Tutte le foto per gentile concessione di Santarcangelo dei Teatri e di Stefania ?Alos Pedretti.
Santarcangelo dei Teatri, uno dei festival teatrali più importanti in Italia, ha sempre dato molto spazio a forme espressive d’avanguardia, oltre che a compagnie capaci di sperimentare e di muoversi tra più mondi. Non è una novità la presenza di musicisti di varia estrazione, spesso molto legati alla dimensione dell’underground, in questo piccolo paradiso della creatività, realtà che è sempre stata più che altro capace di anticipare e indirizzare alcune tendenze, per lo meno in Italia.
Ma forse mai come quest’anno, anche grazie al lavoro coraggioso della direttrice artistica del festival Silvia Bottiroli, è evidente il legame con la scena musicale più sperimentale ed estrema, se pensiamo che il programma vede in questi giorni esibirsi o partecipare nomi quali ad esempio la band statunitense punk-wave The Soft Moon, i Niños du Brasil, i Ronin, gli Zeus, Massimo Pupillo degli Zu al lavoro con la compagnia di danza dei Dewey Dell.
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Tra gli spettacoli in programma quest’anno c’è anche Azdora, secondo capitolo della collaborazione tra il regista di origine svedese Markus Öhrn e la musicista Stefania Pedretti, meglio conosciuta come ?Alos, al lavoro sia da solista che con gli OvO.
Tutto comincia quando Markus Öhrn, invitato in residenza dal festival di Santarcangelo all’inizio del 2015, scopre e "decide di conoscere più a fondo la figura della azdora romagnola, termine dialettale che indica la “reggitrice”, la padrona del focolare, unica responsabile della condotta della casa. Ruolo femminile centrale e di grande autorità nelle geometrie familiari, non le è permessa alcuna assenza, alcun sentimento distruttivo al fine di preservare l’equilibrio dell’economia domestica. Öhrn riconosce nella azdora un potenziale di liberazione e di uscita da uno status quo culturale", così recita la presentazione ufficiale del progetto.
?Alos racconta: "L’appuntamento del 15 luglio è la seconda parte del progetto, nato l’anno scorso. Markus da sempre lavora moltissimo con la musica, anche nei suoi altri spettacoli teatrali, e quindi ha chiesto ai Motus [storica compagnia teatrale italiana, N.d.A.] se conoscessero una musicista che facesse musica estrema, e che fosse una donna. Esclusi il regista e un attore in scena siamo infatti tutte donne nello spettacolo. Cercava dunque una persona che avesse un approccio musicale forte, magari con un immaginario black metal o comunque vicino a realtà di musica estrema. E gli interessava anche l’approccio, diciamo, femminista allo spettacolo. Motus gli ha fatto il mio nome e da qui è nata la collaborazione".
"L’anno scorso è stato qualcosa di più classico, cioè uno spettacolo teatrale di cui io ho curato le musiche. Si chiamava Ritual, erano tutta una serie di rituali, dieci in tutto, che consistevano in performance di mezzora, dove io curavo tutta la parte sonora", continua, "poi pian piano con queste signore si è cominciato ad instaurare un rapporto differente, e anche con il regista. E gli abbiamo proposto di fare anche un concerto all’interno di questi rituals. Del resto, quando ti capita di aver a che fare con delle signore di una certa età, e di poterci suonare? È una cosa abbastanza rara, nella musica, poter lavorare con persone così, e che loro si affidino a te, per di più".
Le vere protagoniste di Azdora sono infatti una quindicina di signore romagnole, coinvolte nel progetto senza sapere che si sarebbero ritrovate a suonare black metal, con tanto di chitarrone distorte, growl e l’immancabile face painting da panda incazzato. E del resto, anche volendo, come glielo spieghi?
Foto di Ilaria Scarpa.
