Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.
FINE BEFORE YOU CAME
Il Numero Sette
(La Tempesta)


Febbraio è il mese più emo dell'anno. È mutilato e quindi perde la sfida a chi ce l'ha più lungo e poi i riferimenti fra Mineral e Appleseed Cast si sprecano. La vita sociale a Febbraio è ai minimi storici perché fa freddo e il localino in cui vai tu e altri 20 sfigati a bere roba a poco non fa nemmeno un live—probabilmente a causa di qualche vicino a letto con la sciatica e poco amante della musica e della gente giovane. Per fortuna, questo Febbraio si è salvato in corner con i Fine Before You Came (da ora in poi FBYC) che dal nulla se ne sono usciti con un nuovo disco. E le sorprese, nonostante i tentativi di dimostrare il contrario, ci piacciono. Dentro ci trovi sia i FBYC dilatati con voce tendenzialmente new wave delle ultime uscite, ma anche qualche bel bercione à la Sfortuna, quel disco che ha dato il via a tutti i vostri dischi emo italiani preferiti. I testi sono così quotidiani da essere applicabili anche alla vita del suddetto vicino rompicoglioni dei locali: c'è passione e tanta necessità espressiva-fattore importante di questi tempi. Ma poi quanto è ironico un nuovo album dei FBYC per il martedì grasso? Magari volevano ricordarci che c'è poco da scherzare.
GIANFRANCO CARNEMALE
STORMZY
Gang Signs & Prayer
(Merky)


Di solito quando qualcuno del giro grime fa un disco "pop", e non esclusivamente fatto di schiaffoni in faccia, fa una cagata. Invece mi sembra che siano tutti piuttosto gasati per sto disco. Del resto sono circa tre anni che Stormzy è considerato una delle migliori novità nel giro (e appoggiato da veterani come Skepta), quindi questo album di debutto (che contiene anche la sua vecchia hit "Shut Up") era molto atteso. C'è grandissima tecnica, gran flow, ottimi testi, begli schiaffoni ("Return of the rucksack"), singoloni come "Big for your boots" o "Mr Skeng", ma anche momenti assolutamente delicati come "Blinded by Your Grace", brani cantati come "Velvet" o "Cigarettes & Cush" e momenti gospel ("Blinded" pt2), epici ("Don't cry for me") o introspettivi ("100 Bags", la conclusiva "Lay me bare"). Un disco forse un po' troppo delicato, forse eccessivamente lungo (un paio di cose si potevano tranquillamente tagliare), che attesta come il buon Michael Omari non abbia voluto stare sul sicuro, ma abbia anche voluto dimostrare di essere un artista più completo di quello che si credesse ("pensavate che non sapessi cantare" ride a un certo punto). Vedremo se reggerà con il tempo, ma per ora è un sì.
SKAG-O STRONZY
SUN KIL MOON
Common As Light and Love Are Red Valleys of Blood
(Caldo Verde)


Innanzitutto vorrei dire che un album del nuovo Kozelek, quello che fa spoken word e nei suoi pezzi ti racconta cosa ha mangiato per pranzo, per cena e i telefilm che guarda, non ha davvero bisogno di durare più di due ore. E lo sa anche lui, dato che in "Seventies TV Show Theme Song" lo dice esplicitamente: "Sto solo mettendo un'altra canzone sul disco, per riempirlo." Quindi o siamo di fronte a un caso di musica esistenzialista post-ironica che mette consciamente a disagio l'ascoltatore e lo spettatore come Eric Andre fa con gli ospiti del suo show, o Kozelek sta venendo consumato dal suo personaggio di vecchio lamentone a cui fa schifo Twitter e il capitalismo. Il problema è che da un lato mi viene da dire "Bravo Mark! Il mondo è una merda, stiamo facendo vincere i fascisti, le università non dovrebbero costare così tanto e la discriminazione sul lavoro non ha senso". Dall'altro io, avendo 25 anni ed essendo una delle persone che hanno adottato il modo di vivere che Mark odia, non posso accedere alla sua visione del mondo per motivi anagrafici—quindi non la capisco veramente, per quanto possa trovarla in buona parte giusta e/o interessante. Ci vorrebbe una faccina a metà tra sbocco e sorriso, qua. Una faccina ubriaca che ascolta le divagazioni di un vecchio senzatetto ubriaco e sente i succhi gastrici salirgli in gola al profumo del suo alito marcio, ma riesce a fermarsi prima di espellerli sul marciapiede e magari nel frattempo fa anche qualche pensiero interessante sulla vita.
L'IMBIANCHINO
BLANCK MASS
World Eater
(Sacred Bones)


