, che attraversano gli anni e le difficoltà—come quello che la lega a Patrizia e Riccardo, che hanno cresciuto lei e sua sorella Fey quando i loro genitori non ci sono stati.

La vita di Elodie è stata segnata dai pregiudizi. Uscita da Amici, interprete e non autrice, è stata percepita come una cantante italiana come tante altre. La realtà è che lei stessa ha sempre combattuto per far capire al mondo la persona che è—da quando scelse di fare la cubista, come la madre, a quando ha scelto di mettersi in gioco e sfidare i preconcetti avvicinandosi al mondo del rap.

L'intervista completa a Elodie è qua sopra e sul nostro canale YouTube, a cui dovresti proprio iscriverti

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Quanto era bella la musica a Firenze negli anni 80?

$
0
0

Tra la metà degli anni Settanta e i primi Ottanta la musica a Firenze ha vissuto un periodo irripetibile. Lo descrive al meglio Pier Vittorio Tondelli: “La scena giovanile fiorentina era esuberante. Mostre, party, feste, disco, rassegne cinematografiche, avanguardie teatrali, sfilate di moda; in una parola, il trend fiorentino anni Ottanta esplodeva. Mi sembrava di trovarmi nel posto giusto al momento giusto”.

Firenze non era allora solo il centro della new wave italiana (meglio, del post-punk), ma soprattutto un laboratorio di fermenti e linguaggi che, proprio come a Milano, iniziavano a dettare legge nel mainstream a venire. E fortuna vuole che le etichette Spittle e Materiali Sonori, proprio come fatto con Matita Emostatica e la scena milanese, abbiano pensato bene di ristampare anche la storica raccolta del 1993 Firenze Sogna.

Ma che cosa sognava Firenze? Bè, la moda più importante, innanzitutto: l’embrionale nuovo rock italiano, cioè la naturale trasformazione della new wave che non voleva saperne di morire. Ecco quindi i Litfiba, che detteranno legge in Italia persino durante l’epopea del grunge. I Diaframma, in pratica un progetto solista di Federico Fiumani che inaugura il cantautorato indie italiano. Ecco Raf, il re del pop dagli Ottanta ai Duemila, a fare incetta di dischi d’oro e di platino.

Cosa sognava Firenze? L’embrionale nuovo rock italiano, cioè la new wave che non voleva saperne di morire

Firenze, insomma, non ha mai voluto rinchiudersi nel provincialismo. Lo spiega bene il suo clash di stili e tendenze delle ore in notturna. Ad esempio, in locali come il Manila in the Jungle, con i suoi eventi di moda e gli allestimenti dei giovani stilisti, che Bruno Casini, nel libretto originale allegato al disco, descrive composto da “una giungla con zoo music, safari party e performance teatrali. All’interno, acquari di pesci tropicali, scenografie orientali”.

Viene in mente anche il celeberrimo Tenax, con la pioggia finta che evoca Blade Runner. Oppure il Banana Moon, un locale pionieristico che ha ospitato tanto i Gaznevada quanto le opere colte di Franco Battiato e Francesco Messina, così, senza battere ciglio, diventando un punto di riferimento assoluto. Certo, alcuni locali risultarono talmente avanguardisti da durare una stagione: pensiamo al Lester, che anticipava persino l’estetica minimalista contemporanea con le sue musiche postindustriali.

firenze sogna
La copertina di Firenze Sogna, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

A riprova della dimensione meticcia e precorritrice di Firenze, la sua scena arriva a interagire e conquistare altre città italiane. Vale per i Magazzini Criminali, un collettivo performativo teatrale che bazzicava la Architettura sussurrante del milanese Alessandro Mendini. Oppure per i mitici e avveniristici Giovanotti Mondani Meccanici del leggendario Alexander Robotnick, con i loro innovativi fumetti e i concept multimediali che flirtano con i romani di Frigidaire. O, ancora, alla surreale Naif Orchestra che fa comunella con il milanese Maurizio Marsico della Monofonic Orchestra.

Parlando proprio dell’asse Firenze–Milano, il sound che trapela dai solchi del disco sottolinea il filo conduttore evidente: stessa fissa per il post-punk e per la sperimentazione, il blues elettrico rivisto in chiave wave e le cover punkettone dei classici anni Sessanta, così come per il prog che prende deviate derive postmoderne.

Il filo conduttore sull'asse Firenze – Milano è evidente: stessa fissa per il postpunk, il blues in chiave wave, le cover punkettone e le derive postmoderne del prog.

E se ci immergiamo appieno in questa pirotecnica Firenze Sogna, troviamo nel primo brano, “Music is Painting in the Air” dei Sensations’ Fix, il cavallo di battaglia di una seminale band prog/kraut che, con il suo misto di synth e chitarre lisergiche, anticipò senza dubbio certe sensazioni new wave. Il tastierista Franco Falsini fu peraltro uno dei primi rocker italiani a smanettare col Moog, nonché autore dell’incredibile disco di culto Naso Freddo. Proseguiamo con gli Insieme e il loro ibridone fusionwave, “Picchia e ripicchia”, il cui DNA arriverà ai Rock Galileo durante i Novanta, per poi sublimarsi in jazz.

La Bella Band è un altro monumento jazz rock virato fusion, già usciti nel 1978 per la storica Cramps. In questo inedito, “Mattutina”, i Nostri evocano il compositore argentino Lalo Schifrin e spezie al sapor di Frank Zappa, intrisi di effetti liquidi e spigolosi che avviano nuovi equilibri sonori. Il batterista Daniele Trambusti diventerà poi un membro fisso sia dei Litfiba nel successo di El Diablo, quanto dei Diaframma, del Pelù solista e, soprattutto, dei Steve Piccolo's Domestic Exile.

Litfiba
I Litfiba in una foto d'epoca

Sono proprio i Litfiba i prossimi, con il curioso “Anniversary” che mette in luce la loro duplice anima: quella mediterranea, dal respiro italiano e melodico, e quella più cupa, derivata dalle scorribande londinesi. Si tratta di uno dei loro primi brani, datato 1983 e rimasto inedito fino alla pubblicazione di questa compilation. Il gruppo ha ancora in formazione il bassista Gianni Maroccolo (che con i suoi CSI influenzerà le generazioni a venire), ma il batterista Renzo Franchi sostituisce Ringo De Palma, prima di passare per un poco agli amici e rivali Diaframma.

I Diaframma, guarda caso, sono i successivi e non hanno bisogno di presentazioni. Nel brano, il lato B del primo singolo, suonano devoti ai Joy Division. “Illusione Ottica” non ha alla voce Sassolini bensì il primo cantante, l’ottimo Nicola Vannini che finirà negli Psychotic Drivers a suonare rock neopsichedelico.

I Diaframma non hanno bisogno di presentazioni.

Collante del prossimo gruppo è sempre Renzo Franchi, che per un periodo ha suonato nei Cafè Caracas, l’ambizioso progetto di Raf e di un Ghigo Renzulli pre-Litfiba, volenteroso di ricreare i Police in salsa fiorentina. Qui alle prese con una cover di Mina dal primo 45 giri del 1980, una “Tintarella di luna” tra le migliori di sempre (dritta al secondo posto dopo i Melt Banana). Ghigo Renzulli non suona però nell’incisione, poiché lasciò la chitarra a Serse Maj, turnista di lusso per Lucio Dalla, Vasco Rossi, Ramazzotti e Bertè.

Una band che non è trascesa oltre il culto fiorentino è quella degli Alcool, la cui importanza è tuttavia evidente nella svolta rock dei Litfiba, che ne prendono in prestito le parti di chitarra, seppur trasposte in chiave tamarra. I Mugnion’s Rock, con la scattante “Deborah”, si pongono invece nelle coordinate di un fresco space surf, simile a quello proposto da Johnson Righeira all’epoca del primo disco solista. Si nota qui un drumming notevolissimo, seppur acerbo: alle pelli troviamo infatti proprio Ringo De Palma, poi diventato il batterista icona dei Litfiba, e alla voce… be’, dovrebbe esserci un Pelù alle prime armi. I credits non ce l’assicurano ma ci piace comunque pensarlo.

Federico Fiumani
Federico Fiumani in una foto promozionale

Così come ci piace pensare che i Mr. Blues continuino ancora oggi, ibernati orgogliosamente a fare rock blues da locali zozzoni come in questa cover di Muddy Waters, “Caledonia”. Mentre i Lightshine con “Let’s Get Four Funky Steps” sono l’esempio più fulgido di un funk no wave gelido e ficcante. Un suono che poi darà vita a Rap Attack grazie a Ernesto De Pascale, il primo esempio di rap in Toscana, agli Hypnodance e a alla loro italo disco e, infine, alla musica pop d’autore di Massimo Altomare.

I Naif Orchestra di Arlo e Giampiero Bigazzi ci regalano un gioiello electronic funk, jazzato e stortignaccolo, dedicato a tutti i “Fratelli italiani”. La sintesi delle loro esperienze finirà poi per dare vita alla storica etichetta Materiali Sonori. Con i Rinf e la loro “Was Besonders” torniamo in territori sfacciatamente no wave, tra chitarra, fiati e batteria elettronica sparata a dare un gusto EBM. Il gruppo di culto si è poi distinto per aver realizzato un paio di mix insieme ad Adrian Sherwood; mica pippe.

Se parliamo di culto, ecco Alexander Robotnik : uno dei pionieri dell’italo disco.

Se parliamo di culto, ecco Alexander Robotnik con il classicone “Problèmes D'Amour”. Al secolo Maurizio Dami, è uno dei pionieri dell’italo disco, che nel 1984 entra nei succitati Giovanotti Mondani Meccanici a rappresentare un’eccellenza fiorentina. Lo stesso vale per i Neon e la loro “Information of Death”. Ancora oggi, la leggendaria band paladina della minimal wave è un saldo punto di riferimento per le generazioni elettroniche italiane e mondiali.

Gli Avida invece erano un’anomalia: un curioso gruppo di “comedy new wave”, il cui lato B dell’unico singolo “A fumme mariuà” diventò nel 1982 un vero tormentone. Basato sul mito delle figurine contenenti droga per adescare i ragazzini, “La bustina” vede un supergruppo formato da Stefano Fuochi dei Neon, da Alexander Robotnick e da Daniele Trambusti portare la lezione degli Skiantos nella città del sommo poeta.

Alex Robotnick
Alexander Robotnik in una foto d'epoca

Da qui in poi il disco si concentra sul discorso improvvisativo, performativo e teatrale. Apre le danze il Collettivo Victor Jara, capitanato da David Riondino, autore di una canzone popolare e di denuncia. “Pazzum pazzia” presenta proprio un brano sulla pazzia e le sue declinazioni nel quotidiano, già edito nel 1979.

I NEEM, con “L’Italia che vola”, danno invece vita a un potente mix di spoken word, free jazz e rumorismo puro, mentre i Magazzini Criminali, con il loro proverbiale assurdismo, si prodigano in sovrapposizioni di linguaggi e suoni nella disturbante “Tijuana, Frontiera a Nord-Est”. Gli Zeit scelgono “Una danza infinita” tratta dal loro album del 1981, in cui il folk e la musica etnica tornano verso un discorso più lineare e meno postmoderno, ma non per questo poco affascinante. La loro miscela fusion e world è difatti originalissima e anfetaminica.

È possibile che Firenze abbia bruciato così tanto da lasciare oggi solo le ceneri?

Giunti all’ultima traccia, segnaliamo anche i gustosi intermezzi composti dalle interviste ai protagonisti, Antonio Aiazzi dei Litfiba, Federico Fiumani dei Diaframma, Ernesto De Pascale dei Lightshine e Maurizio Dami. Parole che ancora adesso risultano illuminanti per chiarire l’attitudine di questi ex ragazzi.

È vero, sotto il Ponte Vecchio ne è passato di tempo. Eppure, è possibile che Firenze abbia bruciato così tanto da lasciare oggi solo le ceneri? L’ovvia risposta è che Firenze Sogna (ancora). Poiché la sua realtà è oggi più piccola, ha più possibilità di tornare agli antichi fasti. E, forse, questa ristampa non è casuale. Come afferma Lapo Pistelli nel libretto originale: “Insoddisfatti del presente, litigiosi sul futuro, malinconici sul passato, il carattere dei fiorentini col tempo non cambia”. It’s still 1983, baby.

Demented è su Instagram e su Twitter.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Un’intelligenza artificiale ha fatto un pezzo di Travis Scott e sembra vero

$
0
0

Lo studio di programmazione Space 150 ha creato un bot—che porta l’incredibile nome di Travisbott—in grado di scrivere musica e testi proprio come Travis Scott. Per farlo hanno utilizzato un programma che per due settimane ha “ascoltato” e analizzato le tracce di La Flame. Il risultato è “Jack Park Canny Dope Man”, che suona davvero come un pezzo originale di Travis, ed è accompagnato da un video inquietante in cui una sua versione digitalizzata balla davanti a una supercar.

Musicalmente il pezzo sembra realistico e anche la voce, anche grazie a un uso pesantissimo dell’autotune, è quella di Travis. Il testo lascia invece un po’ a desiderare: Travisbott spara rime senza senso, e sembra stranamente ossessionato dal cibo: “Non voglio veramente scopare il cibo della tua festa,” rappa. Lo stesso video d’altronde si apre con una citazione del filosofo Jean Baudrillard che sembra ammettere i limiti di Travisbott: “La cosa triste, a proposito dell'intelligenza artificiale, è che le manca l'artificio e quindi l'intelligenza”, un giudizio netto.

Non è la prima volta che l’intelligenza artificiale riesce a creare musica credibile: è stata utilizzata più volte nell’elettronica più sperimentale—chiedere per esempio a Holly Herndon—ma anche per creare un intero album black metal, un canale YouTube che manda in continuo streaming pezzi death metal, e una canzone nata da quelle dei Beatles. Non è quindi strano che il pezzo di Travis sia credibile, e viene da pensare a cosa potrà venire fuori tra dieci anni. Di trap ne facciamo tantissima, e spesso le canzoni sono molto simili le une alle altre. E chissà che magari in futuro non basterà dare in pasto a un’intelligenza artificiale la playlist Rap Caviar di Spotify per tirare fuori hit da milioni di stream.

Carlo è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

wuf è il beatmaker italiano famoso di cui non hai mai sentito parlare

$
0
0

wuf non ha bisogno di una mia intervista. Glielo dico tranquillamente, dato che i suoi pezzi sono stati ascoltati milioni e milioni di volte senza che lui abbia mai fatto un vero sforzo per promuoverli. "È vero, è una cosa nuova e diversa e strana", mi risponde.

Viene da Legnano, wuf. Ha 22 anni e fa lo-fi hip-hop, cioè quel tappetone strumentale tutto confortevole che la nostra generazione ha eletto a musica per staccare dal mondo. Lo ascoltiamo sulle radio di YouTube e nelle playlist di Spotify. Schiacciamo play e ci disinteressiamo dei titoli, degli autori, di ogni cosa. Vogliamo solo farci trasportare in un luogo più quieto e bello.

wuf non ha bisogno di una mia intervista. I suoi pezzi sono stati ascoltati milioni e milioni di volte senza che lui abbia mai fatto un vero sforzo per promuoverli.

