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Recensioni

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Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

 

Hartmut Geerken - Orpheus - Holidays 

 Ci sono molti che si mettono in bocca parole come musica estrema, suoni estremi, testi estremi. Beh forse non hanno mai sentito Hartmut Geerken, studioso e attivista di spicco nel campo della poesia sonora, dei saggi critici multidisciplinari che arrivano fino all’etnomicologia (!). Ma, cosa importantissima, egli sta dentrissimo al free jazz avendo suonato con Sun Ra, tanto che ora possiede un vasto archivio dei suoi lavori ma soprattutto la sua Sunharp. Ora, in questo lavoro le corde di tale arpa sono manipolate dalle emissioni delle corde vocali di Hartmut: vibrano insieme in un riverbero atavico, e ovviamente Geerken non si è risparmiato. Fa tutti i suonacci possibili con la sua bocca: a volte sembra un animale, a volte un vecchio santone indiano che prega, e l’arpa si adegua a lui tanto che va stretta la definizione di linguaggio e di musica, siamo abbastanza oltre. Per comodità la chiamiamo poesia sonora ma a me a volte, non so perché, mi ricorda un Sakamoto versione glitch.  Forse perché mentre stavo ascoltando il disco di Hartmut ho fatto partire in contemporanea anche lui e cazzo se stavano bene assieme!  D’altronde il mitico Orfeo era capace di simili imprese impossibili, anche di far salpare le navi con la sua musica. In questo caso è capace di farvi leccare il dorso delle rane, anche se non siete mai stati in Sudamerica.

BUFO OMINO

 

Ariana Grande - Dangerous Woman - Universal 

Ho un amico che sta sempre un passo avanti a me e, qualsiasi cosa io decida di fare, lui ci è arrivato un pochino prima, o comunque mi spiega che il mio modo di fare quella determinata cosa, che sia ascoltare un disco o indossare una maglietta lunga/corta a seconda dell’anno pari o dispari, lui lo faceva già da prima. Non so se sono particolarmente sfortunato io o se tutte le persone devono convivere con una ghost car che che gli sta avanti di mezzo secondo, costantemente. Ad esempio, vi ricordate quando Rihanna si è fatta acconciare i capelli proprio tali e quali a FKA twigs? Ecco, questo disco è come il taglio di capelli di Rihanna, le sta molto bene e lei è bonissima, ma non è mai stata una sua idea e solo gli stupidi non se ne accorgono. Ariana Grande invece è diversi livelli di profondità meno originale e più o meno ogni singolo di questo disco ha il suo corrispettivo fatto prima (e meglio). Jeremih, Abra, la stessa Rihanna, ci sono riferimento. Insomma, bisogna essere davvero dei celenterati per ascoltare Dangerous Woman invece delle versioni originali. Bisogna anche dire che un saggio una volta mi ha detto che solo gli stupidi sono felici e infatti questo disco a me, in fondo, fa godere tantissimo.

RIDI RIDI CHE LA MAMMA HA FATTO INOKI

 

Kablam - Furiosa - Janus

 Furiosa non solo è destinato a rimanere un capolavoro della meme music 2k16, ma pure l’album con uno dei titoli più rappresentativi del momento. Non so se il riferimento a Shakira—o @Gothshakira—e alla sua “Rabiosa” sia voluto o meno, probabilmente no, o forse ricordando gli ultimi discorsi sul pop fatti con Kablam a febbraio anche sì, ma poco importa. La qualità è ciò che conta, e se per identificarla è stata scelta una parola così sensuale come FURIOSA, tanto di cappello a Kajsa Blom. Anche i nomi delle tracce sono decisamente sexy, vedi “Choking”, “Intensia,” e “Nu Metal”, e in generale l'EP sembra proprio pensato per fare da colonna sonora a qualcosa di altrettanto sexy. Non a caso i miei momenti preferiti sono proprio queste tre tracce: “Choking”, con la verve reggaeton-cumbiera metallizzata che farebbe vibrare selvaggiamente i fianchi pure ai tavoli, e gli echi neorinascimentali di “Nu Metal” e la vincente e passionale via di mezzo tra le due cose, cioè “Intensia.” Furiosa è un cosmo di dislocazioni spazio-temporali di voci e beat fatti di una materia che mette giustamente in risalto l’enorme bugia dell’hard style fine a se stesso. Goduria di inizio stagione alle stelle.

