Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.
MIGOS
Culture
(Quality Control/300/Atlantic)


Recenti studi del Massachusetts Institute of Technology hanno confermato che lo stadio evolutivo di una società è direttamente proporzionale alla sua comprensione e al suo apprezzamento dei Migos. "Il fatto che Donald Glover abbia dovuto ringraziare in televisione Quavo, Offset e Takeoff per 'Bad and Boujee' dimostra incontrovertibilmente che la strada da percorrere è ancora lunga", ha dichiarato Melissa Nobles, capo-dipartimento della School of Humanities dell'MIT: "Una società avanzata avrebbe immediatamente riconosciuto l'enorme apporto culturale dei Migos, che sono inoltre stati così gentili da abbassarsi al nostro livello intitolando Culture il loro album. Ma, a quanto pare, viviamo ancora nel medioevo". DJ Khaled, che ha co-firmato il paper, ha aggiunto: "Hanno provato a farci fallire. Hanno provato a rubarci la dab. Ma noi siamo i migliori. Abbiamo la chiave per salvare il mondo, e non abbiamo paura di continuare a usarla".
LA REDAZIONE
DIODATO
Cosa Siamo Diventati
(Carosello)


Lo confesso, all'inizio pensavo di dover recensire non Diodato bensì… Deodato. Mi sono detto: urca, il grande vecchio ha fatto un disco nuovo! E invece si trattava del cantautore italiano con il suo nuovo album per la Carosello. Ciò non vuol dire che non si senta comunque il piglio di un settantenne, e questo inquieta: perché Deodato suonerebbe sicuramente più fresco e giovane. Tutta questa melodia, 'sti ghirigori… e che cazzo è? Possibile che la musica italiana di oggi non riesca ad emanciparsi dal modello Al Bano? Stiamo tornando indietro per quale motivo? Perché l'Italia è un paese per vecchi? Chiariamoci: non che Diodato sia una pippa, è bravissimo in quello che fa. A volte rischia di diventare anche il nuovo Baglioni (ascoltate la title track, con quegli archi avvolgenti) il che non guasterebbe tutto sommato, a questo Paese manca un degno erede del Claudione nazionale. Ma io non ce la faccio davvero a ingoiare tutto questo zucchero, il dietologo me l'ha vietato. Ciò non vuol dire che non piacerà alla gente, per cui io torno ad ascoltare Deodato e bona lì.
ZOLLETTA DI ZZOCA
RANK/XEROX
M.Y.T.H. EP
(Adagio830)


Siete un gruppo figo e volete definitivamente conquistare il mio cuore? Fate pochissimi dischi e restate il più possibile nell'ombra facendo sì che meno gente possibile parli di voi se non per dire: "Ma ti ricordi quel gruppo? Chissà se esiste ancora". Dei Rank/Xerox non avevamo notizie dal 2013, quando scomparvero dalle scene dopo qualche EP, un LP e un tour, con il frontman David West che finì per formare altre band-bomba come Total Control, Rat Columns e Liberation. I Rank/Xerox sono uno dei più fulgidi esempi di quello che a me piace chiamare robopunk: post punk dall'incedere marziale e dalle sonorità stridenti, ma che non dimentica che la gente preferisce ballare mentre pensa alla futilità della propria vita. Su questo EP appena uscito per la tedesca Adagio830 i californiani continuano per la stessa strada luccicante: sonorità secche e taglienti, qualche synth che funziona da led colorato nel buio del deserto alieno in cui ti trasportano, mentre chitarra-basso-batteria e voce funzionano da vettore organico per paranoie retrofuturistiche che, personalmente, sono il mio tipo di paranoia preferito.
TRANK/XANAX
NOT WAVING
Populist EP
(Ecstatic)


Il nostro uomo a Londra torna con un EP di quattro pezzi molto potenti, molto vari, molto belli. Lo fa sulla sua etichetta, la Ecstatic, ed è roba per prendersi un po' di schiaffi in faccia e svegliarsi. Roba studiata per la pista, ma che, messa a sonorizzare una catena di montaggio, aumenterebbe la produzione del 10%; roba che dovrebbero dare al posto degli energy drink, roba che probabilmente il vostro datore di lavoro potrebbe rimborsarvi alla voce "spese". E soprattutto roba fatta per far divertire, e fatta davvero bene. Non sappiamo cosa ne pensiate voi, ma qui a Noisey pensiamo che di cose così non ce ne siano mai abbastanza, e non vediamo l'ora di sentirle in qualche posto strapieno di gente, tutti sudati a saltare in mezzo alla pista. Bravo Alessio, ora vai nel mondo a portare gli schiaffoni di Vasto.
ANTÒ LU PURK
DOMINOWE
SiyaThakatha EP
(Gqom Oh!)