La sua musica la ascoltano, solo su Spotify, circa 300.000 persone al mese. Per la stragrande maggioranza, sono americani e arrivano da due playlist, "Lo-Fi Beats" e "Lush Lofi". La prima è seguita da due milioni e mezzo di persone, la prima da ottocentomila. Ma non credo che molti di questi lo conoscano, o siano interessati alla persona che sta dietro le tre lettere che compongono il suo nome d'arte. “È vero, è solo vibe. Musica to chill and study to", dice lui.

wuf è un ragazzo normalissimo. Si è laureato da poco in ingegneria informatica ed è venuto a fare quest'intervista con lo zaino, appena dopo lezione. Si definisce "uno di quelli che si ascoltava l’hip-hop old school", solo che mentre scaricava i freestyle di Fibra su eMule ha scoperto i Gang Starr e DJ Premier: "Era una cosa che non avevo mai sentito prima, soprattutto per la sua influenza jazz.

wuf producer

Da lì è tutto uno scoprire, prima su YouTube e poi su Soulseek. "Knxwledge e Mndsgn mi hanno fatto entrare nell’hip-hop sperimentale, e da lì ho iniziato a cercarmi le cose su SoundCloud.” Il suo percorso, a livello pratico, è stato semplice: "FL Studio craccato preciso, con i tutorial. Quando ho cominciato non avevo proprio nessuna conoscenza musicale e non mi piaceva studiare la musica. Oggi cerco di farlo, nel mio piccolo, e sto studiando il sax."

"All'inizio non sai nemmeno come funzionano i quattro quarti, non sai dove mettere il kick e lo snare", continua. I suoi primi beat erano completamente diversi—il target era più da stoner, dice lui—e duravano molto di più. Da quando ha "un minimo di gusto e di stile", però, li ha accorciati fino alla forma attuale. "Se fai musica come questa, che fondamentalmente è un loopone con qualche variazione, puoi farlo da due minuti.”

"Alla fine ogni pezzo dopo due minuti ha detto quello che doveva dire. Se ti è piaciuto, ti ha fatto star bene, te lo riascolti. Sennò chiusa lì.”

“È un modo di imporsi diverso", continua, "non ti sto dicendo ‘Adesso ti metto qua quattro minuti di un pezzo tutto uguale e te lo devi sorbire. Ti metto la mia pillolina, perché alla fine ogni pezzo dopo due minuti ha detto quello che doveva dire. Se ti è piaciuto, ti ha fatto star bene, te lo riascolti. Sennò chiusa lì.”

Anche se non è una modalità creativa pensata per generare numeri, però, le plays vanno su autonomamente. "È una roba che sfugge a tutte le logiche di mercato", interviene Fight Pausa, che suona nei 72 HOUR POST-FIGHT—cioè il ragazzo che mi ha presentato wuf accompagnandolo all'intervista—"non c’è neanche uno sforzo vero di comunicazione, ed è quello che lo rende figo ai miei occhi.” Perché va detto che wuf non ha Instagram—teoricamente una follia per il mercato musicale italiano attinente all'hip-hop oggi—e non ha mai messo nessun cenno biografico sul suo SoundCloud.

wuf producer lo-fi hip-hop

A quanto mi dice, però, ci sono diversi altri ragazzi italiani che fanno questa cosa. "C’è Saito, che è forte e uno di quelli più seguiti. Ragazzi che ho un po’ perso, che seguivo su SoundCloud e con cui parlavo su Facebook. C’era o k h o, che ha cambiato vari nomi. Lester Nowhere, Pandha… ce ne sono un po’." Mi fa sorridere il fatto che non mi citi quasi nessuno degli artisti usciti su un pezzo sul lo-fi hip-hop italiano su Rockit—è come se fossero isolette che emergono dallo stesso oceano ma ignare dell'esistenza le une delle altre, queste mini-community di producer senza nome.

"Non so come succedevano le connessioni, forse per qualche magia degli algoritmi di Facebook che ti proponeva gli amici", prova a spiegarmi, "mi sono trovato ad avere 300 amici in comune con beatmaker lo-fi con cui non ho nient’altro in comune." E collaborando l'uno con l'altro, i numeri delle proprie tracce si alzano. E dato che il lo-fi hip-hop è strumentale, non ha modelli geografici: suona come sé stesso che tu sia italiano, americano, indonesiano. O tedesco, come l'etichetta che ha scoperto wuf.

"Non so come succedevano le connessioni, forse per qualche magia degli algoritmi di Facebook che ti proponeva gli amici."

Si chiama HHV e, spiega wuf, è insieme a Vinyl Digital uno dei "due centri più grandi attorno ai quali si è creata la community tedesca, ma anche europea. Tutti siamo polarizzati lì attorno." Lui buttava tutto su Bandcamp e SoundCloud, sperando in qualche repost, e poi è arrivata una mail con la proposta di stampare su vinile due suoi EP. Così è nato Days / Winterwam, ed è grazie all'etichetta che i brani sono finiti su Spotify e sulle sue playlist. È da quei due EP che vengono i tre pezzi più ascoltati di wuf, quelli delle playlist.

"Floating" fa quello che suggerisce il suo titolo—fluttua, leggera. Un loop di pianoforte che si spacca un po' man mano che va avanti. Cinque milioni e mezzo di stream, un minuto e mezzo di durata. "Snow" fa la stessa cosa, ma per trenta secondi in meno: un milione e mezzo di ascolti. "Stare" mette un contrabbasso tutto pazzo su qualche nota tutta lenta e claudicante: un minuto e venti, un milione di ascolti. Gli stessi pezzi, su YouTube, non arrivano alle 1000 views l'uno.

wuf days winterwarm
La copertina di Days / Winterwarm di wuf, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Potrei stare a trovare parole per spiegare ognuna delle composizioni di wuf, ma in fondo basta dire che sono tutte brevi e semplici. Abbozzi di melodia, una o due idee ritmiche tutte lente e avvolgenti, ma non troppo. E stop. Sarebbero mai venute fuori dal mucchio senza un'etichetta e senza Spotify? “Ammetto tranquillamente che è stata la mia fortuna," dice lui.

"Per me è una cosa post-moderna impazzita," prova a spiegare Fight Pausa. "In realtà c’è uno sforzo digitale gigantesco per far suonare le cose in una maniera che non è digitale. Mettere uno strato di vinyl crack, concettualmente, è assurdo." E così sblocca l'amico: "Avevo letto non so dove che Knxwledge passava i suoi beat su cassetta per dargli quella texture, quel suono un po’ saturato. È facendo ricerca su quella roba e sono arrivato al lo-fi.”

wuf producer lo-fi hip-hop

"Casa di wuf è stranissima", continua Fight Pausa, "non ha uno studio con i monitor. Ha le casse Creative collegate al sub e basta. La realtà è che lui passa metà del tempo a fare produzione in senso stretto e metà a 'cucinare'. Tutte le cose che escono dalla scheda audio passano per un mangiacassette, per unSP 404 e tornano dentro il computer.”

wuf continua: “Non sono neanche metodico quando mi piacerebbe. Ho un MPC 2000 XL, un MPC 404 e un Tascam che uso come strumento, anche se non lo è. Mi piacerebbe trovare una formula per mettere questi tre elementi a catena per usarli tutti e tre assieme e non a caso, di progetto in progetto.” A forza di parlare di algoritmi, selezioni e casualità, può anche essere naturale dimenticarsi l'artigianato dietro a quei bocconcelli di suono che costituiscono il lo-fi hip-hop.

"C'è uno sforzo digitale gigantesco per far suonare le cose in una maniera che non è digitale."

E artigianato è il termine che mi sento di usare perché il lo-fi hip-hop si fa da soli, fisicamente parlando, in laboratori che sono case e camere. “Non ho mai avuto dei rapper con cui condividere questa cosa", dice wuf, "i miei amici sono arrivati dopo. Ero un po’ da solo, all’inizio. Non buttavo fuori da nessuna parte i pezzi, ho cominciato a metterli su SoundCloud solo dopo anni. Le buttavo lì e non le cagava nessuno."

La scelta del nome è stata un po' l'inizio di tutto: "Ho fatto un rebrand chiamandomi wuf, perché prima non avevo nomi. Volevo un nome di cui mi piacesse il suono... lo vedo un po’ come un verso che fa una persona. È il verso che la gente fa quando sente la musica bella, che gli piace. Tipo stank face, ecco, quello è il suono che ci va assieme.”

wuf interface

Ascoltando Interface, l'ultimo progetto di wuf, la faccia si rilassa più che altro. È tutto un po' sospeso nel vuoto, blu, malinconico—"Synthetic Wind", per dire, è un pezzo che starebbe bene come sottofondo alle cinque di mattina nella taverna spaziale di Mos Eisley. "Per dare i titoli ai brani ascolto i miei beat, immagino scene, ambienti, paesaggi. In queste immagini c'è un elemento che scelgo per il nome. È tutto abbastanza astratto, ma non casuale."

"Avevo in mente una certa estetica," continua, "e se ho fatto le cose bene il mood dovrebbe capirsi dai nomi delle tracce e dall'artwork—tipo sci-fi, retrofuturismo. Ma definire l'immagine è come togliere il lavoro ai pezzi. Se fossi bravo a descriverli a parole farei lo scrittore, il poeta." Fight Pausa, che ha co-firmato un pezzo del disco, se la ride e mi spiega che cosa wuf gli ha detto quando hanno cominciato a lavorare insieme:

"Mi ha detto, 'Ho deciso questo disco qua è una vibe, e quella vibe è quella. Un disco urbano. Voglio che sia un disco tipo che vai in giro in macchina di notte, magari piove'. È stata l'unica direzione che mi ha dato."

Elia è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

La nuova speranza del rap romano ha 17 anni e si chiama Security

$
0
0

Quando ci sentiamo al telefono, Security è appena uscito dalla classe: sta saltando la lezione di Storia ed è probabile che lo stia inguaiando. "Ti farà ridere, però io effettivamente vado bene pure a scuola. Ho il massimo dei crediti. Tocca sapelli inculà", in effetti,rido di gusto.

Mattia Giannini, questo il vero nome, ha la leggerezza energica di chi è giovane e ha solo voglia di fare e di disfare. Oltre a una buona dose di lucidità e modestia che speriamo portino il professore a perdonarlo; per un'intervista si può anche fare, dai.

Security - Colpo
la copertina di Colpo, cliccaci sopra per ascoltarla su spotify

Il giovane rapper, classe 2002, fa parte di quella schiera di artisti che su SoundCloud ha formato una comunità piuttosto unita, ricca di collaborazioni ed elementi in comune. Una scena che si porta dietro un approccio senza filtri e dritto al punto, e, come Mattia, vuole prendersi il suo tempo prima di scendere davvero nell'arena.

Security ha da poco pubblicato il suo secondo EP, Colpo, ma ha iniziato a farsi conoscere proprio sulla piattaforma svedese dedicata alla musica. A fare breccia nel pubblico sono stati in particolare alcuni featuring, quello di "Blocco" con il duo degli Psicologi che vanta 73.000 ascolti, "Esagoni" con Lil Kaneki (metà dei Psicologi), che sfiora ad oggi quasi 40.000 play, e il sentito "19", con comparsata di Ugo Borghetti e produzione di Drone126 (a quota 78.000).

Security vuole prendersi il suo tempo prima di scendere davvero nell'arena.

A riprova del senso di comunità, Mattia ci racconta della sua collaborazione con Bebbo, come gli amici chiamano Ugo. "Mi scrive una sera e mi fa “Giovane Sicurezza, domani scrivime”. Io mi alzo, ciocco il messaggio, lo faccio spizza a Gengar e manco ci credevo. Ho sempre supportato la Love Gang dagli albori, quando ancora neanche pubblicavo tracce. Da lì a pochi giorni ci siamo beccati da Drone126 e abbiamo chiuso il pezzo e droppato al fly appena chiuso il mix. È stata una roba cotta e mangiata insomma. La sua spontaneità è proprio la cosa che mi piace di più ", ma non è l'unica, a quanto pare.

Tutt'altro, "Si è creato un bel rapporto con Love Gang perché siamo tutti molto vicini come modo di pensare e, non avendo uno studio fisso—semo sempre andati a scrocco insomma, Drone126 è stato manna dal cielo per me e Gengar. Un giorno ho avuto modo di conosce Franco126 proprio quando stavamo a chiude la traccia. E da lì poi ci siamo beccati con tutti gli altri, da Kety a Joe e Tommy del Wing Klan. La cosa che ti posso assicurare, da pischello che li ha ascoltati per prima cosa da fan, è che so pezzi de core, dal primo all'ultimo. Credo siano il collettivo più hit che ci sta in giro: tutti hanno un qualcosa di particolare e soprattutto sono tutti veri", dice Security, anzi Sicurezza, come lo chiama Ugo Borghetti.

Sicurezza Gengar

Proprio Ugo dimostra la fondatezza della sua impressione. "Bebbo è stato il primo a scrivermi, dicendo "Stai ar ciocco, stai per firmare. Stai attento". Io gli ho detto che in realtà non avevo nessuna intenzione di farlo, e che volevo rimanere indipendente. Finché non combineremo qualcosa da soli non ci appoggeremo alle major". Un "Noi" che non è un plurale maiestatis ma la condivisione di un progetto a tutto tondo con Francesco Bianchetti, aka Gengar, producer dotato e amico, che "s'accolla" il nickname in forza dell'amore per l'omonimo personaggio dei Pokémon: un mood tetro e greve che s'adatta al meglio alle sue basi.

I due si avvicinano al rap come tanti altri, a Roma: Noyz Narcos ("Lo considero un maestro di 'sta merda") e il TruceKlan. Oltre a loro, all'inizio "Ascoltavamo i Co'Sang , Fabri Fibra, Dsa Commando, e ovviamente la roba d'oltreoceano, da Chief Keef a Young Thug. Tra i dischi da metteme in cuffia prima di morì non potrei non citare Verano zombie, Guilty, The Best Out di Noyz Narcos & Gengis Khan, ma anche Ragazzi madre e Dio c'è di Achille Lauro; tutta roba di culto. Come ascoltatore poi, nonostante provenga da un ambiente underground, non posso non nominare la Dark Polo Gang, Sfera Ebbasta, DrefGold e Tedua, ai quali ci siamo avvicinati agli inizi del loro percorso. Gente che c'ha sempre fatto volà. Oltre, ovviamente alla Love Gang. Vederli tutti up ci fa sempre sperare bene", ed è un'unica grande dichiarazione d'amore.

"Vogliamo rimanere indipendenti. Finché io e Gengar non combineremo qualcosa da soli non ci appoggeremo alle major."

Security ha l'impeto di chi passa le giornate come la maggior parte dei suoi coetanei, tra strade e amici, "È così, voglio che nelle mie tracce si percepisca 'sta cosa di viverla sulla propria pelle 'sta realtà, ma penso si senta. Il mio ruolo non è quello di dare lezioni ma raccontare, che piaccia o no". Il ruolo lo riporta a una dimensione del quotidiano che non vuole semplicemente esagerare alla ricerca dell'eccesso o dell'elenco dei ninnoli e dei brand. "Purtroppo (o per fortuna) non siamo nati ricchi e non serve piangersi addosso, ma convogliare i rancori e le mancanze nella musica. Tutto ciò che racconto riflette quello che siamo, quello che ci gira intorno. Non raccontiamo le favolette, scrivevo i romanzi sennò. C'e però il fattore “come lo racconti”: lo slang è tutto, secondo me, e faccio molto caso a come può suonare un concetto detto in un modo rispetto ad un altro. Le parole sono importantissime, non bisogna dare mai niente per scontato.", ed è il motivo per cui la solita narrazione dei soldi che mancano, della noia e il livore generale si fa decisamente più interessante.

