Quantcast
Channel: VICE IT - NOISEY
Viewing all 3944 articles
Browse latest View live

Balla il ballo del sociopatico con i Dots

$
0
0

C'era una volta il 2007, e questa è una storia che vi ho già raccontato. A quei tempi nel punto di congiunzione tra le provincie di Mantova, Rovigo e Ferrara, nel mezzo della pianura padana più paludosa, nebbiosa e inospitale, in un luogo chiamato Bergantino il cui PIL è rappresentato per il 99% dalla produzione di giostre da luna park, c'era un tiki bar. Avete letto bene: un bar in stile hawaiiano, con palme finte, bancone di bambù e statuette tiki a ogni angolo. Solo che al posto di Mai Tai con l'ombrellino, all'Ungawa si servivano Campari e Ceres (spesso mescolati in un cocktail micidiale che veniva servito in boccali da un litro) e al posto di "aloha" e "mahalo" le parole d'ordine non le posso scrivere qua perché poi il Vaticano ci fa chiudere il sito.

È in questo contesto che sono nati i Dots, uno dei gruppi punk rock più insensati e divertenti della storia del genere in Italia. E io posso dirlo, perché ne facevo parte. Sui dischi erano in tre, Marco e Alessandro (che sono fratelli) e Andrea, ma dal vivo convincevano quanti più amici possibili a unirsi a loro creando un vero e proprio carrozzone di caos, ostilità e, fondamentalmente, demenza totale. Se andate a rovistare nel sottobosco delle fanzine punk/rock'n'roll italiane degli ultimi anni, troverete un paio di articoli dedicati ai Dots e alla manica di debosciati che si portavano dietro, tutti provenienti da quel triangolo della deficienza, della nebbia e dell'alcolismo racchiuso tra il confine Sud della provincia di Mantova, il Po e il Menago, affluente del Canal Bianco che attraversa Cerea e altri posti di merda che non sto a elencare.

Dopo un demo, un 7" sulla leggendaria etichetta svedese Ken Rock e un 7" split con i compagni di scorribande Virus, i Dots si sciolsero a fine 2008, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di 28 ubriaconi che se ne dimenticarono subito dopo. Ma ora sono tornati.

In pieno stile Dots, le nove canzoni di questo nuovo album non c'entrano (quasi) una beata fava con la produzione precedente della band. Nonostante la copertina grigia e austera, Hangin' on a Black Hole contiene nove pezzi che, senza perdere l'aggressività e la sarcastica ostilità che contraddistingue la band, virano pesantemente verso il funky e la festa ad ogni costo. I numi tutelari di questo album sono in primis quel debosciato di Black Randy e i suoi Metrosquad—che in piena esplosione punk '77 stava già prendendo per il culo tutti i suoi stereotipi e dicendo "ok le spille da balia e l'odio per la società, ma facciamoci due risate e muoviamo un po' le chiappe"—e poi la sagoma di James Brown intravista nella nebbia, il party permanente dei secondi Beastie Boys, e una dose di trollaggio punk mutuato da HomostupidsFolded Shirt e il resto dei premi Nobel che frequentano il Now That's Class di Cleveland

Il bello di questo album non è soltanto che è divertente, originale o quello che vi pare, è che è di una sfacciataggine e una purezza d'intenti rara. Ascoltare questo disco è esattamente come entrare a una festa nella Bassa Padana: potete mantenere la vostra coolness cittadina e stare tutta la sera in un angolo a rompervi le palle, o spogliarvi in mutande e lanciarvi nella piscina di Campari assieme agli altri. A voi la scelta: noi continuiamo a spassarcela.

Il disco uscirà martedì 28 marzo su un 12" one-sided per Depression House Records. Ascolta l'album qua sotto e ordina la tua copia all'indirizzo depression.house@gmail.com o sul profilo Bandcamp della band.

I Dots suoneranno a Milano il 26 maggio in occasione del festival Allucinazione Metropolitana insieme al meglio del punk europeo del momento. Segnatelo sul calendario

Giacomo fa ancora il coglione in giro ma principalmente sta davanti al computer a scrivere per Noisey. Seguilo su Twitter: @generic_giacomo.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.


Ascolta quattro pezzi tratti dal nuovo disco dei Gorillaz

$
0
0

Ok, calma e sangue freddo. I Gorillaz ieri sono stati ospiti su tre diverse radio inglesi (BBC Radio 1, Radio X e Beats 1) e hanno trasmesso quattro canzoni tratte dal loro prossimo album intitolato Humanz. Poi ascoltarle qua sotto. 

"Saturn Barz" feat. Popcaan:

"Andromeda" feat. D.R.A.M. (a 2:10):

"Ascension" feat. Vince Staples:

"We've Got the Power" feat. Jehnny Beth:

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Ho provato a diventare Jamiroquai

$
0
0

(Fotografie di Jake Lewis)

È il 2008. È una sera primaverile, e siamo nella camera da letto reale di un'antica villa del Buckinghamshire, costruita più di cinquecento anni fa. Jason Louis Cheetham—meglio conosciuto come Jay Kay, frontman dei Jamiroquai—è a casa sua, e sta provando ad andare a letto presto. Solitamente a quest'ora si starebbe sparando qualche episodio di The IT Crowd, ma domani è un grande giorno. Domani, competerà in una gara automobilistica di Top Gear. Dovrà sconfiggere Simon Cowell per tornare al primo posto del tabellone, dato che ha accettato di partecipare a una sorta di mini-campionato automobilistico televisivo tra VIP. E alla fine ce la farà, Jay, a sconfiggere Cowell: è il nono episodio dell'undicesima serie. Ed è piuttosto palese che gliene freghi più di qualsiasi altra cosa. Quando esce vittorioso dalla portiera, Jay comincia a saltellare e se ne esce con una dichiarazione delirante: "Non me ne frega un cazzo della musica!"

Tutto quello che avete appena letto è contenuto in un video di YouTube che dimostra bene o male quanto Jay Kay sia un po' uno stronzo, invece del tizio misterioso che è sempre sembrato. Ma poi ti pare in autoplay il video di "Virtual Insanity," un pezzo complesso, ballabile e orecchiabile—un'ottima canzone, no? E ti convinci che Jay Kay deve avere qualcosa da nascondere. Poi ti concentri un po' di più. Ascolti il testo: "Ora non c'è alcun suono / Perché viviamo tutti sottoterra"—una frase che non significa nulla. Vai sulla sua pagina di Wikipedia; impari che ha vissuto in diversi squat, che si dice che sia stato accoltellato, e pensi che effettivamente riuscire a fare quello che ha fatto partendo da una situazione simile sia stata un'impresa. Poi trovi un video di lui che si fa dare una testata in faccia da un paparazzo e finisce col naso sanguinante a gridargli addosso attraverso la vetrina della lobby di un hotel. Ti rendi conto che niente di quello che stai facendo ha senso, e ti arrendi.

La verità è che Jay Kay non ha alcun senso, così come non avevano alcun senso il fatto che ai tempi della loro fondazione i Jamiroquai avevano un tizio che suonava il didgeridoo. Non ha davvero senso. Un tizio di Manchester con un accento del sud? La sua collezione di Ferrari? Tutti i Grammy che ha vinto? È impossibile capire chi sia veramente, lo Space Cowboy. Un enigma? Una facciata? Tutti ci poniamo domande come questa, e lo facciamo da una vita. Quindi credo che l'unico modo possibile per capire Jay Kay sia diventare Jay Kay. Indossare le sue scarpe, imitare il suo look inconfondibile, scrivere musica come lui. Ed è esattamente quello che farò. Sì, per riuscire nell'impossibile sarei diventato... Jay Kay. Dovevo solo seguire cinque passi essenziali.

1) L'UOMO

Passando oltre i preoccupanti risvolti psicologici della sua apparizione su Top Gear assieme a Jeremy Clarkson, mi sono reso conto che Jay Kay ha una qualità insolita, almeno per l'idea che abbiamo di lui—è una persona soddisfatta. Jay e Jeremy parlano di come "condividono le stesse passioni", il che ha senso dato che sono entrambi cresciuti con una mentalità di paese. E l'inizio del mio viaggio non poteva che cominciare da qua: sarei andato a Barnes, un vero paese all'interno di Londra Ovest, un Giardino dell'Eden per ricconi. 

Curioso, entro in negozio di antichità; saltello tra le pozzanghere; mi soffermo troppo a lungo a considerare l'acquisto di collezioni di papere di porcellana. Anche se è carino qua—come essere in una realtà alternativa pensata da un personaggio di sitcom il cui ruolo è "fare lo snob"—non sono sicuro di riuscire a immaginare Jay Kay che se la cammina col fuoco nei tacchi delle sue Adidas Gazelle sui bucolici sampietrini di queste strade. Ma poi lo vedo: il Bull's Head. Un jazz bar—in un paese—pronto a servire jazz dal vivo con cibo thailandese di contorno, sera dopo sera?

Nella pancia della bestia, sento jazz mediocre e il suono di forchette. Sorseggio una birra e sfoglio un numero di Barnes and Putney Time & Leisure, e sento un lieve duetto di mormorii dietro di me. All'improvviso, diventano una risata. Due signori più che di mezza età—con la pelle rossa, capelli setosi e perfettamente pettinati—se la stanno sogghignando di gusto.

Vengo attratto dal suono delle loro rustiche risate, quindi mi dirigo verso di loro e mi siedo al loro tavolo. Mi unisco alla loro conversazione sulle scuole svedesi dell'area. Ogni volta che provo a contribuire al discorso o a spostarlo verso le macchine (cosa che succede piuttosto spesso), le risatine diminuiscono e lasciano spazio a silenzi debilitanti. I due signori mi abbandonano. Nonostante la location perfetta e la compagnia perfetta per antonomasia, non ero riuscito a fregare nessuno. Questi tizi mi avevano squadrato da lontano e sapevano che ero fuori posto. Chiaramente ci voleva qualcosa di più per diventare Jay Kay. Dovevo spingermi più a fondo.

2) IL TRUCCO

Dite quello che volete di Jay Kay, ma è una sorta di icona se parliamo di stile. Dal suo cappello a forma di bufalo alle sue Adidas un metro più in basso, il suo profilo è entrato nella storia. Insomma, nel 2003 GQ lo definì l'uomo più stiloso dell'anno, e guardate quanto l'internet era d'accordo:

Say what you will about Jay Kay, but he is somewhat of a style icon. From his buffalo hat to his Adidas shoes a metre below, he cuts an iconic silhouette. Believe us: GQ named him the most stylish man of the year in 2003, and just look at the consensus from the internet:

Quanto erano curiosi, questi ragazzi; quanta voglia avevano di assomigliare al loro idolo. È davvero stimolante. Per pensare come Jay, devo chiaramente assomigliare a Jay. Mi dirigo quindi verso uno dei negozi di sneaker migliori di Londra.

Come ci si veste come un uomo con ottanta milioni di euro in banca? È una domanda a cui è impossibile rispondere, quindi chiudo gli occhi e penso. Che cosa farebbe Jay? Ovvio! Non mi serve una scarpa che potrebbe comprare chiunque. Mi serve un pezzo unico. Mi serve un cappello strambo. Devo andare su Walworth Road ed esplorare i dieci negozi di roba usata di Elephant & Castle e trovare un capo sublime salvandolo dalla spazzatura in cui qualcuno lo ha gettato. 

Passo di negozio in negozio, di cappello in cappello, ma non vedo molto di interessante.

Comincio a perdere ogni speranza, finché un gentile signore non mi indica un cestello accanto alla cassa del suo negozio. E lì, per un istante, l'universo si ferma. L'ho... trovato.

È come se Jay prendesse vita di fronte a me. Sento il battito della sua lounge fusion a poco meno di 100 bpm che pulsa in me. I Jamiroquai cominciano ad avere un senso. Devo tornare a casa. Devo scrivere qualcosa. Devo fare il terzo passo.

3) LA MUSICA

Dopo aver scritto a tutti i miei amici musicisti, devo dire che sono piuttosto confuso dal fatto che nessuno sembra voler scrivere pezzi alla Jamiroquai con me. Ma grazie a Dio i Jamiroquai sono un'autocrazia creativa. Apro Logic Pro X, tiro fuori la mia chitarra e comincio a suonare su un beat a ritmo di samba. Non è male. Bé, in realtà è un po' una... merda? Quindi provo qualcosa di diverso, ma tutto quello che mi esce assomiglia a una b-side degli Skunk Anansie. Ma in fondo Jay Kay non è che un curatore di turnisti che affollano le scuole di musica più costose del mondo, no? Non è certo un tizio che prende in mano una chitarra e cerca di tirarci fuori qualcosa partendo dal nulla.

Ho bisogno di qualcosa che mi ispira. Quindi mi prendo cinque minuti, apro Spotify e inizio ad ascoltare i Jamiroquai con il casuale acceso. È così strano—è come entrare in una capsula cultural-temporale degli ultimi anni Novanta e primi Duemila. Non so cosa sia, ma mi sta venendo in mente la parola "lounge"... ma non riferito al jazz! Alla lounge, al salotto di casa dei miei! Avevo undici anni.. guardavo la Signora in giallo su UK Gold... Cristo.

La musica del menu di SKY di quando ero piccolo! Ecco a cosa assomigliano i Jamiroquai. Nel giro di un attimo io, autore, sto rippando la colonna sonora di una guida TV digitale da YouTube. Ed eccola lì, sul mio file progetto di Logic Pro, pronto a essere modificato. È un pezzo inutile e anonimo. Come Jay Kay, la renderò una hit. Dopo un paio di tocchi mi resta solo da scrivere un testo che assomigli a una profezia e cantarlo. Ora più che mai, devo diventare Jay Kay.

Di che cosa canta Jay Kay? Dicono che canti del mondo, della razza umana, del cambiamento climatico, dell'autonomia tecnologica e di Dolly, la pecora clonata. Ma non sembra che canti di queste cose. Sembra che scriva un sacco di riferimenti a cose più o meno attuali e le ficchi assieme a parole astratte che sembrano avere senso, ma non troppo.

E così preparo dei biglietti con scritte sopra parole a caso. Li metto in ordine su un tavolo. Le mie dita tremano mentre ne afferro un paio. Mi trovo di fronte un collage sensato. E poi, come Mosé di fronte alle tavole della legge, comincio a sentire parole uscirmi dal corpo.

I'm a robot
Microchips and cronuts
Y2K is on the way
And Tiger Woods is makin' putts

Gravitational Converter
Transmitting me high
Insterstellar revelator
Thunderbolts and crime

I'm a robot
Microchips and cronuts
Y2K is going to make
A jalapeno figure eight

Nature for dinner
Riding microwaves
Ask Jeeves what he's servin'
Kickflip marinade

Sottomesso alla profezia, prendo un microfono e comincio a registrare.

Dopo qualche gridolino, "I'm a Robot" esiste. È sensazionale. Ho semplicemente lasciato che le mie mani accarezzassero un rifiuto musicale, e ora è oro—deve essere così, vivere come Jay Kay. Ed è oro. Oro troppo prezioso per le mie orecchie: devo condividerlo con qualcuno. E così prendo un boombox, mi metto addosso un giubbotto giallo fluorescente e il cappello. È ora di esibirmi, baby.

4) IL MOMENTO

Per strada, la gente è scioccata dal mio atteggiamento. Sì, Jay Kay ha letteralmente il potere di fermare la gente semplicemente camminandoci in mezzo. 

Ma non sono qua per impressionare la gente: sono qua per esibirmi. Quindi mi spingo le cuffiette nelle orecchie, alzo il volume di "I'm a Robot" e la comincio a canticchiarla. Il mio momento è arrivato.

Esco dalla metropolitana e mi godo le dolci vibrazioni del luogo più puro di Londra. È quasi l'ora di punta, quindi credo di essere l'headliner. 

Ero arrivato da Barnes al Boxpark di Shoreditch in un solo giorno. Direi che ero nervoso, ma non sarei sincero: Jay Kay non è mai nervoso. Mi avvicino ai container, accendo l'amplificatore e, non appena sento i primi accordi di piano, inalo profondamente l'aria dell'erba di plastica sotto ai miei piedi. Ci siamo.

L'aria attraversa i miei polmoni, esce dalla mia bocca: sto cantando.

La canzone arriva alle sue ultime note e io alzo gli occhi al cielo. Sorrido al mio pubblico, come a volerlo salutare un'ultima volta. Una manciata di persone si girano dall'altra parte. La pioggia cade sul mio cappello di pelliccia e lo affonda sulla mia fronte. Sento una voce annunciare un ritardo del treno uscire dalla stazione metallica sopra di me. Prendo su il mio ampli e me ne vado. È arrivato il momento di compiere l'ultimo passo.

5) IL SIGNIFICATO

Mi siedo in un Pret à Manger. Sono bagnato, stanco e mi sento umiliato. Non mi vergogno dei vestiti da idiota che ho addosso, né delle centinaia di persone che mi hanno appena visto cantare a squarciagola mentre ballicchiavo come il papà dello sposo a un ricevimento di nozze. Mi sento umiliato perché ho fallito. È come se non avessi imparato niente su Jay Kay. Tutte queste pressioni e questo seguire le tortuosità del suo essere mi hanno portato nella tana del coniglio, e ora probabilmente ne so ancora di meno di prima. Forse Jay Kay è una di quelle cose della vita che dobbiamo accettare di non capire mai? 

Come, ad esempio, questo caffè. Questo caffè è come Jay Kay, in fondo. Non è incredibile. Ma mi sta piacendo? Certo. Ne prenderei ancora se me ne offrissero uno? Certo, perché no. O un bel sandwich tonno e cetrioli. Ancora una volta, un po' come Jay Kay. Piccolo, e strano—ma buono. E mi rende felice.

Anzi, sapete cosa vi dico? Pret non è male, di per sè—è ok! Non importa che abbia qualcosa di pacchiano e nauseabondo, posso comunque affidarmi a lui per un pranzo nella media, un pranzo sicuro.

Jamiroquai…

Pret…

Jamiroquai…

Più ci penso, più mi rendo conto che Pret e i Jamiroquai non sono poi così diversi. Sono entità dalle umili origini. Colossi ugualmente incompresi e adorati. Quando Pret comparve, alla fine degli anni Ottanta e con un nome che la maggior parte di noi non avevano la minima idea di come leggere dato che avevamo balzato gli esami di francese, e si mise a vendere strane variazioni di snack e panini e zuppe standard e i vari McDonald's si misero a ridere di gusto, credete che Pret si sia arreso e si sia messo in un angolino a piangere? NO! E ora guardateli—uno dei brand più riconoscibili del Regno Unito! Che problema c'è se se la godono un pochetto e sguazzano nelle loro imperfezioni? I Jamiroquai unirono vaghezze cosmiche con funk da due soldi e un po' di synth—ma anche se sono sette anni che sono scomparsi, hanno mandato sold out il loro prossimo concerto in uno dei palazzetti più grandi di Londra "in 30 secondi", stando a quello che dice... il loro ufficio stampa. È quasi come se questo caffè e la band che ho provato a diventare fossero entrambe entità da cui ci sentiamo tutti attratti nonostante i loro difetti.

Oh mio Dio. Ha senso, ora.

Jamiroquai è Pret a Manger! E oggi, io sono i Jamiroquai.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Noisey Mix: Ramirexx

$
0
0

Ramirexx è il moniker di Alessandro Gentili, 19 anni, marchigiano, della provincia di Ancona, Abita "in un paesino così sulle colline," come mi spiega gentilmente su Facebook, definizione che potrebbe calzare a pennello per il posto dove sono cresciuta in Toscana quindi sì, I feel you Ale.

Fa musica dal 2013, cioè da quando di anni ne aveva 15, prima con svariati progetti noise, poi a 16 con techno (con la k, in realtà) e breakcore. Non a caso era un frequentatore di feste goa, dove ha sviluppato il gusto per la componente del ballo nell'elettronica. "Per un periodo non facevo altro che produrre roba e buttarla via a ritmi maniacali, poi mi sono calmato e a giugno 2016 ho deciso di mettermi a produrre in modo più conciso qualcosa che mi soddisfacesse." Ed ecco dove e come nasce Ramirexx.

I riferimenti spaziano dalla classica contemporanea, all'elettroacustica, alle composizioni percussive di Xenakis, a sonorità più global che Alessandro si va a raccogliere nei suoi blog di fiducia. "Ci sono blog tipo Moroccan Tape Stash o Phyuniwarpyar grazie ai quali puoi scaricarti musica birmana rilasciata in 100 copie su cassetta e cose così, una vera figata. Mi prendono molto quei generi musicali, spesso trascurati dalle sette dei critici musicali per via delle loro origini, diciamo popolari, tipo il reggaeton o l'hardstyle." Sul suo Soundcloud tutto ciò è molto evidente, nonché riassunto in #terrorista come tag comune a tutte le tracce. Non avrei saputo trovare termine migliore. Al momento Ramirexx sta producendo un EP "con molta calma, e nel frattempo pubblico mashup registrati mesi fa."

