Capibara è di Roma e fa il producer più o meno dal 2013. Venerdì scorso ha pubblicato per La Tempesta Omnia, il suo nuovo album. È un'opera grandiosa, proprio nel senso che punta a una grandeur architettonica molto ambiziosa, un disco lungo, stratificato e di grande varietà. Tra una traccia e l'altra, ma anche all'interno della stessa traccia, si rischia di sentire il dub mescolarsi alla house e suoni ambient a ritmi latini. L'ascolto dell'album dall'inizio alla fine è un viaggio lungo un'ora e un quarto in cui ci si perde, trasportati in paesaggi artificiali che vanno dal pacifico scenario naturale alla giungla urbana al dancefloor.
Quello che segue è il racconto di una chiacchierata di mezzora durante la quale abbiamo riso molto e parlato di stare chiusi in casa a guardare anime e giocare ai videogiochi, ma anche di come funziona la natura umana e di come impedire che l'abbondanza di informazioni ci trasformi in zombie.
Parlami un po’ del fattore estetico del disco, le grafiche. Che cosa c’è dietro?
Per quanto riguarda tutto quello che ha fatto Karol [Sudolski] è stato tutto molto veloce, nel senso che ci siamo capiti subito. La copertina preferisco sempre curarmela da solo, e mi è piaciuto cercare di andare in una direzione diversa dal lavoro di Karol, per creare un contrasto. Così fuori c’è questa copertina tutta bianca, un po’ “povera”, e dentro invece le grafiche ricchissime di Karol.
Qualche anno fa sarebbe stato stranissimo trovare un disco come il tuo sul catalogo de La Tempesta Dischi. Com’è nata la collaborazione?
È stata una cosa molto naturale e graduale. Stavo ultimando il disco, Molteni l’ha sentito e si è detto interessato, e siamo andati molto d’accordo fin da subito. Il lavoro è andato avanti in maniera molto naturale. Come dici tu, qualche anno fa sarebbe stata una collaborazione strana, ma da un po’ di tempo a questa parte, con Populous, Yakamoto Kotsuga e Myss Keta, hanno portato avanti un discorso che si avvicina molto alle mie idee. Certo, il suono “classico” de La Tempesta è diverso ed è quello che li ha portati a essere quello che sono, ma non ci vedo nulla di male ad ampliare gli orizzonti.
Del resto dal mio osservatorio privilegiato posso constatare che è un momento nella musica in cui tutti fanno un po’ il cazzo che gli pare, che è un fatto molto positivo a mio parere.
Siamo in un momento in cui non ci sono confini né barriere per le persone, per le idee, per le informazioni; figurarsi se si possono mettere confini o barriere all’arte.
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