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Come ho imparato ad amare e odiare i Muse

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A cambiare la mia visione della musica è stato un gruppo che mi ha affascinato sin da bambino, quando a otto anni guardavo su MTV quel video con il cantante che cadeva giù per un tunnel spaziale per tre, quattro minuti di fila. Avrebbe continuato ad affascinarmi, ancora con poca consapevolezza delle cose, quando quel video non passava più ma ce n'era un altro in cui tutto il gruppo suonava sopra un tavolo circondato da diplomatici ballerini. Avrei scoperto solo in seguito che era una citazione del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick.

Qualche anno dopo un video dello stesso gruppo mi avrebbe convinto a vendere tutte le mie carte di Yu-Gi-Oh! di modo che potessi comprare il disco che la conteneva, dato che ancora per un anno non avremmo avuto l'ADSL. Quella canzone aveva un sapore un po' R&B e un po' chitarrone e un video in cui tutto sembrava viscido, sfuggevole e grottesco. Si chiamava "Supermassive Black Hole" e il gruppo erano i Muse.

Sono abbastanza sicuro che non ci sia bisogno di presentarli, dato che sono uno dei gruppi più odiati e criticati dal circoletto degli appassionati di musica che non va a vedere i concerti a San Siro e ride dei Coldplay in gruppi Facebook chiusi. Ma non è stato sempre così: è vero, i Muse hanno fatto tutto e il contrario di tutto, ma se oggi sono quelli che sono è per una lunga serie di eventi che si sono concatenati alla perfezione.

I MUSE DEGLI INIZI

muse simulation theory
La copertina di Simulation Theory dei Muse, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

In quest'ultima era i Muse non hanno fatto niente di che. Hanno suonato sempre negli stessi posti più o meno sempre le stesse cose, sembrando pure molto annoiati. Sarà per questo che hanno cambiato idea subito. Oggi i Muse sono tornati a giocare con l'elettronica e i singoli un po' stupidini. Lo dimostra Simulation Theory, loro ottavo album in studio. L'impressione è che i tre si vogliano divertire, parlare di quello che gli pare e farlo suonando quello che gli passa per la testa. Nello specifico, sembrano essersi presi una sbandata per il revival synthwave: musica da videogiochi, serie tv e film pop anni Ottanta.

Il risultato è a tratti sorprendente. È come se i Muse fossero riusciti a ritrovare una parte di quell’ispirazione che nei precedenti dischi pareva scomparsa. Lo si sente nelll’iniziale "Algorithm" e nei suoi synth, nel pop robotico e quasi imprevedibile di "Propaganda" e "Break It To Me", nella solenne conclusione di "The Void", in cui un per niente rassicurante Bellamy ripete che “they’re wrong”. Certo, ci sono pezzi trascurabili e altri pensati puramente per far contenti i fan del gruppo. Ma sono pochi, per fortuna. La sensazione è che stavolta ai Muse non sia fregato nulla di scontentare qualcuno.

Simulation Theory non è un disco della vita. No, se ti fanno schifo i Muse non cambierai idea: anzi, avrai solo altri motivi per avvalorare le tue tesi. Ma finché si divertono va bene così. Noi fan non saremo più uniti come una volta, ma in fondo io gli vorrò sempre bene, come ad anziani genitori che cominciano a fare cose a caso perché non ci stanno più tanto con la testa.

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