"Il mix è molto patchy, mi piace che i pezzi interagiscano in modo rigido tra loro, quasi come molte finestre aperte su un desktop. Ci stanno dentro diverse cose che mi prendono molto al momento: i Drexciya, i bootleg di NAAFI e Ms Nina che insieme agli altri della scena trap spagnola stanno spaccando tutto. Poi il pezzo di Charly e J Capri, un classicone, mi piaceva chiudere con un pezzo allegro."

Tracklist:

01. Yem Gel - flypondCity
02. Christian Cosmos - But When The Sun Was Up They Were Scorched
03. Abyss X - Amadeus
04. Drexciya - Wavejumper
05. Dj Army x Zakmatic - Till the World Ends
06. Zut Zut - El Combo
07. ? - Epsilon Program Commercial
08. El Dragon - Mi Vida Eres Tu (chipmunked)
09. Scheele - Calar
10. Cyphr - Stretch Reflex
11. Neocortex -- Antinazicore
12. Ms Nina - Salami
13. Charly Black & J Capri - Whine & Kotch

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Non dobbiamo sempre pensare che i grandi musicisti siano belle persone

$
0
0

C'è un sacco di giornalismo musicale di merda, al mondo, e mi ci metto dentro anch'io: ad esempio, ho scritto questa premiere di un pezzo di Borgore, e posso quindi dirlo con una certa autorità. Ma con tutto il rispetto, devo dire che uno dei peggiori vizi del nostro mestiere è l'impulso a mischiare la musica di cui scriviamo con l'immagine che abbiamo di chi l'ha scritta. Certo, poi ci sono anche altre brutture, come scrivere che un produttore ha fatto un beat da zero quando in realtà ha solo mandato in loop una hit soul degli anni Settanta, la tendenza a canonizzare la discografia di un artista prematuramente, e usare l'aggettivo "etereo"—tutte brutture riscontrabili nella mia premiere di cui sopra. Il punto è che la musica occupa uno spazio liminale tra arte e commercio, autenticità e artificio, espressione emotiva e produzione—e spesso scegliamo arbitrariamente, in base a un nostro giudizio di valore, da che parte far pendere la nostra trattazione. Per ogni critico che sconfessa un Chris Brown o un Jef Whitehead a causa dei loro atti sessisti ce n'è un altro che sceglie di non parlare delle accuse a Michael Gira degli Swans o a Dr. Dre, i cui presunti abusi sono stati trattati brevemente dal ciclo di notizie del settore per poi essere praticamente messi da parte, e quindi tacitamente perdonati.

Nel mercato contemporaneo, a cui tutti partecipiamo, regna una tendenza al consumismo consapevole. Non ci facciamo problemi a pagare di più una bistecca se ci viene detto che la mucca ha vissuto una vita felice prima di essere stata macellata, brand di vestiti come Everlane usano la loro dedizione a una "trasparenza radicale" come tattica di marketing, e sul deep web è possibile comprare cocaina equa e solidale. Il valore di un prodotto viene quindi spesso collegato ai valori etici percepiti del suo produttore. Quando si parla di musica, ciò significa che gli artisti sono considerati parte integrante delle canzoni che creano. Se sembrano persone decenti abbiamo più voglia di ascoltarli senza pregiudizi; al contrario, se ci piace ciò che fanno, dentro di noi scatta spessissimo un interruttore che ci fa traslare i valori che assegniamo arbitrariamente alla loro musica sulla loro persona.

Per un esempio meno estremo della stessa dinamica, prendiamo Chance the Rapper. La gente lo ama per un sacco di motivi—non solo la sua musica è confortevole, intima e complessa a livello tecnico, ma Chance si presenta anche come un bravo ragazzo, strenuamente indipendente da logiche di mercato e fortemente impegnato sul sociale. E la sua immagine pubblica coincide con quella reale. Probabilmente il fatto che ha donato un milione di dollari alle scuole pubbliche di Chicago ha contribuito a rinforzare l'immagine che i suoi milioni di fan hanno di lui: Ecco una prova concreta che un artista che mi piace ha fatto una buona azione, dice il ragionamento, quindi posso sentirmi ancora meglio quando lo ascolto ora che so che è una persona pura e genuina. Questa stessa logica, applicata diversamente, si fa più complicata. I fan di Chance sono stati svelti a congratularsi con lui per la donazione, ma sono stati altrettanto veloci a incazzarsi con il Chicago Times, la cui Mary Mitchell ha pubblicato un editoriale in cui parla di come Chance abbia provato a richiedere legalmente di pagare alla sua ex il mantenimento meno del minimo stabilito dalla legge, cioè il 20% del reddito del genitore che non ha la custodia del figlio.  

"Non puoi regalare soldi a bambini che non conosci e passare per taccagno quando si parla di tuo figlio," ha scritto la Mitchell—e il risultato è stata un'ondata di minacce da parte dei fan di Chance, presumibilmente incitati da Chance stesso. Anche se sosterrei che è assurdo aspettarsi che l'arte aderisca perfettamente alle complicate vite private degli artisti, se vogliamo giudicare la musica basandoci sul comportamento extra-musicale di chi la crea non possiamo sentirci sorpresi o arrabbiati quando qualcuno suggerisce—giustamente o meno—che un certo comportamento controverso si rifletta negativamente sul personaggio-artista. "Dentro di noi c'è una tendenza a identificare i grandi artisti come grandi persone," scrisse Jenny Diski. "Ma dentro di noi sappiamo benissimo che i maiali non possono volare."

"Dentro di noi c'è una tendenza a identificare i grandi artisti come grandi persone," scrisse Jenny Diski. "Ma dentro di noi sappiamo benissimo che i maiali non possono volare."

Ovviamente, le infrastrutture tecnologiche e sociali che incoraggiano questi atteggiamenti sono relativamente nuove, e la tensione tra atteggiamenti contemporanei ed eventi passati può essere riscontrata in alcuni pezzi usciti dopo la morte di Chuck Berry che pongono implicitamente la seguente domanda: lo status di Berry nella storia del rock and roll dovrebbe venirgli revocato in nome del suo comportamento sessista? "Quando si parla di azioni reali che danneggiano persone reali, l'arte impallidisce nel suo significato," ha scritto Andy Martino di The Outline in un pezzo sulla morte di Berry intitolato, "Perché non possiamo essere onesti su Chuck Berry?" Il cuore pulsante del pezzo è qua sotto:

Berry si mise a fare musica dopo essere stato in prigione per rapina a mano armata, un reato che aveva commesso da adolescente. A metà degli anni Cinquanta era diventato uno dei cantautori e artisti più influenti del secolo—tra i suoi devoti e i suoi imitatori c'erano Keith Richards e John Lennon—e la sua portata stilistica si è estesa fino agli MC del Bronx degli anni Settanta, e oltre. Il suo periodo artistico più prolifico si interruppe nel 1959 con un arresto e una condanna per aver violato il Mann Act: in altre parole Berry, che all'epoca aveva 33 anni, era stato accusato di aver fatto sesso con una quattordicenne.

Nel suo tentativo di fornire un contrappeso alla tendenza critica a sorvolare sugli abusi dei musicisti, Martino si concede di immaginare la possibilità che le politiche della responsabilità contemporanee possano venire proiettate nel passato (inoltre, Martino perpetua innavertitamente la tendenza a sottolineare i crimini degli uomini di colore e a trascurare quelli dei bianchi: non fa infatti notare che sia John Lennon che Brian Jones, compagno di band di Richards, hanno tenuto comportamenti violenti nei confronti delle loro partner). Nonostante questo, è innegabile che se Berry fosse stato un musicista contemporaneo, aver fatto sesso con una minorenne avrebbe giustamente interrotto definitivamente la sua carriera. 

Ma Berry viveva in un'epoca in cui gli artisti non venivano identificati la loro arte. "La gente non vuole sentire i tuoi problemi, ne hanno abbastanza da loro," disse Berry a una zine nel 1980, spiegando la filosofia dietro alla sua scrittura. "Se canti canzoni che parlano di problemi, o le ascolti, i problemi resteranno." Il metodo creativo di Berry rifletteva invece il boom della produzione di massa degli anni Cinquanta, la celebrazione di tutto ciò che era diventato improvvisamente economicamente abbordabile e potenzialmente allettante per qualsiasi essere umano—e chissenefrega se i tetti erano fatti di eternit, se quel figo del presidente era il rampollo di un losco impero economico, se il tizio che scriveva le canzoni preferite d'America era, in segreto, un mostro. Dopotutto Berry venne arrestato all'apice della sua carriera per aver portato una ragazzina oltre il confine del suo stato per presumibili ragioni sessuali, ma ne uscì ancora più popolare di quando era stato messo dentro. Alla fine degli anni Ottanta, quando la sua carriera aveva ormai finito la sua parte più fulgida, Berry era stato accusato di aver aggredito una donna in una stanza d'hotel e di aver filmato segretamente donne che usavano il bagno del suo ristorante in Missouri.

Fotografia di Nolan Allan

Chiaramente, quando valutiamo la vita e l'eredità di musicisti come Berry dobbiamo prendere in considerazione diverse linee narrative. E ognuna di queste, come ha sostenuto Austin Bryant nel suo necrologio su Noisey, si merita di essere esaminata attentamente. Se, come scrisse Richard Hell, "ogni storia dell'arte è una storia alternativa," allora la musica di Berry esiste in un universo in cui, per un certo periodo di tempo, non poteva fare niente di sbagliato. Era riuscito nel compito apparentemente impossibile di traslare la sensibilità ineffabile di una generazione in riff e parole, qualificandosi inoltre come un punto di genesi del rock and roll per come lo conosciamo oggi. Ad ogni modo, è interamente comprensibile che lo stesso senso di coraggio e audacia che lo spinse a scrivere pezzi come "Johnny B. Goode" e "Roll Over Beethoven" possa averlo fatto sentire esente dalle regole che governano l'interazione personale, portandolo quindi a tenere comportamenti criminosi che hanno danneggiato la vita di altre persone. E quindi, se riconosciamo la possibilità che gli stessi tratti intrinsechi che hanno portato Berry—o qualsiasi altro artista—a scrivere grande musica possano anche averlo spinto a far male ad altri, come cazzo possiamo riconciliare le due storie che ci restano in mano? David Remnick del New Yorker ha scritto un pezzo ammirevole in cui si scontra con la totalità della biografia di Berry, ma il suo articolo è l'eccezione e non la regola. 

Quando parliamo di artisti e morale, raramente poniamo la questione in termini di Aut-Aut. Mi è venuto invece da pensare a una cosa che Simone de Beauvoir scrisse in Per una morale dell'ambiguità, che può essere interpretata come una prospettiva che ci permette di considerare simultaneamente le parti buone e cattive della vita di un individuo: 

L'individuo è definito solo dal suo rapporto con il mondo e con gli altri individui; esiste solo trascendendo sé stesso, e può ottenere la sua libertà solo tramite la libertà degli altri. Giustifica la sua esistenza con un movimento che, come la libertà, sorge dal suo cuore ma lo porta al di fuori di sé.

Seguendo questa linea di pensiero, possiamo definire Berry tramite il suo rapporto con gli altri, e possiamo (e dovremmo) quindi giudicarlo rigidamente—accettando comunque il fatto che i suoi difetti non negano il fatto che la sua arte abbia avuto un enorme significato per milioni di persone e che abbia recitato una parte integrale nella nascita degli enormi cambiamenti culturali degli anni Sessanta. Invece che determinare il valore definitivo di Berry mettendo le sue buone azioni contro i suoi crimini, possiamo riconoscere come la sua musica non sia un riflesso del suo privato—anche se le due cose hanno lo stesso punto d'origine. L'eredità musicale di Berry e le sue trasgressioni personali diventano quindi parte di un insieme più grande e complesso che ci richiede di considerare ugualmente valide diverse narrazioni conflittuali. Sì, Chuck Berry era un tizio malato che ha compiuto gesti malati, ma la sua musica esiste al di fuori del suo contesto personale—forgiata da una singola storia, portata però via dalle masse e utilizzata per creare un'infinità di singole storie personali. 

Fotografia di copertina di Charles Paul Harris / Getty Images
Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Altro su Noisey:

Ke$ha, vittima del pop patriarcale

L'industria musicale italiana è davvero maschilista?


Essere femminista e lavorare per Borgore

La guida di Noisey al Black Metal in Italia

$
0
0

Chiese in fiamme, adorazioni del demonio, messe nere, omicidi e magari un pizzico di neonazismo, nel grande pentolone del black metal non manca nulla. Una delle più grandi paure di tutte le mamme del mondo, manco a dirlo, in Italia arriva smorzata ed edulcorata, ché alla fine nel Bel Paese se volemo tutti bene. Prima che a qualcuno venga il dubbio, no, la faccenda delle Bestie di Satana non ha mai avuto alcun collegamento diretto con il black metal italiano, e i personaggi coinvolti erano più legati agli ambienti della tossicodipendenza che a quelli musicali; una delle vittime e uno dei carnefici suonavano in gruppi metal di scarsa rilevanza, ma gli eventi non ebbero mai alcuna risonanza diretta tra gli appassionati. Una sottocultura che nell'arco dei meno di trent'anni dalla sua nascita ha scosso diversi Paesi, dai celebri fatti in Norvegia ai meno celebri retaggi di "Blut und Boden" nell'Europa dell'est che ancora oggi fanno molto discutere (qualche informazione in più la si trova in questo libro), in Italia è rimasta quasi sempre limitata alla sua incidenza musicale. Diversamente da quanto accaduto per altre correnti, però, l'ambiente degli appassionati si è sviluppato in modo relativamente coeso e più o meno omogeneo, quantomeno per gli standard di campanilismo e particolarismo italiani, da sempre primi nemici della crescita organica del Paese.

Nel nostro pur nutrito sottobosco black, che soprattutto nell'arco degli ultimi quindici anni si è popolato di formazioni e progetti interessanti, dicevamo, non c'è nessun aspetto particolarmente folkloristico, tolto un unico, fondamentale passaggio, rivelatosi cardine più o meno consapevole per molti artisti a venire: la breve parentesi della Black Metal Invitta Armata, da qui in poi BMIA per comodità. L'argomento sarebbe abbastanza corposo da meritare una trattazione a parte, ma per arrivare a una panoramica della situazione attuale basti dire che intorno alla metà degli anni Zero, nell'area tra Torino e Genova, un novero di gruppi cercò di dare forma e contenuto ad un progetto collettivo fondato sulla tradizione culturale della penisola e le sue derive dannunziane/evoliane. 

Black Metal Invitta Armata.

La BMIA fu un excursus unico e molto breve nella nostra storia, attivo più o meno tra il 2005 e il 2008, e sebbene nessuno degli artisti coinvolti si sia mai davvero voluto esprimere a riguardo negli anni a seguire, le ragioni del suo fallimento sono probabilmente da imputarsi ad alcune notevoli confusioni di base: alcune formazioni avevano un'impronta estetica, storica e anche musicale più "colta" (Spite Extreme Wing, JANVS, Tronus Abyss), altre assumevano posizioni neanche troppo velatamente nostalgiche e inneggianti al totalitarismo (Frangar), altre ancora si trovarono a passare di lì un po' per caso (la meteora Hirpus, tra l'altro di origine capitolina). 

Nelle parole di Matteo "Vinctor" Barelli (JANVS) "ognuno all'interno dello stesso "movimento" ha concepito BMIA, sia alla nascita che negli anni, sotto punti di vista molto differenti e spesso non esattamente comunicanti"; questo mélange di approcci, intenti e finanche ideologie fece sciogliere gruppi e progetto come neve al sole, e tra il 2008 e il 2009 tanti artisti si dedicarono ad altro, quando non appesero gli strumenti al chiodo, tanto che oggi molte delle realtà che parteciparono all'esperienza sono scomparse da anni.

Il più grande risultato raggiunto dall'esperimento dell'Invitta Armata, aldilà dell'aver unito una manciata di formazioni per un periodo relativamente breve (ma non così breve da aver impedito loro di pubblicare nel 2007 una compilation-manifesto con tanto di dichiarazioni ideologiche ufficiali, Signvm Martis), è quello di aver sdoganato una serie di contenuti che fino ad allora erano appena abbozzati dai blackster italiani. Fino a poco più di dieci anni fa il black metal nostrano cercava in qualche misura di rifarsi alla tradizione scandinava non solo nei suoi suoni, ma anche nei temi. Il satanismo come forma di reazione ad una religione imposta, il cristianesimo, e il conseguente recupero del pantheon nordico, però, per noi era una strada decisamente impraticabile, visto che fino a prova contraria proprio noi siamo i discendenti degli oppressori cristiani. Certo, è una generalizzazione che a sua volta necessiterebbe di ulteriori approfondimenti, e c'era anche chi affrontava il genere dal suo lato più introspettivo ed esoterico, portando avanti una ricerca tematica orientata all'occultismo, ma per quanto validi e "credibili", questi gruppi non si allontanarono mai dall'interpretazione canonica del black metal di matrice norvegese. 

Era il caso dei fiorentini Necromass, tra le prime formazioni italiane in assoluto che già nel 1994 davano alle stampe Mysteria Mystica Zofiriana, o dei trentini Tenebrae In Perpetuum, che nel loro debutto del 2003, Onori Funebri Rituali, parlavano di "Oscure Presenze" e "Anime Silenziose"; a questi si affiancava tutta una schiera di gruppi più derivativi come Opera IX o Imago Mortis, che ancora oggi proseguono con maggiore o minore intransigenza lungo la loro strada. Con la pressoché unica eccezione del progetto marchigiano Hesperia, già interessato a certi argomenti per quanto non del tutto ascrivibile al black metal propriamente detto, nessuno si era mai preoccupato di trovare un'altra chiave di lettura per codificare il senso di ribellione di cui il genere è portatore per sua stessa natura. Fino all'arrivo della BMIA. 

Con il suo "recupero della tradizione" il collettivo ha più o meno consapevolmente sdoganato la possibilità di contestualizzare il black metal nella propria terra e nella propria cultura, abbandonando i forzati parallelismi artici: improvvisamente si potevano raccontare il retaggio della Magna Grecia, il pantheon greco-romano, i localismi italiani. Aperto questo nuovo corso con il quanto mai esplicito Non Dvcor, Dvco degli Spite Extreme Wing (Behemoth Productions, 2004), album che tra un riff e l'altro non fa mistero della sua fortissima impronta ideologica, altri seguirono a ruota, a cominciare dagli JANVS con il loro capolavoro FVLGVRES (ATMF, 2007), fino a raggiungere uno sviluppo compiuto ancora grazie agli SEW un anno più tardi con Vltra (Avantgarde Music, 2008). 

Da quegli anni in poi lo sviluppo della scena è stato inarrestabile, e sempre più gruppi, in modo del tutto personale, distante e forse anche inconsapevole, hanno mutuato questo modo altro di interpretare il black metal. È il caso dei palermitani Legion Of Darkness, nel cui stampo melodico trovano spazio lunghi brani dai titoli eloquenti come "Ithaca" o "Ek Petras" ("dalla pietra" in greco), e i cui dischi si chiamano Cantus e Meridies. Altrimenti, un po' più a nord, aderendo allo stile sonoro del nordovest americano sdoganato dai Wolves In The Throne Room, dalla Val di Susa gli Enisum raccontano delle leggende delle Alpi Graie, tra cui proprio del monte Musinè, che dà il nome al gruppo, recuperando il folklore e le tradizioni del nostro nordovest; anche in questo caso, un album dal titolo Arpitanian Lands (Dusktone, 2015) corredato da fotografie delle Alpi piemontesi è abbastanza eloquente - traccia peraltro già seguita dagli JANVS, che proprio nel libretto di FVLGVRES mostravano il Monte Rosa in tutta la sua maestosità. In Abruzzo ci sono poi i Selvans, che in Lupercalia (Avantgarde, 2015) raccontano di "Hirpi Soriani" ("lupi soriani" in lingua etrusca) e "Scurtchìn", l'orco delle foreste abruzzesi. Recentemente ci siamo spinti anche oltre: a Napoli, dopo diversi mesi di anticipazioni, ha fatto il suo debutto Scuorn, che nell'album Parthenope (Dusktone, 2017) canta dell'Averno e di sibille, il tutto con l'aiuto di tastiere, mandolino e testi in dialetto partenopeo. A conferma di tutto il processo di emancipazione nostrano, questo debutto arrivato dopo anni di rimandi, cancellazioni e ritardi, riprende brani originariamente concepiti proprio nel 2008, nel momento di massima esposizione della BMIA. Gli esempi sono tanti, e per una volta la frammentarietà del nostro Paese finisce con l'essere un valore aggiunto, che permette di mettere in musica tradizioni sempre differenti.

Scuorn.

Il black nostrano però non è soltanto Alpi e mandolino, anzi, applicando la nostra infinita arte di arrangiarsi allo spettro musicale, siamo riusciti a far fiorire degli ibridi di altissimo livello, a volte anche unici al mondo. Si finisce così dalle parti degli Urna, formazione originariamente cagliaritana che oggi si divide tra la Sardegna, il Veneto e Londra e che unisce a una matrice black metal una struttura funeral doom, il che si traduce in pezzi dalla durata media di oltre dieci minuti, downtempo dilatati oltre misura e uno screaming rarefatto e soffertissimo; provare per credere, Mors Principium Est (ATMF, 2013) è un album semplicemente enorme. 