"Santarcangelo è un festival speciale, come la popolazione che abita qui", racconta ?Alos. "Il festival a volte lascia in giro per il paese poster o cartoline con una call che descrive le figure ricercate da registi per laboratori o spettacoli, e lo stesso è stato fatto per Markus, dicendo che ci sarebbe stato questo regista svedese che cercava delle signore, delle azdore, per la sua pièce teatrale. Senza dire di cosa si sarebbe trattato. A questa prima call si sono presentate in quaranta. L’adzora, questa figura romagnola, è tipo una matriarca, e quello che è rimasto a livello contemporaneo di questa figura sono per la maggior parte delle cuoche, e molte pensavano che questo regista volesse, che ne so, cucinare, fare della pasta fresca in scena. Si sono presentate nella maniera più spontanea e ingenua del mondo e si sono ritrovate invece a fare tutt’altro".
"Il regista ha voluto dedicare questo spettacolo alla nonna, che lui ha seguito molto in punto di morte. Un giorno le ha chiesto quale fosse stato il suo più grande rammarico e lei gli ha risposto che per tutta la vita aveva assistito il resto della famiglia e ognuno, in modi diversi, aveva avuto momenti in cui potersi arrabbiare, litigare, sfogare, cose normalissime, mentre lei no. Lei aveva sempre dovuto essere quella pronta ad accogliere tutti a braccia aperte, con un sorriso, senza poter mai fare qualcosa di distruttivo, fregarsene, ubriacarsi, incazzarsi. Qualcosa che non fosse nel suo ruolo di donna e di perfetta casalinga. E quindi Markus, vedendo che in Italia la situazione era molto simile, e purtroppo è molto simile in tutto il mondo, ha deciso di fare uno spettacolo in cui si portasse in scena lo sfogo di queste signore, mettendo in atto nelle varie azioni tutto ciò che è più lontano possibile da quello che chiunque si immagina da una casalinga o da una nonna perfetta".
Foto di Ilaria Scarpa.
Ribaltamento che quest’anno è stato spinto appunto fino alla formazione di una vera band black metal, che si esibirà venerdì sera, a mezzanotte. "Esatto. Io non suono praticamente, mi occupo della regia a livello sonoro. In questo periodo le ho seguite molto", spiega ?Alos, "abbiamo fatto prove per una settimana e in questi giorni sono tornata a provare con loro, per accompagnarle fino al concerto. Faranno un concerto noise-metal tutto da sole: due chitarre, due voci, tre sintetizzatori modulari e un altro strumento basato sul riverbero; quasi come fosse una piccola orchestra noise. Saranno truccate secondo l’immaginario tipico del black metal (su cui il regista ha lavorato in passato), un tipo di approccio che è già vicino al mio. Markus non è un musicista, ma è un grandissimo fan della musica, e cerca sempre di inserirla nei suoi spettacoli. Ha sempre sognato di fare concerti, quindi il nuovo spettacolo sarà proprio un concerto, ma un concerto enorme, sarà una cosa di quelle che noi musicisti ci sogniamo, qualcosa di veramente apocalittico".
"E l’altra cosa davvero speciale è che in inverno con abbiamo registrato un disco. Fa parte del concept dello spettacolo, che non è solo l’azione di suonare, ma è tutto quello che ruota attorno a una vera band. Gli spettatori si troveranno in una piazza e verranno presi, bendati e fatti salire su un pullman, per essere trasportati in un luogo sconosciuto. E il biglietto per lo spettacolo vale anche per anche per il disco, il pubblico avrà diritto alla propria copia del vinile prodotto. Trovo tutto bellissimo, soprattutto il fatto di aver lavorato in squadra in fase di registrazione. E poi per me c’è l’enorme soddisfazione di aver portato queste donne a fare musica da zero».
Foto di Ilaria Scarpa.
La provocazione, che ?Alos ha sempre portato in scena fin dai tempi delle Allun, la sua prima band, è qualcosa che veicola sempre un messaggio di liberazione da stereotipi e categorizzazioni. "Il fatto di compiere gesti estremi è in sé un messaggio di liberazione. Queste donne sono completamente estranee a questo mondo, non hanno mai ascoltato questo tipo di musica e non sono mai andate a concerti di questo tipo, anzi, magari vanno a ballare il liscio e vanno regolarmente in chiesa. Però hanno deciso di mettersi in gioco, e il bello del gioco è che può far divertire anche chi magari è lontano anni luce da questo mondo».