Il saggio dice che non c'è due senza tre, quindi Blanck Mass torna sulla scena con un disco politico, ma non come quelle zozzate tipo Fatima al-Qadiri: la politica è nel suono, non è una mera fregnaccia a parole. Cut and paste di qualsiasi cosa risulti schiacciante, con sbuffi hi-tech di macchine perfette che ruggiscono dalla discarica. Perché i lupi mozzicano più della tecnologia, e questa è la prova.
MENMA SCIN
BLOOD FEAST
The Future State Of Wicked
(Hell's Headbangers)


Di futuro qua dentro non c'è un cazzo, così come non c'è quasi nulla dei Blood Feast, a voler essere precisi. Tra cambi di lineup, abbandoni e posticipazioni, questo disco esce a dieci anni esatti di distanza dalla reunion della formazione del New Jersey, e dei due membri fondatori ritrovatisi a bordo nel 2007 oggi ne è rimasto solo uno, il chitarrista Adam Tranquilli. Lo stesso Tranquilli che, nel primo periodo di vita della band (1985-1989), abbandonò la nave addirittura prima del secondo album, nel 1988, e che oggi si ritrova attorniato di gente reclutata negli ultimi tre, quattro anni e cerca di rivivere i suoi cinque minuti di gloria. Però cerca di farlo con un cantante dal timbro completamente diverso, ad una velocità risibilmente ridotta, senza un minimo di trasporto, e il risultato è caricaturale. Un disco scritto a tavolino per fantomatici nostalgici ottantiani, ammesso che davvero esistano, che finisce per essere oltre il grottesco e strappare al massimo qualche sorriso compassionevole. Che tristezza.
LO SFIGATO DEL JERSEY
EDDA
Graziosa Utopia
(Woodworm)


Io con Edda sono di parte, gli perdono anche cose che non apprezzerei se fatte da altri. Mi sta troppo simpatico e gli voglio bene - pur non conoscendolo di persona, parlo solo a partire da dischi e interviste. Gli perdono anche cose che non apprezzerei se fatte da altri. Com'è questo disco? Probabilmente non è il suo migliore. Semper Biot era un capolavoro di asciuttezza, e Odio i vivi un capolavoro barocco, di arrangiamenti sfarzosi. Per quanto mi riguarda il precedente ha lasciato poco il segno, e questo è probabilmente il suo disco più pop. Una costante è che le canzoni le sa scrivere, e mi fa sempre piacere a ascoltarlo. Si ripete un po', certo: il suo metodo di scrittura è sempre quello, anche per quanto riguarda i temi non ci distanziamo mai troppo dal passato, in questo caso la novità semmai sono gli arrangiamenti danzerecci di un paio di episodi. Se non vi è piaciuto fino a oggi, difficilmente vi convincerà con questo album, tutti gli altri non resteranno delusi: non un disco memorabile come i primi due, ma comunque pieno di belle canzoni. Potrebbe anche crescere con il tempo.
LA MIA PORTINAIA FILIPPINA (CHE SI CHIAMA EDDA)
THE FEELIES
In Between
(Bar/None)


Uno dei motivi per cui non prendiamo sul serio le recensioni, qua a Noisey, è che i fattori che ti fanno giudicare un album sono troppi e troppo personali. Ad esempio, se oggi non fosse stata una bellissima giornata di sole, non mi fossi svegliato presto, riposato e relativamente carico per la giornata, probabilmente stroncherei questo album in quanto "puzza di vecchio" o qualcosa del genere. Invece la mia predisposizione verso questo disco di ottimo art-pop è la migliore possibile—anzi, ascoltandolo mi viene voglia di abbracciare i Feelies, questi veterani di uno dei periodi e delle scene più stimolanti nella storia della musica. Questi echi di Velvet Underground e Modern Lovers sono come miele versato nei padiglioni auricolari, e quando in "Pass The Time" sento pulsare il cuore dei Television (seppur quelli di Adventure) non posso che sorridere soddisfatto. In Between è un disco delicato, pulito, composto e suonato da artisti maturi, senza pretese ma con onestà. E diverte e piglia bene. A tratti entra anche in territori psych, allargando il raggio di azione di queste belle canzoni pop a stati di coscienza superiori. Forse domani la penserò all'opposto, ma per ora sono pronto a portarmi questo album a ogni picnic della primavera imminente.
GIONA CERTETÀ
IMMOLATION
Atonement
(Nuclear)