Allontanandosi dalle coste metallare si passa dalle parti degli Aborym, nome caposaldo del sottobosco nazionale capitanato da Fabrizio "Fabban" Giannese e con base nella capitale. In quasi vent'anni dal debutto Kali Yuga Bizarre (Scarlet, 1999) il gruppo è passato da un black metal melodico a un vero e proprio industrial che del black metal mantiene solo la furia e la velocità. Il recentissimo Shifting.Negative (Agonia, 2017) sembra più uscito dalle sessioni di registrazione degli Hocico o dei Combichrist che il lavoro di un gruppo black metal, e anche la versione della formazione sul palco, sprovvista di batterista e con Fabban che canta usando due (!) microfoni, ha ormai pochi punti di contatto con il metal propriamente detto. 

Terzo nome imprescindibile di chi musicalmente fa (anche) altro rispetto al black metal, ma viene accostato ad esso, è quello dei Progenie Terrestre Pura. Duo veneto nato grazie ad internet, dopo un demo che suscitò parecchio interesse, approdò su Avantgarde e nel 2013 diede in pasto al mondo U.M.A. (acronimo di Uomini, Macchine, Anime), un perfetto, incredibile amalgama tra black metal e suoni sintetici a supporto di tematiche spaziali e solo parzialmente fantascientifiche. Lontano anni luce dal "solito" pastrocchione black/ambient, il lavoro di Eon[0] e Nex[1] (che non hanno mai divulgato i propri nomi) è un vero e proprio spartiacque: è il primo a far davvero convivere i due generi in modo armonioso, non accostandoli, ma sviluppandoli insieme, in modo organico. Dopo una pausa di qualche anno, in cui Eon[0] è anche entrato in pianta stabile proprio negli Urna, i Progenie, o come amano firmarsi loro, qTp, sono finalmente al lavoro su del nuovo materiale, e l'attesa è tanta - così come probabilmente la pressione per i due musicisti coinvolti.

Un'istantanea sull'underground black metal della penisola però non può fermarsi ad un semplice elenco di gruppi e album, perché le attività ad essa collegate sono numerosissime: etichette di rilevanza internazionale, grafici e illustratori, attività online e persino qualche sparuto festival sparso per il Paese sono solo alcuni dei corollari di una realtà decisamente più viva di quanto si direbbe. Prima di tutto è bene chiarire un aspetto: il metal estremo, in Italia, conta meno del due di picche e annovera tra le sue fila un numero di appassionati inferiore ai residenti di Cazzago Brabbia, ma questi quattro disgraziati sgobbano come somari per la musica che amano; magari la bistrattano e la prendono in giro, ma sempre con quell'affetto sincero di chi sa di poter fare affidamento sulla catarsi del blast-beat a fine giornata. Non stupisce quindi che all'interno dell'ambiente tutti conoscano tutti e, al netto di qualche incomprensione (non le faide che in Norvegia hanno portato addirittura a qualche decesso illustre, qui al massimo vola qualche insulto tra una bacheca Facebook e l'altra), ci sia un sostanziale supporto reciproco.

Primo esempio di questo supporto inbound è quello delle etichette: label dedicate nell'epoca del do it yourself spuntano come funghi, ma nel 2017 i pilastri della community sono principalmente Avantgarde Music (uno dei cui soci, qualche anno fa, ha abbandonato il progetto per aprire Dusktone), ATMF e I, Voidhanger. La prima è ormai una realtà internazionale consolidata che tiene sempre in alta considerazione le uscite nostrane; l'etichetta milanese, oltre ai titoli già citati fin qui, ha dato alle stampe i superbi Earth And Pillars, misterioso gruppo del nord Italia che mescola black metal cascadico e la poesia di Montale. ATMF e I, Voidhanger sono invece nomi relativamente più giovani, ma decisamente interessanti. 

Da Trieste, Aeternitas Tenebrarum Musicae Fundamentum è un riferimento per il black metal nazionale dal 2005, quando pubblicò il debutto dei cagliaritani Locus Mortis - guarda caso, uno dei progetti paralleli dei membri di Urna e Arcana Coelestia - prima di arrivare a JANVS e Tronus Abyss e proseguire in tempi più recenti con i romagnoli Deadly Carnage; negli anni l'etichetta del nordest è arrivata a mettere sotto contratto gruppi e progetti provenienti un po' da tutto il mondo, dalla Norvegia come dal Cile, segno che l'operato di Ildanach, principale responsabile di questi successi, è apprezzato a qualsiasi latitudine. Lo stesso Ildanach, non va dimenticato, fu anche membro dei Tenebrae In Perpetuum nominati poco sopra, ed è tra i fondatori degli Absentia Lunae, anch'esso gruppo dalla evidente connotazione ideologica che nei suoi quindici anni di avventura ha attraversato un percorso di profonda evoluzione. 

I, Voidhanger.

Spostandoci all'estremo esattamente opposto del Paese, a Palermo, I, Voidhanger è una realtà che in pochi anni si è specializzata in progetti molto particolari: proposte musicali indefinibili, one-man band e realtà che danno alla propria espressione artistica un impatto fortemente narrativo. Il roster dell'etichetta siciliana non fa preferenze di origine e annovera tra le sue fila artisti che arrivano da tutti e cinque i continenti, dal black metal atmosferico di Midnight Odyssey (Australia) e Mare Cognitum (California) - due dei nomi migliori del genere a livello planetario, datemi retta - alle ermetiche composizioni del duo internazionale Skáphe. Finire sotto contratto con I, Voidhanger è molto semplice: devi essere interessante. Luciano Gaglio, gestore dell'attività, dà grande importanza alla cura estetica delle sue uscite, tanto che l'unico collaboratore fisso dell'etichetta è Francesco Gemelli, grafico e designer che cura il layout e l'aspetto estetico degli album, a seguito di un confronto diretto con gli artisti. Comprare un disco della I, Voidhanger significa quindi imbattersi in concept album corredati da ottime illustrazioni, libretti pieni zeppi di testi, note e indicazioni, e in generale un numero di informazioni decisamente superiore alla media. Manco a dirlo, anche Luciano era in precedenza coinvolto in altre attività collegate al sottobosco musicale, avendo scritto a lungo per testate musicali specializzate, e altrettanto ovviamente tra I, Voidhanger e ATMF c'è da anni grande rispetto reciproco, oltre che una proficua collaborazione di tipo logistico.

La fruttuosa cooperazione tra due etichette è però solo la punta dell'iceberg, e nel caos dell'internet, le legioni blackmetallare italiche sono riuscite a darsi anche dei punti di riferimento. Da più di un anno su Facebook è nato il gruppo NWOIBM - New Wave Of Italian Black Metal, vera e propria fucina di informazioni su ciò che bolle in pentola dalle nostre parti: i quasi duemila iscritti, che significano probabilmente il 98% degli appassionati in Italia (ok, forse qualcuno in più rispetto ai residenti di Cazzago Brabbia, ma mica poi tanti), pubblicano giornalmente video, annunci, informazioni e richieste legate a questo mondo che ormai non è più limitato a Satana e alle cartucciere al posto della cintura. Certo, buona parte dei contenuti è semplice e sfacciatissimo spam della propria band neonata che suona nella cantina del cugino dello zio acquisito, ma il tentativo di creare uno spazio comune in cui potersi confrontare liberamente è lodevole. Dalla morte dei forum come luogo di scambio online era decisamente mancata una piattaforma di aggregazione, e da NWOIBM partono anche delle iniziative tese ad organizzare eventi, concerti e attività che possano dare un po' di visibilità agli artisti. È qui che si trovano le ultime recensioni del disco di Scuorn o le prossime date di Selvans ed Enisum, oltre a ripescaggi clamorosi di gruppi che nel 2003 rilasciarono un demo su cassetta in venti copie prima di sparire per sempre.

Parlando di concerti, si arriva invece alla solita, annosa nota dolente: la mancanza di locali adatti su tutto il territorio nazionale. Tutti i punti di riferimento nostrani per la musica estrema non riescono a durare più di qualche anno. Sarà perché il metal lo ascoltiamo in dieci, sarà perché il metallaro col culo pesante, sarà perché le tasse, sarà perché la crisi, di fatto una venue che possa ospitare un concerto di medie dimensioni non esiste praticamente più, e i locali più piccoli non sono sufficientemente attrezzati per ospitare un'esibizione dal vivo di gente che suona col gain a manetta e la doppia cassa. Ormai anche i concerti di respiro internazionale finiscono per essere organizzati al pub Centrale di Erba (CO), come nel caso dei Gorgoroth pochi giorni fa, al Freakout di Bologna (che non arriva a 50 metri quadri), oppure saltano del tutto. 

Diverse volte mi è capitato di parlare con gruppi stranieri a fine concerto che, scuri in volto, dicevano "venire a suonare in Italia è bellissimo, perché le persone che vengono a seguire il concerto ci accolgono con un'ospitalità stupenda, ci fanno sentire a casa, ma sono date in perdita, perché quelle persone sono pochissime". Dal gruppo NWOIBM, come detto, qualche data la si prova sempre a organizzare, ma le infrastrutture sono del tutto insufficienti, spesso ci si vede costretti a raggiungere pub di paese o capannoni in zone industriali in culo al mondo che per ovvie ragioni hanno una logistica a dir poco terribile e un'acustica anche peggiore (non so se ai bei tempi siete mai stati al Carlito's Way di Retorbido o al Covo Antico di Travagliato).

E proprio una dimensione live continuativa e all'altezza è quella che oggi purtroppo manca alla scena black metal di casa nostra, e certo non per suo demerito, anzi; quasi tutti i gruppi (così come molte etichette, tolta Avantgarde) sono portati avanti solo dalla forza della passione, nel tempo libero, quando permesso da tutto il resto della quotidianità, ma non per questo si esimono dal suonare nei posti più luridi e ignominiosi della campagna padana, appenninica o insulare. Forse, con il giusto mix di attenzione, impegno e aiuto, si potrebbero ottenere dei risultati migliori di un concerto con venti spettatori in un loculo nascosto chissà dove, ché i contenuti da proporre da sopra un palco non mancano di certo, anzi, una maggiore esposizione di tanti gruppi potrebbe dar loro la possibilità di farsi notare anche fuori dalla solita ristrettissima cerchia di appassionati.

È impossibile tracciare linee nette e confini limpidi nel coacervo di esperienze che tiene in piedi il nostro sottobosco estremo; chi suona qui ha gestito un locale là, è amico di quello che sta laggiù e ha rapporti con quell'altro che organizza concerti lassù, e in questa brevissima panoramica sono almeno una dozzina gli aspetti che potrebbero essere approfonditi tanto da farne storie a sé. Il black metal italiano, insomma, è un insieme di gruppi, persone, ma in primis appassionati che, un passo alla volta, in anni e anni di lavoro e fatica, ha messo insieme una scena florida e, pur se piccola, decisamente peculiare e irripetibile, esattamente come la nostra penisola.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine.
Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Foto in cima: Necromass, via.

Altro su Noisey:
La guida di Noisey al death metal in Italia
Tutte le volte che la musica italiana ha saccheggiato il metal
Soundcave è l'ultimo rifugio sicuro dei metallari italiani

Snoop Dogg introdurrà Tupac alla Rock and Roll Hall of Fame

$
0
0

Snoop Dogg, massimo esperto mondiale di cannabis nonché tra i primi dieci nemici principali del Presidente degli Stati Uniti, introdurrà il suo defunto amico Tupac Shakur alla Rock and Roll Hall of Fame a Brooklyn il 7 aprile. La notizia è stata confermata domenica da Rolling Stone dopo una fuga di notizie iniziata da TMZ.

Nei primi comunicati veniva inoltre suggerito che Snoop fosse particolarmente felice di "guidare un gruppo di rapper della West Coast in un tributo a Pac" e che Dr Dre in particolare fosse sul punto di firmare un accordo per un live da tre canzoni alla cerimonia. Ma Rolling Stone riporta che la lineup del tributo non sarebbe stata ancora definita.

Come ricorderete, Tupac è uno dei pochi artisti selezionati per l'introduzione di quest'anno a non essere tra i preferiti di vostro nonno. ELO, Joan Baez, Pearl Jam, Journey e gli Yes sono gli altri nomi che si affiancheranno a quello del rapper nella cerimonia, e Nile Rogers riceverà il premio per l'Eccellenza in Musica. 

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Abbiamo tradotto le parti migliori di "The Heart Part 4" di Kendrick Lamar

$
0
0


"Avete tempo fino al sette aprile per prepararvi," dice Kendrick Lamar alla fine di "The Heart Part 4", il suo nuovo pezzo uscito settimana scorsa. Dato che il sette aprile è un venerdì, è piuttosto probabile che tra poco meno di due settimane potremo quindi ascoltare il successore di To Pimp a Butterfly, cioè uno dei dischi hip-hop più importanti dell'era contemporanea—e azzarderei della storia, data la quantità di letteratura che ha generato e la sua innegabile importanza nell'aver messo in primo piano, in forma musicale, la questione della violenza della polizia statunitense nei confronti degli afro-americani. 

Con delle premesse simili, la canzone guadagna un peso enorme: è un'anticipazione di uno degli album rap più attesi dell'anno, se non del decennio, e verrà quindi smembrata e decostruita fino alla nausea nei giorni che ci separano dall'uscita del nuovo disco di Kendrick. E dato che tradurre i testi di K-Dot mi piace molto—qua trovate la mia traduzione integrale e commentata di To Pimp a Butterfly—ho pensato di fare come ho fatto con More Life di Drake e preparare una traduzione delle parti più significative di "The Heart Part 4", per spiegare che cosa significa nel contesto della carriera di Kendrick e della scena hip-hop tutta. Pronti? Via. 

CAPITOLO 1, IN CUI KENDRICK SI AUTOPROCLAMA SALVATORE DELL'HIP-HOP

Trenta milioni dopo, i miei futuri favori,
Lo stato leggendario di un salvatore delle rime, un salvatore dell'hip-hop.
Viaggio attorno all'atlante in questa navicella spaziale
Tutta cromata, è da una vita che passo
Il mio turno di giorno a rovinare risme di fogli.

Cominciare un pezzo con una dichiarazione del proprio conto in banca è un grande classico dell'hip-hop, ma vederlo fare da Kendrick significa doversi fermare un attimo a pensare perché lo sta facendo. To Pimp a Butterfly parlava infatti di denaro come un grande corruttore, e K-Dot stesso narrava il processo di disumanizzazione che il successo aveva avviato in lui per poi trovare la salvezza nella propria identità africana ancestrale. I "trenta milioni" non sono quindi da considerarsi un vanto, ma solo ("solo", lol) una riprova della fama globale di Kendrick (rappresentata dall'atlante), e vengono accoppiati ai suoi "futuri favori"—che possono qualificarsi sia come "i soldi che farà" che "i soldi che donerà". 

Kendrick quindi sa che i soldi sono uno strumento del demonio, e al loro aumentare sa di dover coerentemente aumentare il suo impegno artistico e sociale—è arrivato quindi il momento di confermare nei fatti ciò che diceva ai tempi del dissing a mezzo mondo di "Control" e dire senza mezze misure che il suo è "lo stato leggendario di un salvatore delle rime, dell'hip-hop", che nonostante i suoi trenta milioni fa ancora un "turno di giorno", come un operaio o un artigiano, a scrivere e riscrivere su "risme di fogli" per perfezionare la propria arte, il tutto con un riferimento a una "navicella spaziale" che sa tanto di tributo all'afrofuturismo e a George Clinton dei Parliament-Funkadelic, suo collaboratore, come ad inserirsi in una grande tradizione nera non limitata all'insularità del mondo hip-hop. Insomma: l'obiettivo di Kendrick è evitare il bragging a tutti i costi, restare coi piedi per terra nonostante la fama. 

CAPITOLO 2, IN CUI KENDRICK COMINCIA A DISTRUGGERE DRAKE E SI PARAGONA A BIGGIE E 2PAC

Cammini in punta di piedi attorno al mio nome, negro, che sfigato!
Quando verrò a prenderti, amico, non dirmi che stavi solo scherzando.
"Oh, stavo solo scherzando K-Dot, lo sai che 'sto negro è dalla tua, fratello!"
Stai zitto, cazzo, sembri l'ultimo negro che mai vorrei conoscere,
Potresti diventare l'ultimo negro che conosco—Oh, non vuoi lo scontro?
Negro, io so solo che ho messo il piede sull'acceleratore e ho abbassato la testa.
Salterò fuori dalla macchina prima dello schianto, non mi ferma nessuno,
E grido, "Uno, due, tre, quattro, cinque, sono il miglior rapper in vita!"
Sono così grande, figlio di puttana, che sono morto
E quella che stai sentendo è una vibrazione paranormale.

Dopo una strofa dedicata alla propria carriera e un cambio di beat, Kendrick volge lo sguardo al suo caro Drake riaccendendo la rivalità che serpeggia tra loro da qualche annetto a questa parte. In breve: da quando K-Dot ha detto la parola "Drake" in "Control", i due si sono scambiati colpi di fioretto lirici a un ritmo più o meno regolare.

Kendrick basa il suo nuovo attacco sul fatto che Drizzy non ha mai esplicitamente detto il suo nome in una canzone, arrivandoci però vicinissimo nel suo verso su "For Free" di DJ Khaled: "E come dice il vostro amico di Compton / Lo sapete che 'sto cazzo non è gratis", citando la sua "For Free? (Interlude)" e mettendo in chiaro che Kendrick è il vostro amico, non il suo amico. Dopo aver detto nella prima strofa che "non è ancora così santificato da poter dire che non sparerà," Kendrick mette la sesta e sceglie—restando in metafora—di lanciare la navicella spaziale del verso precedente contro il suo collega canadese, in un glorioso e definitivo schianto.

Il riferimento alla propria morte si qualifica infine come un riconoscimento della qualità mitica conferita ai più grandi MC scomparsi—su tutti Tupac Shakur e Biggie Smalls, eterne leggende del genere sotto alla cui protezione Kendrick si mette, sostenendo che il suo flow emani vibrazioni così forti da poter essere paragonate alle loro. E c'è da dire che non ha tutti i torti se ci limitiamo a un punto di vista meramente tecnico. 

CAPITOLO 3, IN CUI KENDRICK PARLA ALL'AMERICA DI TRUMP E ALLA RUSSIA DI PUTIN

Il mondo intero è impazzito,
I corpi aumentano, il mercato sta per crollare,
Ci sono negri falsi ricchi e tipe false fighe,
Neri che fanno i bianchi, bianchi che dabbano.
Donald Trump è un fesso—sai che pensiamo, delinquente?
Ditegli che Dio se lo prenderà
E che alla Russia serve un replay, state tramando qualcosa.
Voti di collegi elettorali che sembrano voti per un memoriale,
Ma la verità dell'America non ignorerà i voti.


To Pimp a Butterfly aveva caratterizzato Kendrick come principale voce artistica dell'America nera, oppressa dalle tendenze razziste ed elitarie degli Stati Uniti contemporanei. Ora che tutto è andato in merda e gli anni di Obama sembrano stati un'illusione collettiva, K-Dot dedica qualche barra allo stato del mondo, a Donald Trump e ai suoi legami con la Russia cripto-totalitaria di Putin. Il tutto, concludendo con un attacco al sistema elettorale americano, in cui la vittoria viene assegnata in base ai collegi elettorali vinti e non al voto popolare—in altre parole, come è successo a Trump, si può vincere le elezioni senza aver ottenuto il maggior numero di voti.

"Ma la verità dell'America", cioè il cuore pulsante multiculturale degli Stati Uniti, "non ignorerà" la realtà: la maggioranza è contro Trump, e la lotta deve continuare. Il tutto condito da un commento tagliente sulla tendenza all'apparenza che domina la cultura contemporanea: "neri che fanno i bianchi, bianchi che dabbano," in una logica di reciproca appropriazione culturale che Kendrick giudica come socialmente dannosa.

CAPITOLO 4, IN CUI KENDRICK GIURA LEALTÀ A JAY Z E CI SALUTA

Guarda il pubblico, tipo— (Nah, non mi piace quella roba)
Guarda il mio sorriso, è un sorrisetto
Calmo ma insistente (Non è quello lo stile, cazzo!)
Così tanti versi che non riesci ad accettarlo (Cazzo!)
Così tanti versi che non li finisco mai (Cosa?)
"Lo stai facendo innervosire, il volume è alto."
Puttana, Jay Z è nella Hall of Fame, tu resta seduto! (Tu resta seduto!)


Per conclude il pezzo, Kendrick torna a dire due cosette a Drake e si concentra su due punti. Il primo sono le sue frecciatine a Jay Z, presenti anche in More Life—Drizzy si è vantato di avere avuto successo nonostante non abbia seguito i consigli di Jay, quindi Kendrick gli ricorda gentilmente come Hov sia stato così influente da essere stato il primo rapper mai ammesso alla Songwriter Hall of Fame, un'organizzazione che onora i più grandi autori pop della storia. Ma è sul secondo punto che Kendrick ci dà davvero dentro, tirando in mezzo le accuse di ghostwriting fatte a Drake nel 2015. 