"Quando abbiamo proposto loro di suonare, tutte hanno detto 'Davvero possiamo suonare la chitarra? Wow, mi sarebbe sempre piaciuto...' Per una donna di 60 anni mettersi per la prima volta a suonare, o a cantare, è un'esperienza intensissima. Le prime volte lavoravamo solo sulla voce, che significa che le facevo cantare in growl, perché ho insegnato loro quello che faccio io normalmente. Le ho portate a fare cose estreme, e questa è di sicuro una forma di liberazione, perché ti porta ad esplorare una parte di te che non conosci, e ti fa sfogare, ti fa divertire. È qualcosa di veramente molto potente e crea un senso di condivisione, perché passano molto tempo assieme e condividono molte emozioni, come ad esempio il fatto di imparare ad ascoltarsi. È un’esperienza bellissima per tutti noi".
Adzora è perfettamente in linea con quello che è stato finora il percorso di ?Alos, nei suoi vari progetti, dalle Allun, agli Ovo, al suo progetto solista. Nel suo sito si descrive così: «Queer because she doesn’t admit gender identity, Pagan because she’s against all religions». Ogni nuovo lavoro è un passo ulteriore verso l’emancipazione, anche seguendo un percorso a ritroso, ritrovando radici sepolte da secoli di civiltà e riscoprendo l’espressione del corpo nella sua totalità, oltre che il legame spesso dimenticato con la natura.
"Quello che ho sempre voluto fare", spiega ?Alos, "è portare alla riflessione, non attraverso i testi, ma proprio con l’azione in sé e con il percorso che ho deciso di intraprendere. La cosa principale è di andare oltre il genere, ma non semplicemente a livello sessuale, genere può voler dire tutto. E io vorrei superare le divisioni, e fondere dimensioni diverse. A volte definisco quello che faccio come paganoise, per cercare di portare qualcosa di più antico, ancestrale. La mia intenzione è trasporre in musica una componente archetipica che ci portiamo dentro e che la società cerca in diversi modi di strapparci via o almeno di domare, e invece quello che cerco di fare io è tirarla fuori e metterla davanti agli occhi delle persone. Quello che cerco di fare è fondere, piuttosto che classificare in generi, fare divisioni, perché alla fine tutto è uno, tutto si unisce e si fonde e si incastra. E l’uso stesso che faccio del corpo, della voce, viene dal fatto che per me la voce è fisica, è qualcosa di viscerale, corporeo, è così che il mio corpo si esprime. E anche l’approccio performativo che spesso ho, deriva dal fatto che con i miei tentativi vorrei riuscire a unire diverse discipline artistiche, musica, teatro, video, invece che separarle. La fusione tra le varie discipline è qualcosa di fondamentale al giorno d'oggi, secondo me".
OvO.
Parlando con ?Alos mi è tornato in mente l’ottimo libro di Martina Raponi, uscito lo scorso anno, Strategie del rumore, in cui la ricercatrice con base ad Amsterdam descrive genesi e storia del noise. "Il Noise è la manifestazione più compiuta di una comunicazione che avviene attraverso le vibrazioni, e che influisce – e influenza – principalmente attraverso il corpo, inteso come carne pulsante e capace di sentire, dove ciò che conta è cosa il corpo recepisce, sbarazzandosi del linguaggio, tornando a un livello primordiale di potenzialità, in cui a ricoprire un ruolo primario sono l’efficacia e l’incisività. Non importa che ci sia messaggio, l’importante è che arrivi, e che i corpi lo sentano". E ancora, nelle stesse pagine: "ogni Rumore evoca un’immagine di sovversione", e questo è tanto più vero quanto più un concerto noise come quelli di ?Alos si svolge davanti a un pubblico.
Quello che a me colpisce sempre dei tuoi live infatti, e che ritrovo nei concerti di gruppi come gli Zu, oppure nell’approccio che ha verso la musica una personalità come Diamanda Galas (che non a caso è di origine greca), è questa dimensione rituale della performance, un evento catartico, una rappresentazione che porta alla liberazione.