Seppur ancora un poco acerbo, il ragazzo ha le idee piuttosto chiare rispetto a se stesso e alle sue radici: "Mi sono avvicinato al rap prima da ascoltatore passivo, ma non c'è voluto tanto prima che mi mettessi a scrivere. Eravamo io, Gengar, Kaneki, Mandark, Lil Kira e altri pischelli di zona.
Diciamo che ci siamo fatti da soli. Era diventato una specie di collettivo, che poi aveva dato il via a Blitzgang, un progetto di trap spinta di Kaneki a cui in un secondo momento abbiamo partecipato un po' tutti. Era un momento molto prematuro, e forse eravamo davvero troppo poco produttivi".

Sicurezza
La copertina di Sicurezza, cliccaci sopra per ascoltarla su spotify

Se la ride, Mattia, nel ripensare a quei momenti, mentre l'impressione è che il senso di comunità non lo abbandoni nemmeno un momento, "Sicuramente posso dirti che se fossi cresciuto con altre compagnie non avrei ora il background che ho. In fondo, è partito tutto dalla cameretta del Gengar. Non potrei mai lasciarlo. Non c’è nessun altro che mi capisce come lui sia a livello personale che dal punto di vista musicale. Le abbiamo viste e vissute tutte e sempre insieme: dagli scazzi coi genitori alle prime cazzate in giro, perciò dovessi vince un giorno con 'sta merda voglio tutti loro appresso.". Una famiglia acquisita, per l'appunto.

In quel nucleo famigliare acquisito trovano spazio gli Psicologi, "Il mio rapporto con loro, conoscendo entrambi da prima del progetto in questione, era ovviamente già solido. La collaborazione è quindi uscita quasi spontanea: in quel periodo sarebbe dovuto uscire il mio primo EP, Elite, di cui Drast aveva curato i mix e il master. Ho pensato perciò di inserire anche un pezzo più lontano dal mio solito mood, che potesse far chillare insomma. Perché non farlo proprio con loro?", aggiungendo poi un piccolo e curioso risvolto inerente il suo nickname. "Prima di trasferirsi, Kaneki abitava proprio a fianco a casa mia. E anche più tardi, dopo che ha rallentato su SoundCloud, abbiamo continuato a frequentarci. Il mio nome d'arte me l'ha dato proprio lui, sei anni fa, quando a un live mancava la sicurezza e hanno chiesto a me di farla. Io ho preso il ruolo sul serio e da quel giorno mi chiamano così. Avevo dodici anni. Mi dicono che ispiro davvero Sicurezza", e la si sente, nella sua voce, nell'approccio e nelle barre.

"Il mio nome d'arte me l'ha dato Kaneki, quando a un live hanno chiesto a me di fare la security. Da quel giorno mi chiamano così. Avevo dodici anni."

Un atteggiamento che però stona rispetto a certi momenti delle sue tracce, i " Trova un modo per fuggire senza passa' pe' l'uscita / Come salta' da una macchina in corsa o da 'sta vita" e che contemporaneamente si spiega appieno con le paranoie esistenziali e pratiche, "Quante volte ho pensato: "In che cazzo di posto vivo?" / Risponde al primo squillo mio bro se sta in giro / Vuole star fresco, fuori da ogni casino / Ho promesso ai miei famo un giro più lungo di qualche week, oh". Quasi che la quadratura del cerchio, musicale e non, fosse ancora da trovare.

Quando gli chiedo, incuriosito, se segue altri suoni, o se c'è qualcuno con il quale, in particolare, gli piacerebbe collaborare, mi sorprende soltanto a metà: "Devo ammettere che per il tempo che ho vissuto ho apprezzato solo il rap, ma ciò non vuol dire che non possa in seguito sperimentare insieme a Gengar mood diversi e suoni nuovi. Non credo comunque di allontanarmi mai dal rap dal punto di vista del genere. Anche se un artista lontano da me a livello di sonorità, ma con cui volo troppo, è Tutti Fenomeni. Fin dai primi inediti che uscivano su canali a caso, io l'ho sempre supportato. È assolutamente ciò che mancava in Italia. Anche con Kaneki: sapevo che sarebbe finito in territori vicini all'indie. Non è proprio il mio genere, però sono amici e apprezzo tutto davvero molto. Sono riusciti a farle, le cose", afferma, deciso. Quando rincaro la dose sulle sue collaborazioni, il quadro si fa chiaro, "Per ora mi ritengo soddisfatto delle collaborazioni che ho fatto, uscite o meno, e ritengo che debbano nascere innanzitutto da un rapporto di amicizia. Va costruito un qualcosa che viene secondo me ancora prima della musica. È proprio la sintonia che rende hit le collaborazioni, il fatto d’essere sulla stessa lunghezza d’onda", chiude.

Security

Ok, insisto, ma con chi vorresti collaborare tra i nomi più grossi? "Be', tra gli irraggiungibili non ho alcun dubbio: Noyz Narcos. Ma sarebbe davvero troppo per me mandare qualcosa al TruceKlan e sperare d'essere ascoltato. È troppo, davvero, per me. Una sera ho incontrato per caso fuori da un locale Gengis Khan, mi ha detto che aveva sentito parlare di me ed è stato il massimo. Un sogno". Sarà anche un sogno, ma vale la pena provare a realizzarlo: Noyz, sei all'ascolto? Questo è un appello!

Nel frattempo, Security non sono certo sia mai rientrato in classe.

Daniele è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.


La nightcore trap italiana è il tuo nuovo genere preferito

$
0
0

Hai mai voluto sentire la FSK a velocità raddoppiata? Ti scandalizza l'assenza di estetica anime nei pezzi di Sfera e della Dark? tha Supreme ti piace, ma non è abbastanza veloce e zuccherino per il tuo AMV di Naruto Shippuden?

Domande simili sono probabilmente passate in testa a Thomas Nilssen Fiction e Steffen Olga Søderholm, aka 'Nightcore'. Nel 2001 i due liceali si rendono conto che niente li pompa quanto il remix di "The Logical Song" degli Scooter, un gruppo happy hardcore tedesco di meta' anni 90, e per un progetto scolastico decidono di produrre un intero album basato su una tecnica semplice ma efficace: alzare il tempo dei loro pezzi hardcore e trance preferiti a 160-180 bpm e pitchare le voci finché non sembrano un pezzo dei Chipmunks.

Hai mai voluto sentire la FSK a velocità raddoppiata? Ti scandalizza l'assenza di estetica anime nei pezzi di Sfera e della Dark?

Il progetto in pochissimi anni diventa virale (se si può parlare di virale a metà dei 2k) ed è possibile trovare interi album e compilation di remix, tradizionalmente senza il nome dell'autore, su YouTube e sull'ormai defunto Limewire, il mezzo preferito al tempo per distribuire e scaricare bootleg, musica piratata, remix e altri lavori che dovessero eludere le leggi sul copyright. La tendenza su YouTube è di accostare il suono anfetaminico ad AMV, compilation di battaglie o momenti salienti di anime popolari nella nascente comunità online di otaku e gamer; questo porta ad associare indissolubilmente l'estetica anime ai remix.

Con la morte di Limewire e il silenzio degli autori originali, il genere sembra rischiare di svanire. Ma come per le tecnologie perdute di antiche civiltà tipo come costruire le piramidi e imbalsamare corpi, alcuni appassionati in giro per il globo riescono per ingegneria inversa a ritrovare il segreto per creare nuove tracce 'nightcore', facendo nascere canali YouTube dediti solamente ad accelerare pezzi hardcore popolari in quel momento; tra i primi due in particolare: l'utente maikel6311 e un canale che dal nome (a questo punto sono solo speculazioni) potrebbe appartenere ad un* user italian*: Nasinocinesino. Segnati il nome, tornerà importante più tardi.

Il ritrovamento dell'arcana tecnologia dello speed-up e pitch-up (Thomas e Steffen avevano fino a quel momento parlato di 'software segreti e super esclusivi' per ottenere l'effetto) porta ad un Rinascimento del genere. Intorno al 2010 il trattamento nightcore non è più riservato a pezzi eurotrance e hardcore, ma si allarga a qualsiasi brano pop esistente: Kesha? Ce l'abbiamo. Soulja Boy Tell'em? Ci puoi giurare. Ti manca sentire una chitarra di tanto in tanto? Bene, preferisci gli Iron Maiden, i Green Day o i Linkin Park?

Sappiamo dove questa storia andrà inevitabilmente a parare. Se c'è un genere pervasivo, e che non può mancare a questa festa, è la trap. Dall'esplosione della nightcore dei primi anni '10, sul tuo rapper preferito è stata probabilmente schiaffata l'immagine di una loli più volte di quanto non ti immagineresti.

I remix accelerati e caramellosi di pezzi mumble, drill, fino all'emo trap sono ovunque su YouTube. Se non ci credi, prova.

I remix accelerati e caramellosi di pezzi mumble, drill, fino all'emo trap sono ovunque su YouTube. Se non ci credi, prova. Cerca su YouTube il pezzo più fire che ti viene in mente, e perditi in un loop adrenalinico di ore. Come una rule 34 della musica, nulla sfugge al trattamento.

Ma come per tanti altri fenomeni enormi sull'internet, viene da dubitare che questo sia arrivato in qualche modo anche da noi; ed ecco che ritorna Nasinocinesino, e chiunque sia dietro allo storico canale. La nightcore sembra avere radici vecchie e forti in Italia, come le comunità otaku, i primi forum per gamers, gli AMV. Cercando versioni nightcore di brani pop che sono passati in cima alle classifiche non è raro trovare uploader con username come andrea1992wr o renditions di pezzi degli Studio3 o Paolo Meneguzzi risalenti a oltre 6 anni fa, che testimoniano la longevità della pratica in una comunità underground che si è rifiutata di morire.

E da queste stesse comunità stanno riemergendo i trattamenti nightcore di pezzi contemporanei italiani, come nei primi duemila era successo per Gigi D'Agostino o per DJ Rabaan (vedi "Anima Libera", ancora un capolavoro nightcore). Canali come Yvng N1ghtk0r3, CuzImNicoleッ, Trash Nightcore sono attivi da due anni al massimo, ma nascondono perle pazzesche che vanno da Ketama126, a Ghali, a Marracash e Guè Pequeno, fino alla Dark Polo Gang, alla FSK o Massimo Pericolo: il tutto con lo stesso linguaggio, gli stessi commenti ("Chi ha fatto la tua foto profilo? OwO" riferito alla propic chibi del canale, "Bellissimo adoro la canzone owo Iscritta ricambi per favore?" o le richieste di amicizia su Roblox), la stessa estetica anime. E ovviamente, le stesse voci pitchate, i bassi e l'adrenalina. Ed è una figata.

Lo speed-up è come glutammato per le qualità reggaeton, hardcore, EDM di un brano trap; le esalta senza modificarle, aggiunge una nuova, intensa carica emotiva che resta allo stesso tempo familiare e nostalgica. Non sembra di avere a che fare con un autore e il suo lavoro, ma con un mp3 scaricato illegalmente che "mi sta facendo sentire delle emozioni nella testa", come diceva Danny L Harle: un brano senza creatore che mostra un cuore plastico e pulsante, la bolla di una Big Babol rosa.

Sasha è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Tutto quello che devi sapere su Terraforma 2020

$
0
0

Il Terraforma è una speranza a cui aggrapparsi fra tanti festival tutti uguali, che riducono la musica elettronica sempre agli stessi due generi e che non cambiano line up da anni. Per tre giorni, dal 26 al 28 giugno, Villa Arconati a Bollate si trasforma in un parco berlinese, con dj e live set che coprono tutto lo spettro della musica club attuale, workshop e conferenze.

Un altro motivo per cui Terraforma è speciale è l’attenzione alla sostenibilità ambientale: gli organizzatori hanno ridotto al minimo l’impatto del festival e si sono impegnati a ristrutturare il giardino della storica villa in provincia di Milano. Insomma, un paradiso in cui potrete ballare, meditare, dormire sotto agli alberi del parco e dimenticarvi per un attimo di essere in Italia.

Gli artisti annunciati fino ad ora sono super: da Dj Nigga Fox, che porta a Milano i ritmi che animano le notti di Lisbona, a Beatrice Dillon, che ha esordito su PAN, etichetta che da anni pubblica il meglio dell’elettronica avanguardistica. Imperdibili anche MC Yallah & Debmaster, rap sperimentale dal cuore dell’Africa, e Donato Dozzy, che è la storia della techno italiana.

I biglietti sono già in vendita, e questi sono tutti gli artisti annunciati fino ad ora:

BEATRICE DILLON / DONATO DOZZY / JENNA SUTELA /JOSEPH GRIMA - SPACE CAVIAR / LINN DA QUEBRADA / MC YALLAH & DEBMASTER / DJ NIGGA FOX / PAQUITA GORDON / PRIMITIVE ART’S SHELTER / DJ SPRINKLES / STEPHEN O’MALLEY / TCF / TERRE THAEMLITZ / THE NECKS / TIMOTHY MORTON

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Come Rancore ha fregato il festival di Sanremo

$
0
0

È passata più di una settimana dalla finale di Sanremo, il turbine dei meme si è affievolito e tutti possiamo riprendere le nostre vite come se niente fosse successo. Forse. Tarek Iurcich, conosciuto come Rancore da quasi quindici anni, è vestito tutto di nero, compreso il cappello, ha l’aria di chi non ha ancora capito bene cosa è successo e sfoggia un sorriso leggero da fanciullo.

Si siede di fronte a me e a voce alta inizia a raccontare. Con “Eden”, Rancore ha lanciato una pietra miliare sul cammino dell'hip hop italiano: per la prima volta in settant’anni di Festival, un pezzo rap ha vinto il premio dedicato al miglior testo in gara.

Con “Eden”, Rancore ha lanciato una pietra miliare sul cammino dell'hip hop italiano: per la prima volta in settant’anni di Festival, un pezzo rap ha vinto il premio dedicato al miglior testo in gara

"È un passo importante, per il rap italiano ma in generale anche per Sanremo. Da una parte c’è la conferma come nuovo linguaggio, anche da parte di enti che da settant’anni fanno proprio questo: ricevere ed elargire riconoscimenti ufficiali. D'altra parte, avendolo fatto una volta, Sanremo lo può rifare”. L'impresa che Rancore ha davvero compiuto quest’anno, quindi, è stata quella di creare un precedente, tracciare l’inizio di un sentiero che per molto tempo sembrava essere essenzialmente interdetto.

C’è da chiedersi allora cosa sia cambiato, perché quello che non c’era adesso c’è, perché solo ora il rap italiano è stato "visto" da un pubblico che lo ha ignorato per così tanti anni. Secondo Rancore è una questione di tempi e di cose che cambiano, ma è anche merito del rap stesso e della sua versatilità; la capacità di adattarsi al contenitore e cambiarlo dall’interno. “Devi essere come acqua, amico mio, esattamente come diceva Bruce Lee", mi spiega Rancore per illustrare la sua piccola ma grande rivoluzione.