Questo significa che non sei più grande del rap (E poi?)
Questo significa che non ha più senso restare dietro le quinte (E poi?)
Il mio nome è stato identificato come "Quel Re",
Lascerò voi a preoccuparvi delle liste, io sono su un altro livello:
La differenza tra risultati e meraviglie.
Sapete che ora è, quella di alzare l'asticella, questa roba è per sempre,
Avete tempo fino al 7 aprile per prepararvi. 

Due anni fa, Meek Mill accusò Drake di aver usato scrittori esterni per i suoi versi. Le risposte di Drake, sotto forma di "Charged Up" e "Back to Back", furono abbastanza efficaci da renderlo teoricamente vincitore dello scontro—con l'aggiunta della dichiarazione d'intenti del suo produttore e spalla destra Noah "40" Shebib: "Insieme, andiamo oltre i normali confini entro cui i rapper vogliono addormentarsi e restare bloccati." In altre parole: secondo 40, Drake è più di un rapper, è un curatore. Kendrick vuole quindi riportare Drake alla realtà e ricordargli che no, non è "più grande del rap", e che avere un ruolo "editoriale" sulle sue cose non significa che possa scegliere di non esporsi (la barra può anche riferirsi a "Gyalchester" in cui Drake si vanta di poter guadagnare di più da altre operazioni commerciali che dalla sua musica). Il tutto, usando gli "e poi?" recentemente usati da Jay Z nel suo verso su "I Got the Keys" di DJ Khaled, tanto per mettere in chiaro la fedeltà di Kendrick. 

Il pezzo si conclude con un'ultima, tagliente dichiarazione di forza: Kendrick dice che non perde tempo a paragonarsi ad altri colleghi, che il suo ruolo di "Re" è ormai affermato, e che non gli interessa ottenere "risultati" quanto meravigliare chi lo ascolta. E il 7 aprile saremo tutti pronti a restare a bocca spalancata, date le premesse. 

Elia ha Twitter e traduce canzoni.
Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Altro su Noisey:

Le prime rivelazioni di Kendrick Lamar sul suo prossimo album

La copertina di To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar rappresenta uno dei lasciti più importanti dell'epoca Obama

Gli italiani hanno davvero capito il rap?


Guarda Serj Tankian dei System of a Down che canta la canzone di Game of Thrones

$
0
0

Game Of Thrones è famoso per aver spezzato i cuori di tutti i fan ammazzando tutti i personaggi più amati. Nonostante questo—o forse a causa di questo—gli spettatori sono milioni in tutto il mondo e ogni episodio viene minuziosamente analizzato tra editoriali, tweet e blog. Eppure la musica della serie non è particolarmente discussa. C'è l'ubiquo intro, che è già stato coverizzato in ogni modo possibile, e poi c'è "Rains of Castamere", conosciuta dai fan più accaniti come l'inno di Casa Lannister. È quello che si sente quando un membro della famiglia raggiunge un risultato particolarmente terribile—tipo il famigerato Red Wedding alla fine della terza stagione.

Lo strumentale della canzone è già abbastanza minaccioso di suo, specialmente nella versione registrata dai The National con la manopola della malinconia e dell'oscurità fissa sull'11. A Los Angeles qualche giorno fa c'è stato un concerto dedicato a Game of Thrones, e al posto di Matt Berninger dei National è apparso sul palco Serj Tankian dei System of a Down.

L'uomo responsabile di nostri traumi giovanili quali "Chop Suey" e "Toxicity" ha interpretato il brano con un'orchestra, entrando perfettamente nella parte. Sullo sfondo di scene prese dalla serie, Serj Tankian canta "Rains of Castamere" con la dose perfetta di tecnica e pathos, immergendosi perfettamente nell'atmosfera circondante. Siamo senza parole. È perfetto.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Wiz Khalifa ha fatto incazzare i colombiani

$
0
0


Il rap celebra da sempre uomini d'affari, criminali e trafficanti, il che ha portato logicamente i rapper a paragonarsi a individui piuttosto discutibili. Non troppo tempo fa, i Rae Sremmurd hanno usato la parola "Trump" per simboleggiare qualsiasi guadagno stellare improvviso (per poi auto-correggersi su Twitter). Negli anni, uno dei personaggi più citati dagli MC di mezzo mondo è stato Pablo Escobar: Nas usava il suo nome come soprannome, ed è uno dei "Pablo" dell'ultimo album di Kanye West. Il suo nome significa praticamente "imprenditore di successo" nonostante i suoi traffici di droga degli anni Ottanta e Novanta abbiano portato all'uccisione di migliaia di persone (ma anche alla costruzione di case per i suoi connazionali colombiani più bisognosi). E niente: grazie a Wiz Khalifa, qualche giorno fa i due lati contrastanti della figura di Escobar sono tornati a scontrarsi. 

Venerdì scorso, Wiz doveva suonare a Medellin, luogo di nascita di Escobar. Si è quindi preso un po' di tempo libero per portare fiori alla sua tomba e farcisi fare qualche foto accanto. È poi anche passato a visitare il suo ex appartamento. Per Instagram, ovviamente. 

Come riporta la BBC, il sindaco di Medellin Federico Gutierrez non ha gradito la cosa. Ha chiamato Wiz "una canaglia" e ha detto che "non ha mai dovuto soffrire della violenza inflitta da questi trafficanti." Altri cittadini colombiani si sono sentiti mortificati, vedi i tweet qua sotto.

Il tweet qua sopra, tradotto: "Wiz Khalifa è completamente impazzito, è andato a visitare la tomba e la casa di Pablo Escobar a Medellin." 

Insomma, la lezione che possiamo tutti imparare è piuttosto semplice: potete dire quello che volete nei vostri testi, ma se esaltate il nome di un assassino magari evitate di portargli rispetto anche nella realtà. 

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Perché ce la prendiamo con i cantanti che non scrivono le proprie canzoni?

$
0
0

Per produrre un album non basta scrivere e registrare qualche canzone, impacchettarle in modo accattivante e sbatterle su Spotify. Devi fare riunioni con la casa discografica per ogni cosa dalla strategia di lancio al budget per il marketing, campagne sui social media da "attivare" e singoli che devono raggiungere un certo livello di successo perché il vostro manager non passi le notti a camminare avanti e indietro per l'ufficio chiedendosi se non è il caso di mollarvi. E per quanto l'elemento fondamentale dovrebbe essere che la musica sia effettivamente bella, c'è il rischio di perderselo per strada. 

Date un'occhiata alle note di copertina per praticamente qualunque album degli ultimi vent'anni e vedrete liste di nomi per ogni canzone—dagli autori ai produttori—perché è così che viene fatta di solito la musica: in maniera cooperativa. Stranamente, però, non c'è nulla che faccia arrabbiare di più i sedicenti "veri amanti della musica" di questo. Sono sicuro che ricorderete un meme su Facebook (i peggiori) che metteva a confronto il numero di autori dell'album omonimo di Beyoncé con quelli di Morning Phase di Beck in risposta a chi chiedeva perché quest'ultimo avesse vinto il Grammy nel 2015 come album dell'anno. Fare i sapientoni o mettere in dubbio le abilità delle popstar perché non scrivono da sole le loro canzoni non è nulla di nuovo. Ma il processo di creazione dell'album va ben oltre la mera capacità di scrivere una canzone. 

"Perché ce la prendiamo così tanto con i cantanti che non scrivono le proprie canzoni?!" ha chiesto l'autore Justin Tranter, che ha scritto per praticamente tutti da Ariana Grande ai Fall Out Boy, durante un podcast presentato dal suo collega Ross Golan. "Nessuno se la prende con Meryl Streep perché non ha scritto la sceneggiatura del film con cui ha vinto l'Oscar. Alcuni cantanti non sono fatti per scrivere canzoni, sono soltanto incredibilmente bravi a raccontare storie; sono interpreti. È una qualità meravigliosa. Abbiamo bisogno di loro. Non avremmo nulla senza di loro". Tranter e Golan poi hanno citato Selena Gomez, indicandola entrambi come "la miglior curatrice del settore". Come mi ha spiegato via email Jamila Scott, A&R di Method Music: "curare significa mettere insieme vari elementi diversi (autori, artisti, sample, quello che vuoi) per raggiungere un determinato obiettivo artistico". 

È in questo che Selena Gomez, secondo i suoi collaboratori, eccelle. Senza esagerare con il pathos e i vocalizzi, è in grado di comunicare un'emozione meglio di molti altri artisti, e che le parole siano scritte da lei o meno non importa. Revival, il suo disco del 2015, è un esempio perfetto di pop che guarda al futuro senza tralasciare l'appeal immediato, andando controcorrente rispetto alla predominanza dell'EDM. Canzoni come "Good For You"—scritta da Tranter e dalla ventitreenne Julia Michaels—e "Hands To Myself" fanno tutto quello che dovrebbe fare la buona musica pop, prendendo in prestito da una varietà di generi ed epoche e spiccando sul rumore di fondo della roba tutta uguale che passa in radio. Hanno spianato la strada dell'abbandono dei drop per la fluidità per gente come Zayn Malik e la nuova Britney Spears.

Anche dal punto di vista tematico, la narrazione di Revival affronta la sofferenza in amore, l'esplorazione sessuale e l'angoscia in modo che colpisce dritto al cuore. "È una delle migliori narratrici che siano mai esistite", dice Tranter, evidenziando che gran parte della forza della Gomez viene dal fatto di sapere esattamente cosa vuole a livello di suono, che cosa è fico e che cosa è innovativo. "Che stia cantando qualcosa di sexy o qualcosa di triste, è più credibile di chiunque altro al momento". 

Selena non starà seduta su uno sgabello con una chitarra e una loop station a riversare tutti i suoi sentimenti più profondi, ma credo che questo non renda la sua musica meno emotiva o sincera, e sicuramente non significa che ha meno talento di qualcun altro. Anzi, è una specie di biochimica della musica, che lega insieme varie idee e suoni prodotti da autori e producer per dare forma alla storia che vuole raccontare. 

"Se diventi un buon curatore, diventi un artista più importante culturalmente", dice un altro A&R che ha chiesto di mantenere l'anonimato. "La tua musica va oltre un paio di album e vieni visto come leader di una scena e tutti gli altri sono la seconda generazione che deriva da te. Se vogliamo guardare la questione in modo venale, significa che continuerai a essere fico se continui a circondarti di 'next big thing' anche se la tua musica comincia a suonare vecchia". 

Da questo punto di vista, Selena è la Britney Spears di questa generazione. Non c'è bisogno di soffermarsi su quello che stava facendo Britney nel 2007, ma durante quel periodo ha pubblicato il suo album migliore, Blackout. Vari produttori hanno parlato di come all'inizio fossero stati lasciati soli a creare il materiale per l'album, ma con il progredire dei lavori, Britney ha cominciato a indirizzare le sessioni verso qualcosa di propulsivo e innovativo (è produttrice esecutiva del disco, per la prima e ultima volta nella sua carriera). La sua A&R di allora, Teresa LaBarbera Whites, ha raccontato che Spears è stata "molto coinvolta nelle canzoni e nel risultato finale". E anche: "Le canzoni sono quello che sono grazie alla sua magia".

Per quanto Spears sia stata un tempo la curatrice numero uno dell'industria discografica, questo titolo ora sembra appartenere a Beyoncé. Eppure, a differenza di Spears e Gomez che cercano di esprimere la fotografia di un momento o di raccontare la propria storia, l'approccio di Beyoncé è, in qualche modo, più matematico e determinato. Lemonade, senza dubbio il suo disco più narrativo, l'ha vista saltare di genere in genere per creare un pasticcio post-moderno di suoni e temi, invece di brani pop per il gusto del pop. 

"Beyoncé lavora così, mette insieme varie cose", ha detto ad i-D l'autore e producer inglese MNEK parlando del suo ruolo di co-autore di "Hold Up". "Non è molto diverso da come lavora Brian Higgins [degli sforna-hit di Girls Aloud Xenomania]: senti una melodia che ti piace e la metti insieme a qualcosa che ti rappresenta appieno. "Hold Up" infatti contiene pezzi di "Maps" degli Yeah Yeah Yeah's "Maps", "Turn My Swag On" di Soulja Boy e addirittura "Can't Get Used to Losing You" di Andy Williams, oltre ad accreditare Ezra Koenig, Father John Misty e Diplo. In questo senso, Beyoncé afferma il proprio potere di artista in modo chiaro: trascendendo completamente il genere.

"Beyoncé è una scienziata della canzone. Non ho mai visto nessuno lavorare così", ha detto la songwriter Diana Gordon, che ha scritto con lei "Sorry" e "Daddy Lessons". "Riesce a prendere due canzoni, dire 'mi piacciono due versi e questa melodia, fatemele usare per una strofa e il bridge e la parte in mezzo la riscrivo'. È una vera collaborazione. Non sai mai che cosa le piacerà. Sono andata da lei con una manciata di brani e lei ha preso un po' da questo e un po' da quello. Ma non prende nulla di preconfezionato, perlomeno non da me". 

Per Tom Aspaul, artista e autore che ha scritto per Kylie Minogue, Snakehips e AlunaGeorge, soltanto una persona del calibro di Beyoncé si può permettere questi cut-up alla William S. Burroughs. "È una tecnica che non piace alla gente, non la capiscono, anche se gente come Beyoncé e Drake la stanno facendo emergere", dice. "Mettono l'orecchio a terra e ascoltano e prendono quello che piace a loro". More Life e la sua estensione su tutta la diaspora africana ne è la prova, ma Aspaul precisa che esiste un certo snobismo su questi metodi. Non è la stessa cosa che scrivere del materiale, concede, ma è ugualmente importante. "I risultati della scrittura standard arrivano fino a un certo punto", dice, "e la musica ha bisogno di reinventarsi continuamente". 

Per come la vedo io, la reinvenzione deriva dal guardare allo stesso tempo al passato e al futuro. L'utilizzo dell'intertestualità in Beyoncé, sonora e lirica, riporta alla mente il lavoro di Dev Hynes dei Blood Orange. Le sue opere, come autore, producer e musicista, sono immediatamente riconoscibili. Come l'interpretazione di Selena Gomez, c'è un tratto distintivo che solo lui è in grado di comunicare; la sua figura si vede in ogni suo lavoro. Ascoltate "Everything Is Embarrassing" di Sky Ferreira o "Augustine" dei Blood Orange e vi renderete subito conto che solo Hynes potrebbe averle create. La sua collaborazione con Carly Rae Jepsen, "All That", è piena dei suoi colori e delle sue tipiche influenze del Prince più elettronico, sempre lasciando la malinconia sottintesa alle sue produzioni al centro della composizione. 

"Molto spesso curare significa esprimere una vasta, ricca e varia conoscenza della musica oltre che essere in grado di promuovere il lavoro delle persone che ammiri", dice Jamila Scott. "Viviamo in una cultura di condivisione, dalle foto della colazione ai concerti in streaming. Siamo incoraggiati a rendere tutto esplicito, quindi perché i gusti musicali di un artista dovrebbero funzionare diversamente?"

Se dovessi mettere i tre—Dev, Beyoncé e Selena Gomez—in ordine di chi ha maggior "integrità" o è più "sincero", Gomez sarebbe piazzata dai più sul gradino più basso. Come dice Scott, questo è probabilmente dovuto al fatto che è quella che fa pop nel senso più puro del termine. "Penso che derivi dalle fabbriche pop che sono state parte della nostra storia da anni e che sono specializzate in quella che uno potrebbe chiamare cura della canzone", spiega. "Molti di questi artisti venivano visti come pupazzi in mano alle major e galline dalle uova d'oro". Oltre a questo, Ross Golan pone l'accento sulla misoginia che deriva dal fatto di essere una femmina che fa pop, anche se molte sono in realtà "le migliori autrici nel mondo della musica". È interessante se ripensiamo a Elvis, che di base cantava soltanto canzoni scritte per lui da altri, eppure è considerato il Re del Rock'n'Roll.

Scrivendo di Britney Spears sul Telegraph, Charlotte Runcie suggerisce che "c'è molto talento dietro la storia del dominio pop di Britney, ma la maggior parte di questo non appartiene a lei". Questo fatto, continua, porta a "diventare una star", cosa che secondo lei non ha nulla a che fare con il talento. In questo modo riesce a fare di tutta l'erba un fascio con artiste come Selena Gomez e, in un certo senso, Beyoncé, ignorando il fatto che la scrittura delle canzoni non è l'unico elemento importante.

Ci vuole molto di più per creare album innovativi. Soltanto Beyoncé sarebbe stata in grado di pubblicare Lemonade, nonostante—o forse a causa di—tutti i collaboratori che ha messo insieme. Allo stesso modo, Revival è inequivocabilmente un disco di Selena Gomez, grondante emozioni, vulnerabilità e la sua identità particolare. Certo, magari non ha scritto i ritornelli, ma non è mai stato quello l'obiettivo unico della musica pop moderna. Anzi, mentre la società di oggi diventa sempre più isolata vogliamo sentirci coinvolti e comunicare con la nostra musica; deve sembrarci reale. E se essere un curatore ti fa raggiungere questo traguardo, penso che sia un talento speciale. L'arte si manifesta in mille modi diversi.

(Foto in cima di Amanda Nobles via Flickr)

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Finalmente ho intervistato Neffa

$
0
0

In copertina l'autore e una prova della sua ossessione per Neffa.

Come la maggior parte dei nati nel 1995, scoprii il rap italiano grazie a Fabri Fibra e Mondo Marcio. Il primo a quei tempi era fuori con lo strepitoso singolo "Applausi per Fibra", il secondo era in rotazione su TRL con quella piccola perla di storytelling chiamata "Dentro alla scatola". Da questi due ceffi poco raccomandabili a Neffa il passo fu breve: erano gli anni in cui i nuclei territoriali dell'hip-hop italiano—dal Muretto a Piazzale Flaminio—iniziavano progressivamente a venir soppiantati dai forum, luoghi virtuali di discussione in cui gli infottati potevano parlare con altri infottati come loro degli ultimi dischi e mixtape in uscita, e magari passarseli in privato.


Uno dei forum che aggregava più nerd del rap italiano era stranamente un forum di videogiochi, e più precisamente una sezione di questo dedicata alla musica: nell'Angolo del rap italiano—così si chiamava il topic che riuniva i fanatici, topic peraltro ancora aperto—conobbi Karas, beatmaker e co-ideatore de Lo Swagghetto (tutti i membri dello Swagghetto facevano parte di quel forum: ti vedo, Reolo) e soprattutto Lorenzo, un ragazzo di Lecco depresso almeno quanto me che mi fece conoscere per la prima volta i Sangue Misto con "Senti come suona". Non mi piacquero subito, dovetti fare il giro largo per arrivarci, e li riascoltai solo dopo aver consumato Neffa e i messaggeri della dopa, un disco che nel frattempo avevo imparato ad amare. Il resto ve lo leggete in questa chiacchierata che ho fatto a Neffa qualche giorno fa, quando abbiamo pranzato insieme in una trattoria in quel di Bologna.

Noisey: Dopo faccio il fan, adesso faccio la persona professionale. I dischi da firmare te li do dopo. L'intervista la facciamo in freestyle, non ho preparato nessuna domanda, così è più divertente. [Arriva la cameriera. Chiedo dei tagliolini alla cipolla. Neffa prende un'insalata verde, grande: ci mette quaranta secondi ad ordinarla. Mi spiega di essere a dieta.] Ci vai sempre così leggero o solo a pranzo?
Neffa: Sto cercando di perdere qualche chiletto. Ho un po' di pancia; ultimamente mangio troppa pasta.

Iniziamo con una cosa personale. A quindici anni ho promesso a me stesso di parlarti di questa cosa se mai avessi potuto incontrarti, e adesso devo mantenere quella promessa [Tiro fuori il disco dei Messaggeri della dopa, in cd]. Questa copia qui la comprai a quindici anni con la mia prima ragazza, che si chiamava Sara. Lei mi prendeva in giro perché c'era scritto "Solo un'altro giorno", con l'apostrofo.
Se è per questo, anche nel pezzo che c'è nel booklet c'è scritto "messageri", con una g sola. Non l'avevi notato? Nota e apprezza [ride]. Quel pezzo lo ha fatto Ciufs, della storica crew S.p.a., uno di quelli del vecchio giro hip-hop che con me è sempre rimasto super tranquillo, ci vogliamo un grande bene. Su quella cosa, a posteriori, ci siamo fatti un sacco di risate.

Ma di queste cose vi siete accorti quando?
Di quello quasi subito. Dell'apostrofo neanche ci avevo fatto caso. Considera che fino ad un paio di anni prima, un altro si scriveva con l'apostrofo... No, forse mi sbaglio. Però è possibile. Ad esempio, qualcun altro lo facevano scrivere con l'apostrofo quando ero alle elementari. Comunque, di che vuoi parlare?