Lo smile qui sopra è arrivato solo dopo un'attenta riflessione su quanto io sia incapace di sopportare un trend per più di cinque minuti. Partiamo dal presupposto che Dominowe è un fottuto mostro e che da quando è uscita la sua "Africa's Cry" su The Sound Of Durban Vol. 1 siamo tutti giustamente saltati per aria di fronte alla novità e alla genuinità di quei suoni lì. Era la fine del 2015 e in generale il gqom era un "genere" non conosciuto nelle lande dell'internet. A poco più di un anno di distanza la situazione è cambiata ed il mio unico problema con questo EP è che ci ha messo troppo per arrivarmi. Quindi ho cancellato tutta la mia prima riflessione e ho fatto finta di non essere un nevrotico (di quelli poco carismatici su cui nessuno ha mai fatto un film) e ho stabilito che Dominowe ha fatto un EP con i poteri magici. La magia nera funziona e questo disco è capace di farvi anche nelle circostanze più orribili come una lunga fila alle poste, un ingorgo in tangenziale o un DJ set di Big Fish al Tunnel.
VROOM VROOM GENTILONI
SAMPHA
Process
(Young Turks)


La voce di Sampha è calda e tranquillizzante come una camomilla con due cucchiaini di zucchero muscovado bevuta con l'amore della vostra vita una sera di gennaio mentre il vostro cane Spot vi si adagia sulle gambe e chiude i suoi occhioni lucidi con una sorta di sorriso sul viso. Il che è notevole, dato che quello che Sampha canta è in realtà un ricettacolo di tristezza più nero del vantablack di Anish Kapoor. Insomma, mentre scriveva Process gli è venuto una sorta di nodulo in gola terrificante, sua madre è morta di cancro e intanto doveva gestire la leggera pressione mentale che può darti collaborare con Kanye, Drake, Solange e Frank Ocean. E quello che è uscito ha invece un'aura di liberazione che non ci si crede, e suona da Dio sia che faccia le acrobazie e i volteggi sonori, tipo in "Kora Sings", sia che si metta lì tranquillino al pianoforte a pensare e buttar giù due cose autobiografiche, tipo in (No One Knows Me) Like the Piano".
DJ FERNANDO LOPEZ
PRIESTS
Nothing Feels Natural
(Sister Polygon)


Le Priests un primo album ce lo avevano già, registrato a Portland in uno studio, concepito per catturare l'energia delle loro performance live—ma non ne erano contente. Così, tornate a casa a Washington DC, hanno buttato tutto nel cesso e ricominciato da capo. Chiaro che un disco nato da un gesto tanto radicale e rischioso non poteva essere meno di perfetto. In completa opposizione agli stereotipi che vogliono i Priests un gruppo di ragazze punk arrabbiate (non che non lo siano, sono inviperite) loro hanno creato un disco di una tridimensionalità paralizzante, che passa da atmosfere festaiole a momenti intimisti a esplosioni di rabbia senza nascondersi dietro la patina lo-fi che sembra il requisito fondamentale per sembrare "veri" in ambienti come quello da cui vengono. È chiaro che non hanno bisogno di dimostrare nulla a nessuno, lo si percepisce dalla libertà che esibiscono passando dagli angoli bui di pezzi come "Leila 20" e "Nothing Feels Natural" alla spiaggia assolata di "JJ" al dancefloor di "Suck", senza dimenticare le loro radici nel pogo di "Pink White House" e "Puff". C'è spazio anche per un'interludio di archi e per esplorazioni free noise ed elettroniche nella coda di "Appropriate" e in "No Big Bang". Un debutto sorprendentemente maturo e coraggioso, la cui libertà e sincerità rischia di essere scambiata per mancanza di direzione o, peggio, paraculaggine. Ma noi certi errori non li facciamo.
PRONOMI A CASO
DUMOULIN/VERBRUGGEN/HAINO
The Miracles Of Only One Thing EP
(Sub Rosa)


Metti insieme uno specialista del Fender Rhodes come Jozef Dumoulin, un batterista smagnato ma con il groove nel sangue come Teun Verbruggen e uno che ti fa sanguinare le orecchie a furia di noise come il grande maestro Keiji Haino, e ti ritrovi di fronte al Bitches Brew del 2017. Davvero una tempesta di jazz decomposto, che arriva sottile, che attacca sottopelle come una tenia, che risulta estremo ma nello stesso tempo emana un'armonia senza tempo che appunto ricorda gli esperimenti di Davis—che se fosse stato vivo forse avrebbe partecipato a questa formazione smanettando e saltellando fra i campioni come fanno questi qua. Senza dubbio incredibili gli inserimenti di (suppongo) flauto tradizionale giapponese e quelle chitarra allucinate stile Frisell che si spappolano dietro, sembra di sentire Fabbriciani che si perde in una fabbrica di fibbie per cinture. Che altro dire? Ah sì, che Haino canta come un vecchio saggio allucinato. Questo basta per l'acquisto a scatola chiusa.
NEOFITA DEL PANE
TY SEGALL
S/T
(Drag City)


Non so se non capisco più un cazzo io, ma a me 'sto disco ricorda un sacco i Beatles - ovviamente quelli più caciaroni e chitarrosi, a parte qualche eccezione. E tutto quello che c'è da dire potremmo averlo già detto. Il discorso è quello: ha senso fare ancora questo tipo di musica? Per molti no, e capisco benissimo il loro punto di vista, a tratti è anche il mio. Ma alla fine, per quanto mi riguarda, con tutta la monnezza che c'è in giro, ben venga comunque questa roba qua. E poi Segall la fa davvero bene, con buon gusto e una certa vena di follia che quando smolla il freno a mano dà belle soddisfazioni. Oltre a saper scrivere. Forse non lo riascolterò mai più, però la faccina allegra se la becca a buon diritto.
JOHN LEMONS