1582278209276-rancore-eden
La copertina di "Eden", cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

"Devi saper cambiare te stesso secondo il contenitore, anche se è vero che poi ne sarai sempre parte, nel momento in cui riesci a inserirti. A volte, quindi, il contenuto può modificare il contenitore”. Non è la prima volta che questa citazione compare nei suoi testi, ed è bello e importante che ritorni in un momento così significativo; penso ad esempio a "Rhymebox #1", in cui sentiamo proprio la voce di Bruce Lee che come un mantra ci ricorda in quale direzione procedere.

La spinta che ha portato Rancore a partecipare quest’anno al Festival da solista—ricordiamo che l’anno scorso aveva partecipato in un featuring con Daniele Silvestri e la sua “Argentovivo”—e a mettere se stesso sul palco insieme a tutto il suo passato e la sua complessità è stata la necessità di dire un qualcosa che non poteva essere ulteriormente rimandato.

"Era il momento di mandare un certo tipo di segnale, quindi ho deciso di diffonderlo."

“Era il momento di mandare un certo tipo di segnale, quindi ho deciso di diffonderlo in un posto grande: non dovevo sentirmi in colpa se il messaggio non veniva recepito, ma avrei dovuto sentirmici qualora non ci avessi nemmeno provato.” Rancore mi parla di una spinta dalla natura quasi inspiegabile, un motivo che non è mai stato superficiale, ma “che andava oltre me stesso”, mi dice, “non per portarmi energia, anzi, a volte proprio per togliermela”.

Il messaggio di “Eden”, però, come dice la canzone stessa, è criptato: Questo è un codice, ci spiega fin dall’intro, insistente, come una ricetrasmittente che invia un messaggio al di là dell’oceano. Allo stesso modo dei poeti ermetici, di cui Rancore assorbe le influenze dando loro nuova vita e significati—“se loro usavano la pochezza delle parole, io uso la 'tantezza'!”—, così anche la rivoluzione che ci viene narrata in “Eden” passa attraverso un codice, quello della mela e della scelta.

rancore eden sanremo

“Eden” nasce dunque come una canzone cifrata che si svela solamente alle orecchie di chi ascolta ed è è pronto a capire, a iniziare un viaggio nel mare dei riferimenti e delle citazioni del rapper. E la musica diventa così un modo per essere liberi di esprimersi “in un momento secondo me dittatoriale”, adoperandola come strumento per raggiungere e conservare la verità al riparo da chi non è pronto ad accettarla. “La musica diventa una rotta per tornare a quell’isola nascosta dove c’è il tesoro e dove non solo posso andarci io, ma posso indicare a qualcuno—se sa ascoltare, se sa capirmi o ha la stessa isola mia—come arrivarci”, afferma molto sicuro di sé.

Il desiderio di lasciare indietro se stessi, e usare il rap per parlare di quello che c’è al di fuori di sé, è un elemento ricorrente nella storia di Rancore e della sua musica. Parlando, cerchiamo di trovare insieme le radici di questo allontanamento da sé che ha lo scopo di arrivare a diventare “il medium delle cose normali, della vita”, come mi dice sorridendo.

“Eden” nasce come una canzone cifrata che si svela solamente alle orecchie di chi ascolta e di chi è pronto a capire, a iniziare un viaggio nel mare dei riferimenti e delle citazioni."

Discutiamo dell’importanza di mettere da parte il proprio ego, che più di ogni altra cosa ti rinchiude dentro te stesso e non ti fa vedere il mondo all'esterno. “È bello parlare un po’ con le cose, perché poi le cose parlano, e uno dei modi per dare loro voce è dire loro ‘voglio scrivere di te’. Se c’è un pensiero che ripeto sempre ai ragazzi che lavorano con la creatività è che, se c’è un modo per accenderlo ‘sto mondo, senza dargli fuoco, ma accenderlo del giusto fuoco, è proprio quello di provare a raccontarlo”.

Uno degli esempi più vividi di questo approccio allo storytelling è “Seguime”, il secondo brano del disco omonimo uscito del 2006, ormai quasi quindici anni fa. Luce in faccia / nasci da una pancia / cominciano a formarsi i primi denti per chi mangia / cominci a formulare i primi versi con la bocca. “Seguime” inizia così, e in 4 minuti e 39 secondi narra una vita che il Rancore quindicenne ricalca sulle storie di chi allora lo circondava, a partire dalla sua famiglia.

1582278158534-rancore-sanremo2

“Sembra che stia descrivendo la vita ipotetica di qualcuno, invece ho semplicemente preso la mia età, l’ho mischiata a quella dei miei genitori e dei miei nonni, e poi ho raccontato una storia che prendeva questo soggetto per portarlo in 4 minuti dall’inizio alla fine di questa vita immaginaria, come una macchina del tempo... ma anche come un susseguirsi di cose scontate e di banalità, visto che poi l'esistenza in realtà non è così. Questo dimostra che la consapevolezza di quei miei quindici anni era piuttosto circoscritta”.

Al capo opposto di questo percorso, come a tracciarne i confini, c’è “Skatepark” da Musica per bambini, l’ultimo disco uscito nel 2018. Lì ritorna l’io lirico di Rancore in tutta la sua potenza: ha di nuovo quindici anni in un parchetto, e quanto è vero che si skata meglio quando lo skatepark è vuoto, posso sbagliare senza che nessuno mi veda, posso farmi male ma posso anche essere bravo.

"Ormai sono talmente frantumato che non mi interessa se mi continuate a frantumare, tipo, prendere il coraggio di andare a Sanremo fregandosene."

A partire dalla frase Non ho più tanta pazienza come quando provavo quei varial, torna il concetto espresso anche in “Eden” per cui ci può essere unità solo in uno stato di grazia e di integrità, come l’Eden appunto; o come l’infanzia. “Più cresci e più ti dividi da una parte di te, più sei piccolo e più sei unito”: Come l’Eden, prima del ta-ta-ta (prima della rottura) / Quando il cielo era infinito / Quando c’era la festa e non serviva l’invito.

“Quello che ricordo di quando ero più piccolo, o comunque del periodo dello skateboarding, tra i dodici e i diciotto anni, è che per provare un solo trick ci si stava delle ore, e lo stesso avveniva per imparare a rappare: rimanevamo per strada a fare freestyle per secoli interi. Era un modo per trovare se stessi, per entrare talmente tanto dentro di sé da scoprire degli aspetti che non avevi mai visto prima”. Crescendo, invece, le problematiche cambiano, e si è costretti a lasciar andare qualche parte di sé per difendersi dagli altri.

Rancore Seguime
La copertina di Seguime, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

A volte, addirittura, si può arrivare sino a fare il giro completo, e trovare il coraggio per dichiarare: “Ormai sono talmente frantumato che non mi interessa se mi continuate a frantumare, tipo, prendere il coraggio di andare a Sanremo fregandosene. Se prima provavo i varial per ore e ore, adesso vado a fare il contest e sticazzi. Nel peggiore dei casi mi spacco una gamba”. La costanza di Rancore, dunque, ha solo cambiato forma: si è trasformata in coraggio e ha fatto il giro, per ridere ancora una volta di se stessi e mettersi in gioco.

“Se riesci a vedere la tua vita sia come regista sia come attore, che è la cosa più complicata da fare, hai forse modo di vivere tutto come un gioco, e hai anche la possibilità di ridere un po' insieme al tuo destino, perché il tuo destino ride spesso di te”, questo è quello che mi dice quando parliamo del video di “Eden”, in cui Rancore si ritrova catapultato in una realtà digitale, dentro un videogioco.

"Sotto sotto forse la vita è un po’ un teatrino. Se tu guardi un film o un’opera teatrale non puoi dire se il personaggio ha sbagliato o ha agito al meglio, è come se fosse già un po’ tutto parte di un grande quadro."

Torna così il tema della scelta e dell’errore: “Io ho sbagliato tantissimo in vita mia, ho preso un sacco di scelte sbagliate e ho fatto tantissima fatica a recuperare un po’ degli errori fatti, anche quelli più gravi. Come dico nel pezzo, ogni scelta crea ciò che siamo, quindi è importante capire quanto sotto sotto la vita sia un po’ un teatrino. Se tu guardi un film o un’opera teatrale non puoi dire se il personaggio ha sbagliato o ha agito al meglio, è come se fosse già un po’ tutto parte di un grande quadro”.

La musica per Rancore, e la scrittura soprattutto, è tante cose tutte insieme, difficili e complesse perché nate e cresciute in un luogo di sofferenza e di domande, in cui non era sufficiente alzare lo sguardo e accettare la realtà per quella che era. Bisognava per forza prendere una pala e scavare per raggiungere la verità, o semplicemente alzare lo sguardo verso la luce del sole. “Parlare della luce sicuramente è un po’ come trovarla dentro di sé, nella propria essenza, scoprirne un pezzettino in più”, mi dice a proposito di “S.U.N.S.H.I.N.E”, un pezzo molto importante del 2015, uscito in un EP e realizzato con DJ Myke. Basta scrollare i commenti di YouTube sotto il video della canzone per capire l’impatto che ha avuto quando è uscita, la sua forza terapeutica.

1582278176494-rancore_sanremo

La musica per Rancore, però, è anche una macchina del tempo: “Non so come spiegare, io devo stare attento a quello che dico. È una vita che penso di scrivere un testo in cui sostengo che diventerò ricchissimo. Credimi, quando metti in rima le cose si avverano come se fossero formule magiche!”. Ridiamo un po’, ma torniamo subito seri, perché stavolta parliamo veramente del luogo in cui è nato e dove vive ancora, e la definizione che mi dà di questo posto che è il Tufello—un quartiere popolare di Roma—è quanto di più vicino ci sia a una definizione della sua stessa musica:

“A me il Tufello ha dato la casa, la sensazione di quotidianità, una casa intesa come giornata. Casa intesa come stare insieme a qualcuno per fare qualcosa, ma anche dove stare da soli a pensare. Casa intesa come gruppo di persone, casa intesa come me stesso, casa intesa in tutti i modi: come cortile e come labirinto. Il quartiere diventa la mia Springfield o la mia Gotham City. Ci sono i buoni i cattivi: c’è ogni cosa”.

Chiara è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Se il punk è ancora vivo nel 2020, è anche grazie ai canali YouTube

$
0
0

DISTORTO è la rubrica in cui Giacomo Stefanini, che è un punk, tiene una rubrica sul punk. Gli abbiamo chiesto di parlare principalmente di quello italiano, però sappiamo già che non finirà così dato che ne sa tanto di tutti i tipi di punk.

Nell’era dello streaming, il costante flusso di informazioni (stream in inglese significa torrente, un paragone perfetto) ha eliminato anche l’ultimo livello di separazione tra underground e mainstream. In questo torrente, è impossibile inseguire una goccia d’acqua in particolare. La musica diventa sempre di più una cosa che ti succede attorno, l’illusione della scelta data dal fatto di cliccare su una cosa o inserire una chiave di ricerca, ma paradossalmente sempre più simile a una radio accesa in sottofondo.

L’atto di entrare in possesso di un album o di una canzone, tenerla per sé, riascoltarla, capirla, e magari amarla, è sempre più raro e inutile.

L’atto di entrare in possesso di un album o di una canzone, tenerla per sé, riascoltarla, capirla, e magari amarla, è sempre più raro e inutile. La sensazione della novità e della scoperta è più potente e immediata rispetto alla sensazione della comprensione, del possesso, della connessione con un frammento di musica. Quindi, ti prego, consigliami qualcosa di nuovo da ascoltare. Ma ti ho consigliato qualcosa di nuovo ieri. Appunto, era nuovo ieri; ci sarà qualcosa che è nuovo oggi.

Per la musica di massa, a facilitare questo metodo sono le playlist dei servizi di streaming. Ma come si è adattato il mondo punk a questo tipo di fruizione? Di certo un demo registrato in cantina da una band di spostati non si materializza su Spotify. No, negli ultimi tempi la musica anti-commerciale viaggia su YouTube. E visto che se ogni artista caricasse indipendentemente le proprie uscite sulla piattaforma verrebbero tutte fagocitate dall’algoritmo, che naturalmente funziona a premio di maggioranza, cioè più un video viene visto più te lo fa vedere, l’ecosistema ha trovato un modo per girarci attorno.

Nell’epoca d’oro degli mp3, l’underground aveva colto l’occasione non per “piratare” la musica altrui, ma per diffondere gemme che altrimenti sarebbero rimaste seppellite nel sottosuolo di una zona sfigata del mondo.

Nell’epoca d’oro degli mp3, quando le nuove connessioni veloci a tariffa fissa ti permettevano di scaricare quanta musica volevi in tempi brevissimi, l’underground aveva colto l’occasione non per “piratare” la musica altrui (cioè, anche, ma non è questo il punto), ma per diffondere gemme che altrimenti sarebbero rimaste seppellite nel sottosuolo di una zona sfigata del mondo.

La proliferazione di blog specializzati permetteva a te, che da casa dei tuoi a San Benedetto Po in provincia di Mantova eri riuscito a recuperare tramite le raccomandazioni di qualcuno su un forum i dischi dei DEVO, di scoprire i loro molto più sconosciuti contemporanei electric eels. E poi di scoprire che in quella zona depressa degli Stati Uniti la scena punk non aveva mai smesso di essere viva e completamente aliena, e trovare i Thomas Jefferson Slave Apartments, i Darvocets, gli Homostupids.

Ora che però la terribile guerra alla pirateria, come ogni altra guerra, è finita senza scalfire minimamente il suo obiettivo dichiarato (in questo caso, chi fa soldi alle spalle dei musicisti senza restituire nulla, e ogni riferimento a Spotify e Amazon è puramente voluto), ma ha avuto successo nel rompere le uova nel paniere agli esseri umani che volevano semplicemente ampliare i propri orizzonti musicali e culturali, canali YouTube dall'aria anonima sono i nuovi blog.

Non si tratta esattamente di una novità, visto che il fenomeno di cui parlo è iniziato ormai da sei o sette anni, ma credo che adesso sia un buon momento per storicizzarlo. Si tratta di canali curati di solito da una persona sola, che caricano più o meno ogni giorno video con album completi, dai demo di band sconosciute pescati dai più profondi anfratti di Bandcamp alle nuove uscite delle etichette più calde del sottobosco punk del momento come La Vida Es Un Mus o Iron Lung.

La cosa interessante è proprio il ruolo di “influencer” che questi rappresentano all’interno della scena. Per molte band che si formano di questi tempi, vedere il proprio disco caricato su uno di questi canali è quasi un riconoscimento più importante rispetto a farlo uscire per un’etichetta riconosciuta e rispettata. A renderli una cosa così speciale è lo spirito assolutamente puro che sembra guidarli. Sembra una banalità, ma i video non sono monetizzabili, quindi che facciano tre o tre miliardi di views i curatori ci guadagnano sempre uguale (zero). Questo significa che, a differenza dei normali servizi di streaming, non stanno rubando nulla a nessuno (poi che a guadagnarci sia YouTube è un altro discorso).

Di seguito trovi una veloce panoramica sui miei canali preferiti, così la prossima volta che ti viene prurito alle orecchie perché vuoi sentire qualcosa di nuovo sai dove cercare. Ma ogni tanto prova l’esperimento di riascoltare qualcosa che ti era piaciuto un mese fa: scoprirai un approccio diverso alla musica. E non dimenticarti di supportare gli artisti direttamente.