Parliamo di te. Sei felice? Ci sono così tante cose che vorrei chiederti che adesso non me ne viene in mente nessuna, sono nel panico.
La felicità non è un'ipotesi che ho mai messo in conto nella mia vita. Sono sempre stato mosso dall'insoddisfazione, anche nel mio lavoro. Devi considerare anche questo, comunque, così il Jumanji-pensiero ti arriva per intero e non solo dal lato dell'amarone: io sono sempre stato una persona con due forti poli, positivo e negativo. Fra questi due corre l'elettricità, che mi fa scrivere. Senza di loro avrei avuto una vita tranquilla, rilassata, impiegatizia e che non implica la fantasia; invece, questa corrente mi rende creativo. Sono insoddisfatto di natura perché l'insoddisfazione, qualsiasi cosa abbia fatto o farò, è il mio motore: sarei insoddisfatto anche se fossi Bono Vox! C'era questa frase che mi girava in testa qualche anno fa (perché io ho le mie frasi del momento, vado a periodi): "l'agitazione è la benzina del mio motore". Proprio per questo sono piuttosto sospettoso nei confronti della terza e ultima parte della mia vita.

Perché sospettoso? In che senso?
Beh, sono sospettoso perché mi trovo in un momento particolare, siccome sono una persona che non ha figli e che non ha lasciato un'eredità personale al di fuori di quella musicale. Vivo per la musica. Sono sempre stata una persona molto febbrile nel modo di fare le cose, e questa fase per me non è facile da gestire perché chiaramente la vecchiaia è l'età dello stai calmo, dello stai tranquillo, e devo vedere come mi adatterò a questa situazione.

Devi stare molto calmo.
[Ride] sì. D'altra parte c'è la fortuna che, alla fine, anche se si tratta di un granello di sabbia in una grande spiaggia, ho lasciato e continuo a lasciare musica. Questa possibilità, questo mondo parallelo in cui posso svagarmi, è una buona valvola di sfogo anche riguardo a questo fatto dell'invecchiare.

"Molto calmo" di Neffa.

Poi c'è il polo negativo.
Quel polo certi giorni rende tutto nero, ma poi arriva l'altro polo e dice: "facciamo una canzone," e allora in un modo o nell'altro si procede anche nella vecchiaia. Tanto la retromarcia non ce l'ha nessuno, quindi tanto vale! C'è una frase che tutti dicono perché sono costretti ad accettare la propria natura mortale, ed è: "Io non vorrei vivere per sempre". Magari un sempliciotto all'inizio può dire di sì, ma poi se ci pensi bene vedresti morire tutte le persone che ami, sarebbe un incubo. Io invece penso di aver trovato l'utopia perfetta, ed è questa: pensa se tu potessi vivere e morire a cinquant'anni per sempre. Cioè: tu vivi, arrivato a cinquant'anni muori, poi rinasci e ti fai altri cinquant'anni. Potrebbe essere un modello di immortalità meno impegnativo.

Però tu ne hai già vissute un bel po' di vite, ti sei reinventato continuamente: sei passato dalla batteria dei Negazione al rap, fino ad approdare al pop...
Sì, infatti io penso sia meglio vivere più vite possibili all'interno della propria vita.

Un altro aforisma.
Io sono stressato per l'invecchiamento, ma se mi guardo indietro realizzo di aver vissuto tante vite. Sono stato sia un invisibile che un personaggio sotto ai riflettori, diciamo, anche se non sono diventato—per citare Forrest Gump—"famosissimo come Pinocchio". Ma non vorrei neanche essere troppo famoso, perché è una condizione che ti impedisce di vivere. Quando mi sono trovato ad affrontare un po' di fama nella vita, ho constatato come i rapporti con le persone vengano irrimediabilmente falsati, e questa cosa non mi andava giù. Forse per questo motivo mi sono sentito dire dalla gente, a volte, che sembro antipatico. Io voglio essere più umano e meno personaggio, ed è anche per questo che non sono sui social network. Su internet la penso un po' come Umberto Eco. Poi figurati, io già ho patito a suo tempo i cellulari, quindi [ride]. Sono uno abituato al fatto che se la cabina telefonica era rotta, tu chiamavi dopo. Ho fatto dei viaggi perso in giro per l'Europa senza il telefono: una cosa che adesso ti farebbe venire le crisi di ansia a vent'anni. Rimango un uomo di pensiero, sono perennemente sveglio e alleprato.

Bello il termine "alleprato", l'hai coniato tu?
Viene da un film, I soliti sospetti, con Gassman e Manfredi. Gassman dice a Manfredi di stare "alleprato", e mi piace il termine perché rende l'idea. Devi essere pronto a scattare, attento ad ogni minimo segnale che c'è nell'aria, con i baffi che si muovono.

Secondo me, del periodo pop , Sognando contromano è il disco più bello che tu abbia fatto.
Per me da quel disco in poi non ho mai fatto dischi con tracce di troppo. "Il mondo nuovo" è sicuramente la canzone più originale che abbia scritto. Le altre, sai, assomigliano più a qualche altra cosa... Invece c'è pochissimo che assomiglia a quella canzone lì. Forse, però, Molto calmo è il mio disco preferito. Comunque c'è da sottolineare una distinzione importante. Io non faccio pop, io faccio canzone popolare. Per me pop è un aggettivo che significa "precotto", fatto per piacere alle masse. Io in questi anni ho fatto canzone popolare. Io ero pop quando facevo il rap. Personalmente ho sempre visto il pubblico come un insieme di persone, non come materiale a cui spillare soldi.

Mi pare un po' manichea questa cosa. Per esempio, ti piacciono i Baustelle?
Non ho sentito moltissimo. Sono uno che sente poco di roba attuale. Preferisco la musica dei padri. 

Allora Battiato. Battiato è molto pop.
Ma Battiato non è pop.

Beh, La voce del padrone è un disco ultra-pop.
Spesso è anche il successo di massa che ti fa diventare pop per un po'. Bowie, quando ha fatto "Let's Dance," era pop. Era una canzone apparentemente semplice, ma Bowie non aveva fatto un disco pop. A parte che Bowie non è mai stato semplice. Quando si dice pop io penso ad un prodotto assemblato da produttori, musicisti, arrangiatori, cantato da un interprete adatto. Anche l'interprete che si presti deve avere poi certe caratteristiche. I dischi di Katy Perry e Rihanna. Prendi i migliori autori, produttori, una cantante bella e brava… Se io da produttore mi fossi visto arrivare Rihanna a quindici anni in studio, avrei pensato: con lei si fanno i soldi.

Io quando penso al pop penso anche ad esempio a Lucio Dalla. "Disperato erotico stomp" secondo me è il pezzo pop più bello mai scritto in Italia.
Quella è canzone popolare, ripeto. "Aserejé" è pop.

Che mi dici invece sul tuo periodo coi Negazione? Mi racconti un aneddoto?
Mi ricordo che una volta abbiamo fatto un concerto assieme a Manonegra e Litfiba. Io vidi il batterista dei Litfiba col metronomo in testa, pensai a Ringo Starr e a Charlie Watts, vidi quella scena lì e dissi: perfetto, devo andare in America. Il batterista col metronomo è come vedere un porno col preservativo. Tecnicamente tu stai vedendo un pisello dentro una vagina, però in realtà poi è tutto sintetico. Togli la vita da quel gesto. Con la differenza che il preservativo salva vite, mentre il metronomo le uccide e basta. 

Siamo a quota tre aforismi. Comunque, tornando un attimo sul discorso del pop: ti piacciono le nuove uscite italiane? Calcutta, Thegiornalisti. 
Calcutta me l'hanno fatto ascoltare, è figo e fatto bene. Considera che adesso è facile fare tanti discorsini, ma mentre io crescevo... cioè, quando feci Isola Posse All Stars quelli dello studio non avevano mai lavorato con batteria elettronica, per dirti. La musica italiana per uscire fuori da un certo vecchiume che si portava addosso ci ha messo trent'anni. E quel vecchiume ancora sopravvive. Io ho sempre spinto perché la musica italiana assomigliasse un po' di più al pop internazionale.

"Passaparola" degli Isola Posse All Stars.

Ghemon è un artista dal percorso simile a quello che hai avuto tu. Come ti sei trovato a lavorare con lui nel pezzo "Dove sei"?
Mi sono trovato molto bene. Penso che Ghemon abbia fatto una cosa molto stile anni Ottanta vecchia scuola, e cioè non si è fermato davanti ai primi buoni risultati ma ha sentito il bisogno di prepararsi e di studiare. Io, come studente, devo ammettere di essere stato sempre molto pigro. Da ragazzo provai ad imparare a leggere la musica attraverso il solfeggio ritmico, ma era veramente complicatissimo—e alla fine sono approdato prima alla batteria e al rock 'n roll, perché non avevo abbastanza pazienza per mettermi ad imparare la musica seriamente, e poi al rap. Alla fine ho ricominciato ad armeggiare con chitarra e tastiera dopo essermi innamorato della musica contenuta nei dischi che campionavo per le strumentali, è un ciclo che si chiude. Ghemon mi pare abbia fatto la stessa cosa, che oggi mi sembra rarissima, almeno nell'ambiente del rap. [Chiacchieriamo del più e del meno per un po'.] Mi ricordo che, da ragazzo, venivo spesso al ristorante con la buon'anima di Pino [Daniele]... si può parlare di qualcuno che non c'è più?

Penso che si possa fare, sì. 
Con Pino passavamo le giornate a tavola, a parlare delle persone che ci stavano sul cazzo. Lui mi faceva nomi e io gli dicevo "Ma no Pino dai, quello è figo", e poi litigavamo. Io gli dissi solo una volta: "Pino, non ti far mai vedere con quello lì." E lui qualche anno dopo ci fece un pezzo [ride]. Però in realtà ai tempi di quel pezzo già non ci parlavamo più. Io con lui ho avuto una storia di amore e abbandono. Tu considera che per me parlare al telefono con Pino era... tu potresti dirmi anche: questo è l'ultimo tuo giorno da cantante, domani fai il pizzaiolo, e io ti dico va bene, però Pino mi ha detto che sono figo e va bene così, ho già sentito quel che dovevo sentire. Lui si era innamorato di me, artisticamente.

E perché non vi siete più parlati, poi? Che era successo?
In quel periodo un mio amico, il comico Dario Cassini, era fidanzato con Marina Rei; un giorno mi chiamò e mi disse che Marina mi voleva in un pezzo. Era veramente un brutto periodo, con il conto in rosso e la banca che mi chiamava quotidianamente perché avevo cambiato casa anche se non potevo permettermela. Per dirti, la prima volta che ha piovuto mi pioveva in casa. E tutto per una donna, perché io di mio stavo bene dove stavo, no? Però questa donna aveva problemi nella casa dove stavamo e io le ho detto va bene, andiamo lì, guarda [ci scambiamo un brofist e mi trattengo dall'abbracciarlo fortissimo].

"T'innamorerai" di Neffa e Marina Rei.

Insomma Pino—e l'ho saputo dopo anni—si prese male del fatto che uscì questo mio pezzo con Marina Rei perché in un certo senso lui si sentiva un po' il mio scopritore. Pino aveva quel carattere lì, era molto geloso dei suoi pupilli, perché in generale aveva motivi personali fondati per non fidarsi troppo degli altri, e probabilmente questo fatto qui lo aveva reso sospettoso anche nei miei confronti. Io poi ero in un periodo in cui mi servivano soldi. Per concludere il discorso su Pino, pensa che addirittura io avevo un pezzo molto pinodanielistico, quello che chiude Resistenza, che incisi attorno a Capodanno. Una mattina di quei giorni pensai: "Cavolo, qua faccio fare un assolo di chitarra a Pino." Il giorno dopo arriva la signora delle pulizie a casa e mi fa: "hai sentito di Pino Daniele"? Io, che come altre quattro persone al mondo non ho i social network, pensai: sicuramente resuscitato non è, quindi sarà morto. Quando mi dicono: hai sentito di quello là? Non è che penso "Si è sposato Brangelina", penso "È morto". E anche quella volta purtroppo è andata così.

In Italia siete in quattro a non avere i social, tra cui Giovanni Lindo Ferretti, che vive su un monte, a Cerreto Alpi.
Sì, però... lui ad un certo punto fece l'endorsement alla Lega e con la sua musica ho chiuso. Adesso quelli giocano a fare i moderati, però ai tempi fu una grossissima ferita per la società. C'era quella fortezza che avevano a Milano...

La Lega sembra un partito parodia di un altro partito, invece è una gigantesca autoparodia. Qual era il film di Nanni Moretti in cui c'è lui che guarda disgustato i comizi leghisti con le bandiere verdi?
Il Caimano forse?

No, in quello c'è Berlusconi. Mi pare fosse Aprile.
Alla fine esci pieno anche quando mangi 'sta merda [indica l'insalata].

Sì ma ne hai presa una ciotola enorme, ci credo.
Però alla fine è tutta acqua, quindi va bene. [Silenzio. Ad un certo punto Neffa ha un'epifania improvvisa.] Per riprendere la tua domanda di prima, "Sei felice": io ho smesso di credere nella felicità da molto tempo. Credo in un'infelicità accettabile. Anzi: più che accettabile, sopportabile.

Sai che secondo me dovresti pensare ad un libro di aforismi? Hai proprio il piglio conciso che ci vuole.
Ma io infatti scrivo parecchio. Non leggo quanto vorrei perché sono una persona per niente rilassata, ma scrivo. Più che altro scrivo pensieri. A Bologna quando uno è fuorissimo, si dice "fuoressum": io vorrei scrivere un libro "afuoressum". Il mio aforessum di ieri era: conosco una scapola ammogliata che gioca a calcio contro sé stessa, perché avevo male alla schiena [ride compiaciuto].

So che è una domanda che ti fanno spessissimo e che non sei particolarmente felice di ricevere, ma parliamo un attimo di come sei approdato dal rap alla musica suonata.
Si è trattato di un passaggio molto graduale. Io avevo preparato tutte le basi per fare un nuovo disco di rap, intorno al '99. In quel periodo era scattata con questa amicizia con Fabri Fibra. Un sacco di volte lui veniva da Senigallia, tipo almeno un paio di volte a settimana, in macchina fino a casa mia e passavamo il pomeriggio in studio.

"Ricordo andavo da Neffa sotto al diluvio, guardavo il suo disco d'oro nello studio".
Insomma, in quel periodo cominciavano a uscirmi fuori delle canzoni e non capivo proprio da dove venissero. Il primo pezzo che scrissi fu forse "Alla fermata", oppure "La mia signorina"... Io non capivo, era come quando facevo freestyle, una cosa uscita da non so dove. Poi capì che quella era la musica che mi stava dicendo: "Ok, fino adesso tu hai cazzeggiato, abbiamo scherzato." Tutto quello che ho fatto prima di Arrivi e partenze è in qualche modo musica di percorso.

"Alla fermata" di Neffa.

La musica suonata è stata un approdo naturale.
Sì. Alla fine, le basi che avevo pronte le ho date a Fibra, che poi ci ha fatto Turbe Giovanili. Io ho sempre seguito la musica: pur sapendo che mi avrebbero fatto a pezzi, ci fu un periodo in cui la cosa mi faceva sorridere, mi stimolava. Ricordo la faccia che fece Fibra quando gli feci sentire "La mia signorina". Comunque, in quel periodo ripetevo a me stesso: "Cavolo, mi piacerebbe poter viaggiare con la musica," e infatti dopo che ho fatto il successo de "La mia signorina" sono andato in Portogallo a suonare fricchettone. Sono partito con degli amici in furgone, a suonare pezzi blues, così. Lì, ovviamente, ero un completo sconosciuto. Io avevo sempre battuto la fiacca con le donne e improvvisamente col successo sono arrivate, mi sembrava una situazione un po' dopata e volevo vedere come sarebbe andata in un altro posto. Appena ho visto come è andata, ho detto: è meglio che torni a casa a fare subito un altro singolo [ride].

Sei stato temerario.
Ai tempi avevo la cosciente incoscienza di uno che si sta andando a schiantare, ma la musica è sempre stata molto più importante di quello che poteva succedere a me. Hanno rotto le palle a Ray Charles perché ha smesso di fare musica da chiesa, figurati cosa avrebbero potuto dire a me! La scena hip-hop poi è sempre stata molto conservatrice. L'hip-hop è hip-hop, e a me all'inizio andava anche bene, finché poi mi sono reso conto che non sono mai stato tagliato per stare sotto una bandiera. Sarei potuto rimanere tranquillamente nel mio regno, ma io sono nato per esplorare, e stare fermo lì solo perché la cosa mi diceva bene non era un'alternativa così allettante. Sono passato dall'essere uno della Trinità in un mondo ad essere uno qualunque del mondo dei cantanti. Eppure questo era quello che io dovevo fare e l'ho fatto. Ancora oggi la gente mi dice: "Sei il mio rapper preferito." Io non faccio più rap dal 2000, quindi certe volte mi dico cavolo, e allora questi diciassette anni di musica non valgono niente? Questo per proprietà transitiva starebbe a significare che ho fatto musica inutile per quasi vent'anni, perché il mio disco migliore è stato quello coi Sangue Misto e nei libri di storia ci finirò con i Sangue Misto.

Ma sai che secondo me è più che altro una questione di nostalgia? È anche scientificamente dimostrato che si rimane più attaccati alla musica ascoltata da ragazzi. Io, per esempio, ricordo nitidamente la sera in cui guardai per la prima volta il video di "Aspettando il sole". Uno che a quindici anni ti scopre col rap magari rimane più legato a quello.
Stai toccando una questione sociologica che anche io ho sempre percepito un po'. L'hip-hop è un genere un po' adolescenziale. Quando sei adulto, le probabilità che tu lo stia facendo per i soldi, secondo me, aumentano. Un po' come l'heavy metal.

A parte che secondo me hai fatto dischi molto più belli di SxM.
Però tanto nei libri di storia della musica ci finirò per quel disco lì. O al limite per "Aspettando il sole".

I libri sono una cosa, i dischi sono un'altra...
Però sai: se non sei nei libri di storia musicale difficilmente tra cento anni le persone andranno ad ascoltare i tuoi dischi. La storia la scrivono i vincenti, come dice Dan Brown.

E tu ti fidi di Dan Brown?
Beh, quella cosa che ha detto è giusta.

Però anche un orologio rotto...

Neffa ordina del mascarpone con scaglie di cioccolato, io un caffè. Iniziamo a parlare del rapporto complesso che gli italiani hanno con l'inglese. Neffa cita Roland Barthes. Io lo riprendo perché gli ricordo che pochi minuti prima ha citato Dan Brown. E lui: "posso citare Dan Brown proprio perché ho letto Barthes". Ridiamo. Parliamo per un po' del più e del meno, anche a livello sessuale. Si lamenta dei giornalisti che gli fanno domande tutte uguali.

Neffa: Visto lo sbatti che sei venuto fin qua da Roma, il pranzo te lo offro io.

Noisey: Pensa quanto ti voglio bene se da Roma sono venuto qua.
Non c'hai un cazzo da fare mi sa, non è questione di bene. Pensa quanto non vuoi bene a te stesso!

Non metterti a fare il cinico, adesso.
Io cinico? [Un timido sorriso gli affiora dalle labbra] Non so neanche cosa significhi quella parola. Se io sono cinico, anche Bukowski è cinico. È solo uno schermo delle persone troppo sensibili: se Bukowski fosse stato cinico, non avrebbe potuto scrivere quel che ha scritto!

Confessa i tuoi sentimenti a Matteo su Twitter: @realmattycon
Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Altro su Noisey:

Chi va davvero a vedere DJ Gruff?

Paola Zukar: da un lato all'altro del rap


Semantica dei testi di Fabri Fibra

Una giornata da stagista di Chance the Rapper

$
0
0

Non so se avete sentito, ma Chance è in cerca di collaboratori. Nello specifico, cerca una figura di stagista "con esperienza nel comporre occhielli e nello scrivere proposte":

Si tratta di competenze specifiche (e, come hanno fatto notare i Cypress Hill—lol—piuttosto avanzate per un semplice stagista), ma considerata l'abbondanza di risposte che ha risposto a questo punto, sono abbastanza convinta che troverà la persona giusta. Ma una volta assunto, come sarà una giornata tipo dello stagista di Chance? Ho provato a immaginarlo:

Ore 9.30: Ritrovo nel quartier generale dell'entourage per la visione di un film educativo su Chicago, perché è la città di Chance. Non so se lo sapevate. Lui è cresciuto lì. 

Ore 10: Ascolto di un discorso motivante di Chance sui bambini che sono il futuro.

Ore 11: Ora del caffè. Penso che Chance preferisca un macchiato, a volte schietto, altre con sciroppo alla nocciola. Non so, me lo immagino così.

Ore 11.30: Preparazione per l'incontro di metà mattina con tipo Obama o Kanye (nel dettaglio, disporre sul tavolo diverse agende e le borse regalo per gli ospiti, che contengono un cappello da baseball e il certificato di una donazione in beneficenza fatta a nome dell'ospite).

Ore 12.30: "Scrivere proposte", probabilmente per un ospedale o una scuola che Chance finanzia totalmente con i suoi soldi, e che insiste perché non sia intitolata a lui perché, non dimentichiamolo, lui è un angelo. 

Ore 14: Pranzo! Il pranzo è generosamente offerto da Chance a tutti i suoi dipendenti. È pizza alta in stile Chicago, tutti i giorni.

Ore 15: Filmare un breve video di Chance con sua figlia per Instagram, certo, ma anche per la cultura.