MENTI ROSA

 

THE KILLS - Ash & Ice - Domino

 I Kills avevano già una data di scadenza molto netta stampata in fronte quando arrivarono alle nostre orecchie i loro primi lavori, all’incirca dieci anni fa. Forse è per questo motivo che la frontwoman Alison Mosshart portava una frangia quasi più lunga della sua faccia. Il loro fascino era pure molto legato a quello di lei, oserei dire, perché lui è sempre stato uno di quei musicisti inglesi un po’ marci e bohémien (buoni comunque ad attrarre le top model). Ora la formula drum machine + voce sexy + chitarrina è finalmente giunta all’auto-saturazione (solo in Italia insistiamo a difenderla) e oltretutto Jamie, poverino, si è stendinato chiudendosi la mano in uno sportello, sfiga che ha contribuito a tramutare definitivamente i Kills in un duo synth pop che non aggiunge davvero nulla alla miriade di band da cameretta formatesi su quel solco. Alison è sempre fregna, per carità, pure se un po' fregna di plastica, specchio della nuova identità dei Kills, che se possibile suonano ancora più farlocchi di prima.

FABRIZIO CORONA DENTALE

 

LUCIANO LAMANNA - IN VITRO - MULTIPLE/ SUBSOUND

 In tutta sincerità, inzio a essere decisamente stufo del fatto che stanno tutti in fissa coi synth modulari. Dico: c’è davvero troppa gente la cui cifra stilistica ultimamente soffre del fatto che invece di ammucchiare idee ammucchiano moduli e anziché mettere la strumentazione al servizio delle loro idee, trasformano tutto in una jam modalità intruglio approssimativo e limitato. Che poi OK, porsi dei limiti va bene ma non quando sono gli stessi limiti di tutti gli altri. Luciano Lamanna con questo disco è scivolato un pochino da quelle parti lì, ma per fortuna lui è un veterano di mille progetti e mille risvolti della musica elettronica (anche se questo è il primo che firma col suo nome e cognome), e lo stile ha la meglio. Certo, non riesco a levarmi dalla testa il fatto che a progressioni techno così lente, minimali e riflessive, avrebbe giovato un lavoro su pochi suoni ma ognuno con una sua timbrica marcata. Però mi sta pure sul cazzo quando i recensori danno i “consigli” agli artisti, quindi amen. Esula dal discorso “1977”, arricchita dal sax funkeggiante di Luca T. Mai, ma più di tutte mi è piaciuta “In Vitro”, che pare il Plasikman di Consumed in versione neopagana da Northern Electronics.

CANE PASTORE

 

MELVINS - BASSES LOADED - IPECAC

 Vogliamo tutti bene ai Melvins, a Steve McDonald dei Redd Kross, a Jeff Pinkus dei Butthole Surfers, a Krist Novoselic dei Nirvana e a Jared Warren dei Big Business. Il fatto è che davvero, Buzzo, fa lo stesso; è inutile che continui a scrivere questi pezzi che quando va bene hanno una bella atmosfera Melvins e quando va male hanno la fisarmonica e sembrano degli intermezzi in un disco dei Gogol Bordello. Inoltre per quanto il basso abbia un ruolo fondamentale e interessante in una band come i Melvins in generale e a tratti in questo album in particolare, non gliene frega un cazzo a nessuno di quale bassista sia su quale traccia e del perché ce ne siano sei diversi. Fa sorridere di affetto sapere che Novoselic, con quella faccia che si ritrova, sia ancora disposto a suonare il basso su un pezzo cretino come “Maybe I Am Amused”, però davvero, basta sprecare plastica con ‘ste stronzate. Aspettate cinque o sei anni e fate un album con i sette pezzi accettabili che siete riusciti a scrivere nel frattempo.