ANTI

Anti è il padrino dei canali punk su YouTube. Nato intorno al 2014 con il nome di Jimmy e l’iconico avatar del cane fumetto, è stato il primo a dare visibilità internazionale alla più nascosta scena lo-fi-garage-post-punk di metà anni Dieci, e per molti è l’artefice del (relativo) successo di band come Coneheads, Liquids, CCTV e Lumpy and the Dumpers. Il suo stile è forse il più personale. I suoi upload si distinguono per una lunga recensione scritta nella descrizione con uno stile vivace e autoironico che spesso sfocia nel blog personale. Sul suo canale è facile trovare un tipo di punk rock veloce, a bassa fedeltà, con un’attitudine pop e garage, fatto molto spesso con drum machine da due soldi e synth suonati in modo naïf.

A un certo punto, attorno al 2016, nei forum dedicati si parlava addirittura del “Jimmy-core”, un genere musicale inventato un po’ a caso che avrebbe dovuto fare da ombrello alle band che sgomitavano per farsi fiutare dal cane fumetto e finire sul suo canale. Dopo essersi preso un periodo di pausa per concentrarsi sulla propria salute mentale, Jimmy è tornato con il nome di Anti e continua a caricare piccole pepite di pop/punk (non pop punk) da cantina.

Per iscriverti al canale di Anti, clicca qui.

HARAKIRI DIAT

È probabilmente il canale più seguito di tutti. I suoi caricamenti hanno uno stile minimalista e austero, la maggior parte delle volte senza testi o recensioni, che ben si sposa alla musica che seleziona: per lo più oscuro post-punk e synth-wave (ma con qualche incursione in territori punk hardcore). Le piccole star del genere Molchat Doma, una band bielorussa che ha di recente firmato per Sacred Bones, devono molto a Harakiri Diat, che ha fatto ascoltare il loro album Etazhi a oltre due milioni di persone. Gratis.

Per iscriverti al canale di Harakiri Diat, clicca qui.

ATOMVINTER

La particolarità di Atomvinter è di essere un tizio greco espatriato negli Stati Uniti. Questo gli fa avere un occhio di riguardo per il punk europeo. Fra i suoi upload si può trovare il meglio dell’hardcore, dell’Oi!, del post-punk e delle varie intersezioni tra questi generi declinati “all’italiana”, “alla francese”, “alla greca”, “all’ungherese”, e via contaminando.

Per iscriverti al canale di Atomvinter, clicca qui.

NO DEAL

Se siete adepti della borchia e dello spaccarsi le ossa nel pit, No Deal diventerà il vostro canale YouTube preferito. Un costante flusso di demo hardcore cessofonici provenienti da un mondo in cui il 1986 non è mai arrivato: 100% velocità e cattiveria, con pratiche e chiare recensioni ad accompagnare ogni video.

Per iscriverti al canale di No Deal, clicca qui.

TADPOLE RECORDS

Tadpole records esce un po’ dagli schemi classici di questi canali, perché gli upload di album completi rappresentano solo una parte della sua produzione. Il suo punto di forza, in realtà, sono i video live che faranno la gioia di qualunque nerd si mangi le mani per essersi perso i concerti di giganti del punk contemporaneo come Hank Wood and the Hammerheads, Good Throb o The Lowest Form. Ma tra i suoi caricamenti si trovano anche perle dall’underground hardcore inglese e americano, tra cui una selezione di chicche introvabili dalla scena dell’Ohio che è una delle mie preferite.

Per iscriverti al canale di Tadpole Records, clicca qui.

NO PUNKS IN K-TOWN

Nonostante il nomi richiami Copenhagen, il canale è francese e, come Atomvinter, è focalizzato sulle band europee. È perfetto per esplorare in particolare il mondo DIY francese, che è molto più esteso e variegato di quanto si sappia da questo lato delle Alpi. Ma tra i suoi video si trova di tutto, dall’hardcore straight edge all’emo, passando per il garage punk. Ci potete trovare Dispossessed dei Litovsk o Coups et Blessures dei Rixe, per dire, e poi potete scrivergli un bel “merci” grosso come una casa nei commenti.

Per iscriverti al canale di No Punks in K-Town, clicca qui.

Giacomo è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Come Dardust è diventato un hitmaker della musica italiana

$
0
0

C'è un filo rosso che scorre sotto la pelle della musica italiana, una sorta di arteria pulsante che la porta fuori dal labirinto. È il sistema circolatorio nascosto della nostra industria musicale, ma è un musicista e ha un nome e un cognome: Dario Faini. Se non avete idea di chi stiamo parlando, per ora siete perdonati.

Dario, in effetti, è ben più celebre come Dardust. E se anche in questo modo non vi scatta nessun campanello d'allarme, potrebbe aiutare un elenco parziale dei musicisti italiani con i quali ha collaborato: Mahmood, Rancore, Elodie, Fabri Fibra, Sfera Ebbasta, Rkomi, Thegiornalisti, Annalisa, Emma, Elisa, Fedez, Marco Mengoni, Luca Carboni, Fiorella Mannoia, Edoardo Bennato, Cristiano De André, Francesco Renga, Levante, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, Irene Grandi, Alessandra Amoroso, Marco Carta, Antonino, Rossana Casale, Ex-Otago, Selton, Jovanotti, Calcutta e chissà quanti altri ancora.

Dardust Storm and Drugs
La copertina di "S.A.D Storm and Drugs", cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

Faini è di Ascoli Piceno, ha una formazione classica e un amore innato per la ricombinazione di tutti i linguaggi musicali. Ha appena pubblicato il suo ultimo disco da solista, S.A.D. Storm and Drugs, ma il suo lavoro consiste principalmente in quello del musicista totale, uno studioso chino a studiare nuove tecniche di composizione e strumenti: un autore nella definizione più ampia e completa possibile.

Tanto che con i musicisti con cui ha collaborato Dario è stato in grado di passare con facilità dalla veste di produttore allo strumentista capace, dalla penna al ruolo di compositore puro, mettendo in fila decine e decine di successi diversi. Mentre mi parla, comodamente seduto nel suo studio, intravedo qualche enorme altoparlante e scopro in fretta come questo sia stato possibile: "Nel mio percorso di sono due componenti fondamentali da sottolineare. In primo luogo sono il tipo di musicista che studia continuamente, che cerca un tipo di preparazione che penso possa fare la differenza. È il motivo per il quale tento di non abbandonare mai lo studio vero e proprio della composizione e sto al pianoforte ogni giorno almeno una o due ore. In secondo luogo, inseguo sempre la maggior versatilità possibile e cerco di spaziare tra generi e stili. Questo credo sia il segreto per non invecchiare a livello creativo, cioè lasciarsi contaminare e appassionarsi a stili diversi", e come questa contaminazione avvenga in parte ci stupisce.

"Il segreto per non invecchiare a livello creativo è quello di lasciarsi contaminare e appassionarsi a stili diversi."

Udite udite, "È anche grazie al fatto di vivere appieno l'esperienza dei live altrui all'estero, o semplicemente di partecipare ai concerti, che credo si apra una dimensione molto più forte, in grado di farti entrare in maniera più vivida e accesa nell'immaginario degli artisti. Persino di quelli che non conosci o di cui non sei innamorato. Personalmente mi è successo in molte occasioni, da King Krule a Drake, Kendrick Lamar e persino Deena Abdelwhahed". Il suo discorso risulta del tutto coerente con le sonorità alle quali Dardust è ormai associato, ovvero la trap e rap, l'elettronica e l'urban.

Ci dice: "La mia recente passione per l'urban, di circa 2 anni, l'ho proprio cercata e ho voluto farne esperienza dal vivo, per capire l'impatto del suono sul pubblico, il pubblico stesso, il mondo e l'immaginario sonoro dei singoli artisti. Lo stesso vale per l'elettronica dal vivo. Ma vale per ogni genere, anche nel cantautorato. Questi sono i principi nei quali mi riconosco", e dopo pochi minuti sembriamo aver già chiuso il cerchio delle mie curiosità e della sua particolarità. Quanti altri hanno le idee così chiare e sono così sicuri dei propri metodi, persino disposti a lasciarsi contagiare dalla musica degli altri?

Dardust Emilio Tini
Foto di Emilio Tini

Passa qualche altro minuto e scopro che, mentre diffonde la sua musica a macchia d'olio, Dario si sta già espandendo all'estero, un'onda pura e in mareggiata piena: "La dimensione internazionale è una realtà alla quale sto già guardando e lavorando da tempo. Sto già facendo sessioni a Parigi e Madrid, ho collaborato con Recycled J, con Mori e con Lord Esperanza; è assolutamente uno dei miei prossimi passaggi fondamentali. Basta metterci la giusta dose d'empatia, entrare nell'immaginario degli altri come un compagno di viaggio, alla ricerca di un terreno comune.". Insomma, è "una specie di analisi, tanto più che sono davvero laureato in psicologia e questo mi ha aiutato a instaurare una sorta di rapporto, chiamiamolo transfert per intenderci, con tutti i musicisti. Un rapporto di fiducia che mi ha portato a non avere mai nessuno scontro tra ego diversi. E comunque, non credere, in Italia mi mancano ancora tantissime persone con le quali collaborare", ride, Dardust.

Nella sua risata leggera ho il dubbio che si perda la completezza della sua visione e del suo lavoro, visto quanto sia facile trovarlo alle prese con l'ennesima hit e l'ultima in una serie infinita di collaborazioni. Tuttavia, è giusto considerare che il panorama musicale italiano oggi è ben diverso rispetto a qualche anno fa, e ci troviamo d'accordo sulla situazione generale: "I confini sono molto più fluidi, sicuramente, non c'è più alcuna sorta di timore nel passare da una categoria dall'altra, dall'underground al mainstream, dall'indie al pop. Tra l'altro, oltre al timore prima c'era forse un atteggiamento un po' spocchioso e snob, mentre adesso questa cosa è totalmente abolita. Forse è stato l'arrivo dell'era dello streaming che ha reso tutto più fluido e ha permesso che tutti gli stili potessero diventare materia di crossover".

"Forse è stato l'arrivo dell'era dello streaming che ha reso tutto più fluido e ha permesso che tutti gli stili potessero diventare materia di crossover."

Non sorprende quindi come Dardust descrive il suo incontro con la trap, per quanto l'entusiasmo sia al contrario stupefacente: "La trap è stato il movimento musicale che aspettavo da anni, in grado di rovesciare le carte sul tavolo e far entrare aria nuova. Sia sul versante della metrica che della composizione ha trasformato radicalmente il volto delle melodie, una manna dal cielo che ha cambiato il volto della musica italiana. Dopo aver fatto altrettanto con la musica internazionale, certo. E poi, per paradosso, credo che soprattutto a livello di movimenti armonici e accordali abbia portato un po' di emozionalità, cosa che sembra assurda, ma se ci pensi tanti brani trap hanno campionamenti, giri o accordi che sono assolutamente super emozionali. Nell'hip hop di solito questi non era possibile inserirli", ci ricorda.

Senza contare che "questo tipo d'interventi vanno anche ad attingere a mondi musicali del tutto distanti dal pop. Così facendo questo ha permesso di dare nuovi colori ai pezzi, e in seguito di portare questi nuovi colori, e la trap stessa, e contaminare tutto con il pop. Ad esempio è quello che abbiamo fatto nell'esperimento di "Rapide" di Mahmood: una ballad un po' urban, e, credo, una nuova modalità di portare la canzone italiana in questo contesto musicale. Quindi, più che la trap "pura", che magari è anche una vena in via d'esaurimento, a far la differenza credo sia la forte contaminazione, il fatto che i vari ambienti si lascino contagiare da diversi schemi musicali". Quanto sia centrale questa volontà di far incontrare e scontrare diverse realtà, stili ed esperienze, risulta chiaro da uno dei successi maggiori di Dario, quella "Soldi" di Mahmood che vinse il Festival di Sanremo lo scorso anno.

Mahmood Gioventù bruciata
La copertina di "Gioventù Bruciata", cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

Difficile smentire che "quella canzone è stata per molti versi un momento miracoloso. A ripensarci, è stato davvero incredibile riuscire a buttare così tante idee tutte insieme, in massimo una o due ore, e ottenere quel pezzo. Inizialmente Ale (Mahmood, ndr) aveva giusto la melodia, il testo con i suoi passaggi melodici, e abbiamo lavorato per moltiplicare i piani d'espressione. Io ho inserito le ripetizioni, il "Come va, come va", ho preso diversi elementi e li ho rafforzati per renderli più iconici. Ad esempio il Clap, o l'inserimento del bouzouki turco, il basso praticamente electro e via dicendo... Sembrava un brano veramente assurdo, eppure ricordo quei momenti come parte di un episodio di totale libertà. In fondo, Mahmood non era conosciuto come lo è oggi e quindi ci siamo detti, Non dobbiamo fare una hit, lavoriamo su qualcosa di nuovo e libero. Dunque poche ore e abbiamo stabilito tutte le idee sonore di base e la struttura fondamentale, prima che Charlie Charles rafforzasse poi la cassa e desse il doping finale", ci racconta col sorriso.

E col sorriso gli chiedo come ha poi affrontato la pressione successiva alla vittoria al Festival. La risposta mi spiazza: "Nessuna pressione. In realtà "Soldi" ha proprio dato il via all'esplosione del mio momento creativo, la liberazione totale. Essendo diventato così iconico, non mi sono più fatto alcun tipo di problema a osare. Pensiamo anche ai due brani che ho portato al Festival quest'anno, insieme a Elodie e Rancore", di cui si è abbondantemente parlato. "Solo due anni fa non avrei avuto il coraggio di comporli, di unire così tanti scenari in una stessa canzone, ora invece vengo proprio incoraggiato a farlo. In quei due brani, così contemporanei, spero, ho inserito tanti momenti di sorpresa, vere e proprie scene come nei film.", ci assicura.

"'Soldi' ha proprio dato il via all'esplosione del mio momento creativo."

È il tipo di approccio cinematografico che "Per esempio in "Andromeda" di Elodie mi ha dato la possibilità di trattare la struttura della canzone italiana come fosse una ballad, inserendo però anche un piano house, un discorso anni Settanta, il ritornello quasi reggaeton e la ritmica quasi neoclassica... Insomma, tutta una serie di generi distanti tra loro che si uniscono in una maniera nuova. Dando vita davvero solo a un senso di liberazione totale. Ovviamente, dentro di me c'è sempre un termometro che mi fa controllare il tutto, un filtro dove selezionare ciò che incontra il mio gusto. Prima di uscire dallo studio devo aver vagliato appieno l'equilibro dei pezzi", e di questo equilibrio indago la sostanza nei nomi con cui ha lavorato e lavorerà, o si limita a seguire.