Ore 16: Prendere appunti durante l'incontro pomeridiano di Chance con Obama o Kanye a seconda di chi ha visto la mattina. 

Ore 17: Accompagnare Chance allo studio, cosa che non fa strettamente parte dei tuoi compiti, ma non è un problema perché il tuo datore di lavoro te ne è immensamente grato e te lo dimostra con calore.

Ore 17.30: A casa! Perché se c'è una cosa che Chance ama anche di più di Chicago, è che il suo stagista abbia un orario di lavoro giusto. 

Restate in attesa per una conferma di quanto scritto dallo stagista in persona.

(Foto via Chance the Rapper su Instagram)

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Ascolta in anteprima il nuovo album dei Wire, 'Silver/Lead'

$
0
0

Nel Grande Libro dei Cliché del Rock, "senza tempo" è scritto appena sotto "grandioso". Se un disco ha grande influenza e regge a oltre un decennio dalla sua uscita, allora non è del suo tempo. Dev'essere fluttuante, staccato dalla sua epoca, capace di toccare terra di tanto in tanto quando facciamo scendere la puntina o rubiamo un riff, ma in essenza confinato in uno spazio extratemporale. Secondo questa logica, "Uptown Funk" è migliore di qualunque cosa George Clinton abbia toccato; l'ultimo album dei 1975 è più bello di Never Mind the Bollocks; Currents dei Tame Impala è meglio di Born To Run. Che stupidata.

Il quartetto londinese dei Wire ha prodotto alcuni fantastici album nella sua carriera quarantennale e ha influenzato ogni band con le chitarre che abbia un po' di cervello. Ma "senza tempo" sarebbe un insulto per loro. Il loro debutto del 1977 Pink Flag esprimeva un'angoscia immutabile con i suoi testi brevi e incendiari—quando Colin Newman sputa "alright, alright, alright" in "Reuters" niente sembra meno "alright"—ma era una reazione al mondo in cui era stato concepito, una reazione che sembra ancora importante oggi ma senza risultare completamente scollegata da se stessa. 

Il loro quindicesimo album in studio, Silver/Lead, in uscita il 31 marzo ma che potete ascoltare in anteprima qui sotto, è un altro disco tempestivo prodotto da una band con un occhio ben piantato sul presente. L'angoscia è ancora lì, ma segue la linea tracciata dai loro ultimi tre dischi: Change Becomes Us, Wire e l'EP Nocturnal Koreans uscito l'anno scorso. La paranoia non ci colpisce con lampi frenetici; ribolle con una discrezione distorta che sostiene la voce monotona ma incredibilmente suggestiva e a tratti inquietante di Newman. È ingannevole, si nasconde dietro a ganci pop che attirano l'ascoltatore fino a che non è troppo tardi. Eccoci qui, canta Newman in "Short Elevated Period", "in un momento cruciale, in un futuro incerto". Avrebbe avuto senso 40 anni fa; ma fotografa perfettamente l'adesso.

Silver/Lead esce venerdì 31 marzo per pinkflag. Ordinalo dal sito dell'etichetta o cercalo nel tuo negozio di dischi di fiducia.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Ascolta il nuovo singolo di Caterina Barbieri

$
0
0

La compositrice e maga della sintesi analogica Caterina Barbieri fa musica per pensare. Che vi interessi di più il procedimento o il prodotto, le sue composizioni ampie sono quel tipo di esplorazioni sintetiche che tracciano vari sentieri che l'ascoltatore può seguire. Il 21 aprile uscirà il suo secondo album Patterns of Consciousness per Important Records e, invariabilmente, è pieno di vaste sperimentazioni elettroniche. Oggi condivide con noi "This Causes Consciousness to Fracture", la prima traccia dell'album. Nei suoi 15 minuti, è un perfetto esempio della sua predilezione per le contorsioni compositive, in cui linee di synth si aggrovigliano tra di loro in masse labirintiche che respirano e collassano su loro stesse in arrangiamenti frattali. 

Come si può intuire dal titolo, Patterns of Consciousness è una riflessione sul nostro modo di pensare. Nel comunicato stampa che accompagna l'album Barbieri scrive che "ogni motivo crea un certo stato di coscienza". Lentamente cominciamo a comprendere a sua struttura e, interferendo con il motivo, lei crede di poter sbloccare una comprensione "della natura stratificata della coscienza e della relatività della percezione". Che "This Causes Consciousness to Fracture" riesca a raggiungere questo obiettivo o meno dipende dalla predisposizione dell'ascoltatore. Ma se siete proni a studiare intensamente l'architettura cangiante di un pezzo per sintetizzatore lungo 15 minuti, questa è la casa degli specchi che fa per voi. 

Ascolta il brano qua sotto e preordina Patterns of Consciousness sul sito di Important Records.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.


Mount Eerie ha visto la morte e ci ha scritto uno degli album più devastanti di sempre

$
0
0


Phil Elverum ride spesso.

È un venerdì pomeriggio e parliamo al telefono, io su una costa degli Stati Uniti e lui sull'altra. Scherziamo su Donald Trump e su quei cappellini di alluminio che i cospirazionisti, credono, proteggeranno i loro pensieri dal governo. Parliamo di intervistatori che interrogano musicisti sulle loro influenze, e del perché Phil si tiene un gong in casa semplicemente perché lo trova esteticamente piacevole. Elverum mi racconta di suoi parenti eccentrici e della sua assoluta mancanza di capacità di marketing con la semplicità e il candore che solo una persona sinceramente felice di stare avendo una conversazione su musica e arte può avere. Ma la conversazione avrebbe potuto anche essere su qualsiasi altra cosa, a essere sinceri. 

"In realtà non mi lamento poi troppo," mi confessa con una leggera risata più o meno a metà della nostra chiacchierata. "Mi piace lasciarmi andare e parlare di qualsiasi cosa, a essere sincero. Mi fa sentire bene."

Io e Phil stiamo parlando di A Crow Looked at Me, il nuovo album che sta per pubblicare con il nome che ha usato per gli ultimi quattordici anni, Mount Eerie. Phil ha scritto e registrato il disco verso la fine della scorsa estate, dopo la morte di Geneviève Castrée, sua moglie, collaboratrice e complemento creativo, a luglio 2016.

"Una settimana dopo che sei morta è arrivato un pacco col tuo nome / E dentro c'era un regalo per nostra figlia che avevi ordinato senza dirmelo / Sono collassato, lì sui gradini davanti alla porta, e ho pianto / Era uno zaino per quando sarebbe andata a scuola, tra un paio d'anni / Stavi pensando a un futuro che, nel profondo, sapevi non ti avrebbe incluso / Anche se stavi provando ad aggrapparti alle pareti del dirupo da cui stavi scivolando / Mentre venivi inghiottita da un silenzio senza fondo, un silenzio reale."—da "Real Death".

Nel 2015, un paio di mesi dopo la nascita dell'unica figlia della coppia, alla Castrée venne diagnosticato un cancro pancreatico. Per anni, la vita di Phil e Genevève era stata un turbine di creatività, di dipinti e dischi, cose scritte e ascoltate. Dopo la diagnosi, diventò—dice Elverum—un turbine caotico, una costante ricerca di rimedi, tentativi di comprendere quello che stava accadendo, assieme alla necessità di crescere loro figlia. Elverum decise che avrebbe potuto realisticamente smettere di fare musica, nonostante fosse il modo in cui si era relazionato con il mondo restando nella casa in cui ha vissuto fin da piccolo, nel minuscolo paese di Anacortes, nello stato di Washington. 

In parte, è questo quello che rende A Crow Looked at Me così toccante. Arrivando poco più di sei mesi dopo la morte di Geneviève, è un'esaminazione totale e risoluta di un dolore inenarrabile, oltre che la dichiarazione di un'ansia enorme per il futuro. Si pone le domande più difficili che noi esseri umani possiamo porci e ammette, quietamente ma con risolutezza, che non potrebbero esserci risposte soddisfacenti. Per alcuni sarà un'opera di grande conforto e comprensione, una trasmissione proveniente da una persona che ha guardato nello stesso specchio rotto ed è tornato a parlarne con il mondo; per altri, sarà una necessaria lezione di empatia, un'opportunità per comprendere un dolore che sembra poter raggiungere qualsiasi cosa stia al di là della nostra relativamente innocente immaginazione.

Ho parlato ad Elverum in quello che lui mi ha descritto come un classico giorno nel Nord-Est Pacifico—"un cielo piatto e grigio, con la pioggia che potrebbe cominciare a cadere in qualsiasi momento." Abbiamo cominciato discutendo del fascino esotico dei posti più isolati di quell'angolo degli Stati Uniti, e del Canada appena più a nord. Più avanti siamo tornati proprio su questo argomento e ci siamo chiesti come mai, in un mondo che a volte può sembrare nel pieno di un collasso, può sempre esserci una via di fuga.

Fotografia di Nick Rennis.

Noisey: Mi stai parlando da Anacortes, che è il luogo dove sei nato e dove hai vissuto quasi tutta la tua vita. Perché non l'hai quasi mai lasciato? 
Phil Elverum: Non lo so, esattamente. La mia famiglia è qua da generazioni, quindi è qualcosa di speciale, ma solo a livello teorico. A un livello emotivo e quotidiano non è una cosa a cui penso molto. Ma è restando qua che, per me, il mondo ha senso. Sto pensando di trasferirmi, comunque. Qua si sta facendo tutto troppo affollato, per i miei gusti. Preferisco una vita più rurale, quindi mi trasferirò su un'isola qua vicino.

Quando eri piccolo sei passato per l'inevitabile fase in cui ogni ragazzino di paese vuole fuggire verso una grande città? 
Non nel modo in cui ci è passato ogni singola persona del mio liceo. Andarsene era l'unica loro ambizione. L'opinione dominante, qua—e forse quasi ovunque—è che il luogo in cui si cresce è il posto peggiore di sempre, ma soprattutto è noioso. Tutti non vedevano l'ora di trasferirsi. Ma io non ho mai provato nulla di così estremo. Sapevo me ne sarei andato, perché era quello che volevo fare, ma sapevo anche che sarei tornato. 

"A Gennaio, eri ancora viva / Ma la chemio aveva devastato e trasformato la tua porcellana in qualcosa d'altro / Qualcosa di giallo e malato / Ti hanno messa in ospedale a Everett / Quindi ho lasciato la bambina a qualcuno e ho guidato su e giù per la I-5 ogni notte / Come un satellite, per portarti quello che volevi da mangiare / E tornavo di notte al nostro letto per dormire, ed era freddo / Tornavo lì e mi sentivo solo / Qualsiasi identità passata e possibilità futura, immobile"—da "Soria Moria".

Hai cominciato a fare musica, a fare arte, quando eri molto giovane. E in un certo senso è un metodo per costruirsi un proprio universo, in cui qualsiasi cosa può succedere. Credi che questo possa aver reso Anacortes più interessante per te? 
È esattamente così. Ricordo che pensavo questi stessi pensieri, al liceo. Sentivo i miei compagni di classe lamentarsi di come non ci fosse mai nulla da fare e non riuscivo a identificarmici—perché io e i miei amici eravamo super impegnati con i nostri progetti, organizzavamo concerti, suonavamo, stampavamo cassette, registravamo, facevamo pazzie. Eravamo noi a creare qualcosa di eccitante. È per questo che non mi è mai sembrato molto noioso, il paese. Mi ha fatto rendere conto che avrei potuto fare quello che facevo ovunque, che il luogo in cui sei non importa poi così tanto. 

Sai dov'è Dawson City? È uno dei posti in cui Geneviève voleva trasferirsi. Ci abbiamo pensato molto. Eravamo decisamente attratti da luoghi estremamente remoti. Siamo rimasti ad Anacortes solo perché non siamo riusciti a decidere in quale assurdo posto estremo volevamo andarcene. Probabilmente saremmo arrivati e ci saremmo resi conto che la realtà è diversa dalle fantasie che puoi avere, ma avevamo entrambi voglia di provarci. Poi abbiamo avuto un figlio, e ci siamo resi conto che non è una bella cosa da fare a un bambino. 

Che cosa vi attirava verso quei luoghi remoti? La possibilità di creare un tuo mondo ancora più grande, come a costruire qualcosa partendo dal nulla? 
Certo. Almeno, è quello che immagini: se ti metti su un'isola deserta con tutto il tuo materiale da disegno, non puoi fare altro che disegnare. È come quel cliché per cui andare in prigione ti permetterebbe di avere abbastanza tempo da leggere tutti i tuoi libri.

Ho questa prozia con cui sono cresciuto, la zia di mia mamma, che si trasferì in questo posto assurdo di cui parlo sul disco, Haida Gwaii. Un tempo si chiamavano le Queen Charlotte Islands—sono nel Nord del Pacifico, di fronte alla costa della British Columbia. È un luogo davvero grezzo, remoto e inaccessibile. Negli anni Sessanta, mia prozia e suo marito si trasferirono là, costruirono una baita di legno, come ne Il Robinson svizzero, e rimasero lì a scrivere libri. È sempre rimasta nella mia testa come un'idea romantica, ma resta che fu una cosa che fecero davvero.

Quando io e Geneviève fantasticavamo di fare qualcosa di simile, avevamo una mia parente che ci dimostrava che potevamo farlo veramente. L'idea è di andare lì, con la persona che ami, e trovare soddisfazione in poche, piccole cose. Hai con te la tua persona, fai i tuoi progetti e li spedisci via posta in giro per il mondo consegnandoli a una barchetta che li porta via. 

Sono anni che hai uno studio ad Anacortes ma hai fatto questo ultimo album a casa, senza quasi nulla se non la chitarra e la voce. Questo ti rende più semplice prospettare un trasferimento in un posto ancora più remoto, ora che sai che puoi ancora lavorare in un modo così minimale.
Rendermi conto che non avevo bisogno di nulla è stata una grande svolta. So che se voglio fare roba grossa, magniloquente, distorta, allucinata e piena di echi, posso andare in studio. Ma è bello sapere che non ne ho la necessità. 

Che cosa ti terresti, però, dalla roba che hai in studio? 
Ho questo gong molto grande che ho comprato qualche anno fa. me lo terrei non perché lo voglio usare tanto in futuro ma perché è bello da avere accanto. È davvero bello. Ma se mi stai chiedendo che tipo di musica potrei fare in futuro non so davvero risponderti. Potrei anche non farei mai più niente, a essere onesto. Probabilmente scriverò ancora, è questione di abitudine e slancio. Continuo a scrivere, ma non ho grandi ambizioni a riguardo ora come ora. La funzione e l'importanza della musica sono cose su cui, credo, ho bisogno di ragionare.

"Finalmente ho portato fuori la spazzatura del bagno del piano di sopra, che era rimasta lì, dimenticata, da quando eri ancora qua / Quando volevi solo restare con noi / Volevi solo restare in vita / L'ho buttata via / I fazzoletti rinsecchiti e insanguinati dei tuoi ultimi giorni / Il tuo spazzolino e quello che avevi buttato / E se la mosca che vola per la stanza / Fossi tu, se potessi essere tu? / La faccio uscire dalla finestra / E non mi sento meglio."—da "Toothbrush/Trash".

Quando ho sentito il primo estratto dall'album e ho letto che sarebbe uscito a marzo mi sono sentito sorpreso. Mi è sembrato tutto molto veloce, più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Tu ti sei sentito sorpreso dalla velocità con cui hai cominciato a registrare dopo la morte di Geneviève? 
È stato davvero poco dopo la sua morte, e ci ho pensato molto. È indecente rientrare nel mondo così? Sto sbagliando qualcosa? Ma mi sono anche sentito seriamente spinto a farlo. Ho chiamato tutte le stamperie di dischi che conoscevo per capire quale sarebbe riuscita a far uscire il disco per prima. Volevo buttarlo fuori il prima possibile, perché sapevo che i miei sentimenti erano grezzi, freschi e spinosi. Volevo impacchettarli, buttarli fuori e allontanarli. Ma non se ne sono andati. Ora ne parlerò, e li canterò in tour. 

Per un periodo ho davvero pensato di smettere di fare musica. Almeno per gli ultimi due anni. E poi lo scorso luglio Geneviève è morta. E nella mia mente c'è stato un cambiamento quasi istantaneo, mi sono aperto immediatamente all'idea di ricominciare a scrivere. Dopo la sua morte sono andato con nostra figlia a fare una gita ad Haida Gwaii, quelle isole di cui ti dicevo prima. Guidavo, andavo su un piccolo traghetto in questi luoghi remoti, da solo con i miei pensieri e i capricci della mia bambina. E mi ripassavo nei pensieri queste idee, le lavoravo, e alla fine hanno cominciato a venire fuori sotto forma di parole più raffinate, che annotavo nel mio quadernetto. E esprimermi in questo modo mi sembrava meno crudo.

Hai detto che le tue canzoni e i tuoi pensieri "non se ne sono andati." Quanto ti sei fermato a pensare alle circostanze della pubblicazione di A Crow Looked at Me? Magari al fatto che non avresti voluto parlarne poi molto? 
Ci ho pensato molto. Inizialmente non volevo fare nulla—solo stampare il disco e metterlo in vendita sul mio sito. Ma poi, mentre lo stavo finendo, mi sono sentito troppo orgoglioso di quello che avevo fatto, onestamente. Mi sembrava davvero bello. Volevo che fosse sentito da più persone possibile. In quanto artista, forse il mio ego ha avuto la meglio. Mi sono sentito orgoglioso del disco, stranamente. Ho scelto di assumere un ufficio stampa, ma abbiamo parlato molto dell'approccio che avremmo tenuto. Siamo molto più selettivi, e tutti sono stati molto intelligenti e comprensivi. Non è una campagna mediatica come tante altre. 

Ti preoccupa la possibilità che possano esserci persone che possano giudicare queste tue nuove canzoni in modo cinico o negativo, soprattutto su internet? 
Tipo dei troll? Onestamente non ci ho pensato molto, forse ingenuamente. So che di questi tempi è molto comune, ma spero che la gente sia abbastanza decente da riconoscere.... è stupido, lo so. Me ne rendo conto ora che lo sto dicendo ad alta voce. Ho letto articoli sui troll, su Trump e sulla realtà della nostra situazione sociale. Nessuno ne è esente. Anzi, io sono molto più vulnerabile avendo scelto di aver rivelato al mondo le mie difficoltà. Sono come una bandiera, un'esca per quel tipo di maniaci. 

Fotografia di Geneviève Castrée.

Parlando di Trump, "Crow," l'ultima canzone sull'album, è uscita a Gennaio per beneficienza in una compilation per l'ACLU. Credo sia stato il primo pezzo che ho sentito a parlare della sua elezione in un modo così personale e toccante. Perché hai sentito il bisogno di inserirla sul disco? 
Non la volevo mettere, inizialmente. Ho finito l'album a Ottobre—ho finito di scriverlo, almeno. Dovevamo essere dieci canzoni, e "Soria Moria" doveva essere l'ultima. Ma poi ci sono state le elezioni, e mi sono sentito tipo, "Oh, il mondo in cui viviamo ora non è quello in cui abbiamo appena finito di vivere." È stato un grosso cambiamento, al di fuori della mia famiglia. Mi sembrava già che il mio album parlasse di un enorme cambiamento a livello universale, ma nel contesto della mia famiglia. La morte di Geneviève è stata un confine tra due universi completamente diversi. L'elezione è stata la stessa cosa per tutto quello che sta al di fuori di casa nostra. Se non ne avessi parlato l'avrei fatta sembrare irrilevante. 

"Crow" parla di una scena molto specifica, di te e tua figlia che passeggiate per un bosco una grigia giornata di Novembre. E poi vedi questo corvo. Che cosa ha significato per te? 
Stavamo passeggiando, solo io e lei. Era quasi inverno. Le stagioni sembravano molto diverse da quelle che esistono sull'album. Pensavo a mia figlia, alle elezioni e alla sensazione di fine del mondo che avevo. L'apocalisse, il fascismo: qualsiasi assurdità si stava facendo realtà. Viviamo vicino a una base dell'aeronautica, quindi sentiamo spessissimo il suono di aerei militari. E capitava che restassero a bassa quota, ed era davvero opprimente. Come se ogni mattina venissi svegliato da un calcio sulla nuca, con la bocca sul marciapiede. Il mondo sembrava andato a puttane, oppressivo e apocalittico, sia in snso personale che geopolitico. Ma stavo camminando, e abbiamo avuto questo momento magico, quieto e trascendente. Volevo che fosse quello il senso di questo album. Non volevo confortare nessuno sulla mortalità. Certo, c'è anche quell'elemento, ma volevo che il punto fosse un altro: che Geneviève è ancora tra noi, in un certo modo. Non sono una persona spirituale. So che è morta, e che se n'è andata. Ma c'è ancora una sorta di magia. Un corvo ci ha guardati. Un corvo ci ha seguiti per il bosco. Mi è sembrato troppo inquietante e speciale perché potessi ignorarlo.

