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La storia della canzone italiana è una storia d'amore

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Probabilmente ne avrete intravisto la copertina verso fine settembre, sulle bacheche dei vostri contatti che "ne sanno", giornalisti o musicisti che fossero; o magari ne avrete letto dei passaggi qualche settimana dopo, direttamente da qualche amico che la musica proprio no, che ad andar bene è fermo a De Gregori. È questa la forza di Romantic Italia - Di cosa parliamo quando cantiamo d'amore (283 pagine per Minimum Fax): è un libro di musica, sì, ma trasversale. Raccoglie 80 canzoni "d'amore" italiane disseminate in sessant'anni di storia, ciascuna spiegata in un capitoletto da 4-5 pagine. Si fa principalmente riferimento ai testi, nel libro (anche se poi di musica si parla eccome, perché sarebbe miope scindere i due aspetti), ma alla fine tutto diventa quasi un pretesto per raccontare l'Italia pop, la canzone d'autore, e come negli anni siano cambiati lo storytelling d'amore, i riferimenti culturali e la nostro memoria collettiva, fra Battiato, Celentano e i Baustelle. A volte ci sono passaggi à la Italian Folgorati, altre si restituisce dignità ad artisti snobbati; spesso, semplicemente, si affronta Liberato con la stessa passione di Mina, Carboni con la cura di De André.

L'ha scritto Giulia Cavaliere, che la terza di copertina ci passa come critica al servizio de Il Mucchio Selvaggio, Rolling Stone ed Esquire, fra gli altri. Difficile, però, renderle giustizia solo così: per chi non lo sapesse, Giulia è una delle massime esperte di musica italiana, una che non ha problemi a parlarti di Jovanotti come di Battisti, solo con la forza della ricerca, dell'onestà intellettuale e di un'analisi maniacale. Va da sé, allora, che Romantic Italia costituisca un tentativo di ridare davvero alla nostra musica a 360 gradi. Ho pensato potesse essere una bella occasione, allora, parlarne direttamente con Giulia, per definire un genere - il pop italiano - che forse sottovalutiamo un po' troppo, e per cercare di capire in che direzione sta andando la canzone d'amore.

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Vasco Rossi, foto via Wikimedia Commons, cliccaci sopra per ascoltare "La nostra relazione" su YouTube.

Poi c'è anche Vasco Rossi, che secondo me è un altro sottovalutato: tu lo chiami in causa con un pezzo come “La nostra relazione”, una canzone che usa l’amore come pretesto per raccontare milioni di condizioni esistenziali con una semplicità disarmante...
Ho messo pochissimo Vasco Rossi e me ne sono pentita, ma d’altronde è così che è andata, non potevo mettere tutto tutto e ho dovuto fare delle scelte, per esempio in questi giorni sto riascoltando molto il suo live Va bene, va bene così dove appunto c’è questo pezzo extra, la title track e mi dispiace molto non averla inserita, non solo perché veramente credo che sia uno dei brani d’amore più interessanti della canzone italiana ma perché racconta un istante dell’amore, della relazione molto preciso che avrebbe meritato uno spazio. Ho messo "La nostra relazione" perché è un pezzo disarmante, anche lui su una precisa fase del percorso amoroso, composta con alcuni accorgimenti nell’arrangiamento così anni Settanta che rendono la canzone ancora più straziante, nuda. Di base è un brano che ti mostra senza scuse e senza remore una condizione penosa in cui ci si ritrova spesso in amore ma, come dici tu, anche nella vita, da soli.

Sui temi, ho notato che parli molto di sessualità. Effettivamente, la canzone italiana è piena di tensione erotica, da “Pensiero Stupendo” di Patty Pravo a “Sentimento Nuevo” di Battiato, per dirne due. Eppure è un aspetto che, a conti fatti, non è mai stato enfatizzato dagli ascoltatori, non trovi?
Sono d’accordo e volevo tanto che questo “romantic” del titolo finisse con l’avere un significato letterario e non vicino alla solita traduzione della parola che materializza cioccolatini e petali di fiore e chitarre e falò. Sangue, sudore, lacrime, passione, struggimento, desiderio: questa è l’Italia romantica che racconta questo libro, questa è quella rappresentata dal gelato colante e un po’ soft porn della copertina. Quindi, nel libro, l’amore si muove moltissimo in quella direzione. In fondo l’amore non esiste se non passa dal corpo, se non passa in un certo modo dalla pelle, dai sensi. E anche le canzoni lo sanno molto bene.