Nonché cercando di capire i suoi segreti d'artigiano: "Se ci fai caso, la sfida è sempre la stessa. Bisogna far sì che la musica resti in piedi. La strumentale deve avere un carattere che rimane indipendente da tutto, dal testo, dalla voce e dalla melodia. Questi sono il quid in più che rende tutto più forte e porta un'altra dimensione all'ascolto, quella in grado di attirare l'attenzione. Non dico però che la musica debba essere più importante del testo, la strumentale deve semplicemente avere carattere, esprimere già il suo racconto e l'immaginario. Per riuscirci io spesso non parto dal pianoforte, come è facile pensare, ma proprio dal beat o dai riff, gli aspetti più caratteristici dei miei pezzi. Un tema musicale che può essere ripreso o accompagnato da suoni elettronici, chitarre, fiati o linee d'archi... ma è importante che ci sia questa componente a rendere tutto forte, identificabile, insomma, iconico!", e iconico il suono di Dardust lo è davvero.

Dardust Alessio Panichi
Foto di Alessio Panichi

Tanto che non sorprende sentirlo parlare con entusiasmo di altre personalità forti quali "Madame, con la quale ho già iniziato a lavorare e trovo abbia un'attitudine, a livello di songwriting, davvero innovativa. Credo che, istintivamente, grazie alla sua formazione e ai suoi ascolti riesca a codificare i due mondi del pop e della trap, creando un nuovo linguaggio. Come anche tha Supreme, soprattutto sul lato melodico, e al di là dell'aspetto produttivo, parlo proprio della scrittura e del songwriting. Mi affascina anche come pronuncia alcune parole, come vengono distorte e colorate, a dare un suono diverso", è la solita spinta al nuovo e ai suoni meticci che Dario ci ha raccontato e musicato sin dall'inizio.

"E adoro tantissime altre cose. All'estero per esempio i Comet Is Coming, che mi hanno nuovamente fatto innamorare dei fiati. Ólafur Arnalds o i Sigur Rós, un'influenza fondamentale per me e per l'espressione di una certa malinconia romantica che mi porto dietro da sempre, e che loro mi hanno riportato indietro e trasformato. Molto belli anche FKA Twigs, o Childish Gambino, anche se non sono ancora riuscito a vedere Atlanta (l'incredibile serie televisiva scritta, prodotta e interpretata dal musicista, ndr)! Tra l'altro, visto che tengo la mia Dardust Night su Radio Montecarlo, devo proprio andare a cercarmi cose nuove ogni settimana, altro carburante", ci confessa.

"I Sigur Rós sono un'influenza fondamentale per me e per l'espressione di una certa malinconia romantica che mi porto dietro da sempre."

La confessione viene interrotta all'improvviso dalla chiamata di Mahmood: i due sono attualmente al lavoro e lo scambio di idee, basi, testi e melodie è febbrile e non può interrompersi, nemmeno per un'intervista. Ascolto, fischiettando e facendo finta di niente, una bozza del pezzo a venire, sento poco o nulla del beat, e giusto il titolo che richiama un vecchio classico del cinema, di quelli in bianco e nero da manuale.

Quando torna gli consiglio di scaricare la colpa del ritardo su di me, ma mi assicura ridendo di averlo già fatto. Parliamo ancora un po' e risponde paziente alle mie ennesime curiosità sui suoi tour da pianista classico, della sua partecipazione alla manifestazione milanese Piano City, quel tipo di concerti dove, "Non c'è spazio per l'errore ed esce fuori tutta la mia dimensione di musicista, la preparazione "agonistica" sul lato tecnico, la posizione del braccio, il peso e il corpo, gli esercizi, la meditazione - 20 minuti di mantra al mattino e il priming, una tecnica di respiro per mandare in reset il cervello, quando sono sotto stress - , accorgimenti che mi rendono solido anche sul lato emotivo e caratteriale, mentre sono da solo davanti a migliaia di persone. Ma una volta che impari a gestire è tutto più facile... ecco, l'ho detta, me la son mandata!", ne dubito ma sto al gioco, immaginando come deve essere la sensazione.

Dardust Emilio Tini
Foto di Emilio Tini

Tuttavia, è semplicemente impossibile immaginare come si arrivi a suonare, comporre e produrre la maggior parte della musica italiana d'oggi, lasciando un segno così indelebile, una voce così forte e specifica, eppure così aperta alle visioni degli altri musicisti. Scrollo la testa e qualche giorno dopo mi limito a passargli le puntate di Atlanta che gli mancano, chissà se le ha mai viste, chissà quali idee ne tirerà fuori.

Daniele è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

Vai a vedere Dardust in tour:

27/2 Roma, Spazio Rossellini
5/3 Milano, Magazzini Generali
6/3 Torino, Hiroshima Mon Amour
20/3 Madrid, Sala Shoko
31/3 Bruxelles, ABClubd
1/4 Parigi, Cafè de la Danse

Maruego ha portato la trap in Italia e poi è scomparso—perché?

$
0
0

Nel 2014 Maruego, un ragazzo marocchino arrivato in Italia da bambino dopo una vicenda familiare difficile, è stato tra i primi in Italia a fare trap insieme a Ghali e Sfera Ebbasta. Dopo diversi singoli andati male, pubblicò "Criminale"—e ricevette una chiamata da Gué Pequeno e dagli storici produttori 2nd Roof, che curarono il suo esordio Che ne sai.

Brani come "Click Hallal", "Cioccolata", "Via da qui" e "Sulla stessa barca" lo resero uno dei nuovi rapper italiani più seguiti e celebrati. Ma poi qualcosa è andato storto nella sua vita e nella sua carriera: mentre gli artisti con cui aveva iniziato diventavano superstar, lui è rimasto indietro ed è pian piano scomparso. Come mai?

Nel nuovo episodio di Noisey Personal lo abbiamo incontrato per capirlo. Abbiamo parlato anche di religione, alcool e di "NCCAPM", cioè "Nessuno ci credeva a parte me"—il singolo pieno di rabbia con cui è tornato a rappare. Il video integrale è qua sopra.

Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

“Spara” di Ketama126 è uno splendido inno all’anarchia

$
0
0

Oggi è uscito il video di “SPARA” di Ketama126, diretto da quel visionario dell’underground romano che è Trash Secco. È un viaggio assurdo tra anarchia e ribellione ambientato in un futuro distopico: il 2060, anno calcolato da Newton come quello della fine del mondo basandosi su una profezia dell’Antico Testamento.

Secco è sempre stato interessato alla simbologia occulta, e anche questo video è pieno di croci, teschi e tatuaggi tribali che gli danno un tono oscuro. I colori dominanti non sono scelti a caso: il giallo e il nero sono i colori della bandiera dell'anarco-capitalismo ed evocano il contrasto fra luce e buio, vita e morte.

In questa ambientazione apocalittica si muovono un re, una regina e uno schiavo, oltre a Ketama stesso. Il video racconta la ribellione dello schiavo, che colpisce il re mentre Kety canta “Quando senti la paura / Prendi la .38 e spara”. Alla fine, il rapper è seduto sul trono con alla regina: un nuovo re pronto a venire spodestato da un altro schiavo.

Secco ci ha spiegato che il progetto rappresenta l’eterno ciclo di violenza causato dalla sete di potere, fatto di tre passaggi: ribellati al tuo nemico—spara—diventa tu il nemico di un altro ribelle. Il video porta “SPARA” su un altro livello: Kety sembra più che a suo agio nei panni del re di un mondo che cade a pezzi, simbolo di quel futuro bruciato che descrive nei suoi testi. Qua sotto ci sono alcune fotografie scattate durante le riprese.

1582798770727-slide-3
1582798779732-slide-4
1582798845498-slide-2-usare-come-sfondo
1582798792202-slide-5
1582798804238-slide-7
1582798870394-93bis
1582798818720-slide-6
1582798830235-slide-8
1582798883723-46oo
1582798896712-DSC_7673
1582798910176-75ok
1582798926687-13bis
1582798940053-24-bis

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Vai a vedere Ketama in tour, coronavirus permettendo. Ci saranno date anche a Milano e Bologna:

05 marzo – NAPOLI – Common Ground
06 marzo – BARI – Demodè
14 marzo – ROMA – Atlantico


Con cmqmartina torna la cassa dritta nell'indie italiano

$
0
0

Parliamo da nemmeno dieci minuti quando Martina mi spiazza per la prima volta, senza che io possa sapere se mi sta raccontando il vero: “Vent'anni buttati più o meno via, mi dico, perché non ho mai fatto niente che volessi davvero. Questo disco è la prima cosa che conta nella mia vita”. Forse non sta davvero parlando con me, ma con se stessa, in un pomeriggio di sole qualunque a Milano.

Prima d’incontrare cmqmartina di lei sapevo pochissimo: vent’anni, di Monza, in uscita con il suo debutto Disco. Com’è ovvio lei non vede l’ora che esca ed è qualcosa più che contenta del risultato, tanto da aggiungere ridendo “oltre a questo non faccio molto, ho provato a fare l'università e altre cose ma non c'è niente che mi appassiona come questa cosa”. Quando lo dice mi guarda con una faccia tosta forse dovuta alla frangetta corta e all’eyeliner nero, con la luce negli occhi di chi crede in quello che fa, e allora ci credi anche tu.

cmqmartina disco
La copertina di Disco di cmqmartina, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

È il tipo di sicurezza che non stupisce in una ragazza cresciuta a pane e musica, come tiene a precisare: “La mia cultura musicale proviene dal cantautorato italiano, perché in casa mia si è sempre ascoltata solo musica italiana. Più tardi, alle medie, ho scoperto i Beatles e ci sono stati solo loro per 4-5 anni, fino a quando non ho iniziato a sperimentare i vari labirinti musicali”. Ai rave e alla techno, invece, ci è arrivata grazie al suo amico e produttore Matteo, con cui andava a ballare a Milano, perché “a Monza non c’è granché”, mi spiega, “a Monza di club non ce ne sono, in realtà non c'è molto in generale, ci sono un po' di artisti, ma fanno più roba acustica. E poi abbiamo Morgan, che tra l’altro era il mio vicino di casa prima della questione sfratto”. Col tempo ci ha preso talmente tanto gusto che, tra una serata al Tempio del Futuro Perduto e una festa in casa con i suoi amici, ha deciso di trasportare questa passione anche nella sua musica, visto che “Martina e cmqmartina non possono essere divise”.

In Disco, in effetti, c’è Martina in tutta la sua interezza, ci sono le serate nei club con gli amici, tutte le cose belle e quelle che invece la fanno incazzare. Le storie che l’hanno ferita, come in “L’esatto momento”, dove “Sono molto incazzata, ed è dedicata a tutte quelle persone verso cui ho provato questo sentimento di rabbia e di rifiuto, un mischione di persone che mi ha trattata di merda”, oppure “Carne per cani”, che è “nata da un sentimento di rabbia nei confronti di una persona che mi ha ferito, che mi diceva tante cose, ma per cui alla fine non contavo davvero niente. Nel testo dico: 'Le parole sono carne per cani randagi', come quando i cani randagi affamati sbranano qualsiasi cosa trovino, ed è esattamente in questo modo che mi faceva sentire, parole che non sapevano di niente”, precisa.

In Disco c’è Martina in tutta la sua interezza, ci sono le serate nei club con gli amici, tutte le cose belle e quelle che invece la fanno incazzare.

Il suo pezzo preferito, però, rimane “Le cose che contano”, che considera il riassunto della persona che è e quella che vuole essere, e del modo con il quale avere più fiducia in se stessa e imparare a volersi bene. Un mood più che giustificato per la sua età, che Martina riesce a riassumere perfettamente nel pre-ritornello del brano, "Farò come sempre / vivere in adorazione / tranne che di me", aggiungendo che “è una cosa che ha sempre fatto parte di me. Ho sempre idealizzato le altre persone, anche i miei amici, e ho sempre voluto essere come loro. Sai quando guardi una foto su Instagram e pensi 'Ma perché non sono bella come lei?' e invece in questo pezzo cerco un po' di costringermi a smetterla”.

Tra le varie curiosità che mi sorgono ascoltando il disco, c’è quel verso in “I Wanna Be Your Dancing Queen” che dice: “Non passa mai di moda / Fare la troia / Per sentirsi bella” e rispetto al quale non posso non chiedere spiegazioni. “Mi è stata detta davvero, anche più volte, e la trovo una cavolata allucinante”, mi spiega, “è il classico commento dell'italiano medio che vede in televisione l'Elettra Lamborghini con un vestito attillato e quindi la insulta. Questo brano è un po' il mio lamentarmi del fatto che la gente giudica sempre. Io ho smesso di guardare una persona e di pensare qualcosa, cosa che non vuole dire non avere un'opinione, ma piuttosto: vivi e lascia vivere".

Cmqmartina

Martina ha imparato questa lezione letteralmente sui banchi di scuola, quando frequentava un liceo privato che avrebbe potuto benissimo essere il set di un qualsiasi teen drama americano. Era “pieno di persone che puntavano tanto il dito, parlavano, giudicavano, e me la sono vissuta un po' anch'io così, mi sono lasciata influenzare nonostante fossi completamente un pesce fuor d'acqua. Quando sono uscita dal liceo mi sono detta 'ma basta, ma che cazzo stai facendo', e mi sono tolta un peso a smettere di guardare storto gli altri”.

E visto che ormai “La-parola-con-la-T” era stata pronunciata, era naturale che due donne sedute a un tavolo finissero per aprire il vaso di Pandora della situazione femminile nella musica italiana. Con il sopracciglio alzato di chi conosce già la risposta, mi viene spontaneo chiedere il punto di vista di un’artista così giovane che si è appena affacciata nell’industria musicale.

"Quando sono uscita dal liceo mi sono tolta un peso a smettere di guardare storto gli altri."

Martina però mi prende in contropiede col suo ottimismo: “In realtà, stanno dando tanta fiducia alle artiste emergenti, quindi io mi sto trovando bene e mi sono trovata davanti tante strade aperte. Fino a una decina di anni fa se non eri Laura Pausini o se non uscivi da un talent non eri nessuno”. Adesso, invece, “l'industria musicale sta aprendo le braccia, sta cambiando tanto. Soprattutto, non mi sento rifiutata in quanto donna; al massimo perché c'è qualcosa che non va nel mio progetto, ma non perché sono una donna. Questo è un traguardo immenso per me”.

Continua spiegandomi che però secondo lei c’è ancora una falla nel sistema musicale italiano, e che un certo machismo è sempre all’agguato dietro l’angolo, benché oggi le donne della musica sembrino aver trovato il modo di combatterlo, unendo le forze proprio come uno speciale Winx Club. Proprio il gioco di squadra sembra essere un tema fondamentale, visto che “Ultimamente c’è un nuovo mondo femminile nella musica che sta uscendo sempre più allo scoperto e sta creando una rete molto importante tra di noi”, mi spiega, “io mi sto legando ad alcune artiste come Laila Al Habash, Lahasna, Claudym, che sono più o meno al mio stesso punto. Si sta creando questa bella rete di forza e di stima reciproca”, chiude convinta.

cmqmartina

Ascoltando il suo Disco, un bel centrifugato di melodie pop, house, cassa dritta e techno proprio come piace a lei, è inevitabile il paragone con Cosmo, uno dei pochi in Italia che è riuscito a fondere questi generi e spingerli nella scena indie. In effetti, “È l'unico artista a cui vengo 'paragonata' e per me è stra un complimento. Di fatto non c'è nessun altro di simile, soprattutto femminile, e questo in realtà mi rende discretamente felice”, e quando accenno a chiederle se questo genere “ibrido” può avere successo adesso in Italia, mi racconta la sua esperienza in apertura ai Rovere, durante il tour terminato pochi mesi fa—tra l’altro, un tour affrontato con un tutore alla gamba causato da un legamento rotto in pista: “Sì, inizialmente il pubblico rimaneva un po' spiazzato, però alla fine era contento nonostante fosse un genere a cui non si era mai avvicinato, perché tutti abituati ad ascoltare quel certo tipo di musica indie e l’elettronica in fondo è abbastanza diversa. Sono rimasta davvero sorpresa perché ho visto una bella risposta”.