"La tua faccia morente e trasformata svanirà col passare del tempo / Mi ha detto la nostra consulente / Lei, da cui andavamo ogni lunedì tenendoci per mano / Ogni settimana un po' più piano, tu facevi fatica a respirare / Finché non abbiamo dovuto iniziare ad andarci in macchina / Ma poi, solo due mesi dopo che sei morta / Anche la nostra consulente è morta / All'improvviso, il suo ufficio vuoto, a luci spente / Come se avesse compiuto il suo lavoro / Siamo sempre tutti a un passo dallo smettere di esistere / Tranne che nella confusione dei nostri sopravvissuti, aggrappati agli echi / Oggi nostra figlia mi ha chiesto se mamma nuota / Le ho detto "Sì, nuota / E probabilmente ora è tutto ciò che fa" / Ora, sono le onde a trasportare ciò che eri / E che sta evaporando."—da "Swims".

Prima che Geneviève morisse, a luglio, la situazione politica sembrava più promettente. Dopotutto, avevamo una donna candidata. Ne parlavate? Che speranze aveva? 
Prima di ammalarsi, era molto coinvolta—leggeva e ascoltava le notizie compulsivamente, si faceva prendere dalle minuzie. Ma quando si è ammalata ha smesso di concentrarcisi così tanto. Anzi, ha anche dato in parte colpa per il cancro alla sua attenzione per la politica. Non riusciva ad accettare il fatto che il cancro non ha spiegazioni. Non era per qualcosa che aveva fatto. Ma trovava continuamente modi per trovarne un'origine, e quindi aveva scelto di cambiare in molte delle cose che aveva fatto fino ad allora, tra cui seguire le notizie e dare attenzione alla negatività. Ha cominciato a pensare positivo, ma in un modo troppo estremo, troppo arcobaleni e unicorni. Era difficile vivere con lei mentre si stava trasformando. La campagna elettorale non è davvero stata parte del suo mondo. Sapeva quello che stava succedendo, ma non significava nulla. Stava solo provando a vivere. 

Arrivato a questo punto, come trovi equilibrio tra dolore personale e politico, o tra l'ansia per te e tua figlia e l'ansia per il resto del mondo?
Seguo le notizie ogni giorno, non le evito. Ma non cavalco le onde dell'emozione come fanno alcuni miei amici, che si sentono così coinvolti da quello che succede fino a farsi rovinare le giornate. Forse è l'effetto che fa essere il padre di una bambina di due anni: non posso permettermi di perdere tempo sulle cose. Devo fare il genitore. Ma mi sento vuoto e terrificato dal futuro Penso che forse sia anche per questo che voglio andarmene più lontano dagli Stati Uniti. Quest'isola in cui voglio andare è tecnicamente parte degli Stati Uniti, ma non sembra lo sia. Voglio creare una vita sana e pacifica—un'enclave, un rifugio. Il che non aiuta il contesto più grande. È egoista scappare così. E non puoi scappare da questi problemi. Sono globali. 

Prima che Geneviève si ammalasse, pensavo fosse irresponsabile o egoista scappare, o cominciare a fare una vita da hippy. Ma poi si è ammalata ed è morta, e mi sono reso conto che la nostra morte è così vicina, molto più vicina di quello che crediamo. E non voglio più perdere tempo a sbattere la testa contro un muro. Mi rendo conto di quanto sia codardo arrendermi perché sì, gli stronzi si prenderanno il potere e rovineranno il mondo più alla svelta. Ma ho una figlia di due anni, e voglio che la sua vita sia più pacifica e sana possibile. 

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Marracash & Guè Pequeno

$
0
0

Da Barona a San Donato, abbiamo passato una giornata con Marracash e Guè Pequeno per parlare del loro rapporto con la strada e riascoltare i loro primi mixtape.

Recensioni

$
0
0

Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

TAKE THAT
Wonderland
(Polydor)

Un'orgia di feedback, ritmi minimali e urla belluine da pezzo di merda scappato dal carcere, che non sai bene se ti fanno paura o se ti indicano la strada da seguire. L'aggiunta del clarinetto o sax o quello che è non fa che rendere ancora più mistica l'esperienza. Ovviamente non sto parlando del nuovo album di quei tristi gusci di esseri umani dei Take That, al cui squallido tentativo di ritornare sulle scene rubacchiando suonini e ritmini dagli artisti pop più in voga reagisco nello stesso modo in cui reagisco all'ingresso di un senzatetto sul tram: prima mi schifo della puzza, poi provo una pena superficiale da Pomeriggio Cinque, poi mi perdo in elucubrazioni sociopolitiche sul sistema che depreda queste persone di sicurezza e dignità. Parlo dell'EP Celebration dei canadesi Playboy, che farà cadere in ginocchio con le lacrime agli occhi ogni amante del punk più ostile e sperimentale. Ascoltate questo, non la merda di Wonderland.
BRUCE LO SCATENATO

MOUNT EERIE
A Crow Looked at Me
(P.W. Elverum & Sun)

Io ho perso solo una persona per il cancro. Quella persona era mio nonno. Io avevo pochi anni, era il giorno di Santa Lucia. Ricordo che mio padre tornò a casa dall'ospedale, dove presumibilmente lo aveva appena visto morire e mi trovò in cortile che giocavo con i miei regali. Mi disse che aveva una brutta notizia e una bella: la brutta è che il nonno era morto, la bella sinceramente non me la ricordo ma credo fosse qualcosa su una sua permanenza ultraterrena—permanenza in cui, sono sicuro, mio padre non credeva veramente. La mia esperienza è lontana e sbiadita dagli anni, e ora mio nonno è solo pochi bei ricordi, qualche fotografia e un calendario a casa di mia nonna con quel giorno, il 13 dicembre 1997, segnato come a eterno ricordo della sua scomparsa. La morte è una merda, ma la morte è qualcosa di vero, terrificante, e umano; e se volete rendervene conto una volta per tutte e smetterla di far finta che le vostre vite non siano nulla di più del risultato di un fortunatissimo caso che potrebbe annullarsi completamente da un momento all'altro, in barba ai vostri affetti, ai vostri amori, ai vostri sogni e a tutto ciò che vi circonda, A Crow Looked at Me è l'album che fa per voi.
QUESTA È UNA RECENSIONE SERIA SENZA GAG SCUSATE

BUIOINGOLA
Il Nuovo Mare
(Shove)

Dopo quattro anni di silenzio tornano i toscoliguri più acquatici e abrasivi che ci siano. La qualità delle registrazioni rimane terribile, la produzione rimane su etichette di ultra nicchia (il disco manco esce in cd, solo vinile e cassetta), la musica rimane una bomba. Il frullatone di generi che i buioingola mettono su disco continua a fare impressione: crust, sludge e post-rock la fanno da padroni, ma ci pensa "Irriconoscibile", nomen omen, a sparigliare le carte con un cantato pulito e 101% toshàno che sembra uscito da una band punk cantinara di Viareggio. Poi ci sono dei riffoni che ti portano via, e che se fossero prodotti bene sarebbero grossi quanto l'intero Tirreno, ma perderebbero quel fascino un po' sporco, ruvido, dimesso, di provincia. Se Diego, Thomas e Omar non fossero così bravi probabilmente Il Nuovo Mare sarebbe una pacchianata; per fortuna questi ragazzi tre sono tra le cose migliori che siano capitate all'Italia negli ultimi anni e il disco è un concentrato organico e fluido di cose belle e giuste. E di tanta, tanta sofferenza portata dalla marea. La nuova frontiera del disagio costiero.
IL GUARDASPIAGGIA SUL MARE DI NEBBIA

PHARMAKON
Contact
(Sacred Bones)

Onestamente a me Pharmakon ha sempre detto meno di un cazzo. Dopo un po' comincio a sbadigliare, infastidito, come se ci fosse una zanzara a ronzarmi intorno alla ricerca di sangue da succhiare. Ora, probabilmente è proprio questa la sensazione spiacevole che la nostra eroina vuole ottenere, visto il concept diciamo medico/clinico, roba di morfina, operazioni e sensazione di anima che esce dal corpo. Ma se devo entrare in sala operatoria per comprendere appieno sta roba allora grazie, come se avessi accettato (e mi tocco pure). A un certo punto, scoperti i trick di riverbero in feedback e un paio di synth piazzati in zone strategiche, il disco finisce inascoltato nella bacheca attendendo momenti migliori (cioè quando magari avrà valore sul mercato). Ovviamente già molti l'hanno incensato come ennesimo capolavoro: potremmo da questo cominciare a interrogarci su quanti anestesisti lavorino nel mondo del giornalismo musicale, metti che ci serva della drogaina… Peccato perché la copertina è in effetti molto bella.
ANAFRANIL UNA BIRRA E UN SYNTH

AA.VV.
Mono No Aware
(PAN)

Sabbie mobili che ti intrappolano e ti trascinano nel buio, mentre qualcuno ogni tanto ti dà anche qualche bastonata con una mazza di metallo, alternate a momenti di pacificazione. Sono più o meno queste le sensazioni che si provano ad ascoltare la prima compilation pubblicata dalla PAN, etichetta berlinese vera e propria protagonista dell'elettronica degli ultimi anni (nel suo catalogo Morphosis, Valerio Tricoli, Lee Gamble, Rashad Becker, Objekt…). In questo caso, tra i nomi presenti nei sedici brani che compongono il doppio LP, ci sono ADR, HELM, Yves Tumor (autore di una delle tracce migliori e dalle atmosfere più sognanti), il formidabile M.E.S.H. e il fondatore Bill Kouligas. Mono no aware significa il pathos delle cose, o anche sensibilità per ciò che è effimero; non sappiamo quanto resterà nel tempo di questa compagine che negli ultimi anni sta un po' monopolizzando certi discorsi, ma di sicuro questa ne è una testimonianza molto significativa e, in modo non meno importante, anche caratterizzata da una certa bellezza.
PAN-Z-1

NARGAROTH
Era Of Threnody
(Inter Arma)

Otto anni. Otto lunghissimi anni. Otto anni senza un nuovo disco di Nargarutto. Otto anni felici. Poi dal niente lui decide di tornare, di cacciare l'ennesima menata da 60+ minuti basata su un riff di chitarra, di stracciare i maroni al mondo con l'ennesimo downtempo trve kvlt. Kanwulf, o Ash o come si farà chiamare stavolta, è di nuovo tra noi, e non è cambiato niente. Il mondo continua a fare schifo, la vita continua a fare schifo, Nargaroth continua a fare schifo. Quel suo wannabe depresso, con titoli come "Love Is A Dog From Hell" che manco un quattordicenne, o velleità poetico-latiniste come "Epicedium To A Broken Dream", manco lui un epicedio l'avesse mai letto. E gli arpeggini, quegli arpeggini sentimentaloni, che vorrebbero farti vivere la sofferenza, ma non ce la fanno. Perché in fondo René Wagner è buono, è attivo nel volontariato, fa beneficenza e in buona sostanza è ben lontano dallo stereotipo del metallaro intransigente che ce l'ha con l'umanità. Gli si potrebbe quasi voler bene, non fosse che la sua musica è pessima e lui ci crede un casino.
IST. KRIEG

GAZZELLE
Superbattito
(Maciste Dischi)

Il problema non è Calcutta ma il fatto che si siano create le condizioni per una stagione di cloni. Narra la leggenda che il tizio in questione abbia girato un po' tutte le chiese possibili in cerca dei produttori dei dischi indie più forti degli ultimi anni e delle loro etichette, ma che abbia trovato solo porte chiuse. Ciononostante è riuscito a fare un disco ben prodotto e che sembra confezionato esattamente per essere venduto (o meglio per vendere ingressi ai concerti, che quanto si vendano i cd lo sappiamo tutti) a chi sta aspettando un nuovo disco di Calcutta - la somiglianza infatti, tra testi, voce e modo di cantare, è al limite della parodia. Si è anche fatto costruire un'estetica ben fatta per funzionare su quello stesso pubblico, e il disco ha i giusti accorgimenti per suonare un po' più piacevolmente cazzone di quello di altri colleghi. Purtroppo però le canzoni si dimenticano dopo mezzo ascolto, e non salvano un prodotto così drammaticamente privo di personalità.
SUPERPACCO

PITBULL
Climate Change
(Mr. 305 / Polo Grounds / RCA)

Quando quest'estate sarete in vacanza, tornerete a casa e i vostri amici del paesello vi porteranno "a ballare in questo posto bellissimo sulla spiaggia, c'è il traghetto per arrivarci che parte diretto dal porto e viene solo trenta euro e se facciamo tavolo c'è lo champagne compreso centocinquanta a testa e abbiamo acchittato la serata dai che c'è pieno di figa," sarete probabilmente 1) scazzati per i soldi che state per spendere 2) scazzati perché ormai quando volete ballare se non c'è almeno un live set di Moritz von Oswald manco vi viene voglia di uscire di casa 3) troppo poco ubriachi per divertirvi. Arriverete nel posto, con l'unica camicia bianca che vi siete portati a dietro per l'occasione, e comincerete a guardare il cellulare mentre il DJ sparerà in fila "Vorrei ma non posto," "Titanium" e "Turn Down for What." Ma a un certo punto una vibrazione primordiale vi farà alzare il culo da quel divanetto in pelle bianca: sarà una voce latina su un ritmo reggaeton a scatenarla. Vi dirà di sentirvi liberi, di divertirvi, di alzare le mani al cielo, di smetterla di fare i presi male e fare le persone normali per una cazzo di sera. La ascolterete, la voce di Pitbull, e vi divertirete come non facevate da anni. Tutti vi daranno le pacche sulle spalle. Salterete, abbracciati ai vostri amici. Vi apparterete con una ragazza acqua e sapone a fine serata, lontani dalla cassa in quattro che continuerà a far vibrare la sabbia. Vi sveglierete il mattino dopo con la frase "We were born to be free" tatuata sul braccio, e sarete pienamente convinti della vostra scelta━ Climate Change di Pitbull ancora a riverberarsi nelle vostre orecchie.
THE PRIEST OF THE TEMPLE OF SYRINX

WOLF EYES
Undertow
(Lower Floor Music)

I Wolf Eyes sono tornati. O meglio, sono tornati dei loro cloni lavati stirati e incamiciati dopo aver fatto una centrifuga in una lavatrice fricchettona. Addio alle bordate di potenza/prepotenza, addio a quei riti orgiastici che tanto ci piacevano. Qui invece hanno improvvisamente comprato un disco dei N.A.D.M.A. o roba simile e hanno deciso di rifarlo male, ben tornati anni Settanta e, tanto per restare nel nostro Bel Paese, daje di Telaio Magnetico smagnetizzato. Una roba che veramente incominci a pensare che ingerire troppa droga a volte ti faccia suonare col culo anziché ampliare lo spettro delle cose. Poi quei brani parlati no, dai, ma chi siete? I New York Art Quartet dei ricchi? Speriamo che nel prossimo capitolo i nostri si concentrino sui dettagli, che sono l'unica cosa interessante del disco (l'ultimo brano, a parte la voce trituramaroni da spoken word che fanno oramai cani e porci e gli effetti scrausi pigliati dal robivecchi anni Ottanta, poteva dare speranze): nel complesso è però da tempo che stanno sparando a quaglie già morte. Colpa dell'LSD che non ti fa vedere dove cazzo miri?
ORIZZONTI PENNUTI

THE MOONLANDINGZ
Interplanetary Class Classics
(Transgressive)

Una volta stabilito che non abbiamo nulla in contrario alla simpatica arroganza e idiozia di questa concept-band, nata come creatura immaginaria all'interno di un disco degli Eccentronic Research Council e sviluppata insieme a quei due tamarri pieni di crack di Lias Saoudi e Saul Adamczewski dei Fat White Family, possiamo toglierci la soddisfazione di dire che questo disco è una delusione. Alcuni pezzi fanno sicuramente muovere il culo, alcune sparate strappano una risata, ma con tutti i proclami sul fatto di venire dallo spazio ed essere i grandi salvatori del rock cosmico e non cosmico, di unire lo swagger alla sperimentazione, chiunque abbia ascoltato più della playlist del giorno su Spotify non può che roteare gli occhi. Senza dubbio sono l'unico gruppo che offre questo frullato di polvere di stelle e fluidi organici al grande pubblico, ma messi a confronto con, tanto per fare un nome, Timmy Vulgar e i suoi Organism o soprattutto gli Human Eye sembrano una band di liceali. 
MARS ATTACKS SS

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Guarda DJ Jad degli Articolo 31 che ti spiega la trap

$
0
0

DJ Jad per chi non lo sapesse è stato metà degli Articolo 31 e ha fatto la storia del rap italiano, quindi ha probabilmente una conoscenza della materia superiore alla mia e alla tua che stai leggendo. Immagino sia la consapevolezza di essere un grande cultore della materia ad averlo spinto in questo piccolo vlog in cui spiega quanto sia facile fare la trap, con tanto di dimostrazione pratica con tanto di ritornello originale: "Voglio andare a giocare con la palla / con la palla al parco".

Be', qualunque sia stata la causa scatenante: il risultato è una hit a cui regalerei senza problemi almeno 0,07 centesimi corrispondenti a 4 riproduzioni su Spotify. Quindi per me è SÌ: Jad puoi saltare sul carro e fondare gli Articolo 777, e se ti serve una metà con la passione per il microfono e le sit-com americane, fammi un fischio.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.

Abbiamo chiesto a Dargen D'Amico di mettere in classifica i suoi stessi dischi

$
0
0

Rank Your Records è la serie di Noisey in cui chiediamo a musicisti di ripercorrere la loro carriera mettendo i propri album in ordine di preferenza.

Jacopo D'Amico, in arte Dargen, fa musica praticamente da diciotto anni. Di solito nello stesso lasso di tempo passiamo dall'essere sacchetti di carne che si sbavano addosso a essere uomini più o meno formati capaci, secondo le regole della nostra società, di intendere e di volere. Tendenzialmente noi esseri umani abbiamo l'abitudine di tenere i nostri primi anni in una simpatica teca di vetro nel museo dei nostri bei pensieri, mentre bestemmiamo perché gli anni vanno avanti e ci rendiamo conto che ormai non possiamo più sbavarci—e men che meno cacarci—addosso senza causare scompiglio e disagio in chi ci circonda.

Nella musica questo fenomeno del pensiero si palesa in modo ancora più forte, per cui se scopriamo un artista dai suoi esordi ci attacchiamo come patelle a quei pezzi e tendiamo a disaffezionarci sempre più dai tentativi del suddetto di fare—giustamente—un po' quello che gli pare. Dargen fortunatamente ha un sacco di fan che lo seguono indipendentemente da ciò che esce dal suo cervello, ma all'interno del suo pubblico la branca Musica senza musicisti x Di vizi di forma virtù sono i migliori album di sempre è comunque piuttosto folta. Il caso ha voluto che ci è venuto da intervistare Jacopo sui suoi stessi album più o meno preferiti proprio nel momento in cui sta per pubblicare Variazioni, un album in cui si guarda indietro e rilavora, per voce e pianoforte, brani del suo passato e li mischia con idee nuove—tra cui un ottimo pezzo intergenerazionale con Izi, Rkomi e Tedua, "Il ritorno delle stelle".

"Forse è l'album che mi ha reso un immagine più completa di quello che avevo fatto fino ad oggi," mi dice Dargen di Variazioni prima di cominciare ad andare indietro negli anni. Non siamo arrivati al 1999, ma abbiamo comunque parlato di "come il tempo è galantuomo, ti fa notare solo i pregi."

9. Vivere aiuta a non morire (2013)

Noisey: Devo ovviamente chiederti come mai cominciamo da qua.
Dargen D'Amico: Lo vedo un po' confuso. Non trovavo nella musica un'effettiva valvola di sfogo, che è quello che mi porta a farla. Quindi ho pochi ricordi di quel disco, ci sono meno affezionato da quel punto di vista. Poi ci sono brani che mi piacciono molto, come "V V" e "L'italia è una", che è uno dei pezzi che piace di meno a chi mi segue. 

Come mai proprio questi? 
"V V" perché quando hai un'idea di un brano poi devi tradurla nella realtà, quindi spesso ti allontani molto dall'idea che avevi in partenza. Immagini una canzone ed è sempre bellissima, poi ti devi scontrare con la realtà e quindi con te stesso, i tuoi mezzi e le tue capacità. Invece "V V" me l'immaginavo così ed è venuta così. Fatta da me, anche la produzione, quindi è stata una cosa molto istantanea. Poi mi piaceva molto il videoclip, di Napo e di Silvio, quindi forse è anche per questo. Già il fatto di non partecipare al video di una tua canzone è una cosa bellissima. 

Cosa che nel video rap si vede poco. 
Si vede poco, purtroppo, perché in qualche modo il video è l'uscita pubblica, come quando esci di casa, vai a trovare una persona. Quindi vogliono che tu ci metta la faccia. È una regola del gioco.

Comunque volevo dirti una cosa, su "L'Italia è una". Mi sembra che su Vivere aiuta a non morire tu abbia portato a un estremo entrambe le tue due anime, quella più caciarona (vedi "Bocciofili" e "Il cubo") e quella più riflessiva sulle cose del mondo (appunto "L'Italia è una", o "È già", "Il presidente"), rendendole quindi un po'... disconnesse? 
"Il presidente" la metterei insieme a "Bocciofili", da un certo punto di vista, perché è comunque leggera. È un po' quello che ti sta facendo la morale, è una roba spiccia comunque. Anche perché poi "Bocciofili", sempre scherzando, ma in realtà sotto non è esattamente quello che appare. Non è immediato forse, ma non è una fotografia del video, la canzone. Intanto non sono io che scelgo di fare delle cose leggere vicino alle cose pesanti, è la vita che è così. Se in un momento sento la necessità di fare un brano più leggero lo faccio, è così che la vita mi ha educato. Per me sono pezzi assimilabili, ma il mio punto di vista è distorto, troppo vicino ai brani. 