Pochi gruppi riescono ad avere l'indiscusso e totale rispetto dei propri fan come gli Immolation. Ross Dolan e Robert Vigna in ventisei anni di carriera, nonostante abbiano alternato qualche compagno di scorribande, su una cosa non hanno mai voluto scendere a compromessi: la qualità del proprio lavoro. Allo stesso tempo, i newyorkesi sono uno dei pochissimi nomi di un certo rilievo ad essere stati in grado di reggere a tutte le intemperie di quasi tre decenni di carriera non solo continuando a produrre materiale di livello, ma riuscendo anche nella difficilissima impresa di aggiornare via via il proprio sound senza mai snaturarlo, in un delicato equilibrio tra attualizzazione e tradizionalismo. Il risultato è che ogni tre o quattro anni esce un nuovo disco degli Immolation; non lo stesso disco degli Immolation riregistrato, tantomeno il disco di una nuova band che continua a chiamarsi Immolation. Delle sonorità riconoscibilissime e allo stesso tempo mai anacronistiche unite a un songwriting di prima fascia e tamarro il giusto fanno di Atonement l'ennesimo disco di questi veterani che farà gioire ogni deathster.
ERETICO INTEGRALISTA
BLONDE REDHEAD
3 O'Clock
(Asa Wa Kuru)


Quando uscì Dripping, il primo singolo di Barragàn dei Blonde Redhead, era tipo luglio del 2010. L'aria era appiccicosa e io stavo lavorando a qualcosa di noioso al computer in terrazzo e quando ho visto la notizia del nuovo pezzo, sono corso a prendere le cuffie per ascoltarmelo. Mezz'ora dopo stavo al bar sotto casa a ingollarmi una peroni per quanto il pezzo mi fosse piaciuto. Detto questo, l'altro giorno un mio collega mi ha passato 3 O'clock, il loro nuovo Ep., mentre stavo lavorando al pc a una cosa noiosa e ho buttato su i 4 pezzi caricati su Soundcloud e l'unica cosa che sono riuscito a pensare aveva a che fare con Trump, i panni da stendere e mia madre. Kazu Makino, ha dichiarato che il titolo del disco fa riferimento alle tre del pomeriggio e di come quell'ora sia il momento più caotico del giorno, pieno di appuntamenti e di come in Giappone, invece, sia un'ora sacra: quella del tè. Ecco Kazu, vi amerò per tante cose che avete fatto in più di vent'anni ma bersi il tè è noioso come 'sto EP.
LANOIA TREVOLTE
SAMUEL
Il codice della bellezza
(Sony)


Il mio rapporto con i Subsonica e i progetti che gli hanno girato attorno negli anni si riduce alla seguente proposizione: "Ho comprato Microchip emozionale da piccolo, mi ci sono esaltato un botto e lo ascolto tuttora con gioia." Serio, eh. L'unico problema è che mi sono perso completamente il processo di normalizzazione che ha portato Samuel e soci ad essere un grande gruppo italiano. In altre parole: ci sta che, invecchiando, non vuoi più fare canzoni che parlino di "carne sintetica" e "cibernetica neurale" (la gag è che il pezzo con Jova, il più interessante a livello musicale, tutto cassa dritta e hi-hat, è quello che più si avvicina all'identità di quell'album nel suo parlare di una tizia che "vuole un'anima"). Come, ugualmente, una volta che ti sei reso conto di quanto la gente gridi a qualsiasi cosa tu faccia, fare il disco pop è una mossa sensata. Ma non è che, come al solito, dobbiamo far finta che questo sia un grande album solo perché lo canta un tizio mega famoso e che ha significato un sacco per il rock italiano. Il codice della bellezza è un album fastidiosamente innocuo, come deve esserlo ogni prodotto pop italiano che esce oggi per una major. Perché ok che parliamo d'amore, ma l'amore non è il vento di Libeccio che ti soffia la sabbia in faccia. È sofferenza, sudore, paranoia, gioia improvvisa, capezzoli. Soprattutto capezzoli.
SAMUEL BERSAN
POWER TRIP
Nightmare Logic
(Southern Lord)


Volevate del thrash metal? Beccatevelo. I Power Trip sparano una mitragliata di proiettili mutuati dall'album d'esordio e potenziati, tanto che alla fine sono plutonio per l'orecchie. Incazzati a mille, esasperati finanche da loro stessi. Nulla di nuovo? E sticazzi. A noi piace il volume, non le chitarrine dei Blink-182 o delle stronzate indie che vi ascoltate voi.
ZOZZO BRUTONE