"Quando non sapevo come ci si sentisse a essere pagati per la propria arte
E la mia povertà era il mio lavoro a tempo pieno
C'era solo una cosa che trasformava il dolore in pazienza:
Tutto quello che volevo era suonare al Bataclan."
- Médine, "Bataclan", 2018
Fondato nel 1864, il Bataclan di Parigi ha ospitato sul suo palco generazioni di artisti. Esibirsi lì è un onore per qualsiasi artista, ma il rapper francese Médine lo voleva così tanto che ci aveva anche scritto una canzone su quanto gli sarebbe piaciuto. Il bello è che ce l'aveva fatta a organizzare un concerto su quelle assi. Le prevendite erano andate così bene che ne aveva già annunciato un secondo.
E poi, qualche tempo dopo, un post: "Dei gruppi di estrema destra hanno organizzato proteste con lo scopo di dividerci. Non hanno esitato a manipolare le famiglie delle vittime e di riaccendere il loro dolore. In segno di rispetto a quelle stesse famiglie e per garantire la sicurezza, i concerti sono annullati".
È che Médine è un rapper musulmano, come i terroristi che hanno ucciso 90 persone al Bataclan a novembre 2015. Non lo aveva mai nascosto nei suoi testi, che lui inquadrava nella grande tradizione della satira francese: diceva "Crocifiggiamo i laici sul Golgota come Gesù", vero, ma lo aveva fatto nel contesto di una canzone pensata per mostrare l'ipocrisia e le contraddizioni di un certo laicismo islamofobico. Ma tutto questo, ai politici che avevano cominciato a dargli dell'estremista, non fregava nulla. Loro vedevano solo parole come "Jihad" e "Fatwa".
E Médine voleva solo suonare al Bataclan.
Nato nella città portuale di Le Havre, Médine rappa per raccontare l'esperienza della comunità islamica in Francia, la più grande d'Europa. Si potrebbe dire che fa conscious rap, che scrive rime per dare voce a chi non trova orecchie che lo vogliano ascoltare. Ma non sarebbe sbagliato usare parole come "street" per descrivere la sua musica, forte di una furia espressiva e un gusto per le battute taglienti. I suoi testi di Médine, come ha fatto notare il Guardian in un pezzo d'opinione sulla vicenda, non possono essere letti in maniera oggettiva. Vivono in un'intersezione tra affronto, confessione, rabbia e ironia, narrati da un musulmano credente che soffre per il modo in cui la sua fede e la sua cultura vengono dipinte nella sua nazione.
Nel 2017 Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra Front National, aveva messo la questione islamica al centro della sua campagna elettorale. A partire dall'attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo di gennaio 2015, la Francia era stata bersaglio di una serie di attacchi a sfondo estremista che avevano inasprito il già precario rapporto tra la popolazione e la frammentata comunità islamica. Date queste premesse, l'annuncio del concerto di un rapper musulmano proprio nel luogo cardine dell'attentato più grave della storia moderna francese non poteva non diventare un caso nazionale.
La polemica attorno al concerto di Médine ha avuto inizio a giugno, poco dopo l'annuncio della data, quando un utente su Twitter postò un'immagine del testo di un suo vecchio brano intitolato "Don't Laïk", remix di "Don't Like" di Chief Keef. Giocando sulla vicinanza tra "like" e "laïcisme", la canzone procedeva per attacchi e ironie diretti ai "laici" francesi e faceva riferimento a questioni controverse come la poligamia, il velo e la macelleria halal. Il tono era canzonatorio e aggressivo: "Ci date dei porci maschilisti perché abbiamo più donne? Bé, voi votate politici che tradiscono le loro compagne. Vi lamentate che rubiamo? Bé, applichiamo la sharia, cominciamo a tagliare le mani".
Già attorno all'uscita del brano Médine aveva voluto mettere in chiaro i suoi intenti:
"È importante fare una distinzione tra laicismo e laicità. Il laicismo è una versione traviata della laicità. La mia critica è mirata esclusivamente a questa deriva, che si fa vanto del concetto di uguaglianza stigmatizzando il religioso. La laicità sembra essere una delle soluzioni per una quieta convivenza, se applicata con rigore. [...] Gli agnostici e gli atei non sono presi di mira in questo pezzo, crederlo e farlo credere ad altri è disonesto. E nemmeno il cattolicesimo, che fa parte delle vittime di questo laicismo. È opportuno e necessario andare oltre il carattere provocatorio per capire il significato di fondo di queste parole, che vogliono soprattutto riunire.[...] La provocazione è utile per individuare alcuni fenomeni perversi, tutti i tipi di fondamentalismo, e ha lo scopo di metterci in guardia. I miei pezzi fanno parte di questa tradizione di opera caricaturale che esagera volontariamente le rappresentazioni per cogliere il contenuto a volte assurdo e contraddittorio."
Insomma, Médine voleva denunciare il clima di islamofobia per cui qualsiasi musulmano veniva dipinto come un "nazislamista" e per farsi ascoltare scelse di farlo nel modo più controverso possibile. Ma lo aveva fatto dicendo una frase come "Crocifiggiamo i laici come sul Golgota", in riferimento al colle dove secondo la Bibbia venne crocifisso Gesù. Come ha ricostruito Le Monde, è proprio da quella frase che diversi politici cominciarono a criticarlo, sostenendo che un suo concerto al Bataclan sarebbe stato un affronto alla memoria delle vittime dell'attentato di novembre 2015.