Poi, c’è un altro elemento inaspettato in Disco, che dopo otto tracce che ti fanno venir voglia di ballare anche in ufficio, all’improvviso appaia una cover de “La prima cosa bella” di Nicola di Bari. Un cambio netto di registro, che ti trasporta dalle atmosfere clubbing a un classico della canzone italiana anni Settanta, un momento inatteso ma piacevole quanto i pezzetti di biscotto nel gelato: “È una canzone che mi canta tuttora e sempre mia nonna. Mi è venuta questa mezza idea di inserire una cover nel disco e questo brano era perfetto, perché c'è un richiamo in 'Lasciami andare' e perché ci sono legata sentimentalmente tantissimo, per mia nonna”, mi spiega, “e poi perché i pezzi che faccio, soprattutto il genere, è un linguaggio che mia nonna non riesce a capire, quindi ho voluto farle una sorta di regalo, metterci 'La prima cosa bella' in questa versione, praticamente acustica, in modo che anche lei potesse trovare qualcosa a cui attaccarsi nel mio disco—perché io e lei siamo legatissime”.

"Cosmo è l'unico artista a cui vengo 'paragonata' e per me è stra un complimento."

Della mamma, invece, sappiamo che si incazza di brutto quando sente le parolacce nelle sue canzoni. Come potete immaginare siamo in zona Cesarini, mi faccio un po’ gli affari suoi e le chiedo cosa sta combinando in questo periodo: “Io e Matteo stiamo preparando il tour e ci sono degli intermezzi stra house che picchiano duri, sono molto carica. Ho capito che sono disposta a restare un’artista un po' più di nicchia pur di fare quello che mi piace”.

Mi racconta che sta facendo la spola tra qua e La Spezia, “che è la mia seconda casa, infatti a breve mi trasferirò lì—perché c'è la mia etichetta discografica, poi c'è il mio fidanzato, i miei amici” e le toccherà trovare dei nuovi locali dove andare a ballare, mi dice “lì sono molto molto meno clubber che qua, sì, anche le discoteche sono, sai, quelle super da fighetti, no? In cui puoi entrare solo se sei vestito elegante e mettono solo musica commerciale... io in quei posti lì non ci posso stare”. Ride divertita e io annuisco, nemmeno io, penso, potrei.

Cecilia è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Le migliori Posse Track del rap italiano

$
0
0

Ci siamo dimenticati di una cosa piccola piccola ma fondamentale. Non è del tutto colpa nostra visto quanto il rap nel 2020, italiano e non, sia pieno di ego enormi che rischiano di scoppiare in faccia ogni minuto ai singoli proprietari. Che l’hip-hop nasce, cresce, matura e si diffonde come voce di una comunità, non del singolo individuo, e che ognuno è sempre parte di qualcosa: una gang o un collettivo, un’etnia, una nazione, persino un gruppo di amici; insomma, una posse.

Per questo, ci siamo anche scordati del peso enorme che le “posse tracks” hanno avuto per l’immaginario—ma anche per la struttura, le rime, le basi, i mezzi—di queste musiche. Parliamo, semplicemente, di tracce con almeno quattro rapper a mitragliarci sopra le rime. In origine voleva essere un modo per diffondere il proprio messaggio e allargare la comunità, dando ad altri il modo di avere il proprio minuto di celebrità, e, benché con il tempo la cosa sia un filino degenerata verso la competizione e lo show, il senso dovrebbe essere quello.

Per rinfrescarvi la memoria, e farvi scoprire un mucchio di cose belle, ecco qua un bel Listone. Sicuramente incompleto, ma ricco d’amore e ricolmo di un significato che va ben oltre le singole tracce, e si fa descrizione di momenti storici e luoghi geografici: scintille di scene musicali infinite.

Neffa - "I messaggeri Pt. 1" (1996)

Qui si fa l’hip hop d’Italia, o si muore. Una traccia che è la storia del nostro rap, dove Neffa produce e rappa insieme a Dre Love, Kaos One, DJ Lugi, Phase 2 ed Esa, presi benissimo in punta di funky leggero come piuma. Da Neffa & i Messageri della Dopa se conoscete solo “Aspettando il Sole” siete delle brutte persone, ma avete modo di rimediare. Anno di grazia 1996.

Neffa & i Messaggeri della Dopa

Sottotono - “langlediz” (1996)

Col loro piglio che fa tanto soft porno e hip hop chillato, esordiscono “Voglio una tipa sui quaranta che mi mantenga / E che si vanta per quanto a letto renda / Mi comporto come un vero gaggio / Infatti io sto all'abbordaggio come il baseball a Joe Di Maggio”. Sembra passato un secolo, e in effetti è così. Siamo nel 1996 e i Sottotono si portano dietro Esa, Bassi Maestro e Polare. Supa Lova!

Chief & Soci - “Keepin’ it” (1997)

Di nuovo: “Son qui per farti tornare al passato / Back in the days”, e alla storia dell’hip hop italiano infatti torniamo. Siamo nel bel lontano 1997, in un progetto anomalo ma classicissimo, con Chief da Milano, Huda dal Nordafrica e Dj Enzo da Napoli. Un unico album all’attivo, Il mondo che non c’è, da cui è tratta la traccia. Produzione curata da The Next One, scratches di Dj Double e feat di Shabazz the Disciple e Lefty a.k.a. Left Side. Chicca.

Chief & Soci

Gente Guasta ft. Rome Zoo All Stars - “I solidi sospetti” (2002)

Altro giro altra festa, siamo di nuovo a Roma, con produzione multipla curata da Boulevard Bou, Esa e Fabri Fibra. Si tratta, in realtà, di una traccia tratta da La grande truffa del rap, uscito nel 2002. Pieno di gente, tiro e beat bello alto, rime veloci di Colle Der Fomento, Supremo 73 e Il Turco. “Lo sai chi è? lo sai chi siamo? / Roma-Milano! Milano e ritorno! / Yo yo! Roma Zoo e Gente Guasta! (ti basta?) / Roma Zoo e Gente Guasta! (ti sblasta!)”.

Asher Kuno - “Barre Pt. 3” (2004)

Stile a palla per la traccia tratta da The Fottamaker del 2004, ricolma di funk torrenziale, caldo e veloce. Rime su rime con la gentile collaborazione di Bat, Jack The Smoker, Gomez, Vacca, Snake, Mondo Marcio e Duein, più produzione di Mace. Pezzo enorme da un grande album accantonato davvero troppo rapidamente. “Porto il mio rap nei club delle varie città / Incendio i party infatti soffitta / Per Asher Kuno coi miei fra' mi raduno / Agli altri offriamo la merda e i calci nel culo”.

In The Panchine – "Deadly Combination" (2005)

Sopra la strumentale di “Live Foul” dei Mobb Deep, citazioni del SERT, Luis Buñuel, Bela Lugosi, Lucio Fulci, Desdemona Lioce, canne a profusione, morfina e cocaina, si apre il disco del 2005 tutto costruito su basi d’altri. Si tratta d’una specie di progetto parallelo dei Truceboys che poi finirà per figliare in un parto incestuoso e sanguinolento il mondo scuro, hardcore e splatter dei TruceKlan: daje di Ministero dell’inferno.

In The Panchine

Dogo Gang – "Roccia Anthem Freestyle" (2005)

“Questa non se la ricordano manco loro”, dicono nei commenti di YouTube. Viene il dubbio non ve la ricordiate manco voi. Tra flow pesanti come manate in faccia e mazzate volanti sopra le basi, la gang si unisce e fa scintille con Ted Bee, Don Joe, Deleterio, Vincenzo da Via Anfossi, Marracash e Club Dogo al completo. È il 2005 e Roccia Music è al Vol.1; altri tempi. A raccogliere virtualmente l’eredità c’è Genesi e la sua prima traccia, fuori nel 2013.

DJ Gruff - "Viene e va, Lato A" (2007)

Anni dopo la fine dei Sangue Misto, DJ Gruff prende ulteriormente il volo. In quindici minuti qui spalanca il rap italiano a una moltitudine d’influenze e voci quasi ineguagliate. Una visione orchestrale e personale come solo Gruff sa e può fare. Presenti: Polda, DJ Enzo, Svez, Menhir, Esa, Ekspo, Paura, Danno, Domasan, Joz, Speaker Cenzou, Vaitea. Leggiadro, ma violento come pochi altri.

The Dublinerz - “Tutti quanti Remix” (2008)

Bassi Maestro, Supa e Lord Bean infilano prima la traccia nel loro Low Cost Raiders, ma la fanno saltare per aria espandendola con il remix che vede, in ordine di apparizione, i feat di Kuno, Dafa, Donjoe, Ape, Rido, Davo, Amir, Ghemon, Rayden, Mastino, Michel, Jack the Smoker, Weedo, Maxi B, Medda, Kiave, Zampa, Mistaman, Gue Pequeno, Rula, Polare, Kaso, Bat, Babaman. Raga, non c’è più posto, in ‘sti undici minuti che continuano inspiegabilmente a montare e non ti mollano mai.

Don Joe & Shablo (Thori & Rocce) - " Le leggende non muoiono mai" (2011)

Il pezzo viene fuori da Thori & Rocce, curiosa collaborazione tra Don Joe & Shablo. I due si portano dietro i soliti noti: Fabri Fibra, Jake La Furia, Noyz Narcos, Marracash, Guè Pequeno e J-Ax, con in più l’arrivo inatteso di un presissimo Francesco Sarcina de Le Vibrazioni, che infila un ritornello e una melodia che acchiappa al volo. Il video a dir poco tamarro in salsa steampunk mette il punto e si va a capo.

Thori & Rocce

Brain & Lord Madness - “Dal primo al settimo cerchio” (2011)

Il duo collabora con FNO, Claver Gold e i Kmaiuscola e produzione di Dj Ceri. Ed esplodono una bomba di grinta, botta tecnica, velocità, funky, rimarcato da barre quali “Rapper predator al micro non esito vado al massimo / Per te l'esito è drammatico altero pulsazioni / Sono più rapido vado in anticipo” o “Dalla mina no grafite / Solo dinamite, udite udite”. Dateci retta, è tutto vero.

Gemitaiz - "Tutti quanti" (2013)

Esattamente come da titolo: Killa Cali, Jack the Smoker, LowLow, Ensi, Uzi Junker, Clementino, Pedar Poy, uno più carico dell’altro, sopra una strumentale in loop tirata via da “Duck Season” dei The Beatnuts, che s’incastra in testa come poco altro al mondo. Pura fotta.

Clementino - "Messaggeri del Vesuvio" (2013)

Istrionico e carico come pochi, Clementino spara questa mina con MC Polo, Ale Zin, Speaker Cenzou, Shaone, Ekspo, Svez, Dope One, Kapwan, Op’Rot, Rob Shamantide, Rametto, Uomodisu, facendo il verso a, ma omaggiando, Neffa e i suoi. Produce Shablo ed esce sull’album Mea Culpa. La descrizione migliore viene dalle barre di Svez: “Cantante di nicchia sta minchia / Il mio flow è fuoco puro / Spinge come il pogo / E picchia-duro come il videogioco”. Clementino non si tiene e fa il bis anni dopo su Miracolo!. Recuperate anche NAnthem Vol.1 e 2 per un interessante spin-off.

Clementino

DSA Commando vs 16 Barre - “Orde” (2013)

Savona e Rovigo s’incontrano per mandare a ferro e fuoco tutto. Sembra di tornare dalle parti del TruceKlan, per un rap scuro, tetro, underground e fedele alla linea, pieno di riferimenti alle migliori chicche complottiste, al punk e il metal, l’horror e l’esoterismo da pulp magazine. Non mancano le citazioni al AK-47, la guerra dei Balcani, il gas Sarin, Stanley Kubrick e il complotto dell’allunaggio, GG Allin, Douglas Adam …e persino i Sunn 0)). Avercene così!

Mr. Phil ft. RM Allstarz - “Uno contro uno” (2013)

Italiano di origine inglese, vero nome Philip Preston, tira fuori dal cilindro una Roma Allstar con dentro Er Gose, Suarez, Lucci, Prisma, Sace, Fetz Darko, Rak, Er Costa e Deal Pacino: è la celebrazione totale dell’hip hop romano. Fetz Darko canta “Uno contro uno Roma batte tutti Fetz Darko / Ciucciame er cazzo Giudafella stronzo questo è er fatto / Impara a regge' i colpi gladio dentro ar Colosseo / Fai il re del cazzo ma davanti a me sei un pigmeo”, mentre ogni barra si regge su riferimenti a qualsiasi tipo di scontro, lotta, tecniche e arti marziali, vere o inventate. È guerra.

CaratiCrew - “Carati #1” (2013)

Dall’uno al due, tra il 2013 e l’anno successivo sono usciti nove diversi pezzi su YouTube di questa strano progetto inizialmente anonimo della scena nostrana. Abbiamo poi scoperto che le barre appartenevano Lucci, Egreen, Brain, Lord Madness, Don Diegoh, Kenzie Kenzei, Big Things, Johnny Roy e Warez. Dei produttori, invece, si sa poco o nulla. Una cosa è certa, si tratta di pezzi diretti, all’attacco, senza ritornelli pop ma solo tecnica sparata in faccia. Zero promozione, no all’etichetta, poco o nulla anche sui social. Respect.

Machete Empire Records – "Battle Royale" (2014)

Direttamente dal Machete Mixtape III si porta dietro addirittura undici diversi artisti, tra i quali Salmo ben poco calmo, un Nitro enorme e carico come pochi, Rocco Hunt che pare voler finire nei Co’ Sang, Bassi Maestro che distribuisce grazia a profusione, El Raton che soffia acido e via così con tutto il resto. Quasi dieci minuti e ne vuoi ancora. Se si considera che è il seguito spirituale di “King’s Supreme” dal primo mixtape si capisce perché ne vorremmo sempre di più. Infiliamoci pure “Pronti a tutto” dal Apocalypshit Army Mixtape e finiamola così.

Machete Empire Records

Unlimited Struggle - "Posse Cut" (2014)

Inno alla vecchia scuola, calcio in faccia ai trapper ai quali MadBuddy riserva la frecciatina “Così mi vuoi spiegare il rap su una base trap? / Ti salta in aria la chiavetta, si scollega il Mac” mentre l’intro sgombra il campo subito da ogni dubbio “Su di una spanna / Il suono originale non si affanna / Unlimited Struggle / Sto col meglio del meglio in Italia”. Nove MC: Cali, Egreen, Stokka, Mistaman, Frank Siciliano, MadBuddy, Johnny Marsiglia e Ghemon. Cinque sulla base: DJ Shocca, Big Joe, Zonta, Fid Mella e DJ Tsura. Video dello stesso mitico Frank Siciliano. Per festeggiare i dieci anni della crew e dell’etichetta, oltre al 45 giri esce pure la varsity jacket. Non vi basta?