Ti dispiace che su "Bocciofili" non si sia andati oltre lo strato superficiale? 

Ma era una cosa anche giusta. Quel brano è nato per gioco. Universal non lo voleva, voleva che facessi le mie cose. Quello è più pesante degli altri da un certo punto di vista, magari era una cosa che non ti aspettavi in quel momento. Io dalle canzoni, e ti parlo della mia esperienza personale, trovo sempre quello che cerco. Se tu trovi che sia una canzone leggera è perché stavi cercando qualcosa di leggero in quel brano. Se sei una persona che tende ad andare oltre il primo significato, andrai oltre il primo significato. È un brano che comunque mi diverte, ringrazio Fedez e Mistico per averlo fatto con me.

Ti dico che io tuttora la uso come party starter alle feste e non fallisce mai.
Ma sì, poi chiaramente col senno di poi, dopo che Fedez è esploso, magari se fosse stato ai livelli in cui è adesso avremmo fatto un altro brano. Sarebbe stata molto più ovvia da fare. 

Venendo da Nostalgia Istantanea, perché scegliesti di fare un album così collaborativo?
Dal punto di vista umano, in quel periodo incontravo tantissime persone che lavoravano nella musica ed ero molto più ricettivo da quel punto di vista. Naturalmente quando avevo a che fare con persone che mi interessavano e piacevano artisticamente era naturale vedersi in studio e fare qualcosa. Era un po' l'idea di quel disco lì, collaborazioni e sfaccettature diverse. Venivo da due brani totalmente da solo, ma in tutti i sensi, senza neanche la compagnia di un ritornello. È bello stare con me stesso ma dopo un po' mi vengo anche a noia. 

8. Musica senza musicisti (2006)

Come penultimo metterei—e qua verrò un po' insultato—Musica senza musicisti.

Ti fa strano il fatto che MSM sia considerato un  classico nella tua discografia? 
Chiaramente se vogliamo parlare del fatto che fosse innovativo, che faceva delle cose in un certo modo che nessuno aveva mai fatto—questo lo posso capire. Capisco che abbia dato un input nuovo, che potevi fare il rap in un certo modo, tutto quello che vogliamo. Però poi effettivamente è un disco che ho fatto quando ho deciso che volevo rimettermi a fare qualcosa, ma io non l'avrei neanche fatto uscire. Fu Francesco [Gaudesi] a convincermi a buttarlo fuori. È un album nato per non essere ascoltato, dal mio punto di vista, e quindi riesco a separare le due cose. Sì sono d'accordo sul fatto dell'innovazione—non c'erano le batterie e non c'erano i ritornelli, cose ancora strane per l'epoca, ma non c'erano perché non mi venivano. Non era una scelta di rottura. Poi sai, molti erano tentativi, no? Tornavo a casa la sera, mi veniva un'idea, mi mettevo lì la notte, provavo, il giorno dopo registravo la cosa e magari non portavo avanti il brano. 

Quindi anche la natura frammentaria del disco non è ragionata ma naturale.
Assolutamente. Non è replicabile, ecco. 

Che cosa ti aveva spinto a scrivere dei mini-racconti così crudi come quelli di "Quando la linea della vita risulta occupata" e "Sqdr G7"?
In realtà è solo storytelling, pratica tipica del rap, raccontare ritmicamente con le parole delle immagini—che poi è una cosa che faccio anche in "Cambiare Me". È quella cosa lì: chiaramente cambia il vestito, e quindi anche l'interpretazione. È cambiata l'ambientazione, la musica, ma io non riesco a vedere come le cose non siano collegate. Poi quando sei tra te e te magari puoi permetterti di raccontare le cose in un modo che capisci tu e gli altri non comprendono, non riesci a rendere questa sensazione quando hai il sospetto che ci sia anche solo una persona dietro che ti guarda. 

Come venne percepito Musica senza musicisti all'epoca?

Male. Funziona sempre così con i dischi, anche con l'LP delle Sacre Scuole. Quello uscì nel 1999. Poi non ho più fatto rap per un sacco di anni finché non ho ricominciato, nel 2004, per Musica senza musicisti e in quattro anni in cui non avevo seguito la scena era passato dall'essere un dischetto così a un album andato fuori stampa. Il tempo è sempre galantuomo, ti fa notare solo i pregi. In realtà devo dire che le cose sono cambiate quando MSM e Di Vizi di Forma Virtù sono stati presi in considerazione da persone che non ascoltavano rap. 

Possiamo dire che... 
Sì, diciamolo!

Diciamolo! Possiamo dire che "The Sleepy Molotov (Analità Universale)" è un punto focale di quell'album? A livello personale, lo identifico molto con te. 
Sì, ed era anche diverso da tutto quello che c'era in un disco che era già diverso. Poi chiaramente non è solo il discorso letterale che ha importanza ma era anche molto metaforico e legato al modo di fare l'album. Io sono sempre stato abituato a cercare i significati "altri" nelle canzoni, quindi andare oltre. Purtroppo, o di conseguenza, i miei brani possono essere visti da diverse prospettive, a volte quasi in opposizione l'una con l'altra. Lì c'era un significato della storia letterale e un significato metaforico anche più etico e legato alla musica. 

Io l'ho percepito come un discorso sull'accettazione di sé.
Certo, di sé e degli altri, sì sì.

7. Nostalgia istantanea (2012)

E al terzultimo posto abbiamo Nostalgia.
È stato un disco utile per me, ma poi... è rimasto alquanto legato semplicemente al momento. Nostalgia è un disco che mi interessa, a vederlo così, anche se non ti nascondo che non l'ho mai più riascoltato. Però lo sento particolarmente legato alla curiosità che avevo per qualcosa che non avevo mai fatto, che poi è anche diventato un disco. È esattamente quello che vedi, una persona che vuole vedere cosa succede se lascia correre i pensieri e poi li mette sulla musica. 

Quindi non c'era stato un processo di scrittura e riscrittura, avevi lasciato progredire tutto in modo casuale e naturale? 
No bé, effettivamente quello che dicevo del brano, cioè lo scrivere la mattina appena sveglio e la notte prima di addormentarmi, è esattamente quello che è successo. Poi chiaramente nel momento in cui interrompevi, nella sessione successiva, decidevi dove riprendere. Ma non andavo a modificare l'essenza di quello che era stato scritto, era quello il treno di pensieri. L'unica regola era rimanere nello spazio del lato di un vinile e fermarmi quando mi sembrava che il discorso poteva essere interrotto. Chiaramente mi poteva incuriosire il fatto che fosse una cosa che non era stata fatta, tutte queste puttanate, ma è il processo che ha fatto nascere tutto. 

Hai mai il dubbio che qualcuno possa averlo preso e mai ascoltato tutto?
Sì guarda, ringrazio sempre perché ho questo bellissimo ricordo di quando era uscito che persone che mi seguivano acquistarono il vinile dicendomi, "Guarda, io questo disco qua ora come ora non lo capisco, però stai facendo un percorso, io lo sto facendo con te, quindi mi fido."

Avevi definito l'argomento di quell'album "Enciclopedio", facendo un bel calembour.
Sì, è una minchiata.

Una minchiata? 
No, no, no! [Ride] Ti ripeto, quando hai quegli attimi in cui ti sembra che le cose si chiariscano per un secondo e totalmente, spesso la cosa coincide con i cortocircuiti dei giochi di parole. Se scelgo di utilizzarli, e nella vita mi capita molto, è perché voglio lasciarli correre. Quando ti capitano queste cose dici, effettivamente è sinonimo di tutto quello che sta succedendo nelle lavorazioni di questo disco. Quindi può essere o una minchiata o esattamente quello che cercavo, ma mi è venuto completamente a caso. 

6. Balerasteppin (2011)

Al sesto posto metterei il disco dei Macrobiotics, il mio progetto con Nic Sarno. 

Sai che non mi ero preparato domande, sui Macrobiotics? Lo consideri un "tuo" album? 
Sì! Lo considero un mio album perché è un lavoro che mi aveva molto preso al tempo, con Nic. Inizialmente poteva sembrare un divertissement, cioè l'idea che il vestito facesse tutto, quindi potevi prendere un brano di Laura Pausini e se l'avessi rappato io sarebbe diventato un brano con la cazzimma, però poi effettivamente era stato educativo, per me, il fatto di prendere testi di altri e rimodularli su musiche contemporanee, farli diventare altre canzoni. 

5. CD' (2011) 

E siamo a CD' che, personalmente, vedo come il tuo momento più "emo", e quello a cui chi è più cinico riesce ad affezionarsi di meno. 
Sicuramente è un disco che nasce per essere un canzoniere d'amore, quindi più che "emo" direi "amo", direi che è un disco molto amo. Poi sì, anch'io scherzavo sulla cosa dell'emo rap, perché era una cosa che non esisteva nel 2010. Un periodo veramente distante da quello in cui siamo adesso, dove i rapper americani possono vestirsi da donna. Giocare su quello mi interessava. Dentro c'è "Malpensandoti", che è un brano a cui sono molto affezionato. C'è "Briciole colorate", che era poi quello che ho fatto in Variazioni, cioè mettere assieme musica alta-barra-altra con la mia scrittura, e da quel punto di vista è un po' a metà tra quello che c'era prima e quello che sarebbe venuto dopo. Non so, io ci sono appassionato. 

E c'è da dire che ha tirato fuori diversi tuoi mini-classici, da "Odio volare" a "Bere una cosa" a "Ma dove vai (Veronica)". Ed era molto ben calibrato, con pezzi anche più lunghi e strani, tipo "Anche se il mondo ha."
Esatto, è vero. "Anche se il mondo ha" è uno dei miei brani preferiti, per quanto riguarda la produzione in particolare.

Io mi chiedo costantemente perché "Orga(ni)smo (Uni)cellulare" non è diventata una tua hit clamorosa, ché a me dà una gioia immensa ogni volta che la ascolto. 
Sai che non lo so? Forse anch'io non l'ho mai presa sul serio perché è una canzone nata in freestyle, molto giocosa. Poi era mezza rappata con l'autotune, che adesso è una cosa normale ma devi sempre rapportarla al periodo in cui è venuta fuori. Forse sono stato io a sottovalutarla, anche! 

4. Di vizi di forma virtù (2008)

Qual è la tua percezione di Di vizi di forma virtù, oggi? 
Di vizi è, diciamo, Musica senza musicisti—però nel momento in cui ho scoperto che ci fosse qualcuno che, per quanto potesse sembrarmi strano, faceva i miei stessi pensieri, aveva la mia stessa percezione della musica e della scrittura. È la continuazione di quel percorso lì, è un periodo che ricordo come molto piacevole della mia vita. Scrivevo tantissimo, e i periodi in cui scrivi tanto sono sempre i più belli. Anche per il rapporto con i Two Fingerz, suonavamo assieme e ci divertivamo tantissimo. C'era di tutto, era il periodo pre-Crookers, c'erano delle cartelle dei Crookers dentro... "Low Cash", "Alì il thailandese". Era un periodo, in Italia, molto creativo. C'erano i Bloody, Fabri che faceva le sue robe. Un bellissimo periodo. 

A riascoltarli adesso che effetto ti fanno pezzi così diversi gli uni dagli altri come quelli a flusso, tipo "Tra l'Italia e San Marino" o "Arrivi stai scomodo e te ne vai" e quelli più zarri tipo "La banana frullata"?
"La banana frullata", che è anche quella stata rivalutata in tempi recenti, è nata mentre io stavo andando da Phra, che stava al lago, e io ero fermo a un Autogrill. L'ho chiamato e gli ho detto di preparare una produzione bouncy di quelle che facevano loro, ed è nata così. Poi non era la prima cosa ballabile che facevo, anche in Musica senza musicisti c'erano delle cose con la cassa dritta che avevo prodotto io, c'era un "Salendo sempre più (Dentro te)", cose più ritmate. Invece di "Arrivi stai scomodo e te ne vai" ti dico, a me piace: l'ho anche rilavorata nel disco perché ho scoperto nell'ultimo anno che le persone erano molto affezionate a quel brano, ci vedevano cose che io non ci vedevo. Quindi mi incuriosiva rifarlo. E ci sono brani che ho fatto e poi totalmente abbandonato come "Tra l'Italia e San Marino", che ha poi smesso di affascinarmi. 

Ti dà fastidio il fatto che Di vizi sia considerato IL tuo classico? 
Bé, sì. Cioè, capisco perché. È sempre una cosa relativa a quando è uscito, però se ne parli con gente che non ha vissuto quel momento secondo me non capisce perché dovrebbe essere questo il mio classico. Io non vorrei neanche ci fosse un mio classico, mi sento in un percorso, capito? Non posso accettare l'idea che ho fatto una cosa che rimarrà... in questo momento non vorrei aver fatto niente che rimanesse al di fuori di tutto quello che ho fatto. Comunque parliamone bene, di Di vizi, che è un disco molto da ultras. 

È stato questo il periodo in cui la percezione di quello che facevi ha iniziato a cambiare?
La cosa cominciò con Zingales di Blow Up, che per Di vizi mi diede una copertina. E lì mi sono accorto, facendo interviste con persone che non appartenevano al rap, che capivano delle cose dei miei dischi che quelli che appartenevano al rap non capivano. Quindi mi sono detto, "Cazzo, allora posso fare questa cosa tranquillamente, c'è qualcuno che riesce a capire!" Purtroppo il pubblico rap, soprattutto in Italia, fa molta fatica a mettere due o tre pensieri uno dopo l'altro concretamente. Sai che si può fare questo, sai che si può fare quello, sai che si può fare quell'altro, ma non riesci a collegare le tre possibilità. Se nel rap decidi di fare più cose, di far comunicare dei vasi, le persone entrano in auto-protezione. Nel rap devi fare una sola cosa, credono. Ovviamente chi vive la cosa dall'esterno, con la curiosità di un appassionato di musica che vuole capire che direzione sta prendendo la musica italiana e non resta in superficie, ci si approccia diversamente. 

E in questo senso il tuo pezzo con Izi, Rkomi e Tedua si qualifica, credo, come punto d'incontro tra i "questo", "quello" e "quell'altro" che dicevi.
Quello è un problema anche di miopia degli ascoltatori, perché i ragazzi nel brano hanno fatto la loro cosa e sono stati molto disponibili a spostarsi in un mondo diverso rispetto al loro. Ma hanno spaccato, non puoi dire che hanno rovinato un brano o che io ho costretto loro a far qualcosa. Ascolta la canzone, è un buon brano rap. Punto.

3. L'ottavia (2014)

Sai che L'ottavia sul podio non me lo sarei mai aspettato? Anche perché è passato un po' in sordina.
Sì, è stato anche un disco che è uscito solamente per chi acquistava il cofanetto... quindi forse è un po' poco rispettoso metterlo qua...

Ma importa quello che significa per te.
Esatto! Era un disco in cui riprendevo idee che avevo lasciato per strada—perché io non sono uno che prepara cento canzoni per fare un disco. Veramente, faccio solo quello che sento essere necessario, quindi magari lascio un brano fuori. Però tutto il resto prima lo concepisco in testa, più o meno so già come dovrà essere e lavoro per arrivare il più vicino possible all'idea che ho io del brano. Lì invece avevo preso delle piccole idee, delle piccole cose, e alla gente piaceva pensare che fossero già brani che erano stati fatti al tempo e abbandonati ma in realtà non era vero. Ero stato molto chiaro, ma dato che suonavano più vecchi a tutti è piaciuto pensare fossero più indietro. Per me è molto facile fare i brani di Dargen, non so come dire, vecchio, nuovo—se voglio fare quella cosa lì, posso farla. 

Mi era piaciuto perché dopo che avevo fatto D'io avevo avuto del tempo in cui mi ero messo lì a riprendere le idee, avevo ripreso il setup di produzione sul computer che utilizzavo nei dischi precedenti, quindi avevo riaperto un piccolo portatile per metterci su i programmi che giravano su Windows... capito? Molto stuzzicante, da quel punto di vista. E poi, anche se c'erano strofe nuove e strofe vecchie è difficile anche per me capire cosa appartenesse al passato e cosa avevo prodotto in quei tre, quattro mesi in cui avevo lavorato al disco. E questo mi diverte e affascina, perché me è tutto un tutto unico. È veramente la ricerca dell'uno—e qui arriviamo al secondo disco. 

2. D'io (2015)

Secondo disco che, per esclusione, è D'io.
Vedi che le cose non vengono per caso? Per me è il disco che, quando scrivevo, partivo senza sapere come sarebbe andata a finire. Non so, continuavo a pensare, e anche nella scrittura dei brani senti ancora tanto il fatto che continuassi a oscillare tra me e la ricerca di qualcosa. Che poi è il titolo, per cui per quanto ci fosse il gioco sull'apostrofo e tutto, e stesse tutto bene, vale il discorso dell'enciclopedio di cui parlavamo prima: trovi la cosa che è esattamente al posto giusto nel momento giusto. Ci sono dei brani che sono venuti, secondo me, meglio di quello che mi aspettavo a livello di scrittura, si sono quasi scritti da soli.

Per esempio?
"Modigliani", sicuramente. È un brano che ho cercato di scrivere per un sacco di tempo, mi ero preso un mese addirittura per scriverlo, ero andato in Islanda e non avevo scritto nulla. Invece poi nel momento in cui mi è partito qualcosa si è scritto da solo. Ma anche "L'universo non muore mai", "Essere non è da me": sono quei brani lì che... non saprei dire quello che è successo ma erano già lì così, e quando succede non puoi ringraziare, perché non è sempre così. Non esiste questa cosa per cui chi scrive una canzone ne può scrivere subito altre simili, non c'è niente di meccanico. E quando ti accorgi che qualcosa avviene in fretta, scrivi il brano e ha senso ed è vicino come te lo aspettavi... 

Ci sono dei brani che, secondo te, non sono stati sottolineati o notati come ti saresti aspettato?
Un brano che magari non in molti si sono cacati ma che a me piaceva molto, anche per tutto il concetto che c'era dietro, è "Parenti."

Secondo me è uno dei brani in cui sei più tu, sai? Perché è davvero un brano di comunanza, mondialista, radicale. 
È un brano iperrealista direi. Ma nessuno mi ha mai detto, "ma "Parenti"..."? È come "L'Italia è una", sono brani che dal mio punto di vista hanno molto senso di esistere perché per me sono delle chiose di un periodo e di una visione, ma risultano poco interessanti per chi mi ascolta. "Parenti" è un brano più programmatico degli altri, volevo fare quella cosa lì. "Modigliani" invece è un brano, come si sente dalle strofe, nato da blocchetti usciti così. 

1. Variazioni (2017)

E il disco migliore è sempre l'ultimo che si è fatto.
Effettivamente fare un disco non è un gioco, anche se sembra non è così facile come può sembrare, scrivere delle canzoni, fissare dei momenti, capire che cosa deve entrare e cosa no. Certo, può essere anche molto automatico in certi punti, ma ti trovi a capire che dietro a una scelta c'è molto altro e ti dici, "Forse è quella che va fatta." È un processo creativo—nel senso letterale, di creazione—per cui ogni volta rimani impressionato. E quindi l'ultima volta che è avvenuto quel piccolo miracolo, è chiaro che per te significa qualcosa. Perché è il ricordo più fresco. E poi ti dico che sono riuscito veramente, lavorando a Variazioni e rileggendo alcuni brani, a capire alcune cose che avevo fatto in precedenza e avevo un po' sottovalutato o abbandonato.

La rilavorazione dei tuoi vecchi brani è quindi da leggersi in questo senso.
Per dirti: "Prendi per mano" era un brano che avevo fatto in un EP e poi non mi piaceva, e quindi non avevo messo in CD'. Forse avevo un problema con la coda finale, e quindi non l'avevo messo. Poi però l'ho riletto e non era male, non so perché mi ero chiuso su questa cosa. Veramente è stato, forse più degli altri, un percorso di analisi. Fare il punto della situazione, il tuo passato, dove sei adesso. Il mio sogno è che tu ti prendi questo disco, te lo ascolti e non capisci quello che è venuto prima e quello che è venuto dopo. 

Certo, ha una visione d'insieme di tutto quello che hai fatto. 
Questo era il mio ideale a cui pensavo mentre facevo il disco. Mi sono reso conto che tutto appartiene a un'unità, e quindi questa è una chiusura di un cerchio. Non so cosa succederà dopo. Ma so che Variazioni è l'album che mi ha reso un'immagine più completa di quello che avevo fatto fino ad oggi.

Variazioni esce domani per Giada Mesi / Universal. 

Segui Elia su Twitter: @elia_alovisi
Segui Noisey su Facebook e Twitter.

Altro su Noisey: 

Dargen D'Amico odia le interviste

Guida ai migliori skit del rap italiano

Gli italiani hanno davvero capito il rap?

Viewing all 3944 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>