Il primo a toccare la questione fu il presidente del partito repubblicano Laurent Waquiez, che twittò indignato: "Al Bataclan la barbarie islamica ha costato la vita a 90 nostri compatrioti. Meno di tre anni dopo, ci si esibirà un individuo che ha cantato "crocifiggiamo i laici" e si presenta come parte di una "teppaglia islamica". È un sacrilegio nei confronti delle vittime e un disonore per la Francia." Poco dopo arrivò anche Marine Le Pen, che accusò Médine di incitare al fondamentalismo islamico. Venne presto organizzata una petizione per chiedere l'annullamento del concerto, alimentata da una vecchia immagine di Médine legata al suo secondo album Jihad (ci arriviamo) che venne falsamente presentata come parte della locandina del concerto.
Médine si difese dicendo che ovviamente condannava gli "spregevoli" attentati. Accusò l'estrema destra di aver sfruttato le sue canzoni per scopi politici distorcendone il senso e di aver strumentalizzato il dolore delle vittime e delle loro famiglie. "Lasceremo che l'estrema destra detti il programma delle nostre sale da concerto, la nostra libertà d'espressione?", scrisse. Il Bataclan scelse di non annullare la data nonostante i numerosissimi messaggi di protesta che vennero postati sulla sua bacheca.
Le associazioni che rappresentavano i sopravvissuti ebbero reazioni di diverso tipo: "Ricordiamo che anche il Bataclan è stato tra le vittime dell'attentato ed è completamente libero di gestire la sua programmazione. La nostra associazione non fa censura, resterà apolitica e non permetterà a nessuno di strumentalizzare la memoria delle vittime a fini politici, come in questo caso", scrisse Life For Paris. "Per noi è stata una scelta un po' goffa", dichiarò invece l'associazione 13onze15. "Lasciamo in pace le vittime, non hanno chiesto di essere coinvolte in tutto questo", aggiunse un loro ex presidente.
Sotto accusa finì anche il titolo del secondo album di Médine, pubblicato nel 2005: Jihad, la più grande sfida è contro se stessi. I giornali italiani hanno puntato molto forte su questo punto, rendendo Médine uno spauracchio. Il Giornale lo ha descritto come "il rapper che canta la Jihad", lo stesso hanno fatto Il Tempo, Leggo, La Stampa. Mauro Zanon del Foglio lo ha definito "rapper filo islamista", traducendo i suoi testi senza contestualizzarli con le dichiarazioni a proposito dello stesso Médine.
L'idea dichiarata da Médine era quella di riappropriarsi del termine "Jihad" nel suo senso più nobile, non in quanto "guerra santa contro gli infedeli" ma come determinazione a vivere una vita virtuosa e diffondere il messaggio dell'islam. "Che tu sia bianco, magrebino o dall'Africa nera, ascolta la mia storia", rappava, chiedendo all'ascoltatore di "capire il suo pensiero, almeno in una canzone". Ma le sue parole più pacate o progressiste, come quando si lamentava per l'assenza del diritto di voto per le donne in molti paesi islamici, sono state cancellate dalla forza esplosiva delle sue dichiarazioni più controverse.
Dato il clima che si era creato, cancellare il concerto è probabilmente sembrata l'opzione migliore a Médine. L'ha definita una "scelta difficile" e disse che lo aveva fatto per "allentare la tensione", ma ovviamente il gesto è stato subito inquadrato come una vittoria dai suoi detrattori, con la Le Pen in prima linea.
Per uno strano caso del destino, Médine aveva scelto proprio "Bataclan" per ringraziare i locali che non avevano ascoltato le polemiche sorte in passato a partire dalla sua musica, permettendogli di esibirsi invece di cedere alle critiche dei suoi detrattori: "Un grande bacio ai locali francesi che non hanno ceduto alle polemiche / Il pianoforte non ucciderà mai il pianista, anche se non gli piace la musica", aveva rappato. Ma la sua storia si è incrociata con quella del suo paese nel modo sbagliato: invece di diventare la voce della sua gente, Médine è diventato il rapper terrorista, violento, barbuto che ha osato volersi esibire lì dove dei criminali hanno ucciso degli innocenti, su quel palco così bisognoso di rinascere diventando un simbolo di unione e uguaglianza.
Médine aveva spiegato il senso di "Bataclan" con uno stato su Facebook: "Nel 1999 il mio fratello Alassane, detto Sals'a, rappava 'Il mio obiettivo è fare il Bataclan / Non restare a guardare clan che si battono'. Quel locale è un simbolo per noi e per gli artisti che lo considerano il miglior contesto in cui esercitare la nostra passione". E invece stasera quel palco resterà vuoto, per la felicità di chi ha avuto paura di Médine e ha scelto di attaccarlo e usarlo per affermare le proprie insicurezze invece che di provare a capirlo, a parlarci, a mettersi nei suoi panni. Quelli di un ragazzo che voleva solo, davvero, suonare al Bataclan.
Grazie a Giulia Fornetti per l'aiuto con le traduzioni dal francese.
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