A proposito di Battiato: anche lui è un nome che evochi spesso; che peso ha avuto nella canzone d'amore italiana?
Battiato ha sempre cercato di starne fuori, di evocare l’amore, diciamo, di parlare d’amore in modo mai troppo relazionale, mai troppo umano ma, piuttosto, animato, mosso e volto a una spinta continua verso l’alto, l’elevazione, la crescita. Per me, quindi, ha parlato d’amore in modo molto più profondo di altri visto che, siamo onesti, l’amore che spinge in basso e non in alto, che non accresce ma sminuisce è amore per modo di dire, magari è relazione, di certo non è eternità.

Battiato lotta con l’animale che si porta dentro, che vuole, brama, desidera e in questo senso il suo racconto d’amore aggiunge un tassello in più rispetto a quello di tutti gli altri. Io lì volevo stare. Poi ha fatto cose enormi, ha enunciato in pochissimi versi verità emotive del sentimento: lo racconto quando parlo di "La stagione dell’amore" o di "E ti vengo a cercare". Facile no? Cerchiamo qualcuno perché ci piace ciò che pensa e che dice, perché vediamo noi stessi, la nostra radice, il nostro snodo più profondo e primigenio. Non male, Franco.

Fra gli Ottanta e i Novanta salti tutto l'alternative: CCCP e Afterhours su tutti. Mi riferisco alle varie "Mi ami?", "Dentro Marilyn": canzoni d’amore sbilenche, ma pur sempre canzoni d’amore. Mettiamoci pure quel punk innamorato di Federico Fiumani.
Fiumani è uno dei più grandi autori di canzoni, anche d’amore, italiani, avevo ben tre suoi pezzi pronti per il libro. Alla fine, però, ho dovuto per motivi di spazio e di forma finale del libro, lasciar fuori la new wave, il rap, il rock anni ’90, mondi paralleli su cui avrei voluto fare una lunghissima indagine che, peraltro, mi piacerebbe molto fare ma che avrebbe portato il libro a uscire nel 2020, cosa impossibile. Quindi, ecco, i nomi che citi non ci sono nel libro ma li ho tutti naturalmente presenti nella loro forza, bellezza e complessità storica e poetica.

In compenso, però, mi parli tanto dei Baustelle. Io, figurati, sono fra quei talebani che reputano Bianconi la miglior penna della sua generazione, in questo caso per la sua capacità di raccontare l’amore mescolando pathos e lucidità (o forse, meglio: mettendo lucidità nel pathos). Tu che ne pensi?
Penso che Francesco, al momento, sia davvero tra i due, tre nomi più bravi di tutti. Non so se ho reso giustizia alla sua scrittura che davvero ha accompagnato larghissima parte della mia crescita – andata di pari passo con i Baustelle, in termini temporali – ma lavorare sul suo lavoro, in varie situazioni e momenti di scrittura della mia vita lavorativa, è stato importante. Credo che, oltretutto, Bianconi continui a crescere artisticamente, che faccia un lavoro sempre diverso, proprio a livello di scrittura, che quindi mantenga, all’interno della propria cifra, qualcosa di sorprendente ogni volta, questa è una cosa piuttosto rara, specie di questi tempi e di grosso valore. In particolare aggiunge qualcosa al racconto emotivo che, per definizione, non può mai essere statico.

Per il resto, in riferimento agli ultimi anni citi tanta musica indipendente: Iosonouncane, Dente e i primi Thegiornalisti. Manca, invece, tutta la musica leggera “generalista”: pensi che un certo pop italiano, valido e in grado di raccontare la propria epoca, si sia per la prima volta spostato lì, in un sottobosco, e da lì poi abbia trovato la forza la rinascita degli ultimi anni?
Mi sono limitata a prendere i brani e i mondi che reputavo più interessanti da inserire nel mio racconto, alcuni li ho lasciati fuori perché non mi interessavano altri perché non ci stavano ma, di fatto, penso che oggi la discografia sia così cambiata che i Thegiornalisti sono “musica generalista”, e quindi va bene così. Iosonouncane resta nel mondo indipendente ma non avevo grande interesse a pescare in un lago o in un altro, volevo solo pescare bene.

A proposito di rinascite, mi è piaciuta molto la chiusura con Liberato. Moderno, ma anche tradizionale, e in ogni caso difficile da collocare. Ti chiedo: dove vedi il futuro della canzone italiana?
Nella trap, nel rap, nel pop, potenzialmente ovunque ci continuerà a essere il "Chiaro di luna", bellissimo, di Lorenzo Jovanotti e accanto a lui ci saranno gli "Habibi" di Ghali. Io sono curiosa, spero ci saranno grandi, grandissime canzoni: sono quelle che voglio ascoltare, il resto è marginale.

Patrizio è su Instagram.

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