Demo – “Genova Vs Everybody” (2015)

Singolo del 2015 fa un giro, ovviamente, tra vari esponenti della scena rap di Genova, raccolti intorno a Studio Ostile. Non particolarmente conosciuto, purtroppo. “Genova contro tutti / Genova contro tutti / Tutti, tutti / Genova contro tutti”. In cima IZI, Tedua Albe Ok, Vaz Tè, Dala Pai Pai, Nader Shah, RK eAxel Spleen. Da riscoprire.

Bassi Maestro - "Benvenuti a Milano" (2017)

L’intenzione è chiara dal titolo, l’attitudine espressa dopo due secondi: “Benvenuti a Milano / La capitale indiscussa del rap italiano / Il posto in cui vengono perché sanno chi siamo / Dove quando sbagli non ti danno una mano / Benvenuti a Milano / Dove chi chiede scusa non finisce lontano / Dove c'è merda di cui non parla Saviano / Dovunque c'è una festa ‘Pronti raga? Dai, andiamo’”. Inizio da milanese imbruttito a cui partecipano Lazza, Lanz Khan, Axos, Pepito Rella e K Sluggah, l’album è Mia maestà. Bassi replica poi con “WLKM2MI”, a cui si aggiunge Jack The Smoker.

Bassi Maestro

Mattak - "Square Flag Posse" (2017)

Traccia di una, purtroppo, misconosciuta posse della Svizzera Ticina. Il titolo fa riferimento diretto alle origini del gruppo, mentre le barre e le musiche raddrizzano a randellate l’egocentrismo e la superficialità di tanti trapper italioti. Marteena, Limon Willis, V-Ted, NoWordz, Funky Nano e Mattak.La produzione è opera di D-Ego, gli scratches sono realizzati da Dj FastCut.

Drone126 – "CXXVI" (2018)

La Love Gang al completo, produzione di Drone126 e al mic Ketama126, Pretty Solero, Ugo Borghetti, Asp126 e Franco126, si mette in testa di fare quello che interessa a questo articolo: riportare in voga la posse track. Alla fine, diventa una specie di manifesto totale, che Drone declina con un beat ad andamento lento e a metà tra trap e hip hop, mentre gli altri seguono il loro flow. Segue su Asso di Guasconi un altro giro a nome “Giovanni Peroni”, bella stonata e dedicata, sì, alla Peroni ghiacciata.

Ensi - “Rapper posse track” (2019)

Con la produzione di Big Joe, Ensi include nel suo Clash Again il singolo con featuring di Lazza, Danno, Clementino, Jack The Smoker e Agent Sasco. Lo scopo è chiaro e Danno lo spiega a dovere, “Jake LaMotta, metto tutti sull'attenti / Tolgo pezzi di altri MC dai miei denti / Uccido rapper, puro intrattenimento / Né per stile, né per fama, né denaro, è per divertimento / Sul tempo sputo il mio veleno”. Lyrical soprano’s style.

Ensi

The Night Skinny - "Mattoni" (2019)

C’è un motivo se dietro a Night Skinny s’accalca sempre il meglio della scena. Più di cinque anni fa arrivava su “Indian Tweet Posse” un assalto a base di Achille Lauro, Johnny Marsiglia, Ensi, Noyz Narcos, Chicoria, Louis Dee, Er Costa, Clementino, Rocco Hunt e Egreen, con tanto di seguito a base di Lord Bean, Ghali, Mama Marjas e altri. Nel recentissimo “Mattoni” il video si apre dicendo “se soffri di attacchi epilettici è meglio evitare di guardare questo video”, ma vale in realtà per la musica. Già sai.

THB Kirua - “Posse Track” (2019)

Forse è la più recente del lotto, e vede la partecipazione di Daytona KK, Radical, Knowpmw, Goldie KK, Jordan 23 e THB Brown della LOBBY, su strumentale tratta da “If I Can’t”, di 50 Cent, prodotta da Dr. Dre e Mike Elizondo. Fuori controllo, genuinamente delirante e stonata all’eccesso. “Ho mischiato questo e quello perché non frega un cazzo / Metto tanto parmigiano perché non frega un cazzo”, tipo manifesto poetico. “Sto sulla trap come su una tetta un bambino”. Rap analfabeta: e non è un insulto, ma un apprezzamento.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Questo gangsta americano ha fatto la canzone più romantica del 2020

$
0
0

“Fanculo la polizia / Fanculo 12 [cioè ancora la polizia] / Butto via i soldi, faccio il pazzo”. Che base vi aspettereste per un testo così? Una trappata tutta piena di 808? E invece il pezzo in questione, “Rascal” di un ragazzo mascherato chiamato RMR, è cantato e romanticissimo—uno di quelli che ti fanno venire voglia di strapparti il cuore. E sta diventando virale, soprattutto grazie al suo video ufficiale.

RMR e i suoi compagni di crew sventolano armi vestiti con passamontagna e giubbotti antiproiettile targati Saint Laurent: un cortocircuito tra immagini, testo e suoni che non puoi fare a meno di ascoltare in repeat. Il pezzo ormai è un po’ ovunque negli USA ed è una parodia della ballata tradizionale “Bless the Broken Road”, resa famosa dai Rascal Flatts, una band country da cui RMR ha preso il titolo della traccia. Il rapper però non vuole limitarsi a creare meme, ma ha degli obiettivi ben precisi: “Sono cresciuto con musica country e rap e questa canzone e l’interpretazione di come dovrebbe suonare un genere nuovo” ha dichiarato a The FADER.

E in effetti questa cosa che RMR ha fatto non c’entra niente con il “country rap” che hanno fatto artisti come Young Thug, Lil Tracy e Lil Nas X. È più simile a un lamento di quartiere, ma trasportato in mezzo a suoni eterei. Come in una ballad di Kanye West, o in quel classico poco ascoltato che è “Chiraq” di Chief Keef. È innegabile però che i numeri di RMR siano ottimi: in quattro giorni, il video ha raggiunto più di 600k visualizzazioni. Stando a The FADER, il suo primo EP dovrebbe arrivare in primavera e intitolarsi Drug Dealing Is A Lost Art. Non vediamo l'ora di ascoltarlo.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Il rap italiano aveva bisogno della follia di Pufuleti

$
0
0

L’industria musicale infila tutti i giorni nel suo sistema produttivo ogni centimetro quadrato disponibile, mangiandosi chiunque le serva. Se accumuli le dovute centinaia o migliaia di views su Instagram e TikTok—e non per forza gli ascolti in senso stretto, via SoundCloud, Spotify o YouTube—puoi finire in cima alla lista dei vincenti in un soffio, e trovare da un giorno all’altro sul tuo tavolo un contratto d’oro, da firmare però col sangue.

È il tipo di patto che un tempo qualche moralista avrebbe definito demoniaco, con il quale ci si vende l’anima per qualche moneta e un quindici minuti di visibilità. Ma il problema non è per niente nel meccanismo in sé quanto nel fatto che dà vita a un orizzonte molto distorto, dove di fatto conviene inseguire il suono che va per la maggiore, nonché la musica più accomodante e “semplice”.

Pufuleti Catarsi Aiwa Maxibon
La copertina di Catarsi Aiwa Maxibon di Pufuleti, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Per fortuna, di tutto questo, Pufuleti non vuole saperne un cazzo. Nato in Sicilia, trasferitosi da giovanissimo in Germania, Giuseppe Licata ha avuto l’intelligenza di sviluppare un lessico che non ha uguali nella scena, è l’originalità fatta musica: un miscuglio assurdo e allucinato di dialetti, linguaggi, stimoli e referenti culturali, che gli ha permesso prima di arrivare allo status di culto in Germania, con il nome Joe Space, e poi di approdare di nuovo in Italia per trasformarsi in Pufuleti, appunto, grazie tra gli altri alla spinta ulteriore del collettivo artistico romano Misto Mame e alla forza dei suoi video sghembi e stralunati.

Tumbulata è stato uno degli album che più ci siamo ascoltati nel 2019, da queste parti, vicino all’eccezionalità di meraviglie stravolte dalla vita e dimenticate quali Aesop Rock e gli artisti dell’etichetta anticon, magari ripassati al filtro dei Cypress Hill e, perché no, un po' di italianissimi Uochi Toki. Visto che rispetto al resto della scena italiana Pufuleti è un vero e proprio alieno, uno che se ne frega di barriere, limiti e generi e preferisce soltanto immergersi nella costruzione del suo immaginario, attendevamo decisamente irrequieti il suo nuovo parto, arrivato come il bad trip che non ti aspetti a sventrare i tuoi neuroni.

Rispetto al resto della scena italiana Pufuleti è un vero e proprio alieno, uno che se ne frega di barriere, limiti e generi.

Catarsi Aiwa Maxibon esce per La Tempesta e Legno proprio oggi, e si rivela forse ancora più particolare e fuori dagli sche(r)mi rispetto all’album precedente, tanto che sin dall’inizio appare chiaramente inutile o, peggio ancora, controproducente, stare lì a cercare i significati dei suoi brani e piluccare le interpretazioni dei testi. La musica basta a se stessa e si affida a barre che hanno il sapore della poesia, di quella alta e sperimentale, ma imbastardita con la materia più bassa e quotidiana, di un T. S. Eliot che passa le notti a fumarsi l’inverosimile mentre in televisione e nel cervello scorrono le repliche di Italia 7 Gold, la Mediaset anni Novanta e tutte le carrellate di telemarketing possibile e immaginabile, con riferimenti storti a Bruno Vespa e Toto Cutugno, Alessandra Mussolini, Maurizio Costanzo e Lupin.

Tutti nomi che ci ricordano quanto, presi insieme, questi programmi e palinsesti televisivi e culturali fossero in effetti del tutto fuori di testa e possano aver influito sul nostro stesso immaginario personale in una maniera strana e inquietante, soprattutto a furia di guardarli nei momenti precedenti al sonno “con la tv accesa su un canale morto”, e se pensiamo all’arrivo e all’impatto successivo di internet nelle nostre vite, capiamo come siamo arrivati a vaporwave, a e s t h e t i c, Oneohtrix Point Never, The Caretaker e quel marasma di generi musicali che sono usciti negli ultimi vent’anni. Pufuleti, però, non vuole saperne un cazzo nemmeno di questo o, senza esagerare, quantomeno molto poco.

Pufuleti

Se è vero infatti che i materiali culturali che compongono la sua esperienza hanno finito per influenzare a dovere la sua musica, tanto da arricchirla di una bizzarria non catalogabile, è vero anche che l’indizio più importante sul mondo marcio e storto di Pufuleti è la fierezza e consapevolezza della sua complessità linguistica: un miscuglio impagabile e sgangherato di italiano e dialetto siciliano, comprensivo del fondamentale tedesco, ma anche del francese e dell’inglese, così come di slang, citazioni, e folli improvvisazioni semantiche totali, con rime quali “Assaggia il limone / Minchia quant’è buono! / In chiesa Sieg Heil / Papà come si diventa? / Mi tuffo nei prodotti siciliani / Vocabolario siciliano: tribunale, gel, duxtufo, caarnevale”. Un orizzonte di significati e significanti che non solo non ha quasi eguali—per vertigine creativa—nel panorama italiano, ma che soprattutto risulta essere molto più sincero del resto del baraccone rap e trap, più ancorato alle proprie radici, per quanto nomadi, e meno incline a subire il fascino di modelli consumistici, volgari e banali.

Per intenderci, questo significa che il denaro e le “bitches” non dominano i suoi testi, che invece contengono perle di nonsense e irrealtà, anzi surrealtà, quali “Chiamami tramite l’afri.com / Non si lecca dalla parte sbagliata il Maxibon / Fotto solo con quelli più grandi / Strike, ti calmi col cellophan poso come jihadisti su nastri”, oppure “Yesterday was a good day / Ero fatto di alghe / Lei era fatta marmo / Ho fatto l’uomo col fango / Non mi calmo”. Non fraintendete, quindi, come potete vedere non si tratta di mettere in scena un immaginario accomodante o semplice, né di una musica piena di citazioni postmoderne od occhiolini strizzati verso l’ascoltatore, ma di rime ermetiche che devono essere godute come durante una nottata o una vita intera di stranezze, deliri visionari ed eccessi vari.

Una vertigine creativa che risulta essere molto più sincera del resto del baraccone rap e trap.

Non crediate però che il fascino di questo disco sia tutto qui: il ragazzo ha un flow che la maggior parte dei giocatori sulla scena si sogna, straripante di personalità e potenza evocativa, carisma ed energia palpabile, per quanto onirico e surreale. E ogni volta che sentirete cose quali “Blocchi di tufo / Giri di bici sul balcone / Come la donna giovane mi turba / A casa si mangia bene, all’Al-Jazeera non ci ritorno / A Genova non ci ritorno”, queste si pianteranno nella vostra testa come un sogno stralunato ma fatto con gli occhi spalancati e in pieno giorno.

Un sogno a cui partecipano appieno i beatmaker di C.O.T.A, tra i quali l’ottimo Wun Two già al lavoro in Tumbulata, e la direzione artistica di Lapo Sorride in quota ai già citati Misto Mame, che ha curato anche C.A.M., la fanzine che ha anticipato e accompagnato l’uscita di Catarsi Aiwa Maxibon. Una fanzine che se siete tonti come me probabilmente vi siete persi: piangiamo insieme.

1583497642050-1583495066774-82A12735-3140-4512-987A-82739E3BE23B

Proprio i Misto Mame da qualche anno hanno cominciato a introdurre la definizione, piuttosto ampia e adeguatamente generica e spigolosa, di “new weird italia”, un termine che potrebbe accogliere giustamente anche Pufuleti. Quindi, perché non la smettiamo tutti con i soliti noiosi, abituali e paraculi ascolti, e ci ascoltiamo e abbracciamo questa meraviglia di stranezza? Si tratta pur sempre di uno con il coraggio per citare persino Bernardo Tasso.

Puoi parlare di Dalì e Pufuleti con Daniele su Instagram e Twitter.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

L'intervista definitiva a Ghali su DNA

$
0
0

Nel 2017 Ghali è diventato il rapper più famoso d’Italia. I suoi pezzi, prodotti da Charlie Charles, facevano risultati enormi e le televisioni e i giornali lo avevano reso un simbolo di integrazione. Era diventato il simbolo del nuovo rap e delle seconde generazioni, Ghali, ma contro la sua volontà—come dimostrò per esempio la sua intervista con Fabio Fazio. Una volta arrivato in cima, però, Ghali è caduto e ha toccato il fondo.

Oggi "Boogieman" e "Good Times", con il suo ritornello che fa "bella atmosfera", sono canzoni che girano ormai ovunque in Italia. Ma per arrivarci, Ghali ha smesso di lavorare con Charlie, autore di tutti i suoi beat fino a quel momento, la persona che aveva definito "una sicurezza". Si è staccato dal team di Sto, con cui aveva aperto un'etichetta, una linea di streetwear e un magazine. Ha perso l'ispirazione che lo portava a passare le notti a scrivere canzoni.

Quindi, per ricominciare, ha trascorso del tempo con i ragazzi in carcere. Ha girato il mondo in cerca di ispirazione, e ha trovato l’amore. Ora ha un nuovo album, DNA, in cui vuole mettere in chiaro un po' di cose sulla sua vita e la sua carriera. Ha fatto la stessa cosa nel nuovo episodio di Noisey Personal, che potete guardare qua sopra.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>