PERSESSO TRENTASESSO

 

SPRAY PAINT - FEEL THE CLAMPS - GONER

 Cos’è, il quinto album? A un ascolto superficiale tutti esattamente uguali. Sembra incredibile quanto l’estetica di questa band sia precisa e riconoscibile. Eppure questo potrebbe essere il loro disco migliore. Feel The Clamps prende l’energia dissonante di Rodeo Songs, le canzoni dalle strutture totalmente sbilenche e geniali di Punters On A Barge e l’oscurità di Dopers, mettendo tutto a fuoco in un album dalla potenza unica. I pezzi scorrono veloci, vibranti, con le caratteristiche voci in stile cut-up a creare un’atmosfera assolutamente straniante. Ricordano a tratti gli Swell Maps, ma cresciuti in un quartiere malfamato da megalopoli americana. Post punk da purple drank, per quando vuoi mandare tutti in paranoia alla tua festa in cortile. Inquietante e contagioso.

PARPO SDRANG

 

THE STROKES - Future Past Present - Cult

 Non immaginavo nemmeno che Julian Casablancas riuscisse ancora a mettere due parole in fila, e invece qui addirittura URLA. Ecco, premesso che a questo ragazzo dovrebbe essere impedito ad ogni costo di alzare la voce perché non è in grado di sostenere una linea melodica che vada granché oltre il suo solito giro, è incredibile come—con quelle poche note—gli Strokes siano ancora in grado di comporre pezzi ok. Alla fine il vantaggio e lo svantaggio di avere uno stile così riconoscibile è che non verrà mai in mente a nessuno di classificarti come ripetitivo o invecchiato: infatti questo è semplicemente un EP degli Strokes, niente di più niente di meno, con l'unica aggravante che nessuno ha osato castigare Casablancas per i suoi vocalizzi da castrato. 

VIRGINIA RAGGI X


TONGUES OF LIGHT - CHANNELED MESSAGES AT THE END OF HISTORY - PRE-CERT HOME ENTERTAINMENT

 Come al solito per tutto quello che riguarda Pre-Cert e Dead-Cert, le due etichette dei Demdike Stare con Andy Votel (delle quali ancora non ho compreso cosa le distingua), non si sa chi cazzo ci sia dietro al progetto che firma questo disco. Probabilmente gli stessi Canty, Votel e Whittaker, o qualche altro loro amico psicopatico e psicopompo di Manchester. Che poi il disco suona effettivamente incorporeo e senza volto: praticamente sono due lati da quindici minuti in cui ti senti posseduto da un fantasma che non parla la tua lingua e forse da vivo non aveva neanche un corpo così simile al tuo. Poi ne arrivano altri, e iniziano a vociare tutti assieme finché non diventi pazzo e ti ritrovi in una serie di “altrove” uno più indecifrabile dell’altro. Se non fossimo in estate, ad ascoltarlo al buio mi sarei cacato sotto abbestia, ma per fortuna mi tocca stare con le finestre aperte e captare tutto quello che i miei decrepiti vicini di casa guardano in TV. Ora che ci penso, sono pure loro piuttosto ectoplasmici, chissà che alzando il volume non riesca a sostituirli con dei morti più interessanti.

ORBELLO MONACO

 

WOLF PARADE - EP4 - Autoprodotto

 Io sono totalmente sicuro che i Wolf Parade possano fare molto meglio di così. Insomma, ok che è un EP di quattro pezzi buttato fuori senza troppe pretese. Ok che è una sorta di reunion, e che da quattro persone che non si son cagate per otto anni non possa uscire immediatamente il capolavoro della vita. Però ci credevo, un pochettino. Insomma, da quando è uscito Expo 86 Spencer Krug ha raffinato a bestia i suoi testi ed è diventato un mago delle ballate al pianoforte. I Divine Fits di Dan Boeckner erano carini. E invece qua abbiamo quattro canzonette che potrebbero passare tranquillamente nella playlist “Indie” di Spotify che usa la vostra amica autodichiarata fan dei Muse ascolta quando “vuole scoprire nuova musica”. E poi uno si prende male a vedere testi tipo “Danny ha detto che ha smesso di disegnare vestiti / Si sta prendendo bene per il jazz e ha iniziato a restare a casa / È come Picasso quando disegna nella sabbia”. Poi non è che ci siano solo momenti-Garrincha come questo, ecco. Ma mi viene un po’ difficile prendermi davvero bene per questi pezzi quando il metro di paragone era una cosa tutta epica tutta scalcagnata dentro cui dovevi scavare tipo tra le pieghe di uno Shar Pei per capire se eri di fronte a una stronzata o a un capolavoro. Qua manco c’è il divertimento di scoprirlo. 

TONINO SPIDERMAN

 


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