Sì, assolutamente. Vedo che tra quelli che ci vengono a vedere molti si divertono, ma altri restano veramente spaventati, perché non si aspettano un concerto di questo tipo, così intenso. Spesso gli spettatori vogliono solo essere fruitori, guardare un concerto senza essere davvero toccati, essere spettatori passivi. La cosa bella invece è quando quello che stai guardando riesce a toccarti, dentro di te si muove qualcosa e si crea un’interazione con il gruppo che stai vedendo, con la musica che stai ascoltando. È il lato magico di un concerto alla fine, e vedo che pian piano molti stanno cominciando a sentire questo desiderio di far parte di un rito, un rito contemporaneo diciamo. La cosa che mi stimola è proprio l'idea di proporre qualcosa di contemporaneo e personale. Il mio approccio è noise o black metal, ma non è la cosa fondamentale: è il mio modo di vivere il rito e di cercare di coinvolgere il pubblico attorno a me in un’esperienza emotiva, collettiva e catartica, per vivere quei momenti assieme in maniera fortissima".
Una dimensione sempre presente nella tua arte è quella del femminismo, il lavoro di rovescio degli stereotipi, oltre che alla continua messa in scena del femminile, tu che ti definisci queer, che hai una compagna, e che hai sempre rivendicato l’importanza anche politica di questo tipo di discussione.
Quando ho cominciato, frequentavo un centro sociale a Vigevano, si chiamava La Sede, ne faceva parte anche Patrizia Oliva che all’epoca suonava da sola, e quindi, essendo sempre lì tutte insieme, abbiamo deciso di fare un gruppo. Io prima non suonavo, al massimo organizzavo concerti. Quindi abbiamo messo insieme le Allun, con quest’idea di suonare assieme tra donne, e in uno spazio autogestito e occupato. Poi le cose si mettono in moto, prendono un loro percorso. In quegli anni c’erano già dei gruppi femminili, realtà come le riot grrrl, ma la nostra intenzione era un po’ di staccarci da quello, almeno come approccio musicale, perché eravamo abbastanza lontane dal punk, forse facevamo avanguardia, comunque qualcosa di iperpersonale ed estremo, strettamente collegato al lato performativo, che era fondamentale. Usavamo oggetti tradizionalmente femminili, come il minipimer, la macchina da cucire, oggetti da cucina. C’era una piccola scena, ricordo il gruppo di donne romane Motorama, con cui siamo andate in tour varie volte. I gruppi femminili erano veramente pochi allora, e quello che facevamo aveva un significato forte. Forse anche oggi avrebbe comunque senso, non so, i tempi non sono cambiati così tanto, anzi, forse sono anche più grigi in certi ambiti. L'approccio dei gruppi femminili è cambiato, femminismo e causa queer si sono fusi per esempio, c’è un approccio più propriamente queer-femminista, una critica verso l’omofobia e il maschilismo. Oggi la connotazione politica sembra molto più forte e diretta".
"Nel mio percorso ho sempre cercato di portare in scena la figura femminile, che non significa solo l’essere donna. Ad esempio mi ha sempre affascinato il cibo perché è uno degli elementi fondamentali dello stereotipo. Il mio modo di suonare e di stare in scena è ispirato da questa espressione della femminilità, sia in ambito psicologico che nell’ambito sociale in senso stretto. Il mio secondo disco solista per esempio, Ricamatrici, era tutto basato sulla macchina da cucire. Nella mia visione doveva essere come un piccolo musical sullo stile di Dancer in the Dark. Mi ero appena trasferita a Berlino e sentivo questa cosa dell’immigrazione, che è quello che succede anche adesso, uno emigra pensando di andare a fare qualcosa di bello e a volte finisce magari a fare un lavoro peggiore di quello che faceva nel proprio paese, e molte donne finiscono per fare le sarte, o qualcosa che abbia a che fare con il cucito. Quel disco voleva portare l’attenzione proprio su questo. Penso che il femminismo molte volte sia anche il fatto di supportare attivamente altre donne, il fatto di appoggiarsi l’una all’altra. Non è una cosa da niente".
Ascolta la musica di ?Alos e OvO su Bandcamp e segui i progetti di Stefania Pedretti su Facebook.
Visita il sito di Santarcangelo dei Teatri per vedere gli altri eventi all'interno del festival.
Marco è su Twitter: @marcodevid